39. Confessione

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GIOVEDÌ 31 MARZO 2016

Damiano è stato da me idealizzato, adorato, venerato quasi come fosse un Dio, esattamente dal primo giorno; ho sempre avuto paura di toccarlo come se in qualche modo lo avessi potuto sgualcire, avevo il terrore di sfiorare i suoi pensieri, ma allo stesso tempo bramavo di farlo, avevo una sete di lui che mi prosciugava la gola, mi comprimeva i polmoni strappandomi via l'aria. Il candore della sua pelle è ancora terribilmente nitido nelle mie pupille, come i tratti spigolosi del suo viso che si sono incastrati con i miei, mentre ci baciavamo su per quella parete rocciosa, la seconda domenica di marzo, ma nonostante ora siamo più vicini di sempre, a volte mi sembra ancora così lontano, illeggibile e confusionario. Conto i giorni che sono passati da quando abbiamo incollato le labbra per la seconda volta, come se quell'evento fosse stato il mio nuovo 'anno zero'; per me non ci sono più domeniche, sabati e lunedì, le giornate sono scandite da lui e da lui soltanto, hanno il suo nome e la sua faccia, la sua gestualità e il suo profumo. Però più passiamo il tempo assieme, meno mi sembra di conoscerlo o capirlo, come se fosse stato più leggibile quel giorno in prima liceo, appoggiato alla mia stessa parete, quando ancora non sapevo il suo nome, piuttosto che adesso, che conosco anche ogni minima increspatura delle sue labbra. Passano i giorni e non mi sembra di fare miglioramenti, non lo capisco esattamente come non lo capivo la sera in cui mi ha riportata a casa dal narghilè bar, quando non considerava le mie domande e io mi chiedevo cosa lo avesse reso così insofferente, senza riuscire a darmi una risposta sensata. Quella sera gli era sfuggita una frase buffa sul condividere il fumo e io mi ero resa conto di non aver mai posto tanta attenzione sull'insolita affezione che ha per le sue sigarette: gliele devi lasciar finire fino all'ultimo tiro, magari ne regala una a qualcuno se insiste, ma non le smezza mai.

E di me Damià? Sei geloso di me? Mi cederesti a Marco come una delle tue sigarette, se t'o chiedesse come forse ha fatto quella sera al locale?

La stessa notte, dopo una chiacchierata chilometrica sulle rive del Tevere che sciaguattava giocoso, mi ha riportata a casa con un'espressione altrettanto giocosa sul viso, per poi invece camminare via consumando l'asfalto sotto ai suoi piedi, come se ad ogni passo avesse voluto scavare una fossa con il tallone; unica spiegazione plausibile, la presenza di Vittorio, seduto sugli scalini davanti al portone.

Smontando dal suo scooter avevo lanciato solo un'occhiata veloce all'edificio dai muri in mattone, ma mi era bastata per individuare la figura del mio migliore amico, accucciato sul primo gradino, che ansiosamente si portava una sigaretta mal girata alla bocca. Vitto è un perfezionista del cavolo, in assoluto su tutto, ma sul fumo in particolare: le sigarette che rolla sono così dritte e pressate che sembrano fatte a macchinetta, ma quella sera la sua sigaretta era storta quasi quanto il suo umore. Avevo capito fin da subito che non era sceso con i pantaloni della tuta e la maglia del pigiama perché improvvisamente il balcone gli stava stretto: ero certamente io la persona che cercava e non trovava, ma nonostante questa consapevolezza avevo comunque tirato Damiano vicino a me, per salutarlo con un bacio. Non so se l'avevo fatto perché volevo dimostrare qualcosa al mio migliore amico, o a Dami che lo fissava innervosito, o perché semplicemente ne avevo voglia, ma comunque per l'ennesima volta i miei desideri sono passati in secondo piano, mentre le sue labbra dopo un misero tocco sono fuggite via indispettite, muovendosi poi solo per pronunciare un gelido ciao, diretto a me e all'altra persona poco più in là, niente di più affettuoso. L'avrei preso a pugni sulla schiena, mentre si girava e tornava veloce al suo motorino, mettendo in moto e sgommando via, perché ha la testa così dura che si fa sempre come vuole lui; non si fa problemi a lasciarmi in mezzo ad una strada e baciarmi cinque minuti dopo, anche se dovrei avercela a morte con lui, quando invece un bacio lo voglio io, improvvisamente diventa scorbutico e permaloso.

"Ma allora state popo assieme adesso?" aveva domandato Vittorio, quando il rombare del motorino di Damiano era ormai lontano, e pure io avevo smesso di pregare perché mia mamma non facesse due più due e capisse che mi aveva accompagnata a casa con quell'aggeggio della morte miliardi di volte. La sua voce si era incrinata sulle ultime parole, aveva tossicchiato del fumo per mascherare la cosa, ma non aveva funzionato granché. Comunque io e Damiano non stiamo effettivamente insieme, e non perché non me l'abbia chiesto con un mazzo di fiori in mano, più che altro perché davanti ai nostri amici ci comportiamo sempre come due spettri. Tuttavia erano tutti i baci che ci siamo scambiati nascosti tra le mura di scuola, o quella stessa sera, appoggiati al parapetto di ponte Sisto, ad occupare i miei pensieri quando ho fatto ondeggiare il capo rispondendo al mio migliore amico: "più o meno". La smorfia che ha fatto la sua bocca sottile, mi ha ricordato tanto il modo in cui si erano piegate le mie di labbra, quando al chioschetto Dami aveva fatto un commento su Nena, e per un secondo ho sentito il rumore secco di una crepa, quel dolore che non potevo non condividere.

Damiano | Limerenza e DissimulazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora