1. Primo giorno

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MERCOLEDÌ 11 SETTEMBRE 2013

Le mie mani non sono mai state così sudate in vita mia, pizzicano mentre le sfrego l'una contro l'altra, sperando di asciugare quella patina umidiccia che le ricopre. Tutto inutile. Sento la pancia aggrovigliarsi e vorrei piegarmi in avanti, accucciarmi a uovo e sparire dentro il mio giacchetto di jeans, ma mio malgrado sono nel bel mezzo del 98, stracolmo di gente, come è ovvio che sia alle sette e trenta del mattino. Mi era sembrata una buona idea quella di arrivare presto il primo giorno di scuola, della prima liceo, ma sicuramente non avevo previsto di arrivare così tanto presto. Solitamente sono un caso disperato: sono perennemente in ritardo, soprattutto se si tratta della mattina presto; oggi invece ho esagerato dal lato opposto. Tutta questa puntualità mi asciuga la lingua, mi sento tremendamente fuori posto. Ma il disagio più totale arriva quando la scritta 'Liceo linguistico statale E. Montale' mi si para davanti a caratteri cubitali e sono costretta a realizzare, con una fitta allo stomaco, quanto io sia davvero esageratamente in anticipo, dato che l'edificio basso dalle pareti rosso terra bruciata è totalmente vuoto e silenzioso, anche di più di quando mi ci ero recata la prima volta, quasi un anno fa, per la visita guidata, e tutti gli studenti già iscritti erano in religioso silenzio all'interno delle loro classi.

Per mia fortuna neanche cinque minuti dopo il mio arrivo fa capolino la chioma castana di Viviana, la mia migliore amica; avanza sul marciapiede come fosse la marcia nuziale: vorrebbe corrermi incontro ma sa di dover mantenere il ritmo. Poi giunta alla giusta distanza mi saluta con una mano, con l'ansia nel petto come me, ma gli occhi a mandorla che brillano.

L'ultimo anno di medie l'ho passato a domandarmi che cosa avrei dovuto fare dopo: la professoressa di lettere spingeva verso il classico, quella di matematica propendeva per lo scientifico. Alla fine ho lasciato che scegliesse la mia migliore amica per me, e lei con un padre francese – il suo vero nome è Vivienne – e la madre originaria del Taiwan non avrebbe potuto che scegliere un linguistico. Sarebbe stato comodo dato che per lei il francese è come un secondo italiano, nonostante lo parli solamente coi nonni, mentre del Taiwan ha rubato solo due splendidi occhi, nero brillante, e la pelle dello stesso colore della farina di riso raffinata. Si è già scrocchiata le dita delle mani almeno tre volte quando la preside compare sulla cima della scalinata in pietra e ci accoglie con uno stridulissimo buongiorno attraverso un vecchio megafono, per poi condurre la massa di studenti che si era accumulata lì intorno, oltre le porte vetrate di ingresso e giù fino in aula magna.

Inizialmente, considerata la mia incapacità di comportarmi normalmente quando sento di essere osservata, la scelta di sostare al fondo dell'enorme sala, appoggiata contro il muro data l'insufficienza di sedie per tutti noi del primo anno, mi era sembrata intelligente, in quanto essere osservati dalla mia posizione risulta davvero poco probabile. Eppure quando la preside comincia a chiamare gli allievi divisi per sezione e realizzo che dovrò attraversare un mare di persone per raggiungerla dall'altro capo dell'aula mi sale un groppo in gola. Calma, ce la puoi fare mi ripeto, ma le pareti giallognole e l'immensità della sala, con quel soffitto fin troppo alto, sembrano inghiottirmi. Nel preciso istante in cui volto la testa verso Viviana per mugugnare un sommesso "Gesù che ansia" noto le porte pesanti dell'aula magna spalancarsi a rallentatore, e un ragazzo dal ciuffo castano farsi avanti attirando su di sé la mia attenzione e quella di alcuni ragazzi lì intorno. Spero per lui che la preside non si sia accorta del suo arrivo: sicuramente la sua non è una bella presentazione per il primo giorno di liceo. Lui però non sembra essere molto preoccupato, né del suo evidente ritardo, né degli sguardi che gli sono volati addosso come falchi sulla preda, nel momento in cui ha oltrepassato la porta d'ingresso, anzi se non fosse per la sua espressione vagamente assonnata, direi addirittura che era tutto voluto. Con calma infatti richiude le porte dietro di sé per poi voltarsi e dare un'occhiata in giro, in cerca di un buchino dove mettersi per non sostare giusto davanti all'entrata. I suoi occhi vagano per la sala, sposta all'indietro il ciuffo castano, leggermente mosso, e poi infila le mani in tasca, preciso e sinuoso; sarà per colpa delle luci al neon fissate al soffitto alto, o del modo in cui si riflettono in giro per l'enorme sala, ma la sua pelle da qui appare quasi marmorea, come se fosse il soggetto di uno di quei quadri del '600 che ritraevano re e regine, come bambole di porcellana, i brufoli non sembrano averlo toccato neanche da lontano. I ragazzi che venivano in classe con me alle medie non erano così, erano davvero tutt'altra storia, niente di paragonabile. Sarà questo il vero cambiamento da medie a liceo, i ragazzi?

Per il tempo piuttosto lungo che ho trascorso a fissarlo, non proprio con discrezione, ho perso praticamente il contatto con la realtà, persino il peso enorme che mi schiacciava lo stomaco si è volatilizzato per un po', per tornare però tutto d'un pezzo quando il ragazzo che mi aveva distratta decide di posare per un brevissimo istante i suoi occhi nei miei, facendomi di conseguenza distogliere lo sguardo imbarazzata, per poi invece notare, questa volta con la coda dell'occhio, che si è incamminato nella mia direzione. Se già il mio stomaco era un groviglio e il mio cuore batteva sempre più velocemente ad ogni passo che lo portava più vicino a me, quando poi con mio immenso e decisamente esagerato stupore mi si ferma di fronte, temo per un attimo che il cuore finisca davvero per uscirmi dal petto.

Cosa vuoi da me, sconosciuto dagli occhi calamitanti?

Lo scopro meno di un secondo dopo, quando in modo abbastanza disinvolto indica con l'indice lo stretto buco che in effetti c'è tra me e la ragazza dai capelli neri poco più in là, come per chiedermi se mi sarebbe dispiaciuto se l'avesse occupato lui. Sono ovviamente troppo in fibrillazione per poter produrre qualche reazione sensata o tantomeno una risposta fatta di vere parole, per cui, in modo così impacciato che mi vorrei prendere a sberle da sola, mi faccio un po' più in là aumentando la porzione di muro visibile dietro di me, non dimenticandomi di annuire, alzando e abbassando lo sguardo senza una logica e forse anche abbozzando un sorriso in mezzo a tutta questa confusione di gesti. Non so dire se abbia notato il mio impaccio, sono troppo impegnata a nasconderlo, con scarsi risultati, e l'unica cosa che riesco a cogliere è l'espressione sorridente che assume mentre prende posto accanto a me, forse per scherno o forse no, chi lo sa.

Solo qualche minuto dopo realizzo di essermi completamente persa tutto ciò che è successo nel frattempo per cui, con la gola di nuovo in fiamme, mi volto interrogativa verso Viviana e le chiedo in un sussurro: "a che lettera siamo arrivati?" Non so neanche io perché ho sussurrato, nell'aula c'è un bel brusio e la mia voce sottile non sarebbe comunque arrivata alle orecchie della preside, ma forse è lo sconosciuto di fianco a me a rendermi irrequieta... Solo con questa poca o quasi inesistente distanza che ci separa ho potuto constatare quanto sia più alto di me. È questo che mi mette in soggezione, o c'è dell'altro?

"Alla E" risponde la mia migliore amica, anche lei sussurrando, più per continuità alla mia domanda che per altro, e per poco non mi perdevo anche questa informazione dato che la mia testa stava di nuovo vagando su argomenti poco pertinenti. È la pelle delle nostre braccia, che si toccherebbe se non fosse per il tessuto del mio giacchetto e della sua felpa, a farmi perdere la concentrazione.

Sembra essere passata un'eternità quando il ragazzo che ho di fianco si distacca da me, generandomi un vuoto nel petto che ancora non riesco a motivare, recupera la sacchetta che aveva lasciato a terra e si dirige verso il soppalco dove la preside, neanche un secondo fa, ha pronunciato un nome nel megafono. Damiano...? Damiano Davide? Può essere? Due nomi, un cognome e un nome, quale dei due è cosa? Ma soprattutto perché mai mi interessa? 'Non è così importante' mi ripeto convulsivamente, ma non sembra funzionare.


Damiano | Limerenza e DissimulazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora