HUNTING

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Un ronzio cupo, interminabile, quasi sordo. Un ronzio così simile ad uno sciamare d’api frenetico, che si muoveva, andava lontano, poi ritornava sempre più insistente.

Ecco cosa percepii per alcuni istanti.

E dopo arrivò il tonfo, la vibrazione netta dell’edificio, dei suoi muri, del pavimento.

Aprii gli occhi lentamente, sicura solo della loro pesantezza.

La vista era offuscata, la luce filtrava a malapena attraverso lo strato di polvere che volava nell’aria.

La mia testa era ancora appoggiata al freddo metallo della scrivania ma una mano la circondava quasi a volerla proteggere.

Mi accorsi di essere avvolta in un abbraccio, due braccia erano scivolate oltre la mia vita, una per andare a coprire la testa, l’altra per cingermi i fianchi.

Un altro scoppio lontano.

E un nuovo sciamare d’api che entrava con forza nelle mie orecchie, provocandomi un dolore acuto ai timpani.

Il ronzio diventò sibilo, come un susseguirsi di molteplici espirazioni che formavano parole.

Con occhi poco convinti andai a cercare qualche elemento che mi facesse soppesare il fatto che in realtà non ero morta.

No. Ero viva.

Il dolore alla spalla era scomparso, sentivo il sangue rappreso sfregare i miei vestiti ad ogni movimento.

 Mi convinsi nuovamente della cosa. Ero viva.

Sentii le due braccia trascinarmi sotto la scrivania, per sfuggire alla polvere che continuava a scendere dal soffitto del sotterraneo.

Mi raggomitolai sempre più per alcuni istanti, confusa e disorientata, cercando di capire cosa stava succedendo intorno a me.

Sentivo, al di fuori dell’edificio, diversi rumori: urla, schiamazzi, scoppi, vibrazioni, una sequela di passi pesanti che correvano lungo le strade.

Capii che proprio sopra le nostre teste stava accadendo qualcosa.

E il sibilo, ripetuto all’infinito nella mia testa, sembrava non voler morire nelle orecchie, nonostante la confusione che continuava ad aleggiare all’esterno.

Quel sibilo che continuava a formare quell’unica parola.

Un nome. Ripetuto all’infinito.

Il mio nome.

Lo potevo distinguere chiaramente fra tutti quei rumori insistenti che arrivavano al mio cervello, creando input distorti pronti a confondere i miei sensi.

Elenoire..” quel sibilo proveniva dal vampiro anziano alle mie spalle.

Mi voltai di scatto per cercarlo, con occhi sbarrati e speranzosi. Lo guardai, mentre mi stringeva a lui nel tentativo di proteggermi.

 E vidi i suoi occhi color ghiaccio fissare il mio viso, preoccupati per ciò che stava accadendo nelle strade della periferia.

“Riesci ad alzarti? Dobbiamo uscire di qui velocemente..” mi domandò afferrandomi un braccio e piantando i piedi sulla base delle mie gambe tremolanti per farmi forza ad alzarmi.

“Penso di sì…” gli risposi, mettendo finalmente a fuoco la stanza intorno a noi.

Dalle piccole vetrine appoggiate alle pareti erano fuoriusciti tutti gli oggetti che vi erano appoggiati all’interno, i cassetti delle scrivanie erano aperti, sul pavimento vi erano decine e decine di provette frantumate in mille piccole schegge di vetro. Fogli e libri erano sparsi dappertutto, insieme ai pezzi di un computer danneggiato. Alcune sedie si erano ribaltate per le forti vibrazioni che provenivano dal sottosuolo. L’ambiente sembrava sconvolto, quasi fossimo in una barca nel bel mezzo di una grossa tempesta in mare aperto.

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