GAME

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Quando arrivai a casa, il mio unico pensiero fu quello di cercare, nell’ampio salone che avevo arredato abbastanza stoicamente, il cellulare di scorta che tenevo e…..la pistola.

Aprii il cassetto del mobile in legno grezzo su cui appoggiava il mio televisore a schermo piatto e vi trovai un vecchio telefono di cui fortunatamente non mi ero mai liberata. Lo misi rapidamente nella tasca dei jeans, mentre infilai la pistola nel retro dei pantaloni, congelandomi la pelle della schiena col freddo metallo dell’arma.

Situazioni di emergenza.

Frugai freneticamente fra i vari fogli sparsi nel cassetto ormai impolverato, finché non trovai la rubrica su cui tenevo appuntati i numeri di telefono. Con le dita ancora bagnate dalla pioggia aprii lentamente il nodo formato dal laccetto di seta che richiudeva a libro la sottile rubrica che avevo, composta per lo più da numeri di vecchi amici vampiri e di tutti gli anziani che avevo conosciuto in quegli anni. Cercai con il dito, che scivolava su e giù da una pagina all’altra alla ricerca del numero del cellulare del cane vampiro.

Ero più che convinta che se avessi chiamato Diodine e gli avessi detto che ero a casa mia, certamente lui avrebbe mandato il suo scagnozzo a prelevarmi per poi uccidermi.

Nicodemo.

Era lui che volevo nella mia trappola.

Lo avrei costretto a trasformarmi… si ma come?

Mentre sul telefono di casa componevo il numero di cellulare del cane vampiro, quel pensiero mi congelò all’istante.

Come avrei fatto, io, misera umana, a convincere un vampiro anziano astuto, perfido e viscido come un serpente, a mutarmi nuovamente in un essere immortale?

Proprio lui che aveva goduto in prima persona della mia trasformazione e del mio disagio fisico, proprio lui che avrebbe potuto uccidermi con lo stesso desiderio del suo complice.

Il telefono squillò, una, due, tre volte. Dopodiché all’improvviso, la voce gelida del ragazzino vampiro rispose alla ricerca di un interlocutore.

Rimasi in silenzio, senza dire niente, trattenendo il respiro per cercare di non emettere alcun fiato.

Allontanai lentamente la cornetta dall’orecchio mentre scivolavo sulle ginocchia appoggiandomi al muro.

Rimasi in silenzio per un attimo mentre chiudevo la chiamata.

Aveva sicuramente visto il mio numero di casa sul suo cellulare.

Avrebbe intuito un unico messaggio da quel gesto.

Qualcuno era entrato a casa mia e lo aveva chiamato sul cellulare.

Qualcuno che conosceva il suo numero, che era estremamente privato nella nostra società.

Avrebbe capito che quel qualcuno potevo essere solo io.

Ormai il dado era stato lanciato, e il gioco poteva solo cominciare adesso.

Merda. Maledetta me.

Ormai i giochi erano fatti.

Nuovamente merda.

Adesso potevo solo aspettare.

E allora rimasi lì, inginocchiata contro il muro ormai freddo della sala da pranzo, buia ed intrisa di odore di stantio. Era ormai da tanto che non tornavo in quella casa e durante il tragitto a piedi, che mi sembrò infinito, ripensai più volte alla necessità di tornare in quel luogo in cui avevo vissuto per decenni.

Mi guardai attorno, facendo scivolare lo sguardo sulla cucina, le sedie ancora composte intorno al tavolo, gli elettrodomestici, i bicchieri posati sopra il lavello.

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