Per oltre due settimane non mi feci vedere alla clinica.
Chiamai il Dottore dicendogli che avevo bisogno di una vacanza e andai alla casa che avevo sulla costa sud. Mi ci vollero tre ore di autostrada per arrivare.
La casa era la classica tenuta coloniale.
Isolata dalla città, si affacciava sulla spiaggia e l’orizzonte si incrociava direttamente con l’oceano.
Ogni sera potei svegliarmi guardando il cielo confondersi con il blu del mare, le stelle brillare riflettendosi nell’increspare delle onde e la luna diffondere la luce tenue sulla mia pelle.
Mi innamorai di quella quiete in quei giorni.
Tornare in città sembrava un incubo. Tornare in città significava incontrare Evan. Significava accettare il suo rifiuto e vedere il mio cuore spezzarsi.
‘A priori, non avevamo futuro’ cercai di convincermi, ma più ci pensavo e più stavo male.
Dopo 20 giorni decisi di tornare in città.
Quella notte prima di partire per tornare alla realtà, sentii come una sorta di disagio.
Un brivido percorse la mia schiena più e più volte. Non diedi molta attenzione alla cosa, infine non potevo neanche immaginare.
Quando dopo tre ore di auto arrivai in città mi sentii rilassata.
Il sole sarebbe sorto dopo circa un’ora e mancavano pochi chilometri a casa.
Imboccai la rampa che mi faceva uscire dall’autostrada per imboccare la zona est, mi infilai lungo al vialone che costeggiava alcuni bar della zona, arrivai all’incrocio e....CRASH!!!!!!
Nell’impatto vidi un auto schiantarsi sulla fiancata della mia Audi, devastare il lato passeggero e poi il vuoto.
Dopo pochi istanti riaprii gli occhi.
Potei constatare di essere ricoperta di sangue, sentivo un braccio bloccato e la mia gamba era devastata dai tagli.
Il respiro si fece sempre più faticoso.
Intorno a me si stava raggruppando una piccola folla, chi per cercare di estrarmi dall’auto, chi con il telefono in mano intento a chiamare i soccorsi, chi paralizzato per lo shock.
Quando aprii lentamente gli occhi, sentii un peso schiacciarmi il ventre. Cercai di sgranare gli occhi per guardarmi intorno. ‘La solita stanza di ospedale’ pensai.
Le finestre erano leggermente aperte e potevo sentire una brezza soffiare fra i miei capelli.
Il peso sul ventre non accennava a diminuire. Girai lentamente la testa e vidi qualcuno appoggiato sul mio fianco immerso in un sonno profondo.
Il mio debole braccio pieno di aghi e tubi si sollevò delicatamente, e con enorme difficoltà infilai le mie dita fra quei capelli. A quel tocco mi sentii appagata, non potevo vedere il viso di quell’uomo ma in cuor mio sapevo già chi era senza nemmeno guardarlo in volto.
Affondai ancor di più le dita in quei capelli color del grano e mi addormentai di nuovo.
"Si sta svegliando" sentii vociferare intorno a me.
"La prego deve lasciare la stanza, devo visitare la paziente prima di dimetterla" insistette il medico.
Aprii di scatto gli occhi, ma non feci in tempo a cercarlo, che vidi la porta chiudersi di scatto.
Volevo alzarmi per seguirlo ma il dottore dovette visitarmi, controllare che tutte le ferite si fossero rimarginate e darmi l’ok per tornare a casa.
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Moonset
VampireUn altro giorno...un'altra notte. Cosa si può desiderare quando si è a cavallo del tramonto della luna. Godere del giorno o continuare a vivere nell'ombra....?