AGONIA

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Aggrapparsi ad un’idea, solo questo mi rimaneva.. forse.

Ma in quel momento decisi la via più facile, aggrapparmi al mostro che mi stava prosciugando, sperando soltanto che si fosse finalmente saziato del mio sangue.

Appoggiai le mani alle sue spalle, stringendo con le ultime forze le unghie nella sua carne, per reggermi materialmente a qualcosa e non solo ad un miraggio.. ad un’idea.

Agonizzavo in quel momento, lo sentivo, e malgrado fossi consapevole che ormai la mia inutilità si stava trasformando nel nulla più assoluto, non volevo farmi trascinare nel baratro dell’incoscienza.

Cercavo con tutta me stessa di tenere faticosamente gli occhi aperti per guardare il vampiro anziano che continuava a dissetarsi dal mio collo, ma da quella posizione riuscivo a vedere soltanto  il soffitto buio e spoglio della mia cucina. Me l’ero ritrovato addosso in un lampo, ed ora col suo peso, mi schiacciava il torace, senza dare tregua ai miei polmoni, che a stento cercavano di respirare.

Sentii strozzarsi i muscoli delle gambe ed un torpore violento mi inondò velocemente, partendo dai piedi e salendo fino alla faccia, mentre il calore del mio sangue attraversava sempre con più rapidità la sua bocca.

Mi stava letteralmente prosciugando.

Con un gesto secco della mano si aggrappò a quello che rimaneva dei miei capelli e affondò le dita per tirarli di lato, spostandomi il viso di netto verso il lato opposto. Mi sorpresi alquanto quando realizzai che, con la forza immane che ci aveva messo, il mio collo non si era staccato dalla sua sede naturale.

Ma fu una breve tregua.

Spostò nuovamente le mani, continuando imperterrito a schiacciarmi col suo fisico che solo apparentemente sembrava esile e leggero. Il suo tocco gelido scivolò verso il mio petto, per terminare la sua corsa sopra il punto in cui batteva il mio cuore.

Continuò a bere dal mio collo, contando i battiti e scandendo il tempo con le dita, che picchiettavano sempre più lente sulle piastrelle del pavimento, via via che i secondi passavano.

Stava tenendo il tempo al rallentare del mio cuore, quasi volesse terminare una sinfonia o un concerto e mi sentii confusa quando di colpo le sue dita si fermarono per scivolare alla base del mio collo e tamponare la ferita che mi aveva procurato.

Mi stupii alquanto di vederlo sopra di me, intento ad osservarmi con i suoi occhi tetri, mentre si asciugava grossolanamente la bocca dai residui del mio sangue ancora caldo.

Cercai di guardarlo, ma i miei occhi ormai erano fessure sottili attraverso cui a malapena riuscivo a mettere a fuoco. Nonostante fossi distesa per terra, intrappolata fra il cacciatore ed il pavimento, mi girava la testa e brividi mi scuotevano il corpo, che non smetteva di tremare.

Ma almeno ero viva.

Cercai di alzare lentamente il braccio per portarlo al viso, con l’intento di coprirmi di nuovo gli occhi, ma Nicodemo mi bloccò senza darmi il tempo di agire.

Mi sorrise con lo stesso fare cordiale che mi aveva mostrato prima di attaccarmi e questa volta strinse la presa intorno ai miei polsi, lasciando aperta la ferita che adesso sgorgava sangue sul pavimento.

Continuò a sorridermi soddisfatto e non aggiunse altro prima di alzarsi e scomparire dalla mia visuale.

Non lo sentii uscire dalla casa, ascoltai i suoi passi rimbombare nei miei timpani mentre si dirigeva nella sala da pranzo e poi niente. Per un paio di secondi non percepii più la sua presenza intorno a me.

Cercai di muovermi ma mi fu impossibile.

Ero spossata, crudelmente svuotata della mia forza vitale, come se avessi corso una maratona lunga migliaia di chilometri e non avessi altra opzione che restare immobile in quella posizione.

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