Aveva camminato per tutto il pomeriggio, riuscendo finalmente a uscire ed allontanarsi da Magnolia. Si era fermata a riposare per la notte in una locanda ai margini del paese, per poi ripartire il mattino presto. Lo stare sola era effettivamente strano e a tratti triste, ma erano i momenti in cui poteva essere se stessa senza dover mentire o fingere un sorriso. Certo era che più si allontanava e più una strana angoscia sembrava prenderla alla bocca dello stomaco. Che avesse sbagliato a partire in un momento come quello? O che l'avvicinarsi sempre più a Wendy Marvell la mettesse in agitazione? Era una svolta importante della propria vita, se veramente fosse stata in grado di usare la sua magia per aiutarla... tutto sarebbe cambiato. Si fermò sotto un albero per mangiare un boccone e cominciò a farsi pensierosa, sempre più agitata.
"Sono passati cinque anni, Laxus..." pensò alzando l'unica mano guantata, quella che nascondeva il simbolo della gilda. Mosse le dita, chiudendole e riaprendole, provando uno strano piacere in quel semplice movimento. "Dimenticare ti aiutava ad essere più felice ed io ero contenta per questo, nonostante tutto. Perché ora deve essere diverso?"
Quei terribili ricordi di quando era appena bambina, quel tormento, quella condanna, tornarono più forti che mai ora che non c'era la voce di nessuno a coprirli. Si portò una mano alla testa, stringendo per il nervoso e il dolore.
«Devo trovare Wendy...» mormorò, ora più decisa che mai. Si alzò in piedi, raccogliendo la borsa da terra, e si preparò a incamminarsi nuovamente quando sentì dei passi comparire improvvisamente alle sue spalle. Si voltò e si sorprese della persona che si trovò di fronte.
«Mistgun?» chiese. «Che ci fai qui?»
«Eri troppo lontana, ora capisco» commentò lui, senza rispondere alla domanda ma facendone anzi nascere delle nuove.
«Lontana?» chiese, non capendo di cosa stesse parlando.
«Warren, di Fairy Tail...» cominciò lui e lei ebbe un primo sussulto. Fairy Tail? In quel momento? Era successo qualcosa a Fairy Tail... proprio in quel momento? «Il mago con la telepatia è riuscito a trovarmi e contattarmi. Ero molto più vicino di te, ora capisco perché tu invece non l'abbia sentito».
«Sentito? Di che parli? Che sta succedendo a Fairy Tail?» chiese Priscilla, agitata. La non risposta di Mistgun cominciò invece a renderle tutto più chiaro. Ci poteva essere solo un motivo se lui era andato a cercarla per parlarle di Fairy Tail: «Laxus...» mormorò, cominciando a capire.
«È il momento, Priscilla».
Priscilla fece un passo indietro e istintivamente si voltò verso la strada che avrebbe ancora dovuto percorrere per arrivare a nord, alla gilda Cat Shelter.
«Stavi andando da Wendy, capisco» annuì Mistgun, comprensivo. «Pessimo tempismo. Posso vedermela io con lui, se vuoi proseguire il tuo viaggio. Forse trovare Wendy è più importante di ques...»
«No!» lo interruppe Priscilla con un sorriso. «Il tempismo invece è perfetto. Stavo commettendo un errore ad andare da lei prima che Laxus ricordasse. Quanto tempo abbiamo?» chiese cominciando a camminare rapidamente verso casa.
«Warren mi ha avvertito immediatamente, ma sono voluto tornare indietro e venirti a cercare. Per quanto io sia preoccupato, questa è la tua battaglia. Ho perso molto tempo, ma è giusto che sia così».
«Sei il solito» ridacchiò Priscilla, facendo sbuffare il vento sotto i loro piedi. In pochi secondi erano entrambi sollevati per aria e con un ultimo gesto Priscilla diede il via al loro turbinoso volo. Rapidi come falchi, forse di più, si sollevarono e volarono verso la gilda. «Abbiamo almeno una mezz'ora di volo, hai tutto il tempo di spiegarmi cosa succede».
«Hai impiegato un giorno intero a percorrere la strada che in volo percorreresti in mezz'ora» osservò Mistgun. «A quanto pare non hai poi così tanta fretta».
«Chissà» ridacchiò lei. «Forse speravo che tu venissi a chiamarmi e ti stavo dando del vantaggio».
«Il tuo buonsenso ti ha frenata».
«Sono stata accecata dai miei timori e dal mio egoismo, stare tanto tempo sola mi ha permesso di pensare molto a me stessa. Dimenticavo qual era il mio scopo. Ma nel cuore, l'ho sempre saputo».
«Il tuo scopo» sospirò Mistgun, consapevole di cosa stesse parlando. Lei gli aveva raccontato almeno un paio di volte quella vecchia e terribile storia.
«Questo è tuo fratello, Priscilla. Si chiama Laxus. Il tuo compito è occuparti di lui» recitò Priscilla come un mantra, ma erano ovviamente parole che non venivano da lei né tantomeno da un tempo recente. Era una condanna, marchiata a fuoco e che per sempre si era portata addosso.
«E poi?» chiese Mistgun, con un leggero dolore e preoccupazione nella voce. «Che cosa farai quando tutto questo sarà finito?»
«Credi che ci sia qualcos'altro che io possa fare, oltre a ciò?» chiese Priscilla con un'innocenza disarmante. Non era una domanda retorica, ma una vera e propria curiosità. E questo bastò a togliergli la voglia di fare qualsiasi altra domanda fino a quando non furono nei pressi di Magnolia, dove si sforzò almeno di aprire bocca per spiegarle ciò che stava accadendo.
«Laxus vuole prendersi Fairy Tail con la forza. Ha pietrificato le ragazze della gilda e minaccia di ucciderle, a meno che tutti i membri di Fairy Tail non partecipino al suo gioco» spiegò Mistgun, ora a terra, camminando verso il confine disegnato dalle rune di Fried. Oltre esse, anche loro sarebbero stati parte del gioco.
«Di che gioco si tratta?» chiese Priscilla, osservando le scritte violacee sospese per aria.
«Devono trovare lui e i suoi compagni e sconfiggerli. Ma l'intera città è tappezzata di trappole e la gilda sta finendo col distruggersi dall'interno, lottando gli uni contro gli altri. Il suo scopo è spodestare il master e prendersi la gilda con la forza. In molti sono già caduti» disse Mistgun.
«La Sala del Tuono» mormorò Priscilla, guardando le numerose sfere elettrificate che, sospese sopra la città, la circondavano.
«Conosci quella magia?» chiese Mistgun.
«È una delle armi più micidiali che possiede Laxus. Quelle sfere sono delle Lacryma e sono praticamente indistruttibili, se colpite trasmettono all'aggressore la stessa violenza in termini di dolore sul proprio corpo. Al suo cenno colpiscono tutto ciò che lui desidera. Possono anche uccidere».
«Sono molte, per essere rivolte solo sui membri della gilda» osservò Mistgun, cominciando a capire chi avesse preso di mira adesso Laxus. Voleva davvero colpire l'intera città?
«Quando viaggiavamo insieme era in grado di utilizzarne al massimo tre contemporaneamente. È cresciuto molto» disse e non riuscì a trattenere un sorriso orgoglioso e felice, benché si trovasse di fronte alla peggiore catastrofe. Non poteva smettere di continuare ad amarlo.
«Anche tu lo sei» disse Mistgun, cercando di darle coraggio. Priscilla allargò il sorriso, ma non uno di quelli infantili e goliardici che rivolgeva sempre a chiunque avesse attorno. Era un vero sorriso, amichevole, forse per la prima volta.
«Allenata dal migliore» disse lei, guardando il suo compagno. Gli era molto grata, di questo se ne rendeva conto solo in quel momento. Mistgun aveva fatto più di quanto avessero pattuito, non ne capiva il motivo, ma lei in quel momento per la prima volta nella sua vita si sentiva forte e sicura.
«Vado a cercare mio fratello. Tienimi lontano i suoi compagni di giochi» annunciò entrando nelle rune di Fried.
«Fa' attenzione. Potresti trovare in giro qualche membro della gilda ed essere costretta a combattere contro di loro» l'avvertì Mistgun e la sicurezza di Priscilla gli fece per un attimo venire i brividi, quando rispose: «Spazzerò via chiunque si metta tra me e Laxus, senza distinzione. Per questa volta mi prenderò questa libertà. Il nonno saprà perdonarmi» e si allontanò, camminando a pugni stretti.
All'interno della gilda e dentro la cattedrale di Caldia, le rune magiche che annunciavano lo svolgimento dei giochi in quel momento modificarono le loro parole: "Superstiti in gioco: quattro".
«Quattro?» chiese Erza chiusa dentro la gilda insieme a Makarov, Natsu e Gajeel. Fried aveva agli uomini impedito di uscire, mentre Erza era stata in realtà pietrificata di Evergreen, ma Natsu era riuscito appena pochi minuti prima a liberarla con l'uso del proprio potere di fuoco. Certo non sarebbe riuscito, in realtà, se non fosse stato per uno degli occhi di Erza che era in realtà artificiale e che aveva quindi indebolito la magia di Evergreen, ma ciò che contava in quel momento era solo che fosse in piedi. In un modo o un altro.
«Chi...?» chiese Natsu, voltandosi verso le ragazze ancora ferme sul palco dove erano rimaste per tutto quel tempo. Nessuna di loro era di nuovo in piedi e tutte restavano pietrificate.
«Natsu, Gajeel ed io siamo i tre... chi è il quarto?» chiese Erza, confusa.
"Superstiti in gioco: cinque" cambiò nuovamente la scritta runica sulla porta.
«Sono aumentati ancora!» commentò Natsu, colpito.
«Capisco» sorrise Erza infine, cominciando a capire.
«Eh?» chiese Natsu, ancora confuso.
«Sono tornati» disse Makarov, arrivato alla stessa conclusione. «Mistgun e Priscilla sono qui».
"Priscilla" pensò Makarov, preoccupato e addolorato. "È questo il momento, allora?"
Ricordava perfettamente il giorno che gli aveva fatto quella solenne promessa e quello era il momento di mantenerla, dopo cinque anni era finalmente arrivato.
«Prometti che terrai Laxus qui, alla gilda, che sopporterai e capirai i suoi errori. Ed io prometto che riuscirò a farlo tornare. Devi solo darmi tempo» erano queste le parole che gli aveva rivolto, tempo addietro. «Se farai questo io accetterò di restare e familiarizzare con la tua gilda».
«È solo per questo? Non riesci ad accettare di darti un po' di amore anche tu stessa, Priscilla?» aveva chiesto con preoccupazione. Quanto avrebbe voluto darle una famiglia, una felicità che da sempre le era stata negata se non dalla bontà d'animo che Laxus ora si ostinava a nascondere sotto una scorza di rabbia e ostilità.
«Finché lui resterà qui, non ci sarà motivo per me di andarmene. Sì, nonno, è solo per questo» e il guanto che portava sul simbolo della gilda, a volerlo nascondere più a se stessa che al resto del mondo, ne era la dimostrazione.
«Riporterò indietro tuo nipote, sta' tranquillo».
Quel candido sorriso innocente che in realtà tagliava più che una lama, quanto era dolorosa e affilata.
«Riportalo indietro, Priscilla» mormorò tanto soffusamente che non fu sentito da nessuno dei presenti, troppo impegnati a commentare la scesa in campo del secondo più forte della gilda e della sorella del nemico.
Priscilla camminava silenziosa per la città, passando inosservata ma osservando con attenzione tutto ciò che la circondava. Era incredibilmente concentrata a discapito del suo sguardo estraneo e perso nel vuoto. Riusciva a cogliere i cambi di direzione del vento intorno a lei. Le rune di Fried creavano una barriera magica invisibile, ma il loro potere si ripercuoteva sull'ambiente circostante. Il vento lo colpiva come fosse un muro reale e con difficoltà lo attraversava, venendo comunque deviato. Riusciva perciò a vedere i muri di Fried come fossero reali grazie al suo potere e così evitarli, anche se questo le causò un'innumerevole serie di deviazioni e ritardi.
Infine... un'esplosione.
«La cattedrale!» esclamò, voltandosi verso di essa. Non poteva che trovarsi lì, anche se non sapeva contro chi stesse combattendo lo ringraziò mentalmente per averle dato la possibilità di individuarlo, anche se in maniera così appariscente. Cominciò a correre per le strade, deviando di colpo ogni volta che si trovava di fronte una trappola di Fried e maledicendolo che le stesse facendo perdere ulteriore tempo.
Mistgun nella cattedrale si trovava intanto faccia a faccia contro Laxus. Un puro caso, che lo avesse trovato per primo, ma sapeva qual era il suo compito. Doveva solo permettere a Priscilla di arrivare rapidamente. L'esplosione dei loro colpi era stata causata esclusivamente con quell'intento e ora si preparò a sfoderare la magia migliore per quello scopo: lo avrebbe distratto e avrebbe preso ulteriore tempo.
«Grattacielo» mormorò, invocandola, e in pochi istanti Laxus venne imprigionato in un mondo di incubi e allucinazioni. Laxus urlò, preso dal panico, e restò imbrigliato in uno straccio magico di immagini terrificanti che si aprivano davanti ai suoi occhi come fossero reali. Si caricò di elettricità e con un potere sorprendente riuscì però a squarciarlo, liberandosi dall'incantesimo. Il combattimento proseguì, colpo su colpo, a parità di potenza e agilità, eppure Mistgun continuò a sentirsi trattenuto e fu proprio quello a renderlo estremamente vulnerabile.
"Se dovessi sconfiggerlo io al posto di Priscilla non me lo perdonerebbe mai" pensò, rallentando un ulteriore colpo e dando tempo a Laxus di contrattaccare. Mistgun si rialzò rapidamente e si caricò di magia per prepararsi a colpire ancora, ma Laxus schivò con facilità, diventando lui stesso uno dei suoi fulmini e sparendo nel nulla. Riapparve poco dopo, inginocchiato a terra, e sorridendo si rimise in piedi.
«Non sei male» ridacchiò, divertito.
«Laxus!» la voce di Natsu e quella di Erza arrivò in contemporanea, stupendosi poi della presenza dell'altro: sentita l'esplosione dei colpi di Laxus e Mistgun erano in realtà tutti accorsi nel punto designato. La presenza però di Erza portò Mistgun a distrarsi e Laxus ne approfittò per colpirlo. La maschera che portava sempre a nascondere il proprio volto andò distrutta e lui non potè far altro che coprirsi impacciatamente con una mano per evitare che vedessero chi era davvero. Inutilmente.
«Gerard» balbettò Erza, tanto sconvolta da farsi venire le lacrime.
«Ma tu...» mormorò Natsu, altrettanto sorpreso. «Ma che succede qui? Chi sei tu?»
«Erza...» mormorò Gerard, affranto. «Soprattutto tu, non volevo che mi vedessi. Non sono Gerard. Lo conosco, ma non sono io. Scusatemi» e abbassando la testa infine si dissolse, subito dopo aver pronunciato: «Lascio il resto a voi».
«Ehy! Gerard!» ringhiò Natsu, prima di voltarsi verso Erza e urlare: «Erza, lascia che di Laxus mi occupi io! Erza!» chiamò ancora, notando come l'amica non rispondesse, troppo scossa per quanto successo.
Un fulmine di Laxus fece in tempo a raggiungerla e colpirla in pieno, stordendola.
«Erza!» gridò Natsu.
«Non fare quella faccia, Erza. Combatti contro di me!» ridacchiò Laxus, colpendola di nuovo e scaraventadola via.
«Laxus!» gridò Natsu furibondo. «Ho detto che sarò io a combattere contro di te, bastardo!»
«Eh? Eri qui, Natsu?» lo provocò Laxus, deridendolo.
«Non sottovalutarmi!» ringhiò Natsu, saltando e caricando il proprio pugno di fuoco. Provò a colpirlo ma per Laxus fu facile schivarlo. Natsu saltò e provò ancora a raggiungerlo, urlando di rabbia, ma Laxus si muoveva senza fatica e riusciva a schivare ogni suo singolo colpo.
«Sei noioso, sempre a parlare di queste cavolate!» ringhiò Laxus. Schivò l'ennesimo pugno e questa volta fu il suo turno di caricare ed attaccare. «Sparisci, piccolo rifiuto!»
Natsu riuscì a roteare e schivare, approfittò della posizione per caricare poi un calcio e infiammarlo. Provò nuovamente a colpirlo, ma Laxus lo parò col braccio e fu facile per lui lanciarlo di nuovo via. Natsu atterrò in piedi e Erza, stesa a terra, lo chiamò preoccupata.
«Erza! Sta' tranquilla, ok?» sorrise lui, sicuro. Laxus approfittò della sua distrazione per colpirlo al mento e lanciarlo indietro. Gli afferrò il polso, impedendogli di cadere e se lo tirò nuovamente contro per colpirlo ancora e ancora. Natsu, già mal ridotto, riuscì a ripagarlo con la sua stessa moneta colpendolo con pugni infuocati ma su di lui parvero non avere molto effetto, mentre i pugni di Laxus erano devastanti. Natsu roteò su se stesso e provò così a colpirlo con un calcio, ma Laxus saltò e lo evitò, poi atterrando lo colpì in testa con un piede elettrificato. Un altro calcio e lo lanciò lontano. Natsu piantò un gomito al suolo e tentò di alzarsi, ma notò con sorpresa Erza che alle sue spalle aveva approfittato della sua distrazione per riequipaggiarsi di un'armatura e provare ad attaccare. Stava per colpirlo, anche se Laxus si era già voltato, ghigno sul volto, pronto a difendersi quando un'improvvisa folata d'aria la colpì e la scaraventò via, salvando Laxus dal suo attacco. Con sorpresa, ma avendo già un'idea di chi potesse essere, Laxus si voltò verso l'ingresso della cattedrale.
Priscilla a braccio teso per la magia appena lanciata contro Erza si stava avvicinando a passi lenti. Aveva il fiatone, segno della corsa che aveva appena fatto per arrivare da lui il prima possibile. Sul suo volto sempre sorridente e fanciullesco non c'era nessuna traccia della Priscilla che conoscevano. Gli occhi seri, cupi, spalancati e attenti, solcati da delle sopracciglia increspate. Era concentrata e tesa come una corda di violino.
«Priscilla! Aspetta!» provò a gridare Natsu, alzandosi in piedi. Voleva essere lui a combattere Laxus, l'aveva preteso per almeno un'ora, ne aveva il diritto e non desiderava altro che chiederglielo. Priscilla non l'ascoltò nemmeno, mosse il braccio verso destra e dall'arco disegnato si generò un soffio di vento dalla potenza mai vista prima. Natsu venne scaraventato con tale violenza contro Erza che entrambi ne risentirono da quel colpo e per un po' avrebbero fatto fatica ad alzarsi.
«Da quando è così forte?» balbettò Natsu, tremolante.
«Priscilla!» la chiamò Erza, non capendo cosa le stesse succedendo. Attaccava i suoi stessi alleati, per quale motivo? Che le stava accadendo? Lo sguardo di Priscilla la paralizzò: non sembrava nemmeno lei da quanta furia e determinazione trasmettevano.
«Non impicciatevi» ringhiò con un tono che avrebbe convinto chiunque. «Adesso tocca a me».
Laxus ghignò e si tolse giacca e cuffie, a segnalare che da allora avrebbe fatto sul serio. «Ti confesserò, Priscilla» disse, mettendosi in posizione d'attacco. «Speravo che tu arrivassi» scattò in avanti, rapido nel suo fulmine, e caricò il colpo che le avrebbe sferrato. «Finalmente avrai ciò che meriti!» gridò, colpendo in avanti, verso il suo viso. Priscilla non si mosse dalla sua posizione e lo guardò fisso in volto, mentre lo vedeva arrivare.
«Ascensione» mormorò semplicemente, senza compiere alcun movimento. Il pugno di Laxus deviò all'ultimo istante e venne spinto verso l'alto, sfiorandola. Priscilla ebbe tempo di piegare le ginocchia e ora che Laxus, per il colpo mancato, si trovava sopra di lei saltò caricando un pugno verso l'alto.
«Tornado» disse in uno sforzo, mentre sul pugno le nasceva un vortice di vento che le diede potenza e velocità. Laxus venne colpito al mento e il colpo fu tale da scaraventarlo verso il tetto della cattedrale, che sfondò, sparendo al suo interno.
Erza e Natsu la guardarono pietrificati, a occhi spalancati non riuscirono a dire una sola parola. Laxus aveva dato del filo da torcere persino a Mistgun e lei era riuscita a colpirlo così facilmente. Chi era veramente Priscilla?
«Non ancora» mormorò lei, rivolta verso chissà cosa. Un fulmine scese dal buco creato da Laxus e per poco non la centrò, se non avesse avuto riflessi abbastanza pronti da schivarlo. Laxus comparve al suo posto, col pugno ben impiatato al suolo segno che aveva provato a colpirla, e la guardò in cagnesco. Era furioso.
«Non ancora» mormorò ancora Priscilla. Laxus le lanciò una scarica di fulmini e lei sfruttò ancora il suo vento per spingersi con rapidità verso l'alto e schivarlo. Lui non le diede tregua e sparò un colpo dopo l'altro, costringendola così a piroettare a lungo, fino a quando non si trovò con le spalle al muro.
«Anima del vento» gridò portando le mani in avanti. «Tempesta!»
Una nuvola grigia si ricreò di fronte a lei, ben calibrata da un buon livello di umidità e dalle correnti adeguate. La nuvola tuonò e rombò, prima di assorbire il fulmine lanciato da Laxus. Le condizioni atmosferiche ricreate riuscirono a portare su una scia diversa la corrente del fulmine e grazie a quello il colpo fu deviato e sfiorò Priscilla, senza colpirla.
Laxus scoppiò a ridere prima di ringhiare: «Conosco quella tecnica! Te l'ho insegnata io, stupida!»
Il fulmine di Laxus tornò sotto al suo controllo e deviando nuovamente colpì la sorella in pieno. Priscilla perse il controllo del suo volo e cadde al suolo, tenendosi un braccio arrossato per il colpo. Con uno sforzo sovrumano riuscì a ricreare un'adeguata corrente d'aria sotto di sé che le impedì almeno lo schianto al suolo.
Quella tecnica... sapeva bene che gliel'aveva insegnata lui. Lo ricordava, lo ricordava eccome il sorriso con cui l'aveva aiutata a posizionare le mani e le aveva spiegato le basi dell'elettricità. Quel ricordo fece più male che il braccio colpito.
«Non ancora» mormorò, socchiudendo gli occhi. Si raddrizzò e poggiò i piedi per terra. Fece un sospiro per riuscire a tornare a concentrarsi e riassunse lo sguardo determinato di poco prima. Anche lei l'aveva colpito, ma lui sembrava averne risentito solo nelle condizioni della sua camicia, ora strappata in più punti. Al contrario, lei, per un semplice colpo di rimando ne aveva sofferto immensamente.
"La differenza tra noi è abissale" pensò, ma ciò non la preoccupò. In fondo, lei non era lì per vincere.
«Erza» chiamò, sorprendendola. «Quanto manca?» le chiese, senza specificare un soggetto, ma non ce ne fu bisogno.
«Due minuti, credo» rispose lei. La Sala del Tuono, allo scadere del tempo, avrebbe scaricato su tutta Magnolia una tempesta di fulmini che non avrebbe lasciato superstiti.
«Posso contare su di te?» chiese Priscilla, continuando a guardare Laxus. Lei era chiusa lì dentro, non poteva fare niente e forse non avrebbe fatto in tempo allo scadere del tempo. Aveva bisogno di aiuto per evitare che Laxus commettesse l'ultima follia prima della fine. Erza annuì e rialzandosi cominciò a correre verso l'uscita. Laxus la guardò, pronto a impedirle di allontanarsi, ma Priscilla si dimostrò ancora una volta di una velocità sorprendente. Scattò verso di lui e approfittando della sua distrazione lo colpì in pieno viso, usando il suo Tornado per darsi potenza.
Non aveva ancora raggiunto il suolo, spingendo Laxus sotto di sé, che puntò le mani contro Erza.
«Vernier x Armors!» gridò lanciando su di lei una magia che le avrebbe reso più facili i movimenti e l'avrebbe protetta in parte dal contraccolpo della Sala del Tuono. Era un aiuto minimo, probabilmente non l'avrebbe salvata, ma era l'unica cosa che poteva fare da dentro quella cattedrale. Laxus nella caduta l'afferrò per un braccio e con forza la lanciò via, facendola sbattere contro una colonna. Priscilla urlò dal dolore e non fece in tempo a riprendersi dal colpo che una scarica di fulmini la colpì in pieno, facendo aumentare le sue urla.
Cadde a terra, apparentemente senza forze, con i vestiti ancora fumanti e la testa chinata in avanti.
«Priscilla!» gridò Natsu provando ad alzarsi per correrle incontro e aiutarla.
«Ti ho detto di starne fuori!» ringhiò Priscilla, cupa in volto e Natsu, sorpreso da tanta tenacia e soprattutto tanta furia, non potè che obbedire. Non l'aveva mai vista così, incuteva quasi timore.
«Ho detto non ancora!» gridò ancora lei, alzandosi in un soffio di vento più forte degli altri, tanto imponenti da smuovere i vestiti persino di Laxus e Natsu. «Quando ti deciderai a fare sul serio con me, Laxus!» gridò, unendo le mani tra loro davanti a sé. Una tromba d'aria ne nacque e si lanciò contro di lui. Il potere sprigionato, alimentato probabilmente dalla sua rabbia sempre più crescente, era tale che persino Natsu, distante dal campo di battaglia, dovette fare appello alla sua forza per non venirne sbalzato via.
Laxus sorrise, sicuro di sé, e si mise in posizione. Conosceva anche quella tecnica e sapeva perfettamente come evitare di subirne danni. Forse forse avrebbe addirittura potuto usarla a suo vantaggio. Ma qualcosa dentro lui parve disgraziatamente risvegliarsi.
"Quando ti deciderai a fare sul serio con me, Laxus!"
«Quando ti deciderai a fare sul serio con lei, Laxus?» una voce maschile lontana anni, decenni, imperativa. Gli incuteva timore nonostante fosse semplicemente un ricordo, di cui si era persino dimenticato e che solo in quel momento tornava a galla. I suoi pianti di bambino. Perché piangeva? Perché era stato rimproverato in quel modo? Di chi era quella voce?
«Sì, ma lei...» riuscì solo a ricordare quella risposta e l'angoscia che portava con sé, ma il resto era il vuoto assoluto.
«Lei?» mormorò non capendo cosa stesse accadendo nella sua testa, cosa fosse accaduto in quel ricordo. La distrazione gli fu fatale e perse la sua occasione, venendo travolto dal colpo.
Quando il vento si dissolse, Laxus era a terra, la schiena poggiata al muro sfondato. Sarebbe volato anche lui se non ci fosse stato quel pilastro più resistente del resto a trattenerlo. I segni del colpo erano ben visibili, il tornado non l'aveva solo scaraventato al muro ma aveva sollevato tutte le macerie della stanza lanciandogliele addosso e perciò alcuni tratti di pelle non si erano salvati dai graffi. La testa china in avanti, ferito, ma ancora pieno di energie.
«Cominci a ricordare?» chiese Priscilla con un candore che faceva quasi male. Laxus alzò lo sguardo, sconvolto. Che stava succedendo? Di cosa stava parlando? Tutto quello... lo mandava in bestia. Cosa sapeva lei che lui non ricordava? Cosa stava cercando di fargli? Come poteva manipolarlo a tal punto?
«Non temere» un sorriso, uno di quelli che facevano male. «Mi prenderò cura io di te».
«Cosa...?» ringhiò lui, sempre più confuso. «Di cosa diavolo stai parlando?» gridò ormai al limite della sopportazione. Allungò le mani in avanti e cominciò a lanciare una scarica dietro l'altra, invadendo l'intera stanza, senza dare tregua.
«Mirage!» gridò Priscilla e in pochi istanti una serie di Priscille si materializzarono davanti ai suoi occhi. Una, due, tre, cinque, dieci.
"Quante...?" si chiese confuso e spaventato, provando a colpirle tutte. Quella era una tecnica nuova, non la conosceva: da dove arrivava? Le centrò ma nessuna di essa cadde a terra e restarono nella loro posizione iniziale, mentre pian piano si dissolvevano, segno che fossero solo un'illusione. Un soffio di vento improvviso alla sua destra, anche se leggero l'avrebbero riconosciuto tra mille. Accanto a sé Priscilla si teneva il polso con la mano destra e gli puntava contro la mano sinistra.
«Tornado!» gridò sparando un altro tornado dal palmo della mano, di minore intensità, vista la distanza ravvicinata. In fondo non desiderava batterlo, non l'aveva mai desiderato.
«Due volte non funziona!» gridò lui, per niente sorpreso. Infilò il pugno all'interno del suo tornado e lì sprigionò la sua scarica elettrica che si propagò nelle folate di vento di Priscilla e arrivò a ritroso fino a lei. Lei urlò, contraendosi per il dolore, e cadde a terra al suo fianco. Laxus la guardò spaventato ma soddisfatto, c'era mancato poco, ma era riuscito a vincere lui.
«Non preoccuparti» la voce di Priscilla, anche se tremante e ansante, tornò a testimoniare che fosse ancora viva. Faticava a parlare, ormai era al limite, ma provò comunque ad alzarsi. «Devo solo riposare un po'».
Una frase completamente sconnessa dal contesto, una rassicurazione inutile, ma che, come probabilmente lei sperava, ebbe un altro effetto.
Di nuovo quella voce nella testa di Laxus, la voce di un uomo, gentile e rassicurante.
«Non preoccuparti. Deve solo riposare un po'».
E ancora la sua stessa voce di bambino che gli rispondeva singhiozzante: «È stata colpa mia?»
«Non è stata colpa tua» disse Priscilla, come se fosse stata in grado di leggergli la mente e sapere perfettamente cosa stesse pensando. «Hai solo dimenticato».
Un colpo al cuore lo costrinse a trattenere il fiato e sbarrare gli occhi, mentre ora non solo le parole arrivavano alla sua mente ma anche le immagini. Ricordava, la ricordava. Perché in quel momento?
In quel pensiero, erano entrambi solo dei bambini e lui era andato a trovarla, nella sua stanza. Priscilla sedeva sul letto e guardava fuori dalla finestra, lo sguardo assorto e addolorato. Odiava vederla così, lo ricordava bene quanto odiasse vederla così triste.
«Pricchan... hai di nuovo l'influenza?» le aveva chiesto. E lei non aveva risposto subito, ma debolmente aveva annuito. «Ti ammali così spesso, dovresti prenderti meglio cura di te, lo sai?»
«Laxus... tu...» aveva balbettato, titubante e forse spaventata. Da cosa era spaventata? «Tu hai di nuovo dimenticato?»
«Eh? Cosa?» aveva storto il naso, completamente confuso.
Lei aveva sorriso. Aveva stramaledettamente sorriso, come faceva ogni volta! Quanto lo mandava in bestia quando non gli rispondeva, quando gli mentiva e sorrideva come a voler dire "non preoccuparti per me". Certo che si preoccupava per lei, maledizione!
«Solo un incubo».
«Solo un incubo» le due voci, del passato e del presente, che si mescolavano tra loro. E quel sorriso, quello stupido sorriso che non voleva mai significare niente e che lo teneva sempre fuori da ogni cosa. Non ci vide più. L'elettricità lo avvolse e si allargò tanto rapidamente da colpire Priscilla al suo fianco e scaraventarla via. Laxus urlò di rabbia e si caricò sempre più, tanto che il proprio corpo cominciò a gonfiarsi sotto la potenza di quella magia. La magia che celava dentro sé, impiantato per mano di suo padre, il potere del Dragon Slayer. Priscilla alzò rapidamente la testa, osservandolo. Benché avesse il corpo ormai lacerato dal dolore in ogni sua parte, sapeva che quello era il momento.
«Adesso!» mormorò, alzandosi e cominciando a correre per evitare i suoi colpi, che sparava uno dopo l'altro.
«Ti prendi gioco di me? Lo hai sempre fatto, maledetta!» gridò lui continuando a sparare elettricità su elettricità. Alcune riuscivano persino a colpirla, ma lei non demordeva e continuava a correre intorno a lui e a schivare. «Mi hai sempre guardato con quella tua aria superiore, come se fossi la mia balia. Come se non potessi cavarmela da solo! Mi hai sempre creduto così debole?! Credi che io non possa sconfiggerti, maledetta? Ti mostrerò quello che sono diventato, ti mostrerò il potere che hai sempre sottovalutato!»
«Sono qui, Laxus!» gridò lei provocatoria, schivando altre scariche. Era come se lo volesse, il suo peggio, era come se glielo stesse chiedendo: "colpiscimi nel peggiore dei modi".
Laxus prese fiato... e ruggì.
«Ruggito del drago del fulmine!» gridò lanciando la sua magia più potente in un'onda dalle dimensioni gigantesche.
«Priscilla!» gridò Natsu, guardandola mentre veniva raggiunta dal colpo. Non sarebbe sopravvissuta a una simile potenza, per quanto fosse forte, quello era decisamente troppo e lei era troppo stanca per pensare anche solo di schivarlo.
Ma Priscilla fece ciò che nessuno si aspettava.
Si fermò decisa a non scappare più, si raddrizzò davanti a Laxus e allargò le braccia, pronta a ricevere il colpo in pieno petto. Sul suo volto ora splendeva un sorriso, un mix di tristezza e felicità che nessuno aveva mai visto prima. E dai suoi occhi volò una lacrima, poco prima di essere colpita.
Laxus infine ricordò.
Lo faceva sempre. Priscilla sorrideva sempre, quando riceveva il colpo finale del Dragon Slayer in erba, intento ad allenarsi. Riuscì a rivederla, bambina piccola e indifesa, minuscola, delicata, preziosa... aveva sempre creduto che fosse lei la più forte. Aveva sempre creduto che fosse perfettamente in grado di parare quel colpo, aveva sempre creduto che potesse rialzarsi. E invece tutte le volte sbagliava, dimenticava... e finiva con l'ucciderla.
Priscilla volò all'indietro, colpita e travolta, e lui non ebbe più nemmeno il coraggio di respirare. La rivedeva, quella bambina che volava via per i suoi colpi, ferita a morte, e poté risentire su di sé il solito stupore e la paura nel rendersi conto che quello che era partito come un gioco era finito nel peggiore dei modi.
Lei cadde a terra.
«Priscilla!» la chiamò, improvvisamente terrorizzato. Cosa aveva fatto? Lei non era così forte, perché se l'era dimenticato? Perché aveva dimenticato?
Non riuscì neanche a guardarlo il suo corpo, ora steso a terra e in parte sradicato via. Il fulmine aveva bruciato e strappato via parte della sua spalla e del petto, su per il collo fino al volto, lasciando steso a terra in una pozza di sangue sempre più ampia solo un cadavere ustionato e lacerato. L'aveva uccisa, l'aveva uccisa nel peggiore dei modi proprio con le sue stesse mani. Cosa gli aveva detto che lei sarebbe stata in grado di sopravvivere a un simile colpo? Perché era stato convinto fino a quel momento che era lei quella che vinceva sempre?
La polvere si diradò, mostrandola a terra in quell'incubo che, lo sapeva, stava per farlo impazzire. Allungò una mano verso di lei, incapace di avvicinarsi e muoversi. Aprì la bocca, per provare a dire qualcosa, ma la voce sembrò non collaborare e niente uscì dalla sua gola se non dei lamenti gutturali e incontrollabili.
«P-Priscilla?» mormorò anche Natsu, pallido in viso, sconvolto e allucinato. Che cosa era accaduto? Perché si era lasciata colpire in quel modo e non aveva provato a difendersi almeno un po'? Perché Laxus l'aveva colpita con quella furia? Come aveva potuto farle una cosa come quella? Avrebbe presto ceduto alla rabbia e alla follia, la sentiva ribollire in vena tanto da farlo tremare, ma qualcosa di assurdo e incredibile accadde: Priscilla si mosse, lentamente e con uno sforzo immane, ma riuscì almeno a poggiarsi sull'unico gomito rimasto e sollevarsi da terra. Laxus per un attimo ne ebbe addirittura paura, per quanto fosse folle, e cominciò a chiedersi se non stesse avendo un incubo. Natsu invece, più estroverso nelle reazioni, si limitò a urlare dal terrore di avere di fronte un fantasma e per poco non svenne. Lo sguardo di Priscilla da quell'unico occhio rimastole si rattristò tanto che dovette chiuderlo per impedire alle lacrime di scorrerle via dal viso. Qualcosa dentro il suo corpo smembrato cominciò a splendere, una luce azzurra, sembrava una minuscola fiamma che le contornava i bordi tagliati via e lentamente cominciarono a ricostruirla.
«Ma... cosa?» balbettò Laxus, incredulo.
«Non devi aver paura, Laxus. Io... io non posso morire» si sforzò di sorridere, ma il dolore la tradì e quella lacrima che si era sforzata tanto di trattenere le uscì dall'occhio rigandole una guancia.
«Piantala di piangere. Lei non morirà. Mai» quella voce dei suoi ricordi tornò a tormentarlo, accompagnato ancora dai propri singhiozzi di quando era bambino. Quel "mai" era così affilato che faceva quasi male.
«Le ho fatto del male. Perché... perché le ho fatto così male?» piangeva il piccolo Laxus nella sua testa, disperato.
«Starà bene. Deve solo riposare un po', tornerà come nuova tra qualche giorno» come nuova... ne parlava come fosse un oggetto che aveva solo bisogno di riparazione. Quante volte era successo? I suoi ricordi si affollavano, non riusciva a contarli, ma le ricordava tutte ora le volte che aveva vissuto quella stessa dolorosa e assurda scena. Avevano cominciato che erano appena bambini, subito dopo che lui aveva ereditato il potere del drago del tuono ed era stato in grado di usarlo. Le loro battaglie, una forma di allenamento, una sfida e un gioco in cui mettevano tutti loro stessi per sconfiggersi a vicenda e diventare più forti. Erano andati avanti a lungo, per mesi, forse anni... sicuramente anni. Tutte le volte la vedeva cadere, dilaniata, a qualsiasi età. Sei anni, otto anni, dodici anni, sedici anni... quante Priscille morenti aveva visto nella sua vita? Perché se ne ricordava solo in quel momento?
«Ti faceva dimenticare ogni volta» disse Priscilla. «Ma sorridere ti rassicurava, anche se sentivi dentro te qualcosa di strano. E io non smettevo di farlo, soprattutto le volte che combattevamo. Ti aiutava a ricordare e ti rendeva meno violento, anche se questo ti straziava e lui doveva ancora cancellare la tua memoria. Mi ha punita così tanto per questo che ne ho perso il conto» mormorò, tremando dal dolore in quell'ultima frase.
«Lui?» balbettò Laxus, sempre più confuso. La voce maschile nei suoi ricordi, chi era il bastardo che li costringeva a combattere fino a quando Priscilla non moriva? Chi era che cancellava i suoi ricordi e li manipolava, facendogli credere che vincesse lei? Portandolo così a essere sempre più violento nel tentativo di sconfiggerla, benché non ce ne fosse bisogno.
«Papà» sibilò Priscilla e la gola di Laxus si chiuse, riuscendo finalmente a ricordare anche quello. Suo padre, lo ricordava bene ora. Lo stuzzicava e lo provocava.
«Vuoi davvero farti sconfiggere così da una femminuccia? Sei o no il Dragon Slayer del tuono?» erano le bugie che gli diceva tutte le volte che lo faceva dimenticare. «Sfidatevi di nuovo, vediamo chi adesso è il più forte» un rituale a cui erano abituati, a cadenza settimanale. «Laxus, ricorda come ti ha umiliato l'ultima volta. Non trattenerti, sprigiona tutto il tuo potere!» erano bugie. Erano tutte bugie. Priscilla era sempre stata debole e fragile, ma lui non riusciva a ricordarlo. E di nuovo, come sempre, la uccideva. Lui ricordava un attimo prima dell'impatto, guardando il suo sorriso fiducioso e gioviale. Lei credeva ciecamente in suo fratello e nella sua bontà, Priscilla sapeva bene che quello che la stava colpendo e le stava recando un tale dolore non era mai lui ma loro padre, tramite le sue manipolazioni e le sue parole. Non gli aveva mai dato la colpa, anche se a dilaniarla erano i suoi fulmini, e sorrideva solo per dirglielo: "Credo in te, so che non è colpa tua". Impazziva... impazziva ogni volta, tra le lacrime e il dolore, cadeva in preda alla follia. Ma poi tutto si faceva scuro, la sua testa galleggiava e quando riapriva gli occhi Priscilla era sempre lì, incolume e salva, anche se aveva sempre bisogno di qualche giorno di degenza che giustificava con la bugia di "un'influenza".
«Solo... un incubo...» mormorò ricordando come quella fosse la giustificazione che lui dava a se stesso tutte le volte.
«Sono stata creata per questo. È il mio unico scopo e ragione di vita» disse Priscilla, restando nella sua posizione semistesa, troppo debole per muoversi più di così.
«Creata?» suonava così artificiale e così terrificante, perché dava un senso a ogni cosa. Era un incubo, non poteva che essere un incubo.
«Avevi cinque anni quando nostro padre mi portò alla luce nella forma di una bambina di tre anni. A volte ti chiedevi perché non ci fossero foto o testimonianze di me, prima di quell'età, ma era una curiosità che moriva lì e non ti curavi di cercar risposta. Si tratta di una magia antica e proibita, un'oscura magia di Zeref. Aiutato dal potere delle sue marionette di carta, che usò come base per costruirmi, riuscì a creare la vita. Creò una vera bambina di carta... era così che mi chiamava. La sua bambina di carta. In me scorre solo magia, la sua magia, essendo una pura creazione non ho in me il dono della vita umana come la conoscete. Non posso morire e questo gli permise di darti qualcuno su cui sfogare ogni tuo istinto e potere al solo scopo di amplificarne la forza, di allenarti senza timore di commettere il crimine dell'omicidio e rischiare di essere cacciato dalla gilda o, peggio, arrestato... io credo ci fosse anche un po' di megalomania che lo portò a sentirsi potente, essendo riuscito a creare un vero essere umano. Per giustificare la mia comparsa disse a tutti che ero la sua secondogenita, avuta da tua madre prima della sua morte. Lo disse anche a te, che tanto soffrivi all'idea di combattere e picchiare una sconosciuta dallo sguardo triste e vuoto come il mio. Farti credere di essere tua sorella ti aiutava a prendere quei folli allenamenti come un gioco e ti convinceva a dare il massimo. Io ero solo la marionetta che doveva renderti migliore, che doveva prendersi cura di te e del tuo potere. Ma poi, quando diventasti tanto forte da essere in grado di uccidermi, cominciasti a ribellarti. E il tuo cuore... era così buono» singhiozzò, benché stesse sorridendo appoggiata a quel dolce ricordo. «Mi insegnasti a provare dei sentimenti».
«Ohi...» Laxus ricordava la propria voce, così piccola, di fronte a quella bambina dallo sguardo vuoto e triste. Era curioso, ma soprattutto preoccupato. «Perché tu non sorridi mai? C'è qualcosa che ti preoccupa, sorellina? A me puoi dirlo. Sono forte, lo sai! Se qualcosa ti fa soffrire me ne occupo io!»
«Sorridere?» aveva chiesto atona, come se non sapesse il significato di quella parola.
«Sì, così! Guarda, ti faccio vedere» e le aveva regalato un luminoso sorriso, tanto brillante da far invidia alle stelle. Era stato quello il giorno in cui, per la prima volta, Priscilla aveva sentito qualcosa battere dentro sé. Anche lei aveva un cuore? Bambina di carta, dalle sembianze umane, poteva provare sentimenti?
«Sorridere» aveva mormorato, incantata dal volto luminoso di Laxus, e aveva cominciato a provarne invidia. Voleva anche lei imparare a sorridere.
«È stato da allora che papà ha cominciato a manipolare i tuoi ricordi, aiutato da un membro della gilda che al tempo lo appoggiava molto. Se dimenticavi ciò che mi facevi e ti faceva credere di aver vinto io, la volta dopo lottavi più volentieri e con forza maggiore. Mi detestavi, perché ti umiliavo, e avevi sempre voglia di darmi una lezione. Per questo sorridevo, perché così riuscivi a ricordare. E anche se poi papà mi puniva perché questo ti portava a caricare meno il colpo finale, anche se poi cancellava di nuovo i tuoi ricordi, quella sensazione non abbandonava il tuo petto e tornavi sempre a essere gentile con me. Ero...» singhiozzò, incapace di trattenersi ancora. «Ero egoista, mi dispiace. Ti facevo soffrire, ma tu eri... non potevo permetterlo. Non potevo permettere che diventassi come lui! Tu eri... la mia unica ragione di vita e dovevi continuare a insegnarmi a vivere. Mi insegnavi a essere umana, come voi. Desideravo così tanto essere come voi, essere... come te».
Una frase che fece nascere in Natsu un ricordo di non molti giorni prima, che adesso assumeva finalmente un significato.
«Le persone come voi che si preoccupano tanto per me mi fanno sorridere. Che invidia provo in questi momenti, come vorrei essere come voi» aveva detto al bancone della ancora provvisoria gilda in costruzione, nel momento in cui Lucy e Erza le avevano detto di curarsi più per se stessa e meno per Laxus.
«Come noi?» commentò Natsu, alzandosi in piedi. Gli occhi corrucciati e una vena era persino visibile sulla fronte. Il fuoco prese a bruciarlo interamente, in quell'attimo di rabbia folle. Che razza di mostro era quello che chiamava padre? Che razza di storia era mai quella? Aveva creato la vita solo per usarla a suo piacimento, come un oggetto, senza curarsi del suo dolore e ora quell'unica persona che in tutta la sua vita le avesse mai dato un valore, per cinque anni non aveva fatto che odiarla e insultarla. Tutto quello lo mandava fuori di testa. Non poteva perdonare.
«Di cosa stai parlando, si può sapere?» ringhiò, sempre più furibondo. «Non hai forse anche tu sulla tua pelle il simbolo di Fairy Tail?»
L'occhio di Priscilla, umido di lacrime, si spalancò mentre il cuore -o almeno quello che credeva fosse un cuore- prese a batterle in petto.
«Sai piangere, sai ridere, sai scherzare e soprattutto... sai amare. E lo fai insieme a noi, ai tuoi amici e la tua famiglia. Non capisco davvero di cos'altro tu abbia bisogno per essere come noi!»
"Amici". Anche Erza, non troppo tempo prima, l'aveva definita un'amica. Bastava davvero così poco per essere come loro? Davvero non serviva altro?
Un sorriso commosso le nacque sul viso, colpita e felice. Era assurdo, ma gli credeva. Gli credeva davvero.
«Natsu» mormorò, tornando a piangere ma di lacrime diverse. Non più di dolore, ma ora di felicità. Era davvero... come loro?
«Bugiarda» la voce rotta di Laxus li interruppe, attirando nuovamente la loro attenzione. Tutto quello lo rendeva pazzo. Come poteva accettare in pochi minuti che tutta la sua vita non era stata che una menzogna? Come poteva accettare così facilmente che lui non era stato altro che un assassino, ogni giorno della sua vita? L'assassino della persona che aveva creduto di amare più di ogni altra cosa. Non poteva essere vero. Lui non era così, la sua vita non poteva essere stata una tale menzogna. A cosa doveva credere, se non poteva farlo neanche più in se stesso? Doveva per forza essere una bugia.
«Bugiarda» ripetè con gli occhi spenti e gocce di sudore freddo che gli colavano giù dalla fronte. «Stai mentendo!» gridò ormai in preda alla follia. Si caricò di energia e tornò a gonfiarsi di potere, ormai incapace di ragionare. L'onda di elettricità arrivò di nuovo verso Priscilla, ma Natsu fu più veloce e ponendosi di fronte a lei infuocò le proprie braccia e parò il colpo. Digrignò i denti, mentre il suo braccio destro ora fumava e tremava per il dolore del colpo.
«Natsu...» mormorò Priscilla, guardandolo sconvolta. Perché si era esposto in quel modo? Era rimasto ferito, perché lo aveva fatto? «Io... non posso morire» spiegò ancora, credendo che forse non avesse capito. Se il colpo l'avesse presa forse l'avrebbe disintegrata, ma con qualche giorno di riposo si sarebbe ripristinata.
«Ma puoi soffrire!» ringhiò lui, furibondo. Era così ovvio, così semplice, che non riuscì a replicare. Era vero, poteva soffrire ed era terribile tutte le volte. Aveva sempre affidato alla vita il solo valore legato alla morte. Chi era in grado di morire, allora era anche in grado di vivere e vedeva perciò i propri sentimenti solo come un artificio che aveva imparato ad applicare. Solo ora si rendeva conto che non era così. Quelle lacrime non erano finte, lei soffriva veramente... lei viveva veramente.
«Natsu» mormorò, di nuovo scossa dai singhiozzi.
«Laxus!» ringhiò furioso, pronto a combatterlo con ogni mezzo che aveva. Si lanciò contro di lui e quella fu l'ultima cosa che Priscilla riuscì a vedere. Stremata si accasciò a terra, concedendosi di riposare il braccio sulla quale si era tenuta fino a quel momento. Tremante, cominciò a singhiozzare e piangere senza riuscire a smettere. Si portò l'unico braccio rimasto sopra il volto, a coprirsi gli occhi ormai pieni di lacrime, e restò lì, ad ascoltare semplicemente il rumore delle fiamme che si scontravano con i tuoni e le loro urla di follia e disperazione. Quei tuoni, il rombo di quei tuoni erano sempre una fonte di emozioni. Quando ancora era una semplice marionetta, da bambina, il primo sentimento che imparò a provare fu la paura. La paura per quello che suo padre le presentò come fratello, perché non lo comprendeva, ma appena poteva lui la picchiava e le faceva del male. Dopo una serie di scontri in cui Laxus affinava la sua magia del tuono, nacque in lei quel sentimento di paura.
Il rumore dei tuoni, erano sempre presagio di morte. Era terrificante.
Quante volte si era rannicchiata in un angolo, nei giorni di temporale, chiusa nella sua stanza si rifiutava di uscire. Anche quando Laxus cominciò a essere gentile con lei, incuriosito e forse turbato da quella sorella che sembrava più un automa che una persona, non smise di avere paura dei tuoni e dei temporali. Anche se non lo faceva di sua volontà e iniziativa, anche se lui in realtà era amorevole e gentile, quando liberava il suo potere Priscilla sapeva che ne avrebbe sofferto. Per anni, alla semplice vista delle nuvole rombanti in lontananza, iniziava a tremare e a piangere.
Poi un giorno Laxus l'aveva scoperta, chiusa nel suo armadio, avvolta da una coperta, singhiozzava mentre fuori si scatenava una tempesta.
«Sorellina? Che fai chiusa qui?» La sua voce, associata a quel terribile rumore, la fece cadere nel panico. Cominciò ad agitarsi e indietreggiare, menando calci al vuoto e piangendo a dirotto. Laxus si beccò un paio di colpi sul viso, ma dopo una prima sorpresa si era fatto coraggio e aveva cercato di bloccarla e calmarla.
«Calmati! Pricchan!» le aveva ripetuto, mentre lottava con la sua follia che gli destinava ancora calci e pugni da cui però non si difendeva. Era riuscito alla fine ad afferrare la coperta che le copriva la testa e tirarla via, scoprendo così la sua vista.
«Calmati, Priscilla! Sono io! Sono Laxus» le aveva afferrato i polsi per fermarla, ma incredibilmente era bastato vedere il suo viso per riuscire a rimettere ordine nei pensieri e tornare a respirare normalmente. In quel mondo di follia e dolore, non aveva che Laxus a darle pace. Lui era l'unico che la prendesse per mano, che l'accogliesse e che le insegnasse cos'era la vita. Il fardello era diventato ora l'unica ancora a cui aggrapparsi per non andare alla deriva.
«Ma che ti prende?» le aveva chiesto innocente e inconsapevole, a causa di quella memoria che loro padre manipolava a suo piacimento con l'aiuto di uno dei suoi seguaci peggiori. Un altro rombo nel cielo e Priscilla urlò terrorizzata, strappando i polsi dalla presa di Laxus e portandosi le braccia intorno alla testa. Lui aveva inclinato la testa da un lato, guardandola curioso.
«Hai paura dei fulmini?» aveva chiesto, intenerito anche se preoccupato per quella reazione così eccessiva. Lei non aveva risposto ma aveva continuato a piangere e tremare. «Sono fuori, noi siamo in casa, non possono farti niente» aveva provato a usare la logica, ma senza successo. «Andiamo, sorellina! Dimentichi che io sono il Dio del tuono! Posso gestire a mio piacimento ogni singolo fulmine di questo pianeta» esagerato, ma serviva a calmarla. «E ti prometto che finché resterai sotto la mia ala protettiva, nessuno di questi ti sfiorerà nemmeno» quanto era ironico. Come avrebbe reagito se avesse saputo che i fulmini che la colpivano ripetutamente altri non erano che i suoi? Ma era proprio quello che la colpiva tutte le volte: la sua innocenza e la sua gentilezza.
Era riuscito miracolosamente ad avere di nuovo la sua attenzione. Lo aveva notato e ne aveva approfittato, per rincarare la dose.
«Io, Laxus Dreyar, Dio del tuono e dei fulmini tutti... ordino che questa ragazza non venga mai nemmeno avvicinata!» aveva recitato con solennità. Poi le aveva rivolto un sorriso convinto. «Gliene ho cantate, hai visto?»
Come riusciva a essere così rassicurante? Proprio lui, più di tutti gli altri? Quale potere nascondeva quel volto sorridente? «Adesso esci di lì?» le aveva chiesto, porgendole una mano e Priscilla si era ritrovata carica di un nuovo coraggio. Riponeva verso di lui una fiducia insensata ma incredibilmente intensa. Aveva allungato la mano, per raggiungere la sua, ma un tuono aveva gracchiato nel cielo anche più vicino degli altri e lei, presa nuovamente dal panico, era arretrata e si era raggomitolata. Laxus aveva sospirato rumorosamente, affranto e vinto.
«E va bene» aveva detto, convinto. «Se non vuoi uscire da lì, allora entro io» e chinandosi si era fatto spazio tra le scatole e i vestiti, ritagliandosi un angolo al fianco di Priscilla. Si era poi allungato ad afferrare la maniglia dell'armadio e aveva tirato l'anta verso di sé, chiudendolo.
«Ecco fatto!» aveva detto soddisfatto, afferrandola per le spalle e tirandosela al petto per abbracciarla. «Così potrò proteggerti fino alla fine del temporale!»
Non ne era pienamente certa, ma qualcosa le diceva che era stato quello il preciso istante in cui aveva cominciato ad amarlo davvero. Le parole che decretavano la sua condanna -Dovrai occuparti di lui- avevano assunto una nuova forma, più calda, accogliente e passionale. Non erano più un "Sacrificati per renderlo migliore", come una qualsiasi serva o oggetto. No, da quel momento lei aveva iniziato a pensare a quelle parole come a un desiderio di protezione indiscutibile. Si sarebbe occupata di lui, l'avrebbe curato e protetto per il resto della sua vita. Era nata per quello, era stata creata per quello scopo... occuparsi di lui.
«Fino alla fine del temporale» singhiozzò con un filo di voce. Il braccio ancora davanti agli occhi, non riusciva nemmeno a guardare, ma la sentiva quella tempesta che si stava scatenando a pochi passi da lei. Era la peggiore che avesse mai sentito, Laxus era completamente fuori controllo, accecato da una rabbia che mai aveva avuto prima. Perché? Perché doveva essere arrivato fino a quel punto? Perché aveva dovuto per forza toccare il fondo? Sapeva che era giusto così, lei stessa aveva atteso pazientemente per cinque anni. Doveva ricordare da solo, capire da solo, o non avrebbe accettato, non sarebbe mai tornato. Era giusto così... eppure, dopo tanti anni, quel temporale tornò a scuoterla.
"Sai piangere, sai ridere, sai scherzare e soprattutto... sai amare" le parole di Natsu non le lasciarono la mente nemmeno per un istante. Tremava e singhiozzava, sempre più ininterrottamente.
«Laxus...» mormorò ancora, sforzando tanto la voce da farle male la gola.
"Non capisco davvero di cos'altro tu abbia bisogno!"
Era viva... poteva davvero accettare di essere viva? Di essere come loro? Umana... con dei sentimenti umani. Le era davvero permesso? Quella tempesta che non sembrava calmarsi, ma solo aumentare di intensità, era terribile.
"Ma puoi soffrire!"
Un altro singhiozzo, a seguito di innumerevoli.
«Ho paura, Laxus...» sussurrò.
L'alabarda del tuono, uno dei colpi più forti di cui Laxus aveva a disposizione, mancò il bersaglio per qualche strano motivo e Natsu ne uscì indenne. Entrambi in condizioni terribili, ma quello era il suo momento. Si carico di energia e di fuoco, pronto a sferrare il colpo decisivo approfittando di quell'errore. Volò incontro a Laxus, avvolto di fiamme, e lui, stranamente, non parve nemmeno difendersi. Sicuramente troppo sconvolto per il colpo mancato, un errore fatale, o almeno questo era quello che pensava Natsu che, al contrario suo, non aveva invece sentito la voce di Priscilla. Con una scarica di ultimi colpi, sempre più forti e decisi, Natsu diede fine a tutte le sue energie e Laxus cadde definitivamente a terra, privo di sensi.
NDA.
Non sto mettendo molte NDA in questa storia (un po' anche perché avevo paura di spoilerare qualcosa senza volerlo XD) ma questa volta mi sembra doveroso visto che questo è il capitolo decisivo (non a caso porta come titolo il titolo stesso della storia). Ecco che ogni cosa viene svelata, il più grande segreto di Priscilla, il motivo per la quale non poteva morire, perché non esiste un'altra sé su Edoras e anche perché, in fondo, è così ossessionata da suo fratello.
Un'antica magia di Zeref, una magia in grado di dare la vita. Ivan ha usato le sue bamboline di carta e da una di essa ha creato Priscilla, usando la magia. Molte altre spiegazioni verranno date anche nel prossimo capitolo, magari alcune cose verranno rese più chiare.
La cosa divertente è che questo capitolo l'ho scritto mesi fa e dato che, come ho già detto, al tempo stavo seguendo l'anime e il manga avevo preso a leggerlo solo da poco, non sapevo niente del fatto che Natsu fosse in realtà il fratello morto di Zeref e che quest'ultimo avesse sperimentato delle magie con lo scopo di ridargli la vita, riuscendo appunto a ricreare forme di vita. Insomma, senza volerlo sono rimasta coerente con la storia originale xD
L'ossessione per Laxus, il suo eccessivo amore verso suo fratello, nasce dal fatto che lei non ha mai visto se non il dolore di un padre che la vedeva solo come un oggetto, dal fatto che è stata messa al mondo per essere distrutta innumerevoli volte... e in tutta questa follia solo Laxus, ingenuo perché con la memoria cancellata e manipolata, la trattava con dolcezza. Si preoccupava per lei perché, nei momenti in cui non era manipolato, la vedeva sempre triste, vuota, spenta e nel suo tentativo di farla sorridere ogni tanto ha iniziato a "insegnarle a provare dei sentimenti". Le ha insegnato a essere umana, l'ha presa sotto la propria ala, e questo unito alle prime parole che lei ha sentito quando è venuta al mondo "occupati di lui" l'hanno reso un punto assoluto della sua vita.
Ho modificato un po' la battaglia tra Natsu e Laxus, non ci ho inserito Gajeel, mi sono presa un po' di libertà perché mi piaceva così (come il fatto che l'alabarda del tuono non va a segno per qualche "Strano motivo" dopo che sente Priscilla dire "ho paura", e non invece perché Gajeel prende il colpo per lui. E' più romantico xD in fondo, prima di quel famigerato litigio, lui gli era molto legato). Comunque, come già detto, nel prossimo capitolo ci saranno ulteriori chiarimenti e spiegazioni.
Io vi ringrazio per l'attenzione <3
Se avete qualcosa da dirmi, fatelo pure, non mangio nessuno (perché tanto vi vedo che venite a leggere, anche se state zitti, che vi credete? u.u il numero visual non mente ahahah). Se non vi va non fa niente, vi si ama lo stesso <3
A presto!
Ray
PS MOLTO IMPORTANTE: Sono riuscita a risalire all'artista dell'immagine che ho preso in prestito per il mio capitolo. Il suo nome è Avogado6, è un artista giapponese e qui c'è il link al suo sito web: https://www.avogado6.com/
Fateci un salto se potete, è pieno di immagini stupende.
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~{Fairy Tail}~ La bambina di carta ~
FanfictionNon c'era al mondo persona che non conoscesse Fairy Tail. La gilda simbolo di Magnolia vantava tra i suoi membri alcuni dei maghi migliori dell'intero continente. Ma ogni medaglia ha due facce e se Fairy Tail ne aveva una sublime, abbagliante, dall'...