Piano

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Non ci volle molto prima che tutti i loro fratelli, nonché membri della gilda, si facessero vedere. Ognuno prese il proprio posto, seduto al tavolo o vicino al camino. Dioniso e Hermes erano comodamente buttati a terra, Eris con un piede sul tavolo si dondolava sulla sedia, Eirene non si era mossa dalla sua posizione pigra con la testa poggiata al tavolo, Persefone invece galleggiava ancora semi-trasparente in un angolo. Athena sedeva sulla poltrona vicino al camino e nell'attesa aveva evocato un altro dei suoi libri, che leggeva con attenzione e minuzia. Per ultimo, dalla porta, fece il suo ingresso Padre Zeus sostenuto da un attento Efesto che lo accompagnò sulla morbida sedia a metà del tavolo a ferro di cavallo, così da avere un'ampia visuale su tutti quanti. Gli unici a mancare, per ovvie ragioni, erano solo i gemelli. Erano ancora troppo piccoli per riuscire anche solo a comprendere cosa stesse accadendo. Athena chiuse il suo libro con uno schiocco e si alzò in piedi, portandosi al centro della stanza.
«Facciamo il punto della situazione» iniziò, incrociando le braccia sotto al seno, ma senza neanche darle il tempo di iniziare Dioniso alzò la mano per prendere parola. «Sì, Dioniso» acconsentì Athena.
«Perché ci sono anche gli umani?» chiese lui repentino e Hermes si accodò rapido con un: «Già! Cosa c'entrano loro? Non potevamo prendere solo Priscilla?»
«Fanno schifo» annuì Dioniso e Hermes gli diede corda specificando: «Puzzano!»
«Ma di che parlate?» bofonchiò Eirene. «Io non ho sentito nessuna puzza».
«Ti dico che puzzano! Puzzano di umano!» ruggì Hermes, inviperito.
«Hermes, calmati» cercò di intervenire Athena ma fu Ares ad ammutolirlo, fulminandolo con un: «Non penso che voi due siate nelle condizioni di esprimere un parere in merito, visto il casino che avete fatto nella foresta!»
«Quella era una missione riservata ad Ares, Eris e Ilizia. Non eravate autorizzati a intervenire» annuì Athena.
«Avete pagato troppo quei due stupidi umani per rapire la carrozza di Priscilla» disse Dioniso.
«Ci siamo ripresi i soldi!» annuì Hermes, d'accordo.
«Se disgraziatamente i due che avete pestato avessero aperto bocca mentre eravate in compagnia di Priscilla e avessero lasciato intuire che erano d'accordo con noi, tutta la copertura sarebbe saltata» li rimproverò Athena.
«Non capisco perché fare tutta questa sceneggiata. Non potevamo rapirla e basta?» bofonchiò Dioniso.
«Dobbiamo andarci cauti, abbiamo bisogno che la ragazza sia dalla nostra parte. L'obiettivo è quello di stimolare i suoi sentimenti angosciosi a tal punto da poter dare a Eris la possibilità di impadronirsene. Una volta sotto al controllo di Eris sarà tutto in discesa» spiegò Zeus. «Per questo le abbiamo subito rivelato che voi siete uguali e abbiamo organizzato la cena per farla sentire a casa, per darle questo bel quadretto di vita felice e famiglia amorevole».
«Perché mai questo dovrebbe angosciarla?» chiese curiosa Eirene.
«Perché io le ho detto che morirete» disse Zeus abbozzando un sorriso. «Il vecchio umano decrepito, è un ruolo che riesco a impersonificare bene. Lei ha vissuto sulla sua pelle l'esperienza del rischio di morte a causa del collegamento spirituale, sa cosa significa vivere ogni giorno col timore che chi ti nutre possa cadere per motivi che tu non puoi gestire. Quando era ancora legata a suo padre, in ogni istante lui avrebbe potuto ucciderla, quella paura ha caratterizzato la quasi totalità della sua vita. Le abbiamo mostrato i nostri sorrisi, la nostra gioia, il calore e l'amore di una famiglia così che sarà più doloroso per lei pensare che potrebbe essere la causa della sua cessazione. Oggi durante la nostra passeggiata le ho detto che stavo morendo e le ho chiesto di prendere il mio posto, formare un collegamento con voi così che almeno voi sareste potuti sopravvivere. Questo la terrà in bilico per un po' e Eris avrà possibilità di giocare con lei».
«Ci ha creduto?» chiese Efesto.
«Assolutamente. È una ragazza così ingenua, non ha la minima idea di trovarsi invece davanti un demone di Zeref. La recluteremo, diventerà nostra alleata, così la gilda degli immortali sarà al completo e non ci sarà nessuno che sarà in grado di ostacolarci» disse Zeus.
«Averla come nemica non sarebbe stato vantaggioso» concordò Athena. «Avevamo già studiato abbastanza le possibilità future e abbiamo già concordato che averla dalla nostra sarebbe stato necessario per portare a termine la nostra missione».
«Mio fratello, Marde Guille, è ossessionato dal libro di E.N.D., è un conservatore legato alle tradizioni» spiegò ancora Zeus. «Lord Zeref ci trasmise la consapevolezza, quando ci creò, che E.N.D. fosse il demone assoluto, colui che avrebbe potuto ucciderlo. Ha creato una gilda tutta sua, Tartaros, e persegue con essa i suoi scopi. Ho lavorato per un po' con lui, ma quando Purehito mi venne a trovare e mi chiese di aiutarlo nella creazione della bambina immortale mi si aprii un mondo. Priscilla la bambina di carta, la bambina che non poteva morire, e chi meglio di un immortale può uccidere un altro immortale? Una gilda di immortali... divenne un sogno che ora ho qui davanti ai miei occhi» disse, allargando le braccia. «Figli miei, Dei immortali, siete coloro che porteranno a compimento tutte le volontà del nostro Signore Oscuro e non posso permettere a nessuno di togliervi la vita prima che abbiate compiuto la vostra missione. Priscilla è come voi, conosce ogni vostro più piccolo segreto, come se non bastasse ora è persino libera e non c'è modo di ucciderla per questo dobbiamo averla dalla nostra piuttosto che come nemica».
«In realtà un modo c'è» intervenne Ares e alzando lo sguardo severo sui suoi fratelli aggiunse: «E vale anche per noi».
«È per questo che ho voluto fare questa riunione» disse Athena. «Ares è riuscito a spingerla a fidarsi tanto di lui da raccontargli tutto ciò che riguarda i suoi alleati e da questo è emerso un particolare importante».
«Wendy Marvell» disse Ares. «La ragazzina è una Dragon Slayer del cielo e come tale ha poteri curativi».
«E con questo?» chiese Ebe.
«È solo un'ipotesi, ma ha una sua logica e un suo valore» disse Athena. «La magia che ci tiene in vita alla fine è magia nera, magia di Zeref. La magia curativa è magia bianca, rischia di essere in grado di neutralizzare il nostro funzionamento. "Curando" il nostro corpo lo purifica e perciò lo libera della magia oscura. Questo può renderci umani, se i nostri organi fossero in grado di continuare a funzionare autonomamente, oppure ucciderci perché è proprio quella magia che li fa funzionare e ci fa sopravvivere».
«Una stupida ragazzina può essere in grado di ucciderci?» storse il naso Dioniso.
«Non possiamo rischiare» insisté Athena.
«Priscilla ha inoltre detto che quella stessa magia può anche essere in grado di liberarci dal collegamento col Padre» aggiunse Ares. «Sempre per lo stesso principio della cura e purificazione, può donare alla nostra anima la possibilità di autorigenerarsi. È sempre un'ipotesi, ma con questa possibilità tra le mani dubito che accetterà di unirsi a noi spontaneamente o si turberà tanto che Eris potrà usare i suoi sentimenti a nostro vantaggio. Probabilmente ci proporrà di provare questa via e così il piano di Padre Zeus decade».
«E quindi che facciamo?» chiese Nemesi.
«Rapiamo anche la bambina?» azzardò Ebe.
«Io dico di passare al pugno di ferro!» disse Hermes, battendosi un pugno sul palmo della mano aperta.
«Sì! Andiamo ed eliminiamoli tutti senza scrupolo!» annuì Dioniso.
«Siamo la gilda degli immortali, che paura vuoi che ci facciano degli stupidi umani?!» asserì Ebe.
«Questo è quello che farebbe quello sciocco di mio fratello!» disse Zeus. «Crede che con un pugno possa risolversi ogni cosa, non capisce invece l'importanza della strategia e della pazienza. Lord Zeref è un uomo molto strategico, intelligente e paziente... e noi saremo esattamente come lui. Athena, lasciamo tutto nelle tue mani».
«Ci sono molte variabili in ballo» osservò Athena. «Dobbiamo liberarci degli umani che hanno accompagnato qui Priscilla, prendere possesso della sua volontà e infine eliminare Wendy Marvell. Ma se ci pensiamo in tutto questo c'è un unico filo conduttore: Fairy Tail».
«Purehito era affascinato dalla magia di Zeref più che dalle altre, per questo è venuto a cercare me, un demone di Zeref di Tartaros» disse Zeus. «Pare che un tempo Zeref abbia avuto contatti particolari proprio con questa gilda. Una volta l'ho sentito dire che è stato proprio Zeref ad uccidere la loro fondatrice, una certa Mavis».
«E quindi?» chiese Ebe.
«Quindi sto cominciando a valutare l'ipotesi di un attacco diretto. Anche se azzardato, siamo comunque superiori a loro in forza e natura, possiamo ucciderli. Per diminuire i rischi effettueremo un attacco a sorpresa. Rimandando indietro i quattro uomini che hanno accompagnato qua Priscilla l'effetto aumenterà perché oggi abbiamo familiarizzato con loro. Rimarranno sopraffatti, sorpresi di vederci ostili e questo ci darà un vantaggio. Porteremo con noi anche i gemelli, non avranno il coraggio di far del male a due bambini e anche se riusciranno comunque non daranno sfogo a tutta la loro potenza. Il nostro obiettivo è Wendy Marvell, ma è protetta perciò non possiamo far a meno di doverci prima scontrare col resto della gilda. Questo, inoltre, ci dà una possibilità in più per quanto riguarda il nostro secondo fine: se veramente Lord Zeref ha un legame con quella gilda, vederla sterminata dovrebbe riuscire ad attirare la sua attenzione. Nel migliore dei casi si mostrerà a noi e noi compiremo il nostro destino».
«Attaccare Fairy Tail era comunque nei piani per evocare Zeref» disse Eunomia.
«Alla fine stiamo solo anticipando il tutto per eliminare la ragazzina» annuì Dike.
«Resta però l'interrogativo su Priscilla» osservò Ebe e, con sorpresa di tutti, Eris che fino a quel momento non aveva fatto che ascoltare in silenzio, dondolandosi sulla sedia, alzò una mano per prendere parola.
Non aspettò il permesso, ma le bastò avere la loro attenzione per dire: «Forse riesco a prenderla anche così».
«Come sarebbe?» chiese sorpresa Nemesi.
«Che significa che "riesci anche così"?» chiese curiosa Dike.
«È successo quando Zeus mi ha chiesto di usare i miei poteri per tranquillizzarla. Ho manipolato la sua angoscia per vedere se riuscivo ad averne il controllo, per instaurare un primo legame con lei e perché Zeus voleva che si godesse la felicità della cena così da stimolare maggiormente i suoi sentimenti. Entrando in contatto con questi, in quel momento, mi sono accorta di qualcosa di strano» confessò.
«Di cosa si tratta?» incalzò Athena.
«C'è qualcosa in lei di strano, oscuro e maligno. È minuscolo, come una piccola macchia ad angolo del foglio, l'ho notato solo in quel momento ma ha una strana vibrazione. Sembra come se fosse pronto da un momento a un altro a esplodere e prendersi tutto ciò che c'è. Ed è nero pece» spiegò.
«Una malignità?» mormorò Dike, pensierosa.
«Segregata nel profondo» rifletté Eunomia.
«Che sia un residuo della magia oscura di Zeref?» azzardò Nemesi.
«Dubito. Noi non ce l'abbiamo» disse Eris.
«Eris» si avvicinò Athena. «Saresti in grado di mostrarmela?»
Eris annuì e si lasciò cadere in avanti con la sedia, smettendo di dondolarsi. Si sporse in avanti con la testa e concesse ad Athena di poggiare al centro della sua fronte due dita. Chiuse gli occhi e disegnò sulla fronte di Eris un cerchio magico. Riuscì a entrare nella sua testa. Scavò tra i pensieri, i ricordi, le parole e le immagini, fino a quando non giunse laddove desiderava. Il ricordo di Eris di quel pomeriggio. Vide Priscilla fare grossi respiri mentre Eris lavorava con la sua magia sui suoi colori. Ne aveva un'infinità, ma il viola della paura era predominante e di quella Eris si stava appropriando per modificarlo col suo pennello magico. Non sembrava esserci niente di strano, fino a quando il pennello non fece scintilla contro qualcosa dal rumore e consistenza ferrosa. Gli occhi di Eris si erano concentrati su quel minuscolo punto, scovando solo con molta fatica il globo nerastro dalla consistenza viscida e la forma instabile. Si agitava e si dimenava, come se avesse voluto liberarsi di una catena che lo imbrigliava e contro proprio quella catena il pennello di Eris si era scontrato creando una scintilla. Il ricordo terminava poco dopo, con Priscilla che sospirava più lentamente e stava molto meglio e Athena ne uscì, riaprendo gli occhi.
«Che cos'era?» chiese Ebe, curiosa.
«Cos'hai visto, Athena?» chiese Ares ma lei non diede una risposta repentina.
«Che strano» mormorò, evocando uno dei suoi libri magici e cominciando a sfogliarlo rapidamente. Lesse per qualche interminabile secondo, cambiando libro, cambiando pagina e mormorando pensierosa man mano che trovava informazioni. Infine sussurrò: «Nirvana».
«Nirvana?» mormorò Zeus che aveva altre volte sentito quel nome.
«Non ho idea di come sia finito dentro di lei, ma sono certa che sia lei. La magia Nirvana. Ne è macchiata» disse e tornò a leggere i suoi libri e mormorare tra sé e sé, intenta a riflettere e calcolare strane percentuali. «Potrebbe...» disse dopo un po'. «Se Eris....» continuò e tornò a borbottare. «Sì... potrebbe.... potrebbe funzionare» annuì e infine sollevando la testa con solennità sorrise.
«Ho un piano, ascoltatemi tutti molto attentamente».


Era da poco mattino ma già tutti i rumori del giorno avevano cominciato a farsi sentire. Il fruscio delle foglie, il canto degli uccelli, il rumore delle cicale, il ronzio delle api. Immerso in un silenzio soprannaturale, sembrava di trovarsi in un Eden prezioso e curato. A rompere quella religiosità furono le voci dei gemelli, Apollo e Artemide, che ridendo aprirono la porta della camera dove dormivano Priscilla e i suoi compagni. Data l'ora, stavano ancora tutti dormendo, tranne Priscilla stessa che seduta sul letto, con il lenzuolo sulle ginocchia, guardava la luce del sole fuori dalla finestra. Con ogni probabilità non aveva dormito per tutta la notte e quello spiegava il suo essere mattiniera e già assorta nei propri pensieri. Ares comparve poco dopo alle spalle dei due bambini e chinandosi su di loro, con un sorriso divertito, si portò l'indice alla punta del naso suggerendo ai due di fare silenzio. I bambini annuirono e camminando goffamente si avvicinarono alla ragazza in punta di piedi, che li osservava ora curiosa e divertita dalla loro ingenua semplicità. Ma non appena arrivarono ai piedi del suo letto ci saltarono sopra e ripresero a parlare a voce alta, dimenticandosi probabilmente il motivo di far silenzio.
«Andiamo al laghetto, Onee-san» disse Apollo.
«La mattina ci sono tanti animali carini, vieni a vederli?» disse Artemide rimbalzando sul morbido materasso con euforia. Ares si avvicinò ai due sospirando affranto, per poi afferrarli entrambi per la testa e fermare i loro movimenti agitati che facevano cigolare il letto. «Cosa esattamente non avete capito di "fate piano e non svegliateli?"» brontolò in un sussurro.
«Abbiamo fatto piano» bofonchiò Artemide confusa, non comprendendo il suo errore.
«Onee-san era già sveglia» cercò di giustificare Apollo ma a rispondergli non fu più Ares, quanto Laxus nel letto a fianco che bofonchiò irritato per la sveglia poco garbata.
«Laxus-sama si è svegliato!» esclamò Artemide, felice di vederlo aprire gli occhi.
«Dike ha preparato per tutti una bella colazione, ha detto di raggiungerla alla sala grande quando vi sarete svegliati» disse Apollo.
«Dike fa sempre tante cose» sorrise Artemide.
«Quanto chiasso» mormorò Laxus, grattandosi la testa ancora assonnato.
«Perdonali, sono bambini rumorosi» disse Ares in un sorriso imbarazzato.
«L'ho notato» commentò Laxus, lasciandosi andare a uno sbadiglio.
«Onee-san, allora vieni con noi?!» insisté Apollo.
«Ares ha detto che ci insegna a pescare!» disse Artemide e Ares, alzando le spalle, ammise: «Ci tenevano».
Priscilla si strinse timidamente nelle ginocchia e sorrise, intenerita dai due piccoli casinisti della gilda. «Va bene» disse infine. «Datemi solo cinque minuti per cambiarmi».
«Ricordati poi che dobbiamo ripartire» le disse Laxus, alzandosi dal letto. Camminò pigro verso il bagno, continuando a grattarsi e stendere i muscoli, impegnato a svegliare anche il resto del corpo oltre che la testa.
«Te la riporto indietro in tempo, sta' tranquillo Mr Tuono» sorrise Ares, divertito, facendo ancora una volta scattare per qualche motivo i nervi a Laxus.
«Forza, fuori di qua! Diamo tempo a Onee-san di cambiarsi» disse poi ai due bambini, spingendoli verso la porta. Priscilla esitò qualche minuto, continuando a fissare la porta da cui erano usciti pensierosa. Aveva qualcosa nel petto, una forte angoscia che non voleva lasciarla in pace fin dal giorno prima se non fosse che solo nella sera si era attenuata grazie all'intervento di Eris. Quelle persone sarebbero morte... Ares, Athena, Eris, Dioniso e Hermes e persino i due piccoli gemelli. Poteva veramente una come lei riuscire a salvarli? A quale prezzo?
Si alzò dal letto e cominciò a cambiarsi, mentre lentamente anche Evergreen e Fried si svegliavano. Non appena Laxus uscì dal bagno ci entrò lei, concludendo la preparazione e infine uscì dalla stanza che i suoi compagni, chi più o meno sbadigliante, si stava alzando.
«Vado a fare una passeggiata» comunicò. «Hanno detto che Dike vi ha preparato la colazione, potete raggiungerla nella sala comune» spiegò e infine uscì, correndo verso l'esterno della struttura. I due gemelli stavano giocando a rincorrersi, sotto lo sguardo vigile e attento di Ares che ogni tanto veniva usato come albero per arrampicarsi e saltare.
«Ecco Priscilla!» urlarono quando la videro arrivare.
«Sei pronta?» chiese Ares, avvicinandosi e lei annuì.
«Non staremo via molto, vero?» chiese, preoccupandosi di non far aspettare troppo i suoi compagni.
«Tranquilla, torneremo in tempo» sorrise lui e cominciò a incamminarsi, dietro ai gemelli che per l'emozione avevano invece iniziato a correre. «Allora...» sospirò, dopo qualche secondo, cercando probabilmente la forza e il coraggio di formulare quella fatidica domanda: «Hai deciso che te ne andrai?»
«Mi dispiace» confessò lei, abbassando lo sguardo avvilita. «Scoprire di tutti voi non mi ha sicuramente lasciata indifferente, devo ancora riuscire ad accettarlo e rendermene pienamente conto. È qualcosa di talmente incredibile che non riesco a dare un ordine a tutte le emozioni che provo. Ma questo non cambia le cose: io ho una casa. Gente che mi aspetta... persone con cui voglio passare il resto della mia vita».
«Già» mormorò Ares, comprensivo forse anche più di quanto Priscilla si sarebbe aspettata. Un'ombra nei suoi occhi, un dolore inespresso che lasciò uscire in silenzio, mentre guardava con affetto i due bambini che aprivano loro la strada tra gli alberi.
«Zeus mi ha...» cominciò lei, ma Ares la interruppe: «Lo immaginavo» un sorriso avvilito. «Si preoccupa sempre così tanto per noi. Probabilmente sarebbe morto già da un pezzo, in realtà, se non si fosse aggrappato alla forza di darci qualche altro giorno di vita in più».
«Forse potete trovare qualcun'altro che...» azzardò lei, ingenuamente, ma lui ancora chiese interrompendola: «E chi? Chi accetterebbe una simile responsabilità verso dei totali sconosciuti con cui non ha niente da spartire? Chi, che non voglia usarci per qualche scopo personale?»
«Ma anche io sono così, Ares» disse lei. «Cerca di capire, non è facile. Siete una scoperta eccezionale, ma per me non siete che dei totali sconosciuti. Non è la natura, l'origine, la razza o il luogo o il metodo di nascita che fa una famiglia, ma lo sono i sentimenti, i legami che hanno le persone. E i miei si trovano a Fairy Tail, questo è qualcosa che niente potrà cambiare. Lo so che per voi non è facile da comprendere, io stessa l'ho capito solo poco tempo fa. Per tutta la vita non ho fatto che sentirmi sola, ma le persone che avevo intorno a me mi amavano e alla fine sono riuscite a farmi aprire gli occhi. Anche se non sono come loro, io sono una di loro. Capisci?»
«Mi ferisci un po'» confessò lui, prima di abbozzare un sorriso raddolcito. «Ma forse questo è un po' colpa mia. Padre Zeus mi ha parlato così tanto di te che non riesco a vederti come estranea. Prendi le distanze...»
«Non voglio farlo!» rispose lei, con un sorriso determinato. «Non vi lascerò soli, questo ve lo prometto. Magnolia non è molto distante da qui, posso tornare... e vi aiuterò» disse poi, attirando così l'attenzione di Ares. «Non posso accettare di abbandonare la mia famiglia, non posso prendermi la responsabilità delle vostre vite, ma non vi lascerò soli. Conosco delle persone... un'esperta guaritrice e una maga eccezionale nella magia curatrice. Padre Zeus conosce tutti i segreti della magia che ci tiene in vita, insieme a loro sono certa possiamo trovare una soluzione. Sciogliere il collegamento è possibile, io ne sono la dimostrazione, dobbiamo solo trovare il modo. Le porterò qui e ci lavoreremo insieme. Va bene?» sorrise, radiosa, sperando di riuscire a rassicurarlo almeno in parte. E ancora lui esitò, corrucciato, osservandola per infiniti secondi. Infine, riuscì a sospirare e lasciar andare via tutta la tensione. «Sono stato un po' sfacciato, vero?»
«Eh?» mormorò lei, non capendo.
«Mi dispiace. Ho insistito sulla questione, non avrei dovuto. È un mio piccolo difetto, non riesco a controllare la lingua certe volte» confessò con un sorriso imbarazzato.
«Sei preoccupato per la tua famiglia, lo capisco. Sei stato il primo a nascere, in fondo, ti sei sempre preso cura di tutti loro» osservò lei, guardando l'allegria dei gemelli che giocavano a saltare le buche.
«Athena ed Efesto mi aiutano molto, ma alla fine sono io quello che si deve preoccupare di tenere tutti in riga» ridacchiò. «Athena si preoccupa più dell'organizzazione, della parte burocratica e delle regole. È lei che raccoglie le richieste per farci fare qualche lavoro, ogni tanto. Mentre Efesto è troppo pacato e ingenuo, non sai quante volte Dioniso e Hermes si prendono gioco di lui. Però è lui che ha costruito la nostra casa, ha una manualità eccezionale».
«Dioniso e Hermes devono essere quelli che ti danno più pensieri» ridacchiò Priscilla e Ares, alzando gli occhi al cielo sbuffò: «Non sai quanto! Sono due pesti» e Priscilla scoppiò a ridere.
«Essere il fratello maggiore è una bella responsabilità, vero?!» rise, ma lui si fece stranamente silenzioso. Gli occhi scuri ancora puntati ai due bambini, il volto disteso in un intenerito sorriso. «Non mi dispiace» confessò dopo qualche secondo. «Sai, prima che Athena venisse al mondo sono passati due anni. Due infiniti anni di solitudine. Padre Zeus non è mai mancato, mi ha sempre dato tutto quello di cui avevo bisogno, ma ho sempre sentito qualcosa dentro me, una voce, che mi diceva che era tutto sbagliato. Lui mi amava come se fossi un vero figlio, ma certo non si può negare la realtà. Lui dorme, lui mangia, lui... se viene ferito, non guarisce subito. Ti senti un'ombra, in questo mondo equilibrato. È come se ci fosse qualcuno a ricordarti ogni istante della tua vita che tu non dovresti trovarti qui».
«Conosco la sensazione» mormorò Priscilla. «La gente intorno a te non fa che ripeterti quanto sei preziosa, ti ama con tutto quello che ha, ma a te resta sempre quel "sì, ma..." sospeso. Hai visto la cicatrice di Laxus, sul suo occhio?»
«Sì» annuì lui, curioso di sentirla proseguire.
«È stato un incidente di quando era piccolo, i primi tempi che allenava il suo potere di Dragon Slayer. Un potere che ti viene iniettato è ben diverso da uno con cui nasci fin dall'inizio, i primi tempi era instabile ed è stato difficile per lui imparare a controllarlo. Si ferì per sbaglio e restò per almeno un mese per una benda sull'occhio, per aiutare la guarigione. Io al tempo ero piccola e ancora inesperta su molte cose. Sai, mio padre è stato molto diverso dal tuo, non si è mai preso la briga di aiutarmi a capire cosa fossi e come funzionasse il mondo. Quando mi fece nascere mi disse solo che ero in vita per l'unica ragione di occuparmi di Laxus, nella mia testa non c'era altro, neanche ero consapevole di cosa volesse dire essere in vita. Perciò non mi preoccupai della sua ferita all'occhio, nella mia esperienza tutte le ferite si rimarginavano e tutto tornava come nuovo. Quando invece gli tolsero la benda e vidi la cicatrice, quello fu il momento in cui capii di essere diversa. Un segno sulla pelle, un segno che sarebbe rimasto per sempre, a me non succedeva mai, qualsiasi ferita mi venisse inferta, e sapevo che mai sarebbe accaduto. Cominciai chiedermi cosa fosse realmente la vita, cosa fossi realmente io e più avevo le mie risposte più mi sentivo sola perché capivo che nel mondo intero quella che era diversa ero io, non gli altri. Il mondo era armonico, ben costruito, tutto funziona allo stesso modo. La vita e la morte, non cambiano per loro, che siano umani o animali l'essenza della vita è sempre la stessa. Ma non per me. Non per noi».
«Ti senti una distorsione, una macchia» mormorò Ares, consapevole di provare esattamente le stesse cose.
«Quella cicatrice che Laxus si porta in faccia fin da quando era bambino è sempre stata una condanna più per me che per lui. Non faceva... non fa» si corresse. «Non fa che ricordarmi quanto io e lui siamo diversi».
«Vorresti essere come lui?» chiese Ares, non potendo non notare i sentimenti addolorati che avevano accompagnato quella frase.
«È... complicato» confessò lei, lievemente imbarazzata.
«Beh...» sorrise lui, deciso a non indagare oltre per evitare di metterla ancora più a disagio. «Adesso però dovrebbe essere diverso. Con me è stato così. Quando Padre Zeus mi parlò di te ti venni a cercare immediatamente, ammetto anche abbastanza ossessivamente, ma perché avevo disperato bisogno di trovare un'identità. Smettere di sentirmi solo, smettere di sentirmi quella macchia, ma non ti trovai. Padre Zeus lesse la tristezza e la solitudine dentro me, per questo diede vita ai miei fratelli. Questo ha messo a repentaglio la sua vita, gliel'ha accorciata, forse puoi pensare che sia stato uno sconsiderato ma in verità lo faceva perché ci amava e non sopportava di vedere la tristezza dentro noi. Ci ha dato una famiglia e ti assicuro che nessuno meglio di noi può capire come ti senti e ti sei sentita per tutto questo tempo. Anche se vorrai tornare a Fairy Tail... potrai tornare tutte le volte che vorrai. Siamo vicini, possiamo comprenderci, confortarci e per quanto tu possa amare gli umani che hai accanto lo sai anche tu che non potranno mai comprenderti fino in fondo, a differenza di noi. Perché siamo uguali».
«Voi siete come me» mormorò lei, lasciandosi sfuggire un sorriso emozionato. Più volte nella vita si era ritrovata a chiedersi se mai avesse trovato un posto adatto a lei, un posto dove incastrarsi perfettamente. Si era da sempre sentita come un pezzo di puzzle ma di una scatola diversa, si incastrava in qualche modo al posto a lei assegnato ma non apparteneva a quel disegno. La sua realtà era un'altra, da qualche parte. Forse al tempo si era legata tanto a Mistgun perché in qualche modo condividevano quella sorte: vivevano in quel mondo, appartenevano a quella famiglia, ma erano di una realtà ben diversa da quella. Così diversi...
E ora lei aveva trovato la sua Edoras.
«Onee-san!» gridarono Apollo e Artemide da più avanti. «Siamo arrivati, vieni!» dissero prima di correre via, lasciando il sentiero. Si tuffarono tra le siepi alla loro destra e sparirono tra la vegetazione abbastanza fitta in quel particolare punto del bosco.
«Eccomi!» disse lei, accelerando il passo e preparandosi a seguirli, ma la mano di Ares la fermò istintivamente, prendendole una spalla e lasciandosi sfuggire un preoccupato: «Priscilla...»
«Sì?» chiese lei, curiosa di sentirlo improvvisamente così turbato. Ma lui, dopo qualche istante di esitazione, tornò poi a rilassarsi e la lasciò andare. Negò con la testa, abbozzando un sorriso. «Niente» disse. «Solo... quei cespugli hanno le spine, fai attenzione» e camminò, mettendosi davanti a lei.
«Ares» chiamò lei, dolcemente, mentre si infilava tra la vegetazione alle sue spalle. «Chiamami Pricchan, per favore» sorrise dolcemente ma il volto di Ares ora sembrò improvvisamente così duro, così serio.
«Non credo che lo farò» disse severo, stranamente severo.
«Cosa...?» mormorò lei, confusa non solo da quell'improvviso cambiamento ma anche da una strana sensazione che le prese subito alla testa. Girava, tutto cominciò a girare vorticosamente, sempre di più, tanto che stare in piedi divenne difficoltoso. Perse improvvisamente il contatto col resto del suo corpo, che si accasciò disarticolato, fuori dal suo controllo e inutile fu provare ad alzare una mano verso l'uomo al suo fianco. Provò a chiamarlo, ora terrorizzata, ma persino la sua lingua e la bocca non rispondeva ai comandi che gli dava e non riuscì a pronunciare nemmeno una sillaba.
«Pricchan è il soprannome che ti hanno dato loro» disse Ares, guardandola a terra senza nessuna preoccupazione. «Non ti appartiene. Non sei come loro, perciò non ti chiamerò nel modo che loro desiderano. Tu sei Priscilla e basta».
«Onee-san!» esclamò Apollo, saltellando allegro fino a mettersi sopra di lei e guardarla in viso. «Adesso resterai sempre con noi!»
«Giocheremo insieme per sempre, Onee-san!» disse Artemide, altrettanto allegra. Per quanto fossero innocenti parole di bambini, furono la cosa più spaventosa che sentì quel giorno. Per sempre... l'avrebbero tenuta con loro per sempre. Quanto poteva essere lungo un per sempre? Lei lo sapeva bene, supplicava sempre Laxus di trascorrere con lei quell'enorme lasso di tempo. Insieme per sempre... quanto poteva essere terrificante.
«Ben fatto, Dioniso» la voce di Afrodite la portò a spostare gli occhi nella sua direzione. Camminava delicata e bellissima come sempre, accompagnata da Eris e Persefone. Pochi passi da loro, Dioniso era accucciato a terra, sghignazzante e divertito si dondolava sui talloni.
«Tu che ci fai qui?» chiese Eris, guardando Ares. «Athena ti aveva detto di restare alla gilda» e lui semplicemente sghignazzò divertito, mentre a rispondere fu Afrodite: «Voleva far ingelosire il biondino, di nuovo. Non è ovvio?»
«Athena si arrabbierà molto» sussurrò Persefone, nascondendo il viso tra le maniche del proprio abito bianco.
«Che vuoi che succeda? Il piano sta comunque proseguendo come previsto, no?» si giustificò Ares, alzando le spalle.
«Beh» ghignò Eris, stirandosi le spalle. «Direi che a questo punto tocca a noi».
«Hai visto come si fa, Afrodite?» chiese Dioniso.
«Sì, sì» sventolò una mano lei. «Che scocciatura, è tutta la notte che cerchi di insegnarmi questa magia».
«Cerca di impararla come si deve, piuttosto» la riprese Ares. «Il fulminato ti chiederà sicuramente di usarla e non possiamo rischiare che tu venga scoperta».
«Grande e grosso e poi vomita se sale su un mezzo di trasporto, che schifo» ridacchiò Afrodite, avvicinandosi a Priscilla ancora stesa a terra, incapace di muoversi. Le posò la punta del dito su una tempia e lasciva lo fece scorrere lungo tutto il perimetro del volto, guardandola con sguardo sensuale. «Non preoccuparti» le sussurrò. «Il tuo centro dell'equilibrio sarà ripristinato da Dioniso non appena sarai pronta. Nel frattempo mi occuperò io del tuo prezioso uomo» staccò la punta del dito dal suo mento non appena terminata la frase e in quel preciso istante la sua immagine divenne confusa e sfocata. Durò solo pochi istanti, prima che potesse tornare a essere ben visibile ma a quel punto non aveva più le sue sembianze. Capelli neri, lunghi, legati in una disordinata treccia, occhi azzurri, aspetto grazioso e minuto. Quella che Priscilla aveva davanti ai suoi occhi era una perfetta immagine di sé stessa, identica persino nei più piccoli particolari. Roteò su se stessa, alzando le braccia, e disse con la stessa voce di Priscilla: «Come sto?»
«Cerca di tirartela meno o ti scopriranno al primo cenno» la rimproverò Eris e Afrodite sbuffò un: «Tranquilla, sono un'ottima attrice, lo sai».
«Adesso camufferò anche la tua anima» disse Persefone con un filo di voce, avvicinandosi ad Afrodite e direzionando a lei un incantesimo.
«Il tizio che può manipolare le anime è una vera rottura, è una fortuna che abbiamo Persefone dalla nostra» disse Eris.
«Sarebbe stato in realtà molto più semplice se non ci fosse stata la donna con loro. Mi sarebbe bastato usare la magia Charme e quei tre stupidi sarebbero caduti sotto al mio controllo» disse Afrodite lasciando che Persefone ultimasse il suo incantesimo che avrebbe reso anche la sua anima simile a quella di Priscilla, così che nemmeno Bickslow avrebbe potuto scoprirla. «Nessun uomo può resistermi» aggiunse poi con un occhiolino.
«Quanto mi dai sui nervi» le disse Eris, lasciandosi sfuggire uno sbuffo infastidito.
«Ricordati» le disse Ares. «La magia per l'equilibrio sul fulminato per fargli passare la nausea, così non avranno sospetti, e cerca di esporti il meno possibile. Almeno fino a quando non arriveremo anche noi».
«Non appena sarai alla gilda va' a cercare il vecchiaccio» le disse Eris. «Athena dice che deve essere il primo ad essere eliminato, approfitta della fiducia che ha verso di lei».
«Superato l'ostacolo del master, il resto dovrebbe essere un gioco da ragazzi» disse Ares e i suoi occhi tornarono a diventare rossi, non appena ghignando aggiunse: «Però lasciate il fulminato a me».
«Non avevo dubbi» sospirò Eris, arrendevole.
Apollo saltellò vicino ad Afrodite e allungando le mani le porse una minuscola boccetta con all'interno un liquido dal color amaranto. «Apollo ha preparato il veleno per te!» disse felice e Afrodite gli diede una carezza sulla testa, mentre la prendeva.
«Diventi ogni giorno più bravo, tesoruccio» gli disse e lui luminoso esclamò: «Vero!»
«Anche Afrodite è sempre più brava! Ucciderà più esseri umani di te, vedrai!» disse la bambina, gelosa delle attenzioni che Afrodite dava solo ad Apollo. Afrodite aprì bocca, pronta a consolare anche la bambina, ma la sua attenzione venne attirata invece da alcuni lamenti che provenivano da Priscilla. Tremava, tremava come una foglia, anche se immobile e incapace di muovere un solo muscolo. Il volto ora bagnato di lacrime, guardava le persone intorno a sé con gli occhi terrorizzati. A labbra socchiuse, provava a parlare, ma solo lamenti uscivano dalla sua gola.
"Non riesco nemmeno a usare la magia" realizzò sempre più in preda al panico. Né il suo corpo né la sua mente riuscivano a rispondere ai suoi comandi, completamente disconnessa dal suo corpo e dalle sue capacità. Poteva solo osservare, passiva, quell'assurda e terrificante scena.
«Eris...» disse Ares, voltando le spalle alla ragazza a terra. «Cerca di fare in fretta».
«Non ti starai lasciando impietosire da lei!» lo rimproverò Eris, guardandolo mentre si allontanava.
«È pur sempre nostra sorella» rispose Ares, semplicemente, e insieme ai gemelli uscì infine dalla vegetazione tornando sul viale. Afrodite, ora perfetta nell'interpretazione di Priscilla, lo seguì pronta a tornare indietro, verso la gilda, insieme a loro.
«Va bene» sospirò Eris, avvicinandosi a Priscilla a terra. Si sgranchì le dita e il collo, prima di evocare dal nulla un pennello magico. «Vediamo se riesco a prendere possesso di questo tuo Nirvana. Vedrai, diventerai completamente nera come la pece. Il mio colore preferito» ridacchiò e Priscilla sibilò ancora più terrorizzata, mentre lei con un ghigno aggiungeva un inquietante: «Onee-san».

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