Il mio compito

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Nelle profondità della foresta, la gilda oscura che aveva in ostaggio suo padre usava una particolare magia per celare la propria presenza agli occhi degli estranei, ma Athena era finalmente riuscita a scoprire come aprire un varco e aveva comunicato l'informazione ad Eris proprio quella mattina. Incastrata nel fianco di una montagna aveva persino una cascata che arrivava sopra il suo tetto spiovente. Un'architettura ad hoc permetteva all'acqua della cascata di scivolare sui due fianchi del tetto e formare su entrambi i lati un fiume che prendevano poi direzioni diverse. L'ingresso in roccia era decorato da statue macabre e gargoyle, ma oltre a quello non si vedeva altro. Lo spirito di Persefone che li accompagnava si era già intrufolato al suo interno la sera prima, ne aveva studiato la pianta e aveva riferito tutto ai quattro che ora, nascosti tra gli alberi, osservavano la struttura.
«Un solo ingresso. Non c'è altro modo per entrare o uscire, bisogna passare da lì» spiegò Ares.
«Persefone dice che l'interno è come un labirinto, ma può condurci fino alla prigione di Ivan» disse Eris.
«Se avessi il Mirage non ci sarebbero problemi» sospirò Priscilla ma Ares l'ammonì con un repentino: «Non ci pensare. Non ne avremo lo stesso di problemi. Ci apriremo la strada e arriveremo da tuo padre buttando giù i muri».
«Non ci sono altre vie se non quella del combattimento» annuì Eris.
«Ma è un'intera gilda» sussultò Priscilla, ma Ares ancora l'ammutolì sorridendole incoraggiante e poggiandole una mano sulla testa.
«Cerchiamo di spingere loro a uscire, se entriamo potranno giocare in casa e sarà più difficile» continuò Ares, dando direttive. «Io e Ebe faremo un po' di macello qua fuori, Eris tu porta Priscilla all'interno. Non perderla, mi raccomando».
«Credi potrei farlo?» chiese infastidita Eris, facendo scoppiare la bolla di una gomma da masticare. «Restami dietro, Onee-san».
«Va bene» mormorò Priscilla, sentendosi salire i sensi di colpa per non essere che un peso. Se solo avesse avuto della magia a cui attingere...
«Aspettiamo il segnale di Persefone» disse infine Ares, restando nascosto tra gli alberi. «Ares» una voce familiare prima che da un'ombra potesse alzarsi debole e minuscolo un piccolo spirito dal colorito pallido e la vaga sembianze di Athena. «Fate attenzione, c'è qualcosa di strano in questo posto» avvertì.
«Una risonanza magica, o qualcosa del genere» mormorò Ares, pensieroso.
«L'hai sentito anche tu?» chiese lo spirito dalle sembianze di Athena e lui annuì.
«Per qualche motivo questo posto è pregno di magia» disse. «Forse è l'effetto di alcuni suoi membri».
«In ogni caso fate attenzione» asserì Athena.
«Non preoccuparti. Questo giova anche a noi, mi sento il sangue ribollire nelle vene» sogghignò e i muscoli si gonfiarono appena, mentre i suoi occhi si coloravano di rosso. Il segnale che la sua magia stava venendo rilasciata e in lui ribolliva il desiderio di combattere.
«Andiamo a fare un po' di casino» sorrise Ebe e non appena vide un altro degli spiriti di Persefone sbucare da una delle finestre, saltò allo scoperto. Si tirò via un bastone dalla cintura che con un colpo secco si aprì in un lungo bastone. Urlò e attirò l'attenzione dei loro avversari, mentre anche Ares la raggiungeva. Quest'ultimo tirò un potente pugno al suolo e l'intera zona cigolò e tremò, una crepa si formò addirittura sul fianco della montagna.
«Vieni» disse Eris a Priscilla, cominciando a fare strada. Aggirò tutta la zona esterna e restando nascoste tra gli alberi arrivarono vicino all'ingresso, mentre Ares ed Ebe avevano cominciato a combattere i primi membri della gilda in quel cortile. Indipendentemente dalla magia che i loro avversari dimostravano di avere, indipendentemente dalla loro forza, i pugni di Ares avevano sempre la meglio e facevano a pezzi ogni cosa si trovasse di fronte. Ebe era agile come un gatto, saltava e correva, combatteva anche lei corpo e corpo ma a differenza di Ares usava il suo bastone con una particolare e studiata tecnica di combattimento con l'arma. Solo talvolta, quando era alle strette, usava la propria magia sui suoi avversari. Una magia in grado di manipolare le età di chi aveva di fronte, rendeva perciò anziani e impossibilitati a muoversi alcuni o bambini talmente piccoli da non essere nemmeno in grado di gattonare. Poteva usare questa sua magia solo su un numero limitato di persone contemporaneamente, non appena le lasciava andare queste tornavano normali, per questo aveva a lungo studiato il combattimento col bastone e si era allenata ogni giorno insieme ad Ares per migliorare le sue capacità fisiche più che quelle magiche. Approfittando del trambusto, Eris e Priscilla riuscirono ad entrare senza essere notate. Lo spettro di Persefone comparve al loro fianco e cominciò a volare, rapido, facendo loro da guida lungo gli infiniti e ingarbugliati corridoi. La gilda oscura che si trovava in quel posto aveva creato la propria sede scavando nella roccia della montagna i corridoi e le stanze, per questo tutto sembrava uguale. Roccia e pietra, non c'era altro se non qualche fuoco sparso qua e là per illuminare la strada. Incontrarono una serie di adepti, ma Eris riuscì a sbarazzarsene rapidamente con un colpo della sua spada, indomita e incontrollabile. Quando arrivavano in tanti era anche più semplice: con la sua magia ne rivoltava contro ai propri alleati almeno una metà e questo permetteva loro di proseguire senza intralcio lasciandosi alle spalle uno scontro tra compagni.
«Nonostante ci troviamo nel cuore della montagna l'aria è comunque buona» commentò Eris, scendendo lungo una rampa di scale che portava a un livello inferiore. «Forse è grazie alla magia di questo posto. Ne è pregno».
«Ho l'impressione che nascondano qualcosa» mormorò Priscilla, seguendo la compagna.
«Anche io» annuì Eris. «Ma per il momento concentriamoci solo sul trovare tuo padre».
Un colpo esplose improvvisamente alle spalle di Priscilla e nel venir scaraventata in avanti colpì Eris. Entrambe finirono di percorrere le scale rotolando per il resto del tragitto, fino a quando non si fermarono all'interno di una stanza. Mugolando Priscilla tentò di rialzarsi ed Eris le arrivò a fianco immediatamente, chiedendole preoccupata: «Stai bene?»
«Sì» mormorò, riuscendo a rimettersi in piedi. «Cos'è stato?»
Si guardò attorno e non vide davanti a sé niente se non una piccola stanza vuota, oltre il quale proseguiva uno stretto corridoio. Proprio davanti a quel corridoio, un imponente uomo lo occupava quasi totalmente, e a braccia conserte guardava le due donne che aveva di fronte.
«Avete superato la barriera magica, è notevole» una voce alle loro spalle e si voltarono entrambe, allarmate, vedendo arrivare un altro uomo dall'aspetto uguale a quello che avevano davanti. Il primo bloccava loro il proseguimento, il secondo chiudeva la via d'uscita. Le avevano messe in trappola.
«E messo in difficoltà la maggior parte dei nostri compagni, nonostante siate solo in quattro» disse il primo.
«Ma non sperate di ottenere la fonte magica, non siamo diventati Master mica per niente» disse il secondo, sghignazzando.
"Fonte magica?"si ritrovò a pensare Priscilla, dubbiosa. C'era sicuramente qualcosa di strano in tutto quello, ormai ne aveva la certezza: quelle persone nascondevano qualcosa e tutta la magia che aleggiava in quel posto ne era la prova lampante.
«Master? Siete entrambi Master?» chiese Eris, mettendosi davanti a Priscilla.
«I gemelli assassini» sghignazzò il primo. «È così che ci chiamano».
«Che carini» sogghignò Eris, per niente turbata. Alzò una mano contro il primo uomo, di fronte al corridoio, e un cerchio magico si disegnò per aria proprio davanti ai suoi occhi. Sorrideva, già divertita all'idea di vederli combattere tra di loro, ma la sua espressione si deturpò all'istante. Qualcosa andò storto, un fascio di luce nacque dal secondo gemello, quello di fronte alle scale che si erano lasciate alle spalle. Venne sparato contro di loro, ma per fortuna Eris fu abbastanza pronta di riflessi. Afferrò Priscilla alle sue spalle e se la tirò dietro, lanciandosi da un lato per evitare il colpo che a mezz'aria esplose. Coprì Priscilla col proprio corpo, ferendosi alle braccia con delle escoriazioni, ma non furono che ferite superficiali.
«Eris!» esclamò Priscilla, preoccupata.
«Sto bene» digrignò i denti lei, fissando i due uomini che aveva di fronte. Una luce azzurrognola aveva cominciato a illuminare le sue ferite e presto queste presero a rigenerarsi, con velocità anche maggiore del solito.
«Che bizzarria...» mormorò il primo uomo.
«Magia della rigenerazione» osservò il secondo, ma poi si corresse con: «No, è qualcos'altro...» ma non riuscì a comprenderlo.
«Hanno dissolto il tuo incantesimo?» chiese Priscilla, guardando i due con preoccupazione.
«E hanno usato la sua energia per colpirci» confermò Eris.
«Quel fascio di luce che ci ha quasi colpiti era la tua magia?» sgranò gli occhi Priscilla.
«Già» si rialzò Eris. «Questo rende le cose complicate» e fece roteare la sua spada sopra la testa. Se non poteva combattere con la magia non le restava che il corpo a corpo, in cui comunque era una delle migliori potendosi allenare ogni giorno insieme ad Ares ed Ebe.
Il primo uomo, di fronte al corridoio, cominciò a mutare d'aspetto e si trasformò. La pelle si smosse, le braccia si mossero in maniera innaturale e dopo qualche grugnito e qualche fascio di luce prese le sembianze di un vero e proprio mostro.
«Un Take Over» riconobbe Priscilla, che di quella magia era ormai esperta avendo vissuto a lungo con Elfman e le sue sorelle.
«Un gemello esperto nella difesa magica, un altro nell'offensiva fisica» sorrise Eris, cominciando a sentire l'eccitazione ribollirle sotto la pelle. «Sarà divertente».
Priscilla, dietro di lei, strinse le dita e le serrò in un pugno. La mascella contratta, i muscoli tesi, tentò nuovamente di fare ciò che in due settimane non era riuscita. Per quanto si disperasse, per quanto si sforzasse, nemmeno un flebile spiffero nasceva sotto al proprio comando. E anche in quella disperata situazione, dove sentiva di essere un peso troppo grande, non trovò nessun modo per poter aiutare la propria compagna in quel complicato combattimento se non starsene in disparte.
«Onee-san» chiamò Eris a bassa voce, piegandosi e preparandosi a saltare addosso ai due. «Li tengo impegnati».
«Cosa?!» sussultò Priscilla, sbiancando all'idea di doverla lasciare sola.
«Non appena si aprirà un varco, corri. Ti copro» e saltò, con la spada pronta a colpire.
«Aspetta, Eris!» provò a chiamarla ancora, ma fu tutto inutile. Persino la sua caparbietà vacillò, ben consapevole che non poteva esserci altro modo. Lei, lì, era solo d'intralcio. Guardò la ragazza di fronte a sé menar fendenti prima a uno, poi all'altro gemello, cercando di gestirli entrambi con non poca difficoltà, per quanto fosse una delle migliori combattenti che esistessero al mondo.
«Onee-san» il mormorio di Persefone, all'interno di uno dei suoi spettri. Al suo fianco, alto appena pochi centimetri per non farsi notare, cercò di dar lei la fretta adeguata ad ascoltare il consiglio di Eris.
«Vaffanculo» sputò Priscilla, al culmine della furia. Quanto odiava quella condizione, quanto odiava non poter fare niente e sentirsi di troppo. La vicinanza di suo padre non aiutava poi la denigrante voce che nei suoi ricordi le ricordava: "sei inutile".
Si alzò di colpo e infine corse via, proseguendo lungo il corridoio che ora si era liberato. Eris, impegnata a combattere, ebbe appena il tempo di intravederla e sorrise soddisfatta, decisa ora a dar sfogo a tutta la sua forza.
A testa bassa, con tutta la rabbia e la disperazione che Priscilla ormai si portava in corpo, corse a perdifiato verso la fine del tunnel. Inciampò, frenetica e non abituata a usare troppo i piedi, ma si rialzò e tornò a correre, ignorando il bruciore sui palmi delle mani ad indicare le escoriazioni che si era appena fatta. Infine, lo trovò.
Chiuso in una cella tanto umida da gocciolare acqua da una parete, con i vestiti stracciati, era appeso a un paio di manette per il blocco della magia. Ciondolava dal soffitto come un animale in una macelleria ma forse non fu solo quell'orrenda visione a dar a Priscilla le palpitazioni. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che l'aveva incrociato?
Che tipo di ricordi provocava in lei riaverlo di fronte?
Dolore, paura, ma anche felicità... la felicità di quando ai Giochi della magia aveva scoperto che Laxus l'aveva liberata. E il dolore per un passato orrendo si mescolò alla malinconia che la tormentava da giorni. Tremò, tremò come mai aveva fatto prima, e si ritrovò incapace di muoversi.
Ivan si mosse lentamente, alzò appena la testa, giusto il necessario per puntare un occhio alla figura che aveva davanti, oltre le sbarre della sua cella. Le ciglia increspate di sangue, le iridi opache, riusciva a malapena a riconoscere i lineamenti di una figura femminile, senza metterla a fuoco. Si prese qualche secondo, per capire chi fosse, poi sghignazzò e riabbassò la testa.
«Sapevo che in punto di morte ti avrei rivista» gracchiò.
"Cosa?" sussultò Priscilla, terrorizzata all'idea che l'avesse ancora una volta controllata, in qualche modo, per portarla lì.
«Ieri ho visto anche Laxus» aggiunse poi, e Priscilla inarcò le sopracciglia. «E quell'idiota di mio padre» ridacchiò ancora e furono queste due ultime frasi a far capire cosa stesse accadendo.
«Crede che tu sia un'allucinazione» sussurrò Persefone, dando ragione così ai suoi sospetti. La paura di Priscilla cominciò a dissiparsi, man mano che metteva a fuoco la realtà. Lui non poteva più niente, non poteva farle del male, non ne aveva più il potere. E quella bestiale figura che aveva per anni tormentato i suoi peggiori incubi ora si rivelava essere un semplice ometto scarno, senza dignità.
«Ve ne state sempre tutti lì, a fissarmi in silenzio con la vostra aria commiserevole. Come se vi aspettaste che io possa dirvi qualcosa» ridacchiò ancora, tanto forte che la gola secca raspò e gli causò dei colpi di tosse. «È giusto che proprio tu fossi l'ultima, a darmi il colpo di grazia».
«Come sei finito qui dentro?» mormorò Priscilla, facendo coraggiosamente un passo in avanti. Non smetteva di tremare, ma pian piano sentiva la paura e la rabbia che lasciavano spazio alla commiserazione, alla pietà... alla vergogna. Proprio lui, che ora credeva di parlare ai fantasmi, era stato il suo incubo peggiore? Era così debole, così ridicolo. Così solo.
«Ah... allora tu parli, a differenza loro. Devo essere già con un piede nella fossa» rise, divertito.
«Perché non ti limiti a rispondere alla mia domanda?» chiese ancora Priscilla, riuscendo piano piano a prendere il controllo della situazione.
«Mi porterai a ripercorrere il mio passato?» chiese Ivan ancora immobile, senza aprire gli occhi. «Ad... ammettere le mie colpe? A confessare e pentirmi dei miei peccati?» ringhiò sempre più forte, ma non colmo di rabbia, quanto più di follia.
«È questo che vuoi?! Portarmi a redimermi... guardami» sghignazzò ancora. «Da quando ho lasciato Fairy Tail è andato tutto in declino, e ora guardami. Destinato a morire solo, logorato dai miei tormenti, compatito dalle mie stesse vittime, assillato da delle allucinazioni che per qualche motivo cercano di farmi redimere, come se dopo tutto quello che è successo ci fosse ancora speranza... per uno come me». Prese un paio di profonde boccate d'aria, abbandonandosi a se stesso, prima di mormorare affranto: «Lasciami in pace. Accetterò volentieri le pene dell'inferno».
Il rumore metallico di una chiave che girava in una serratura lo fece sussultare. Mentre parlava Priscilla si era allungata sulla parete, a prendere le chiavi, e aveva infine aperto la sua cella entrandoci. Si avvicinò a lui, trovando persino il coraggio di guardarlo negli occhi.
«Le allucinazioni nascono dalla tua testa. Se ti chiedono di redimerti forse è perché in realtà è ciò che vuoi tu» si allungò, alzandosi sulla punta dei piedi, e aprì anche le manette che lo tenevano bloccato al soffitto. Non appena fu libero, Ivan cadde a terra, talmente esausto e mal ridotto da non riuscire a reggersi in piedi, ma Priscilla si piegò e si allungò appena in tempo. Lo fece appoggiare alla propria spalla e lo sorresse. «Se redimerti invece non è ciò che vuoi fare, allora forse quelle allucinazioni sono apparse perché eri tu ad avere qualcosa da dire a loro, prima di morire» un sorriso compassionevole, ma questa volta non verso di lui ma verso se stessa. Con una voce addolorata, infine, rifletté: «Hai visto Laxus e hai visto il nonno. Sono stata l'unica che non è comparsa, eh?»
Che fosse per chiedere perdono o per dir loro qualcosa, in punto di morte Ivan aveva visto suo padre e suo figlio... ma non lei. La sua creazione, la sua bambina di carta, continuava ad essere qualcosa di tanto estraneo ed insignificante da non avere l'onore di comparire a fianco della sua famiglia. Non che il suo amore fosse qualcosa che avesse mai sentito di desiderare, tra loro non c'era mai stato altro che odio, ma nel profondo, forse... chissà...
Era stato lui alla fine che l'aveva messa al mondo.
Le tornò in mente l'Ivan di Edoras, quel tempo che aveva vissuto con loro quando era rimasta intrappolata in quel mondo.
"Sei pur sempre mia figlia".
Erano così diversi. Aveva già imparato ad accettarlo, anche se ogni tanto tornava a fare male.
«Tu... sei...» mormorò Ivan, spalancando gli occhi, rendendosi conto grazie a quel contatto che ciò che aveva davanti non era un'allucinazione. Lei era reale, ed era veramente lì per salvarlo?
«Una come me non merita di essere considerata un membro della famiglia... non è così?» un singhiozzo la scosse, ma nonostante il dolore al petto l'avesse nuovamente portata a versare lacrime, riuscì a restare ferma e possente in tutto il suo orgoglio. Tirò su col naso e si asciugò rapidamente con il polso, mentre Ivan appoggiato a lei restava in silenzio e inerme. «Sei pesante» gli disse, lasciando che quella semplice frase la riportasse alla realtà. Non era certo il momento di farsi prendere dal dolore per non aver mai avuto un padre amorevole, non dentro quella cella mentre i suoi amici fuori combattevano per lei. «Sistemati meglio, aiutami. Ti porto fuori di qua».
Lo raddrizzò e se lo portò vicino al fianco. Prese il suo braccio, si infilò sotto alla sua ascella e riuscì così meglio a distribuire il peso. Per quel poco che riusciva, Ivan poggiò i piedi a terra e tentò di camminare, aiutandola. Uscirono dalla cella e lentamente barcollarono, percorrendo all'indietro quegli stessi corridoi che Priscilla aveva inizialmente fatto per raggiungerlo.
«Non hai la tua magia» gracchiò Ivan che nonostante stesse dando una mano come poteva, restava a testa china. Sembrava quasi svenuto.
«Hai colto subito nel segno, eh?» ridacchiò nervosa.
«Ti stai affaticando quando potresti volare e le ferite sulle tue mani non guariscono» osservò lui.
«Prima sono caduta» spiegò brevemente, prima che Ivan potesse dire: «Non posso dartene dell'altra. Non in queste condizioni».
«Perché lo faresti?» chiese lei, provocatoria, conoscendo già la risposta. Aveva desiderato vederla morire talmente tante volte che era difficile pensare che se avesse avuto la possibilità l'avrebbe aiutata. Era quel genere di persona che se l'avesse vista andare a fuoco e lui avesse avuto un bicchier d'acqua, se lo sarebbe bevuto e poi si sarebbe goduto lo spettacolo.
«Cosa sei venuta a fare, allora?» mormorò, confuso, e lei esitò un po' prima di chiedere, decisa a farlo prima che morisse -cosa che sembrava avesse potuto fare da un momento a un altro-: «Perché sono in vita, se non ho più magia?»
«Forse perché non è la verità» rispose lui semplicemente. «Speravi ti dicessi che in realtà sei umana? Che era tutta una farsa e non è vero che ti ho creata?» ridacchiò, ironico, ma ancora tossì.
«No... non è questo» mormorò lei, benché fu difficile convincere persino se stessa.
«Anche se fosse, sei una maga. Per un mago umano la magia è la sua essenza vitale, quando la perde muore. Per questo se sei ancora in vita, qualsiasi tipo di creatura tu sia, è perché hai ancora magia dentro di te».
Sbucarono nuovamente nella stanza dove Priscilla aveva lasciato Eris a combattere contro i Master Gemelli, ma la trovò curiosamente vuota. Un buco sul soffitto saliva per decine di metri e sfociava in altri corridoi, al piano di sopra. Il combattimento doveva essere stato più intenso del previsto, viste le conseguenze, ma chiedersi che fine avessero fatto tutti fu inevitabile, anche se inutile in quel momento. Continuò ad avanzare, salendo le scale e dirigendosi verso l'uscita.
«Questo non risolve i miei problemi» disse, riflettendo sulle parole di Ivan e guardandosi una delle mani che nella caduta aveva riportato graffi.
«Devi averne passate delle belle per essere arrivata a venirmi a cercare» sghignazzò Ivan, trovando ancora ironica tutta quella situazione. «Ora capisco perché non mi hai ucciso con le tue mani, quando mi hai visto appeso là come un salame. Avevi bisogno di me. Ora capisco».
«Forse» disse, celando i suoi reali sentimenti dietro una maschera di indifferenza. «In realtà... sei tu che mi hai donato la vita, che lo voglia o meno. Vedila come uno scambio, ti restituisco il favore. Una volta che ti sarai ripreso andrai per la tua strada e allora non aspettarti che venga ad aiutarti di nuovo, la prossima volta».
Non solo lo salvava, ma ammetteva anche il desiderio di volerlo aiutare a rialzarsi, di curarlo. Per quanto si sforzasse non riusciva proprio a nascondere la sua bontà e forse anche quel latente affetto che provava verso un padre, benché bastardo. Illogico, come quello provato da tutti i figli verso i propri genitori, ma presente.
«Non riesci proprio a non aver pietà dei tuoi carnefici» sghignazzò Ivan, accasciandosi affaticato e costringendo Priscilla a fare più forza per sostenerlo. «Che razza di mostro sei?» le disse.
Un'ombra negli occhi di Priscilla. Centinaia di volte si era sentita chiamare mostro, soprattutto dai suoi avversari, ma sentirlo da lui faceva ancora uno strano effetto. Se persino colui che l'aveva messa al mondo non era in grado di amarla, chi altro avrebbe potuto?
«Questo devi dirmelo tu» mormorò. «Sei tu che mi hai creata».
«Alla faccia di mio padre» sghignazzò Ivan. «Alla faccia di tutti quei discorsi strappalacrime sulla magia che nasce solo dal cuore, dalla vita che nasce solo dall'amore. Quante volte me l'ha ripetuto, quello stupido» e l'ombra della follia accecò i suoi occhi, mentre quello dell'indifferenza oscurava il volto di Priscilla. Più tempo passava con lui più continuava a sentirsi come un oggetto, un ridicolo oggetto, un mostro, una creazione senza meriti. Senza sentimenti. E faceva male, maledettamente male. Preferiva non ascoltarlo e farsi scivolare tutto addosso.
«Io invece sono stato in grado non solo di creare la vita, ma l'amore stesso. Ho creato l'amore... io... una persona pregna d'odio e rancore» e continuò a sghignazzare nella sua follia cieca, appeso a una Priscilla che per il suo benessere mentale si sforzava di non dar peso a quelle parole. Stava solo delirando, a un passo dalla morte, era questo che voleva credere.
«Ho creato l'amore» ripeté trascinato da una delle sue risate. «Ora so perché venivano a trovarmi» e le gambe cedettero del tutto, trascinandosi dietro col proprio peso anche Priscilla.
«Ivan!» chiamò, in ginocchio. «Dai, ci siamo quasi» disse, guardando la luce entrare dall'ingresso. Oltre di esso avrebbero trovato il cortile, si sarebbero riuniti agli altri e Ares sarebbe riuscito a portarlo in braccio per scappare.
«Io non ero in grado di amarli» ansimò e continuò a sghignazzare, con quel poco di voce che aveva. «Io non ero in grado di amarli, per questo ho creato qualcuno che l'avesse fatto al posto mio».
«Stai delirando per la febbre, cerca di rialzarti! Ti faremo curare non appena saremo a casa» disse e forzandosi sulle gambe riuscì a rimettersi in piedi, trascinando il corpo ormai troppo debole di Ivan.
«Redimermi non è per niente nel mio stile» continuò a parlottare tra sé e sé.
«Se tu usassi le energie che trovi per parlare nel camminare forse saresti d'aiuto, sai?» lo rimproverò Priscilla, sudando nella fatica di tirarlo.
«Sarebbe anche inutile. Non c'è speranza per uno come me. Brucerò all'inferno» rise. «È quello che farò».
«Non sei ancora morto, stupido vecchio!» insisté Priscilla.
«C'era qualcosa che dovevo dir loro... esatto» bofonchiò. Finalmente riuscirono a varcare la soglia dell'ingresso e uscirono fuori, nel cortile, dove si trovarono una scena che certo non si aspettavano. Cadaveri e corpi, il silenzio glaciale della morte, l'immobilità dei nemici stesi a terra ma fiancheggiati dai suoi amici. Ares, Ebe e Eris erano stesi tra loro. Sicuramente non morti, non potevano morire, ma erano ridotti talmente male che a malapena riuscivano a respirare.
«Cosa...?» sbiancò Priscilla, sentendo la disperazione strozzarla. Nemmeno Laxus era stato in grado di sconfiggere Ares, nemmeno Fairy Tail aveva ridotto in quello stato Ebe e Eris. Cosa era successo lì fuori?
«C'era qualcosa che dovevo dire» mormorò ancora Ivan, inascoltato, ma non per molto. Quelli che sembravano frasi sconnesse, deliri senza senso, assunsero presto un nuovo significato. Ivan alzò rapidamente la mano e afferrò Priscilla per la maglia, sorprendendola non solo per il gesto ma anche perché non si aspettava di vederlo muovere. Strinse i suoi abiti tra le dita e posò pesantemente un piede a terra, facendo appello a quelle che probabilmente erano le sue ultime forze.
«Occupati di loro, Priscilla» e la lanciò, lontano.
Priscilla.
L'aveva davvero... chiamata per nome?
Cadde in uno dei due fiumi che si creavano di fianco alla gilda, ma non perse tempo e diede forza alle proprie gambe per nuotare e riemergere. Si aggrappò all'erba della riva e cercò di risollevarsi, per tornare a terra, ma restò comunque con le gambe e i piedi a mollo. Davanti ai suoi occhi una scena incredibile e raccapricciante. Lunghissime frecce, della dimensione di una pala ciascuna, attraversavano Ivan da parte a parte in più punti. Sembrava che le fossero cadute addosso come una pioggia violenta e improvvisa. Durarono pochi istanti, poi si dissolsero, rivelando così essere state frecce magiche. Ivan sputò sangue e cadde a terra, ma restò in ginocchio, con ancora un briciolo di forza mentre cercava invano di catturare aria per i polmoni.
«Il segreto...» sghignazzò, benché il suo destino fosse ormai segnato. «Il segreto di Fairy Tail morirà con me» scoppiò in una vera e propria fragorosa risata. «Non lo avrete mai. Mai! È mio... è il mio segreto...» e con quelle ultime parole, pronunciate in una feroce e folle risata, l'ennesima freccia arrivò da una zona non precisata e gli trapassò il cranio. Davanti agli occhi di Priscilla, ancora immersa per metà nel fiume, Ivan cadeva definitivamente morto dopo averle ricordato quale fosse il suo ruolo nel mondo.
Occupati di loro.
L'aveva creata per occuparsi di Laxus. L'aveva creata per occuparsi di Laxus e di Fairy Tail. Era questo che doveva dire dunque a suo padre e suo figlio, che i giorni precedenti erano usciti dalla sua testa andandogli a fare visita? Ci penserà Priscilla a voi. Era quello l'unico modo che aveva trovato per ovviare alla sua follia maniacale, dimostrare che almeno in parte, in piccolissima parte, pensava ancora a loro. E lei... lei era finalmente Priscilla. Non più la sua bambina di carta. Priscilla... e basta. Ed era appena stata salvata proprio quando era più vulnerabile, proprio quando sarebbe davvero potuta morire.
«Pa... pà...» sillabò, non riuscendo nemmeno a muoversi di fronte a quell'atroce scena. Il rumore di uno schiocco, ancora non riuscì a capire da dove arrivasse, ma vide un'altra pioggia di frecce cadere sopra di lei. Non la sfiorarono nemmeno. Ci fu come il rumore di un'esplosione, un rumore sordo, ma senza effetti visivi. Le frecce deviarono improvvisamente, disegnando una sagoma intorno a lei, ma lasciandola intatta e intoccata. Poggiò la testa al terriccio, strinse l'erba tra le dita tanto forte da strapparla, e tornò a tremare. Non più di dolore, non solo perlomeno.
«Eri la mia famiglia...» digrignò i denti. «Eri anche tu la mia famiglia, lurido bastardo!» ruggì e il vento schioccò intorno a lei colpendo come una frusta tutto ciò che avesse davanti. Gli alberi si piegarono e si mossero, e lei lentamente si sollevò in aria. «Non sono un mostro! Non sono un mostro! Eri la mia famiglia, che lo volessi o no!» urlò furiosa e il vento soffiò sempre più forte, tanto che persino la parete di roccia si lamentò. «Perché non potevi semplicemente essere un padre?» e con quest'ultimo urlo tutto il suo potere si sprigionò definitivamente, aprendo così un vero e proprio uragano sopra la sua testa, sollevando pietre e alberi, facendo urlare anche il resto della foresta per decine di metri. Una pioggia di frecce, più potenti e incessanti di prima, provò a raggiungerla e colpirla ma venivano tutte scaraventate via, da qualsiasi direzione provenissero. Una luce negli occhi di Priscilla e si voltò, a guardare un punto vuoto tra gli alberi, sopra alcuni rami.
«Ti ho trovato» ringhiò e spinta da una raffica raggiunse il ramo puntato con una velocità tale che la rese quasi invisibile. Tirò un calcio apparentemente al nulla, ma un lamento provenne da quel punto. Nel cadere al suolo, colpito dal calcio potenziato di Priscilla, l'uomo si rese nuovamente visibile scoprendo così la sua magia. Era in grado di rendersi invisibile, ma non semplicemente alla vista visto che nemmeno Persefone era stata in grado di individuarlo. Usava una magia schermatrice, si rendeva invisibile a ogni cosa e approfittando di quello colpiva le proprie vittime con una pioggia di frecce altrettanto magiche e distruttive. Ma benché invisibile agli occhi era sempre fisicamente presente, perciò l'aria poteva comunque scontrarsi contro di lui e rendersi visibile a chi usava quell'elemento come estensione del proprio corpo.
Si voltò rapidamente e puntò gli occhi a Priscilla, sollevata per aria, pronto ad attaccarla nuovamente. Portò l'arco davanti ai propri occhi e si preparò a fare fuoco, ma un colpo arrivò dalla sua sinistra. Un calcio tanto potente che poté sentire persino il rumore delle costole che si rompevano. Si scontrò contro la parete di roccia e lì svenne, ormai privo di forze. La sua pericolosità derivava dalla sua capacità di colpire senza essere colpito, le frecce erano decisamente potenti, capaci di trapassare un corpo, ma a prestanza fisica era evidentemente molto carente. Per Priscilla non fu difficile mandarlo a terra.
Fu tutto talmente rapido, talmente folle, che non ebbe neanche tempo o modo di chiedersi in che modo fosse tornata la sua magia. Ma la domanda divenne pressante una volta che, sconfitto il nemico, la sentì nuovamente sparire del tutto. Cadde a terra, non più sorretta dal suo vento, e il tornado che l'aveva circondata fino a quel momento cessò lasciando su quel piazzale infernale solo il silenzio del vuoto. Non c'era più nessuno che fosse in vita...
No, qualcuno c'era. Anche se non potevano alzarsi, consumati dalla magia che cercava di rimarginare loro le ferite, Ares, Ebe ed Eris non sarebbero mai morti. Doveva solo aspettare... lasciarli riposare.
Barcollò, improvvisamente svuotata e indebolita, verso il fiume. Si mise a sedere sulla riva e immerse i piedi nella sua acqua fresca e rinvigorente. In silenzio, sola, circondata da cadaveri e fantasmi, fino al tramonto del sole.
Sentì i primi rumori dietro di sé dopo forse un paio d'ore, i corpi che si muovevano a terra, sulla ghiaia e la polvere. Non si voltò a guardare chi fosse, sapeva perfettamente di chi si trattava.
«Pricchan» mormorò Ares, alzando la testa e guardando la ragazza che ancora sedeva con i piedi a mollo. Al suo fianco lo spirito di Persefone ondeggiava nello stesso scrupoloso silenzio.
«Onee-san» sibilò Ebe, preoccupata.
«Che gran male la testa» ringhiò Eris, mettendosi a sedere a gambe incrociate nella polvere e nel sangue.
«Che cosa è successo?» chiese Ebe, guardando i cadaveri a terra. Non li avevano uccisi loro, lo sapevano, avevano fatto molta attenzione a metterli solo fuori combattimento. Quella invece era una vera e propria carneficina.
«Le frecce del vostro avversario hanno colpito tutti indiscriminatamente, non sembrava gli importasse molto dei suoi compagni. Forse era addirittura un ribelle, sperava di cogliere l'occasione per prendersi definitivamente questo posto» rispose Priscilla.
«Un ribelle? Chi è stato? Dov'è?» chiese Ares preoccupato, chiedendosi da che parte fosse il nemico.
«Si è rialzato più o meno mezz'ora fa. Era ridotto a uno straccio, faticava a camminare poveraccio» un sorriso abbozzato, ma non c'era niente di felice in questo. Un freddo e affilato sorriso. «L'ho lasciato andare, uccidere non rientra ancora nei miei canoni. Persefone lo ha terrorizzato un po', non credo che proverà a tornare».
«Uccidere...» mormorò Ebe.
«Lo hai affrontato?» chiese Eris, sorpresa di vederlo ancora tutta intera.
«E tuo padre?» chiese Ares, non riuscendo ad aspettare il suo turno per avere delle risposte. Un altro sorriso, freddo e inquieto. Si voltò a guardare l'ingresso della gilda dove giaceva a terra, ancora, il suo corpo trapassato.
«Ivan è rimasto il bastardo di sempre persino in punto di morte. Non ha fatto altro che darmi incarichi da quando mi ha messo al mondo. Sono il suo strumento preferito, a quanto pare» una freddezza glaciale, di fronte a quello che era stato il suo peggior incubo ma anche il suo creatore.
Occupati di loro.
Sospirò e si alzò in piedi, facendo uscire i piedi dall'acqua.
«Questa gente mirava al Lumen Histoire, come temevo. Le ultime parole di Ivan mi hanno dato la conferma. Lo hanno catturato, approfittando della sua solitudine dopo che Raven Tail è stata sciolta, e lo hanno torturato per costringerlo a parlare. Ma Ivan era troppo egoista per condividere con gli altri i suoi preziosi tesori. Non ha parlato, nel suo male ha comunque fatto qualcosa di giusto» spiegò, guardando il corpo dilaniato di suo padre senza un apparente sentimento. Niente a che vedere con la furia omicida che aveva dimostrato appena poche ore prima. Ma lei era riuscita a vedere la verità negli occhi dell'uomo che diceva essere suo padre, anche nel delirio della febbre, nella speranza che moriva, nella sua follia incontrollabile: redimersi non era ciò che avrebbe fatto, era troppo soffocato dall'oscurità. Probabilmente non era nemmeno ciò che desiderava. Aveva sentito una storia simile alla sua, non troppo tempo prima: Purehito Hades, secondo Master di Fairy Tail, uno dei fondatori, amico fidato di Mavis, una persona che, a detta di chi lo aveva conosciuto al tempo, era l'incarnazione del bene. Aveva un cuore immenso, una bontà infinita, eppure persino uno come Purehito era finito con l'impazzire e dedicarsi solo al male e alla magia oscura, una volta entrato in contatto con quel famoso Lumen Histoire. Non era difficile credere che uno come suo padre, probabilmente meno nobile e più debole di Purehito, fosse potuto cadere nella stessa accecante follia. La morte era sicuramente il suo epilogo migliore. Ora era libero dalla follia, libero da quel desiderio accecante che mai avrebbe realizzato, e nel morire aveva protetto le uniche cose che davvero contassero anche se mai l'avrebbe ammesso nemmeno a se stesso. Mascherato da un velo di orgoglio ed egoismo, aveva dimostrato il desiderio di poter fare qualcosa di buono. Salvare il grande segreto della gilda, salvare la sua famiglia... salvare una figlia che mai avrebbe riconosciuto come tale ad alta voce.
Ma l'aveva chiamata per nome. Per la prima volta in tutta la sua vita.
Non lo avrebbe pianto, non lo avrebbe accettato e comunque, nel profondo, non sentiva nemmeno il desiderio di farlo. Non provava amore verso di lui, ma solo una profonda e immensa pietà. Provava pena per ciò che era diventato, un essere capace solo di odiare, un essere tanto astioso da provare odio persino verso se stesso. Lui avrebbe smesso di tormentarsi, Fairy Tail sarebbe stata al sicuro e lei avrebbe infine trovato pace nel sapere che il mostro più orribile che avesse tormentato la sua intera esistenza era finalmente lontano. Non avrebbe pianto perché quello non era altro che un lieto fine.
«Ma... per quanto riguarda te?» chiese Ares, avvicinandosi a lei preoccupato. «Pricchan, cosa è successo? Hai combattuto?»
«Sei ferita, Onee-san?» si preoccupò Ebe.
«No, sto bene» rispose Priscilla, corrucciandosi appena. Aveva compreso solo da poco, grazie a qualche informazione che Persefone le aveva comunicato da parte di Athena, cosa fosse accaduto poco prima. Era talmente incredibile che persino lei faticava a metabolizzarlo. Si voltò verso il fiume dove aveva tenuto immerso i piedi fino a quel momento e infine rivelò: «Quella non è acqua».
«Eh?» chiesero i tre che l'accompagnavano, voltandosi a guardare il liquido cristallino che correva lontano, buttandosi nella foresta.
«La fonte magica» mormorò Priscilla, alzando gli occhi al punto della montagna dove nasceva la cascata che prendeva in pieno la gilda che avevano davanti. «È Ethernano altamente condensato, nasce da dentro questa montagna e viene pressata talmente tanto, prima di uscire all'esterno, che si trasforma in un liquido che somiglia all'acqua. Lungo il percorso si vaporizza facilmente e diventa aria, per questo a valle non ce l'abbiamo e resta nascosta qui, nel cuore di questa foresta. Qui la magia è molto intensa, infatti. Questa gente aveva costruito qui la loro gilda per goderne dei benefici, rinforzarsi nutrendosi di esso ogni giorno. Probabilmente hanno scavato tutti quei cunicoli per riuscire a trovare il punto da cui si generasse» spiegò. «Ivan mi ha lanciata al suo interno prima di morire e così ho potuto usare i miei poteri appena il tempo di sconfiggere l'uomo che vi ha attaccati. Non appena mi sono asciugata, infatti, sono caduta nuovamente a terra» e per dimostrare che quanto stesse dicendo fosse vero alzò una mano e si sforzò di utilizzare la propria magia. Ancora una volta non ci fu nessun effetto, ma a differenza delle altre volte un soffio riuscì a generarsi dal suo palmo per un secondo. Cessò di nuovo e inutili furono gli sforzi di Priscilla, la magia era di nuovo sparita.
«Restare a mollo ha permesso di ricaricarti un po'» parlò lo spirito di Persefone, portando ancora una volta la voce e la vaga somiglianza con Athena. «Come avevamo pensato. Tuo padre aveva ragione: hai ancora la magia dentro di te, ma è sufficiente appena per tenerti in vita».
«È una bella notizia! Questo significa che possiamo ancora fare qualcosa» esclamò Ebe, sorridendo.
«Probabilmente comunque Priscilla-san non sarà mai la stessa di prima» disse ancora Athena. «Esaminando i dati raccolti fino ad ora e integrandoli con la nuova scoperta del fiume di Ethernano, sono giunta a una ipotesi che potrebbe essere reale. L'anti-Ethernano con cui Priscilla-san è entrata in contatto ha logorato l'Ethernano che aveva in corpo all'istante. Come un cancro, l'ha infettata e ne ha mangiato il più possibile, non riuscendo però a consumarla del tutto. L'intervento di Laxus, che l'ha sottratta a una sovraesposizione, e quello di Ares nel procurare in tempo un vaccino hanno favorito la sua sopravvivenza perché hanno rallentato e bloccato il cancro prima che fosse potuto arrivare a toglierle anche la porzione di magia utile alla sopravvivenza. Perciò questa è ancora presente dentro lei ma è sufficiente abbastanza da tenerla semplicemente in vita» spiegò Athena.
«Perciò è come se fossi ancora malata!» esclamò Ebe, tornando a preoccuparsi.
«Possiamo dire così, ma per nostra fortuna abbiamo davanti a noi una possibile terapia. Immergersi nel fiume di Ethernano le ha permesso di usare la propria magia per un po', perciò è come se avesse riempito il vuoto, preso il posto di quella mancante, ma una volta usata si è consumata ed è nuovamente esaurita» spiegò ancora Athena.
«È come un contenitore: la riempiamo e quando la usiamo si svuota» commentò Eris e per questo venne fulminata da Ares. Non era bello paragonare una persona a un oggetto contenitore.
«Ho ragione di pensare che se Priscilla-san facesse immersioni periodiche e una cura mirata con l'Ethernano liquido, magari iniettandolo in corpo o nutrendosene, potremo riuscire a curare e ricostruire l'Ethernano naturale e auto-rigenerato andato perduto per colpa di Tempesta. Basterebbe fornirgliene abbastanza da permettere al corpo di tornare a essere capace di assorbire quello presente nell'aria. Probabilmente non tornerà rigogliosa come una volta, ma sarà comunque abbastanza da permetterle di tornare a usare appieno la magia. Con un buon allenamento potrebbe andare anche meglio».
«Perciò...» mormorò Ebe, dubbiosa, lanciando uno sguardo a Ares. Tutto quello suggeriva solo una cosa: Priscilla si sarebbe fermata lì per godere appieno dei benefici della fonte magica. E loro, con ogni probabilità, sarebbero rimasti al suo fianco. Ares sorrise, conoscendo già la risposta a quel dubbio, e si guardò attorno sospirando un: «Ci sarà prima da dare una ripulita».
«Non è male come nuova sede. È abbastanza nascosto, forse anche più che quella attuale sulle montagne» asserì Eris.
Athena, attraverso lo spettro di Persefone, non ebbe niente da dire in contrario. Non avevano avuto dubbi né timori di fronte all'idea di trasferirsi lì, solo per poter stare a fianco della loro compagna. Priscilla ne rimase sorpresa, ma non per questo se ne rattristò. Saperli vicini la rendeva felice, non avrebbe però mai chiesto loro di sacrificarsi per aiutarla. Era pronta a restare sola anche anni, se necessario, sentendo di aver sfruttato anche troppo la loro gentilezza. Ma vedere che loro stessi per primi aveva preso quella decisione, che loro stessi per primi avevano deciso di non lasciarla sola, in un periodo come quello dove la solitudine stava diventando soffocante... riusciva persino a farla sorridere. Sorridere davvero. Non sarebbe tornata per un po'... probabilmente dubitava persino che avrebbe mai più rimesso piede a Fairy Tail, dopo quello che era successo. Era scappata, li aveva lasciati intenzionalmente, sapeva li aveva fatti preoccupare ma il suo egoismo aveva prevalso e soprattutto non avrebbe più avuto il coraggio di incrociare lo sguardo di Laxus. Non prima che quei burrascosi sentimenti fossero stati messi a tacere. Era sola, sperduta, disperata... ma Olympos le stava offrendo la mano. Non aveva neanche la forza di tentare di fermarli. Accettò silenziosamente perché sentiva che era tutto ciò di cui aveva bisogno in un momento come quello.
«Andrà bene?» mormorò Ebe, la prima a mostrare un vacillamento. Catturò l'attenzione dei suoi compagni e notarono come il suo sguardo dolorante si andasse a posare su Priscilla. «Insomma... siamo molto lontani da Magnolia».
Priscilla avrebbe veramente accettato così di buon grado di passare tanto tempo, forse anni, lontano da casa? Lontano dalla sua famiglia, senza voler nemmeno loro mandare un messaggio o trovare il modo di contattarli. Sparita nel nulla, non avrebbe più avuto notizie e non ne avrebbe date... proprio lei che era stata pronta più volte a sacrificarsi per il loro amore. Poteva davvero starle bene? Non ne avrebbe sofferto?
Occupati di loro.
La risposta era già lì, di fronte a loro.
«Questa gilda diceva di essere devota a Zeref, ultimamente ne stanno sbucando in ogni angolo del continente» disse Priscilla. «Tartaros stessa era una delle più forti gilde dell'alleanza ed era composta interamente da demoni dei libri di Zeref. Oracion Seis, Grimoire Hearts, Tartaros e ora questa. C'è qualcosa sotto, Fairy Tail si sta scontrando troppe volte contro queste gilde, e per il momento l'unico indizio che abbiamo è il Lumen Histoire. Sapevano della sua esistenza, hanno cercato di estorcere informazioni da Ivan» rifletté, trovando così un collegamento tra le gilde devote a Zeref e la sua. Forse si sbagliava, forse era solo un caso, ma per il momento seguire quella strada sembrava essere l'unica soluzione. Gerard con Crime Sorcière aveva già cominciato l'opera, ma erano in pochi, sicuramente un aiuto gli avrebbe fatto comodo.
«Cercherò di chiarire questa situazione. Eliminerò le gilde devote a Zeref, studierò i loro movimenti, cercherò di rendere questo continente più sicuro... partirò da quello che mi ha lasciato mio padre. È questo il mio nuovo scopo. Devo capire cosa sanno di Lumen Histoire, perché lo voglio, devo capire cosa vogliono da Fairy Tail... e li fermerò, prima che possano anche solo avvicinarsi a loro. Li proteggerò» si voltò, nascondendo così il proprio volto, nascondendo la sua espressione. Era lontana, era scappata, era tante cose... ma sapere di poter vegliare su di loro anche in quel piccolo angolo di mondo che si era egoisticamente presa la rassicurava. Era un buon compromesso che avrebbe per un po' rasserenato il suo animo.
«Ares...» mormorò, lasciando che trapelasse la sua unica debolezza. Non voleva restare sola, era tutto ciò che chiedeva. Poterli avere a fianco, ad aiutarla a rialzarsi, a non cadere nell'oblio più totale. «Mi seguirete?»
Una supplica più che una domanda.
E non esisteva che una sola risposta. Ares ghignò, deciso e sicuro: «Puoi contarci».

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