«È tornato Ares!» gridò un bambino nel cortile. Si alzò da terra, dove era seduto per giocare con degli insetti, e corse lungo il vialetto erboso incontro al gruppo sbucato dagli alberi proprio in quel momento. Il cancelletto che delimitava il cortile cigolò come un vecchio lamentoso, quando Ares lo aprì.
«È tornato Ares! È tornato Ares!» fece eco la bambina che era con lui. Si alzò anche lei e saltello a braccia alzate, prima di avvicinarsi correndo.
«Ehy, piccoletti!» ridacchiò Ares, vedendosi i due bambini correre incontro. Prese il primo in braccio e si avvicinò alla seconda, che ancora entusiasta chiese: «Ci hai portato qualche souvenir?»
«Non sono andato così lontano da poter trovare dei souvenir» disse Ares e la bambina scoppiò a piangere istantaneamente, come fosse stata una macchina programmata per farlo, urlando: «Ares non ci vuole bene!»
«Non fare i capricci!» ruggì Ares, infastidito dall'improvvisa accusa.
«Artemide stava facendo ballare le formiche, lo sai?» disse il bambino che aveva in braccio, ignorando le urla e i pianti della sorellina. Ares si abbassò e prese la piccola sotto un braccio, alzandola da terra come fosse una borsa, ma lei non parve infastidirsi per il trattamento. Probabilmente era abituata, perciò semplicemente continuò a piangere rumorosa.
«Non dovreste disturbare il lavoro delle formiche per intrattenervi, lo sapete?» provò a correggerlo.
«Davvero?» chiese il bambino, innocente, e la bambina smise di piangere con la stessa meccanica con cui aveva cominciato, chiedendo curiosa e ora di nuovo allegra: «Le formiche lavorano?»
«Certo che lavorano» rispose Ares, continuando a camminare tranquillo lungo il vialetto dirigendosi verso l'interno di una casetta in legno. Un po' diroccata, con molte riparazioni di emergenza poste qua e là, era comunque graziosa nella sua semplicità. Il cortile era pieno zeppo di fiori e per questo anche abitatissimo da insetti e animali di vario genere, che andavano e venivano per niente turbati dalla presenza di quelle persone. Alberi, cespugli e piante, ovunque c'era del verde e natura incontaminata. Sulla destra e sulla sinistra si alzavano altre due strutture, sempre di legno, organizzate su due piani con balconcini pieni di vasi ben curati. Da uno di questi svolazzavano delle lenzuola, appese ad asciugare al sole. Su tutte e tre le strutture, infine, sventolava sulla cima una bandiera dipinta a mano con su lo stesso simbolo che Ares portava sul bicipite: una montagna con il cucuzzolo aguzzo circondato da nuvole.
«E che lavoro fanno?» chiese il bambino, curioso.
«I carpentieri!» rispose Artemide.
«I muratori!» disse altrettanto entusiasta il bambino.
«I cuochi!» disse di nuovo Artemide con rapidità ed entusiasmo e ancora il bambino, alzando le braccia al cielo, disse a gran voce: «I supereroi!»
Ares scoppiò a ridere nel sentirli e la sua risata fu calda, avvolgente, luminosa come il sole stesso che riscaldava la loro pelle. Una donna uscì da uno dei balconi delle due case ai lati del cortile e rovesciò sulla balaustra una coperta, prima di cominciare a batterla con un battipanni per liberarla dalla polvere. Eris, in fondo alla colonna di persone, chiuse il cancelletto del cortile e infine corse, superando tutti quanti, verso la casa che avevano di fronte.
«Siamo tornati!» gridò a gran voce. «Athena! Afrodite! Efesto! Siamo a casa! Abbiamo una sorpresa, padre Zeus!»
«Una sorpresa?» mormorò Artemide, tenuta ancora sollevata da terra come una borsa sotto braccio. Il bambino, aggrappato alle spalle di Ares, voltò la testa a guardare le persone che li seguivano. Erano stati così entusiasti del ritorno di Ares che non li avevano notati e solo ora li guardava e studiava. Si corrucciò e si strinse al collo di Ares, fulminandoli tutti quanti con severità e rabbia. Era palese che non apprezzasse la visita, forse perché non abituati ad averne, e i Raijinshuu provarono inutilmente a sorridere e cercare di sembrare amichevoli.
«Ciao Ares!» gridò la ragazza al balcone. «Così sono loro i nostri ospiti?»
«Ospiti?» squittì una voce dietro di lei e una ragazza, inciampando e portandosi dietro il rumore di vari oggetti distrutti e caduti, si affacciò improvvisamente per guardare chi stesse arrivando. Poggiò le mani sul piumone appoggiato alla ringhiera, sporgendosi per guardare il vialetto, ma il piumone stesso sotto la sua presa scivolò in avanti e lei con lui. Con un urlo cadde nel vuoto, giù dal balcone del secondo piano, atterrando miseramente sul cortile esterno.
«Sei la solita, Ebe» sospirò la ragazza sul balcone.
«Questo è quello che ti meriti per esserti messa a correre ed esserti sporta!» ruggì un'altra ragazza, da dentro la casa.
«Fa malissimo!» urlò Ebe, alzandosi da terra con il collo girato in una posizione decisamente innaturale, probabilmente spezzato. «Ahia! Ahia!» continuò a urlare, sfiorandosi la testa nel tentativo di afferrarla e rimetterla al suo posto, ma il troppo dolore le impediva persino di toccarsela.
«È...» sibilò Evergreen, pallida nel vedere la macabra scena.
«Abbastanza raccapricciante» completò per lei Fried e Bickslow, dietro di loro, annuì altrettanto pallido e sconvolto.
«Scusateci» disse Ares, torvo in un misto tra il furioso e il rassegnato. Un'altra ragazza uscì dalla porta principale di quella stessa struttura, si avvicinò silenziosa a Ebe che ancora si disperava a terra con la testa al posto sbagliato e gliela afferrò. Senza darle tempo di dire niente gliela rigirò e la mise nella posizione corretta, con un inquietante crack.
«Ecco fatto» disse pigramente, prima di tornare dentro casa e riafferrare la scopa che aveva appoggiato al muro. Ebe rimase perplessa qualche secondo, tastandosi testa e collo e assicurandosi che fosse tutto tornato normale. Poi si voltò verso la porta lasciata aperta e ruggì un infastidito: «Mi hai fatto male!»
Un vaso volò nella sua direzione e la prese in pieno viso, disintegrandosi sulla sua fronte e lasciandole graffi più o meno profondi che iniziarono a grondare sangue.
«Ringrazia la prossima volta» le disse la stessa voce pigra della ragazza che le aveva aggiustato la testa, anche se non si mostrò.
«Insomma, voi due, mi avete stancato!» ruggì l'altra ragazza dal secondo piano, che aveva rimproverato Ebe di essere maldestra. «Tornate immediatamente al lavoro o vi punirò come si deve!»
«Chi ti da il diritto di punire gli altri!» ruggì Ebe e finalmente l'altra ragazza si mostrò, uscendo sul balcone e affacciandosi urlò: «Sono la sorella maggiore! Ho la vostra responsabilità!»
«Io sono più maggiore di te!» gridò Ebe.
«Più maggiore non si dice, capra!» ruggì l'altra e la ragazza al suo fianco, ancora intenta a colpire le coperte con un battipanni sospirò un rassegnato: «Ecco che ricominciano».
«Ne vuoi, eh?!» gridò Ebe, alzandosi in piedi e mostrando alla ragazza contro cui stava litigando un pugno.
«Sei stupida e infantile, le dispute non si risolvono con i pugni ma se è questa la lingua che parli, allora...» disse lei rimboccandosi una manica e preparandosi a saltarle addosso, dal secondo piano in cui si trovava. Ares, avvicinatosi a Ebe senza che se ne accorgesse, lasciò cadere un piede pesante al suo fianco, sbattendolo rumorosamente a terra. Il segnale, per attirare la sua attenzione, e la fulminò con lo sguardo più severo che fosse capace di esprimere.
Artemide, ancora sotto alla sua ascella, sgambettò allegra e rise: «Ares vi picchia a tutte e due!»
Ebe impallidì e con un «iiich» terrorizzato, arretrò prima di scappare in casa gridando: «Magari un'altra volta, eh?!»
«Io torno al lavoro!» gridò la seconda, altrettanto spaventata, e da allora non ci fu altro che il rumore di scope e battipanni. Ares sospirò, affranto e sconsolato, per poi alzare lo sguardo alla ragazza ancora impegnata a spolverare il piumone.
«Dike, dove sono tutti gli altri?» chiese Ares.
«Hermes ci ha detto che sarebbero arrivati ospiti importanti, per questo sono tutti impegnati a pulire e sistemare la gilda» rispose Dike. «Eunomia, Nemesi ed Ebe mi stanno aiutando a sistemare i letti e le stanze per questa notte, mentre Persefone ad Eirene e Afrodite sta dando una rassettata al giardino dietro. Efesto si stava invece occupando del camino alla sede principale ed Hermes e Dioniso sono andati a comprare del cibo giù al paese».
«Athena?» chiese Ares.
«Con Padre Zeus, raggiungili pure, sono nella sala comune» disse Dike, indicando la struttura al centro, alla fine del vialetto. Ares annuì e tornò indietro, raggiungendo nuovamente il gruppo che aveva lasciato solo con Ilizia. «Venite» disse semplicemente, facendo loro strada verso la sede principale. Mise a terra entrambi i bambini prima di aprire la porta in legno cigolante ed entrare in un salone non troppo grande. Aveva più le sembianze di una sala da pranzo, con un grosso camino sulla destra all'interno del quale si potevano vedere i piedi penzoloni di un uomo -Probabilmente l'Efesto di cui aveva parlato Dike. Eris era seduta proprio lì davanti e lo osservava come ipnotizzata, senza fare niente per aiutarlo. Al centro della stanza c'era un grosso tavolo, messo a ferro di cavallo con una ventina di posti disponibili. Proprio al centro, invece che una sedia normale in legno, ce n'era una un po' più raffinata, imbottita e vellutata. Sulle mensole e sugli scaffali ai muri c'erano decine, centinaia di libri, e al centro della sala, in mezzo al ferro di cavallo formato dal tavolo, dei giochi abbandonati a terra.
«Noi non siamo abituati a mangiare ma nostro padre sì, lui è umano, e a noi piace fargli compagnia. È un modo per stare tutti insieme» spiegò Ares, giustificando la presenza del tavolo e delle sedie. Si avvicinò infine al camino, di fronte al quale si inginocchiò e lanciò uno sguardo verso l'interno, dove penzolavano i piedi di Efesto.
«Tutto bene?» chiese.
«Ares! Non ti avevo sentito!» urlò l'uomo da dentro il comignolo. «Sì, è tutto ok. Sono arrivati anche gli ospiti speciali di cui parlavano i due mocciosi?»
«Sì, sono qui con me. Vuoi conoscerli?» chiese Ares e Efesto, senza uscire dal camino, rispose imbarazzato. «Magari più tardi».
«È incastrato» spiegò Eris senza preoccupazione sul volto, né interesse. Probabilmente lo trovava divertente e sarebbe rimasta lì a guardare i suoi piedi disperati per il resto della giornata.
«Sicuro di non aver bisogno di aiuto?» chiese Ares, imbarazzato per la situazione.
«Assolutamente! È tutto sotto controllo! Vai pure nell'ufficio, Athena e Padre Zeus si trovano lì» disse Efesto e Ares decise di ascoltarlo, sapendo che avrebbe probabilmente trovato da solo il modo di uscire dignitosamente. Superò il tavolo, attraversò la stanza e infine entrò in una porta sulla destra facendo cenno al gruppo di Fairy Tail di seguirli. La stanza dentro cui entrarono era talmente stretta che Fried e Laxus furono costretti a restare all'esterno, mentre Bickslow non poté andare oltre che la soglia. In realtà sarebbe stata abbastanza ampia da poter ospitare tutti, ma i libri avevano invaso ogni singolo centimetro di quel luogo. Accatastati, ammucchiati, vere e proprie montagne di libri e al centro solo un paio di poltrone e un minuscolo tavolino dove ora era poggiata una teiera fumante e una tazza. In piedi, davanti a una libreria, c'era una donna dai lunghi capelli argentei e l'aspetto delicato come quello di un fiore. Un paio di sottili occhiali poggiati sul naso, il kimono orientale che indossava era semplice nei colori tenui e ondeggiava e frusciava ad ogni passo. Aveva appoggiati su un braccio un paio di libri, ma stava prendendo un terzo in quel momento dallo scaffale scelto. Alle sue spalle, su di una delle poltrone, sedeva invece un uomo anziano. I capelli bianchi, lunghi, la barba altrettanto lunga e folta, gli occhi socchiusi racchiusi sotto delle spesse sopracciglia. Leggermente ingobbito, sembrava essere appisolato, ma non appena sentì la porta aprirsi si raddrizzò lentamente e puntò i piccoli occhi grigi ai suoi ospiti.
«Oh» gracchiò con la sua profonda e vecchia voce. «Ares, siete arrivati» disse emozionato, prima di allungare una mano tremante al fianco della poltrona. Prese un bastone e lo portò vicino a sé, facendo leva su di esso cominciò lentamente e con grande sforzo a sollevarsi in piedi. Ares scattò in avanti e gli si mise al fianco, prendendolo per le spalle. «Padre, non affaticarti» gli disse preoccupato, ma il vecchio poggiò una rugosa mano sulla sua e gli diede qualche pacca affettuosa, prima di dire: «Sei sempre così attento. Non preoccuparti, figliolo, ho riposato abbastanza per oggi».
«Appoggiati a me» disse Ares, offrendogli il braccio e l'uomo accettò ben volentieri. Si tenne in piedi con il bastone sulla destra, mentre con la sinistra si teneva ben aggrappato al suo braccio. «Athena, per favore prepareresti dell'altro tè? Ci spostiamo nella sala, qui stiamo stretti».
«Certo, ci penso io» disse la donna, rimettendo i libri che aveva preso al proprio posto. Lentamente Zeus, accompagnato da Ares, si avvicinò al tavolo a ferro di cavallo e si sedette sulla sedia più morbida, imbottita.
«Accomodatevi» invitò, facendo un cenno ai suoi ospiti che gli si sedettero attorno ben volentieri. Athena si avvicinò al camino, dove ora stava finalmente uscendo Efesto, un uomo grosso di spalle e pelato, ricoperto completamente di fuliggine e carbone.
«Eris, vai ad aiutare le tue sorelle insieme a Ilizia e portate con voi i bambini» le disse Athena e lei, come previsto, sbuffò uno scocciato: «Che palle». Ma comunque obbedì, alzandosi e uscendo dalla sala insieme alla sorella e ai due gemelli. Efesto rimase ancora un altro po', aiutando Athena ad accendere il fuoco per mettere su una teiera colma d'acqua.
«Una gilda quasi completamente al femminile» commentò Bickslow, notando come le ragazze fossero in netta maggioranza.
«Acuta osservazione» mormorò Zeus, accennando un sorriso. «Non è un caso che sia così. È una questione di genetica e biologia, le femmine sono più facili da creare e da far vivere, piuttosto che un genere maschile. In fondo, anche tra gli umani statisticamente parlando sono superiori le donne agli uomini».
«Creare...» mormorò Evergreen, corrucciandosi. «Che brutto termine».
«Ma è quello che è realmente. Loro sono stati creati, non vedo perché disdegnare e rifiutare qualcosa solo perché lontano dalla nostra comune visione. I miei ragazzi hanno imparato già da tempo ad apprezzare e conoscere la loro natura, per ciò che sono realmente. Non pretendo però che riusciate a capire in una sola sera, non preoccupatevi, comprendo ogni vostro dubbio e perplessità. I miei figli hanno vissuto a lungo con le discriminazioni del mondo esterno, per questo tendiamo a restare isolati, ma questo non abbatte minimamente il nostro spirito. Io sono umano, loro sono immortali, siamo cose completamente differenti e non ci sogniamo di costringerci a chiuderci tutti in uno stesso sottoinsieme. L'amore è tale per quello che è, non per forza dobbiamo amare qualcosa che sia come noi. La diversità, in fondo, è completezza. Ha una bellezza molto caratteristica che ci piace preservare. E anche parlare di qualcuno che è stato creato, invece che nato, non significa denigrare o sminuire. È solo diverso, e perciò non per questo meno eccezionale di una vita che viene al mondo spontaneamente. Non possiamo amarla semplicemente per ciò che è realmente?»
«Sono nobili parole» sorrise Fried, trovando quel discorso molto poetico e illuminante.
«La nostra Pricchan è fantastica così com'è» esclamò Bickslow, dando una scompigliata di capelli alla ragazza al suo fianco.
«Fa parte della nostra famiglia» sorrise Evergreen, volgendo un sorriso rassicurante alla ragazza che ancora restava cupa e in silenzio, spaventata e ancora sconvolta da quella novità.
«È esattamente quello che intendevo» sorrise Zeus. «Conoscere la piccola Priscilla, vi confesso, da al cuore di questo povero vecchio un paio di palpitazioni di troppo» sghignazzò. «Ho tanto sentito parlare di te».
«Mi conoscevi?» chiese Priscilla. «Cioè... sapevi già di me, da prima?»
Solo i membri di Fairy Tail conoscevano il suo segreto, e comunque anche loro ne erano venuti a conoscenza solo da poco tempo, dall'incontro alla Cattedrale con Laxus. Prima, se non per il suo premuroso e dolce nonno, era tutto un segreto che teneva solo per sé.
Zeus annuì lentamente, sospirando profondamente. «Come forse avrai capito, Zeus non è il mio vero nome. Lessi un libro una volta, un libro che parlava di vecchie divinità e credenze e c'era la figura di Zeus che emergeva come padre degli dei. Visto quello che avevo intenzione di creare, mi sembrò un nuovo nome appropriato per ricominciare da capo».
«Ricominciare che cosa?» chiese Fried e Zeus con un altro sospiro disse: «La mia vita. Prima di Zeus non ero affatto un buon uomo rispettabile, ammetto di aver fatto cose di cui mi pento profondamente. Ma tra queste ce n'è una che, per quanto discutibile, non credo ripudierò mai».
«Che cos'è?» chiese Fried, curioso, e Zeus voltò gli occhi su Laxus e Priscilla, seduti uno di fianco all'altro. «Aver aiutato vostro padre» confessò infine, turbando visibilmente l'animo di entrambi.
Zeus alzò uno scheletrico dito verso Laxus e facendolo lentamente ondeggiare si corrucciò, dicendo: «Mi ricordo di te. Eri una vera preoccupazione per tuo padre, gracile e piagnucolone. Ricordo come Ivan trovasse frustrante l'idea di aver dato vita a un figlio apparentemente tanto debole e probabilmente non saresti mai stato in grado di usare la magia, vista la tua debolezza. Se ripenso a com'eri mingherlino, fatico a riconoscerti Laxus» ridacchiò e sospirò ancora, malinconico. «Quanti anni sono passati da allora. Al tempo ero una vera testa calda, passatemi il termine volgare ma possiamo dire che ero proprio una testa di cazzo» rise, divertito.
«Facevi parte di Fairy Tail?» chiese Laxus, cercando di mantenere comunque un certo autocontrollo.
«Oh, no. Tuo nonno non mi avrebbe mai accettato» rispose Zeus. «Facevo parte di una gilda oscura, è stato così tanto tempo fa che non riesco nemmeno a ricordarne il nome. Tuo padre aveva agganci con l'esterno, aveva amici potenti, sapeva su chi fare affidamento e anche se portava su di sé il marchio di Fairy Tail frequentava i bar più puzzolenti della città. Era un uomo sempre in cerca di qualcosa di nuovo, di potere, e per uno come lui l'aver dato al mondo un figlioletto misero come te era una vera vergogna e disgrazia. C'era quest'uomo, ricordo, un certo Purehito... diceva di essere l'ex Master della gilda di Fairy Tail. Eravamo entrati in contatto tempo prima per alcuni affari, cercava magie oscure, libri proibiti, cose del genere e io sapevo dove trovarli. Fu Purehito a presentarmi tuo padre, spiegandomi la situazione, e proposi lui di provare a instillare dentro te la Lacryma di Drago. Avevo sentito appena di recente di un bambino a cui era stata appena fatta la stessa cosa, un certo Erik, anche se in realtà alcune fonti dicevano che non fosse sopravvissuto ho pensato che se avessimo studiato attentamente il caso noi saremmo riusciti a farcela».
«Cobra...» sussurrò Priscilla, capendo di chi si trattasse, e benché avesse parlato più a se stessa che a lui fu sentita comunque.
«Sai di chi parlo?» chiese Zeus, curioso, e Priscilla annuì. «Ci siamo incontrati, qualche tempo fa».
«Oh, beh...» sorrise Zeus. «Allora le voci erano infondate, non è morto, è un sollievo».
«Perciò...» mormorò Fried, turbato. «Sei stato tu a fornire a...» tentò, non sapendo bene come formulare la domanda, ma Zeus riuscì a anticiparlo. «Ho dato io la Lacryma del tuono a Ivan e insieme a Purehito l'abbiamo messa nel corpo di Laxus. Non è stato un giorno piacevole per te, Laxus. Le tue urla di dolore, ogni tanto, le sogno ancora. Mi sento così costernato» sospirò.
«Io non mi ricordo di quel giorno, né tanto meno di te» confessò Laxus.
«È normale, eri così piccolo» rispose Zeus.
«Senza la Lacryma di Drago, probabilmente Laxus oggi non sarebbe quello che è diventato» disse Fried, rassicurante. «Indipendentemente da quali fossero le vostre intenzioni, non possiamo che esserne comunque grati».
«Senza questo potere avrei rischiato di morire molte volte» confermò Laxus e Zeus tornò a sorridere, rasserenato. «Siete davvero persone eccezionali, non avete esitato a perdonare il passato di un vecchio come me».
«È stato molto tempo fa» disse Fried e Zeus annuì. «Il passo successivo fu quello di creare un essere vivente» continuò. «Ivan e Purehito tornarono dopo breve tempo con questa nuova bizzarra idea. Purehito al tempo lavorava molto duramente sulle magie proibite che riguardavano la vita e la morte, ne era affascinato per qualche strano motivo. Magie che avrebbero potuto donare l'immortalità, che avrebbero riportato in vita i morti, o ucciso, o che avrebbero potuto modificare lo scorrere del tempo. Ce ne sono così tante e tutte, come ben sapete, sono estremamente proibite perciò si serviva di gente di poco conto come noi per procurarsi i tomi necessari allo studio. Mi disse di aver sentito parlare di un libro oscuro, un libro di Zeref che spiegava come creare la vita a partire da un'idea. Era pura fantasia, ma avevo già lavorato con loro alla Lacryma di Drago e il risultato mi aveva lasciato senza parole. Ero eccitato all'idea di provare qualche altra stranezza, perciò mi misi subito al lavoro e trovai quei volumi per loro. Lavorammo per mesi interi e penso che non ce l'avremmo mai fatta se non ci fosse stato il genio di Purehito a mettere insieme i pezzi. Infine il tuo corpo venne concluso, ma continuava a restare l'incognita dell'anima. Per quanto provassimo, niente sembrava funzionare e per un anno intero sei stata solo una bambina morta. Poi Purehito trovò la soluzione...»
«Il collegamento...» mormorò Priscilla, sapendo già cosa avrebbe detto.
«Già. Ivan rischiò molto, la sua vita è rimasta in bilico sul precipizio della morte per giorni interi, era decisamente una magia troppo pericolosa. Ma quell'uomo era un pazzo visionario e voleva avere il pieno potere su un essere vivente, l'idea di poterti controllare come una marionetta lo eccitava. Diceva che eri la sua bambina di carta» e sentire dopo tanto tempo di nuovo quel raccapricciante soprannome le fece venire di brividi lunga la schiena. Sentire i ricordi tornarle alla mente, rivivere nuovamente quei terribili momenti che sono stati i primi anni della sua vita quando in lei non c'era altro che obbedienza e paura, tutto quello era sempre un colpo al petto. Anche se aveva fatto enormi passi in avanti, anche se aveva superato ogni incubo del suo passato, sconfitto l'ombra di suo padre, era pur sempre qualcosa che aveva vissuto. Un fardello di cui non si sarebbe mai liberata del tutto.
«Quell'uomo mi da il voltastomaco» confessò Ares, corrucciandosi.
«Ma non è poi la stessa cosa che hai fatto tu? Dare la vita, usare una magia proibita...» azzardò Bickslow, che aveva certamente meno peli sulla lingua di altri.
«Sì, puoi vederla così» rise Zeus.
«È certamente diverso!» rispose invece Ares, offeso. «Noi siamo una famiglia, quell'uomo invece la picchiava!» disse indicando Priscilla.
«Conoscete anche questa parte di storia, eh?» disse Priscilla, abbozzando un timido sorriso e sperando così di sdrammatizzare.
«Venne da me dicendo che voleva un'arma per allenare il figlioletto che aveva da poco imparato a usare la magia che gli avevamo dato. L'idea di dargli un fantoccio contro cui prendersela sembrava entusiasmante, avrebbe potuto sperimentare varie cose senza temere nessuna ripercussione perché tanto tu non saresti morta e saresti sempre stata sotto al suo controllo. Perciò, sì, conosco anche questa parte di storia. Anche se dopo la tua nascita Purehito è sparito dalla circolazione, andando in cerca di altro, e questo ha causato una rottura anche nel rapporto con Ivan, sono comunque rimasto informato» annuì Zeus, accettando la tazza di té caldo, ora pronto, che Athena gli porse prima di versarlo anche agli altri.
«Immagino che quel bastardo non abbia avuto fortuna nel suo piano» disse Ares, lanciando uno sguardo provocatorio a Laxus prima di dire: «Io non avrei mai accettato di colpire mia sorella».
Laxus non rispose, ma ebbe comunque la forza di tenere gli occhi fissi nei suoi, sostenere lo sguardo per non cedere a quella provocazione che andava a infierire più di quanto avesse potuto immaginare. Uno squarcio gli si era aperto in petto, l'odio e la rabbia di fronte all'evidenza che lui aveva invece ceduto, il dolore nella consapevolezza che lui era la causa della più grande sofferenza di Priscilla... tutto quello lo faceva ancora impazzire. Nonostante l'apparente indifferenza, i muscoli si tesero e si irrigidirono tanto che sarebbe potuto scattare ed esplodere da un momento a un altro.
«Comunque siano andate le cose, l'importante è il presente. La redenzione, il perdono, sono gioielli tanto brillanti e preziosi forse anche più di una vita vissuta senza peccato» disse Zeus, rompendo la tensione. «Parlo come un uomo che l'ha sperimentata su di sé. Ho accettato di collaborare a simili atrocità, influendo su due bambini, e ho fatto tante altre cose orribili nella mia vita. Non meritavo il perdono, non meritavo nemmeno la vita stessa, pertanto non posso esporre né accettare giudizi del genere» un velato rimprovero verso quella che era stata la provocazione di suo figlio a un caro ospite.
«Mi spiace» disse semplicemente Ares, rilassando le spalle e comprendendo il suo errore.
«Un giorno, tanti anni dopo, ho sperimentato sulla mia pelle le conseguenze di tutti gli orrori che avevo commesso in vita» disse Zeus, sorseggiando il suo té. «Mi sono ritrovato solo e ho compreso l'importanza di avere una mano da stringere nei momenti più bui. Ma ormai era troppo tardi, mi chiedo se possiate capirmi, ma a volte le lezioni più severe che la vita vuole impartire arrivano sempre quando non c'è niente che si possa fare per rimediare. La vita a volte è così matrigna... prima ti punisce e solo dopo ti impartisce l'insegnamento» sorrise, ancora malinconico. «Sono rimasto solo a lungo, rifiutato dal mondo intero, senza un posto dove andare e nel frattempo ho continuato a pensare ai due bambini di Ivan. Vi incontrai un giorno, ma non ebbi coraggio di farmi avanti e presentarmi a voi. Non eravate che ragazzini, allora, di rientro da una missione. Eravate così allegri, così felici, così dolci l'uno di fianco all'altro mentre vi sorridavate e parlavate con tale entusiasmo di cosa avreste fatto una volta tornati a casa. Ne rimasi colpito, affascinato, e ammetto egoisticamente di aver pensato che un po' vi sentivo miei. È stato quello il momento in cui ho cominciato a pensare a dei figli miei, una famiglia, il calore di una casa, l'amore di chi ti da il bentornato. Ricordavo perfettamente tutti i passaggi che avevamo fatto, al tempo, per portare in vita Priscilla. Per questo alla fine cedetti e ci provai... ci volle molto più tempo del previsto, senza l'aiuto di Purehito ci misi anni interi prima di riuscire a ricreare tutte le condizioni ideali alla vita. Infine, sette anni fa, venne finalmente al mondo Ares. La prima cosa che feci fu parlargli di te, della graziosa bambina che mi diede l'ispirazione e fece nascere in me il desiderio di crearlo. Volle conoscerti e, benché spaventato all'idea di mandarlo solo per il mondo, acconsentii e gli permisi di partire per venirti a cercare».
«Questa parte ve l'ho già raccontata per strada» intervenne Ares. «Raggiunsi Magnolia, ma solo quando fui lì venni a sapere che l'isola Tenrou dove eravate era sparita nel nulla, portandosi voi dietro. Perciò tornai a casa con la coda tra le gambe».
«Vederlo così triste mi strinse il cuore, aveva così tanto desiderato trovare qualcuno come lui, qualcuno in grado di condividere la sua esistenza unica e incredibile. Io per primo sapevo benissimo cosa significasse essere soli, perciò con ostinazione ci riprovai e diedi vita ad Athena. Poi venne Efesto, Eris, Ebe e Ilizia, Persefone, Nemesi, Afrodite, Dike e Eirene, Eunomia, Dioniso ed Hermes e infine i due gemelli Apollo e Artemide. Mi sono lasciato prendere un po' la mano» ridacchiò, nervoso. «Ma ammetto che vederli insieme, ogni giorno della mia vita, tutti intorno a me è la cosa più bella che fosse mai potuta capitarmi. Ecco perché non riesco a pentirmi di ciò che vi feci, tanti anni fa, nonostante sia stato complice di quegli orribili esperimenti e la causa, probabilmente, di tutti i vostri problemi. Se non fosse stato per voi non avrei mai avuto tutto questo».
«Io...» mormorò Priscilla. «Non avrei mai immaginato che...» ma non seppe bene nemmeno che cosa dire con precisione.
«È davvero una storia incredibile» disse Bickslow, voltandosi verso Evergreen che sorrise e disse: «E pensare che ci siamo incontrati per caso».
«Non proprio per caso. Ci stavate cercando, giusto?» disse Fried.
«Vi abbiamo visto ai Grandi Giochi» disse Athena, restando in piedi al fianco di Zeus. «Lì abbiamo scoperto che eravate ancora vivi ed eravate tornati».
«Perciò abbiamo cominciato a pensare che forse avremmo potuto incontrarti e presentarci» disse Efesto, alzandosi finalmente da davanti al camino. «Tutto pronto, fatelo bruciare per il pomeriggio intero e stasera avremmo un bel tepore a cena per scaldarci» disse indicando il fuoco alle sue spalle.
«Hai davvero mandato i due marmocchi a fare la spesa da soli?» chiese Ares, voltandosi verso Athena. «Senza nessuno che li tenga d'occhio? L'ultima volta sai bene cos'è successo!»
«Li ho redarguiti abbastanza» rispose Athena. «Sono certa questa volta sapranno prendersi le loro responsabilità, in nome dei nostri ospiti».
«Scommetto che mi toccherà scendere in paese e andarli a prendere, invece» sospirò Ares, nervoso.
«Riponi più fiducia nei tuoi fratelli, tutto questo è funzionale alla loro crescita» insisté Athena con un tono solenne e delicato, ma Ares piantò la guancia sul pugno chiuso e sputacchiò un semplice e poco convinto: «Bah».
«Avete ragione, abbiamo parlato abbastanza» ridacchiò Zeus, notando lo scambio dei suoi figli e interpretandolo come stanchezza nell'affrontare certi discorsi. Non avevano perso tempo a cambiare argomento, interessati più a tornare alle loro normali vite. «Fate come se foste a casa vostra, Athena e gli altri miei figli sono a vostra completa disposizione. Se posso consigliarvi, alle spalle della gilda, sul lato sud-est, c'è un laghetto veramente delizioso con acque purificative. Una vera chicca di questo posto, potete immergervi i piedi e in pochi minuti vi sentirete ristorati completamente, anche se avete appena affrontato una camminata faticosa di chilometri. Athena, Ares, perché non gli fate vedere dove si trova?» chiese ai suoi due figli che annuirono con serenità. «Farà bene anche a me farmi un bagno rinfrescante» disse Ares, alzandosi e sgranchendosi le spalle.
«Potrebbe essere un'esperienza interessante, provare qualche nuova fonte per la bellezza della pelle» disse Evergreen con un pizzico di malizia negli occhi, mentre già si pregustava la visione dei muscoli di Ares bagnati dall'acqua del laghetto intento magari in qualche vigorosa nuotata.
«Credo che verrò anche io, non vorrei che il povero Elfman dovesse ricevere qualche triste notizia» ridacchiò Bickslow, lanciando occhiate derisorie a Evergreen e alla sua palese debolezza.
«Alcune specie botaniche sono caratteristiche di questo posto, mi piacerebbe mostrarvele. È l'orgoglio della nostra gilda, spero mi concediate questa piccola superbia» disse Athena sempre con eleganza e questa volta fu Fried a sorridere e rispondere con un: «Ho sentito parlare di alcune piante di sottobosco che nascono solo qui intorno, sono proprio curioso».
«Se poi vorreste andare a riposare, Dike e le altre dovrebbero ormai aver finito di sistemare i vostri letti. Efesto può accompagnarvi alla vostra stanza» disse Zeus e ad alzarsi, intenzionato a seguire quel consiglio, fu Laxus mormorando un semplice: «Se non è un problema...».
Aveva ancora addosso la stanchezza della missione a Borwatt, che con tutta quell'elettricità accumulata e riversata l'avevano stremato. Aveva dormito un po' sulla carrozza, ma certo non poteva avere paragoni con un letto serio. E poi aveva davvero un gran bisogno di starsene solo per un po', riflettere e mettere pace al proprio animo. Quelle persone... era egoista e stupido, ma in qualche modo aveva cominciato a sentire la mano di Priscilla scivolare via dall'istante in cui li avevano incrociati. Una strana angoscia, un doloroso turbamento e un celato nervoso che doveva soffocare in qualche modo lontano dagli sguardi di tutti.
«Affatto. Ti faremo chiamare per la cena, quando i ragazzi saranno tornati» disse Zeus. «Efesto, per favore...» disse poi, verso il figlio, chiedendogli indirettamente di accompagnarlo.
«Certo» rispose il figlio, aprendo la strada a Laxus e conducendolo verso la piccola casetta con balcone dove avevano visto Dike al loro arrivo. Priscilla si alzò, senza comunicare cosa avrebbe fatto e dove sarebbe andata, probabilmente avrebbe seguito qualcuno di loro solo per inerzia. Ma Zeus la bloccò con un timido: «Ah, Priscilla...» attirando la sua attenzione. Tornò ad afferrare il proprio bastone e provò ad alzarsi, faticosamente. «Faresti compagnia a questo vecchio durante la sua passeggiata del pomeriggio? Mi aiuta a tenere in forma le gambe e ho davvero desiderio di parlare un po' con te. Raccontami qualcosa di te, per favore».
Priscilla si avvicinò rapidamente al vecchio, vedendolo in difficoltà, e l'aiutò a mettersi in piedi. Gli restò a fianco e lui prese saldamente il suo braccio, prima di cominciare a camminare verso l'esterno della gilda, lentamente e faticosamente.
«C'è un sentiero davvero piacevole da quella parte, vieni, passeggiamo un po'» disse Zeus, facendo lentamente strada verso il bosco fuori dal cortile della gilda. Ci misero un po', data la lentezza dei passi dell'uomo anziano, ma pian piano riuscirono a prendere e tenere un ritmo ben serrato. Entrarono nel bosco, seguendo un sentiero leggero di pendenza, quasi del tutto privo di buche, tiepido nell'ombra degli alberi e profumato per l'odore di fiori e foglie.
«Allora... ora che siamo solo io e te, vuoi dirmi come ti senti?» disse Zeus spezzando quel silenzio.
«Come mi sento?» mormorò lei.
«Sì. Non ti conosco così bene, ma ti ho vista quel giorno tanti anni fa con Laxus e ti ho vista durante i Giochi. Sei una ragazza molto solare e caotica, riesco a leggere anche io la stranezza di questo tuo comportamento» disse Zeus e lei, accennando un sorriso imbarazzato, confessò: «Mi spiace. Non è facile da accettare, così su due piedi».
«Certo, è normale. C'è qualcosa in particolare che ti turba? Magari se ne parli, riesco ad aiutarti» insisté lui, premuroso in quell'attenzione.
«Ecco...» sospirò lei, un po' titubante. «Sono confusa... e un po' spiazzata. Io...» ma ancora esitò, lasciando andare infine un sospiro arrendevole. «Ho sempre detestato la mia natura» confessò. «Ero sola, sapevo di essere unica nel mio genere e per questo assurda. Non avevo nessuno che potevo definire uguale a me, perciò ho sempre pensato che... sì, ecco, il mio desiderio più grande è sempre stato quello di diventare umana per poter avere... una specie. Un posto mio, dove stare. È... è qualcosa che non dovrei dire, probabilmente, visto quanto la mia famiglia tiene a me e stia facendo di tutto per farmi sentire parte di loro. Il nonno, soprattutto, ha sempre insistito sul fatto che meritassi Fairy Tail esattamente come tutti gli altri. Probabilmente soffrirebbe se mi sentisse dire certe cose».
«È naturale» annuì Zeus. «Anche se ti sforzi, non puoi negare l'evidenza. Tu non sei come loro e non essere come il resto del mondo include che uno possa sentirsi solo. È ciò che ha provato Ares per un po', prima che mi decidessi a far nascere anche Athena. Ma ora eccoti qua, non sei più sola, non è perciò bellissimo?»
«Sì» rispose Priscilla, mostrandosi ancora titubante. «Ma... ma io ho Fairy Tail. Insomma...»
«Vi siete tutti appena scontrati con una realtà che avevate invece imparato a surclassare, l'avevata inglobata nella vostra, pensando che fosse parte di un unico mondo. Tutto questo invece ha dato un taglio netto, non è così? È come se ti venisse sbattutto in faccia che fino ad ora hai sbagliato e che è vero che non sei come loro, proprio quando aveva iniziato a credere il contrario».
«Esatto, è questo...» annuì Priscilla. «E poi... perché...» arrossì e si corrucciò, sempre più imbarazzata. «Mi sono sentita veramente a casa, qui».
«Senti di averli traditi?» chiese Zeus, sorpreso e lei ancora piena di vergogna annuì.
«Oh, piccola Priscilla» sospirò lui, facendole un sorriso. «Come ti chiamano, loro? Pricchan?» e lei annuì, sorridendo.
«Una persona può avere più di una casa, lo sai? Una casa...» sorrise. «Sono le persone che fanno di un posto una casa, non certo delle mura. E non puoi certo credere che qualcuno possa legarsi solo a una persona o un gruppo di persone di una certa cerchia. Prova a pensare, non hai amici al di fuori di Fairy Tail?»
E Priscilla, pensierosa, annuì ripensando a Leon e Cherry.
«E non ti sentiresti a casa stando in loro compagnia?» chiese ancora Zeus.
«Credo di sì» rispose lei.
«Questo significa tradire gli altri? O scordarti dell'altra casa? I legami, le persone, di qualunque consistenza siano fatti e qualunque sia la loro natura, non si dimenticano. Ripensa al tuo Laxus... suo padre gli cancellava la memoria, gli faceva dimenticare le barbarie che lo costringeva a commettere, ma non restava comunque dentro lui turbamento e senso di colpa nei tuoi confronti? Non vedevi in lui il dolore e la confusione? I ricordi cambiano, possono essere manipolati, ma i sentimenti sono per sempre».
«Hai detto che non hai più avuto contatti con Ivan... come sai di...» azzardò Priscilla, un po' turbata, ma lui ancora sorrise e disse: «Bambina mia, io vedo tutto. Come credi che abbia trovato la Lacryma di Drago e il libro per la magia della vita, se non fossi stato in grado di vedere ogni cosa?» ridacchiò.
«È per questo che hai ripreso Ares prima, quando ha provato a provocare Laxus» disse lei. «Sapevi».
«Ho parlato più volte ad Ares della vita disgraziata che vi siete ritrovati a fare per colpa di quell'uomo, non sono entrato nei particolari perciò lui non sa esattamente se Laxus abbia fatto quello che ha fatto o meno. Ma, anche se è un bravissimo ragazzo, ha il difetto di avere un po' troppo fuoco dentro e a volte è troppo istintivo nelle reazioni. La sua provocazione serviva solo a scavare dentro tuo fratello e capire se realmente aveva fatto quelle cose o meno, perché in tal caso avrebbe probabilmente perso la testa. L'ho rimesso in riga appena in tempo. Ares...» ridacchiò. «Tiene insieme i pezzi di questa baracca, ormai, si occupa di ogni cosa e riesce tenere unita la famiglia. Si occupa di crescere i suoi fratelli, di educare i più piccoli e tenere in riga le più grandi. È un pugno di ferro, sono felice che sia così perché io ormai non sarei più in grado di correre dietro ai gemelli per impedir loro di farsi del male. È davvero un bravo ragazzo, anche se a volte un po' attaccabrighe. Non voglio essere ipocrita e dirti che sono felice così, perciò sarò sincero con te... ti confesso che mi piacerebbe davvero molto averti qui con noi. I ragazzi ti ammirano molto, soprattutto dopo che ti hanno vista combattere ai Grandi Giochi, ti credono eccezionale. Sei una leggenda, sono sicuro saresti una guida eccezionale per questo povera gilda di reietti».
«Guida?! Io?!» sobbalzò lei, sorpresa di sentire un discorso come quello. Si conoscevano appena, anche se loro l'avevano sempre seguita, ma comunque si erano appena incontrati e già accennavano a farla restare e addirittura a essere la loro guida. Zeus sospirò, tristemente, anche più di quanto si aspettasse.
«Ho un desiderio in fondo al cuore, piccola Priscilla. Capisco sia eccessivamente prematuro, soprattutto considerando il tuo attuale turbamento, ma ho timore di non avere altre occasioni se non questa. Dimmi una cosa, bambina mia... tu sei libera, non è così?» e Priscilla restò semplicemente in silenzio, perplessa e sorpresa nel sentire che era riuscito a scoprire anche quello di lei. «Il collegamento con Ivan è stato spezzato, riesci a vivere di una vita tua, esclusiva, non è così?»
«Sì...» mormorò lei.
«È un evento incredibile, probabilmente più unico che raro» commentò Zeus e Priscilla cominciò a comprendere. «Loro... non lo sono?»
«Già. Ma non per volere mio. Ti assicuro sono anni che continuo a cercare, insieme ad Athena, la più intelligente delle mie figlie. La sua magia della conoscenza sta sfogliando da anni decine di libri, cercando risposte e soluzioni, senza riuscire a trovarne. E io intanto sono invecchiato. Guardami... ho bisogno di un braccio e di un bastone per camminare. Cosa credi succederà quando persino il mio cuore sarà troppo debole per continuare a battere?»
Una straziante immagine le pervase la mente, una dolorosa verità, e in un istante vide in un ipotetico futuro tutta quella gente morire in un sol momento. Persino i gemelli, i piccoli bambini allegri che facevano ballare le formiche, a terra, vuoti, privi di anima e di vita.
«Tenerli in vita tutti quanti consuma un sacco di magia, mi ha portato a un invecchiamento precoce, la mia vita è sempre più breve e la rapidità con cui arriva per me il fato della morte è troppo veloce per permettermi di perdere altro tempo. Potrebbe succedere anche domani stesso» e Priscilla si portò istintivamente una mano alle labbra.
«Purehito...» mormorò. «Master Hades, lui aveva trovato il modo di diventare immortale!» disse Priscilla, trovando in breve tempo una soluzione.
«Purehito era sceso a patti con il mondo dell'oscurità, si era lasciato corrompere dai demoni per poter ottenere l'immortalità ed è diventato infine un uomo corrotto e violento, benché nei suoi primi anni di vita fosse famoso per la sua bontà e giustizia. Posso davvero accettare lo stesso destino? Diventare il master di una gilda di demoni immortali? Diventeremmo peggio di Grimoire Hearts» era uno scenario apocalittico che certamente non avrebbero mai voluto vedere.
«E allora...» mormorò lei, spaventata e confusa.
«Una soluzione esiste, per fortuna Athena e il suo incredibile genio è riuscita a trovarla. Ha studiato gli stessi libri di Purehito e ha compreso a fondo il segreto di questa magia che vi tiene in vita» disse Zeus e Priscilla, rapida, chiese: «E qual è?»
«Il collegamento può essere passato...» disse Zeus, prima di aggiungere più preciso: «O meglio, può esserne creato un secondo così che quando il primo morirà ci sarà la seconda fonte a sostenerli. Qualcun altro prenderebbe a carico l'anima di Ares e gli altri così che quando io morirò loro non subiranno la stessa sorte e potranno proseguire nella loro incredibile vita. Ma stiamo parlando di quindici persone, non è cosa che possono sostenere tutti quanti, inoltre il mio desiderio più profondo... ciò che vorrei più di ogni altra cosa è che la vostra natura venga rispettata per quello che è realmente e che siate felici di questo. Priscilla, siete nati da immortali... dovete restare immortali! È questo che siete voi, è questo che dovete accettare di essere e dovrete essere per sempre. Non è giusto che qualcuno possa cambiarvi o pretendere che voi siate qualcos altro per compiacerli. Voi siete immortali e questa è Olympos, la casa degli Dei! Priscilla... ascolta questa mia preghiera» disse mentre la ragazza pallida, ora ferma in mezzo al viale, aveva cominciato a negare debolmente. Cominciava a capire, cominciava a capire ogni cosa, ma non poteva farlo. Non avrebbe mai potuto accettare... di lasciare Fairy Tail.
«Prendi il mio posto. Il tuo potere è in grado di sostenerli tutti quanti, li salverai da morte certa, ed essendo immortale non vi esuarirete mai. Io sono l'ultimo ostacolo da abbattere per rendere questa gilda ciò che è realmente, una gilda di dei, una gilda di immortali. Diventa Master... salva le vite dei miei figli, te ne prego».
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~{Fairy Tail}~ La bambina di carta ~
FanfictionNon c'era al mondo persona che non conoscesse Fairy Tail. La gilda simbolo di Magnolia vantava tra i suoi membri alcuni dei maghi migliori dell'intero continente. Ma ogni medaglia ha due facce e se Fairy Tail ne aveva una sublime, abbagliante, dall'...