Un rumore attirò la loro attenzione, ed entrambi alzarono lo sguardo. Una palla di vetro era caduta a terra e rotolava nella loro direzione. Si alzarono e le si avvicinarono per raccoglierla.
«Una Lacryma?» chiese Laxus, riconoscendola.
«Deve essere a causa di questa che la tua elettricità è rimasta intrappolata qui e si è amplificata a tal punto» realizzò Priscilla.
«Come può essere successo?» chiese lui e Priscilla si corrucciò, arrivando finalmente alle sue conclusioni. «Credo un'idea di essermela fatta» disse semplicemente e Laxus non ebbe bisogno di chiederle altro, pensando anche lui alla stessa cosa. Non c'era altra soluzione se non che qualcuno avesse organizzato tutto e l'unico che sembrava loro tanto viscido e fastidioso da poterlo fare poteva essere solo il sindaco e quel suo segretario riverente.
«Laxus! Pricchan!» chiamò Evergreen, raggiungendo i due insieme a Bickslow e Fried.
«Ever aveva ragione!» disse Bickslow. «È stato il sindaco, ha organizzato tutto lui. Il mio piccolo è tornato e ci ha raccontato tutto» spiegò, indicando uno dei suoi totem.
Laxus e Priscilla si scambiarono uno sguardo irritato e complice. I loro fastidiosi sospetti erano perciò fondati: il sindaco aveva organizzato ogni cosa, a discapito di quella città, probabilmente per estorcere qualche soldo a Fairy Tail con la scusa dei danni che avevano e avrebbero potuto provocare.
Non dissero una parola, ma si allontanarono torvi in viso, seguiti dal resto dei Raijinshuu. La loro direzione era ovviamente la casa del sindaco, dove sarebbero andati per scambiare con lui due parole.
«Restate qui» disse però Laxus, non appena furono fuori dalle fogne. «Cominciate a cercare una carrozza per tornare a casa, vado io a parlare con quel bastardo».
«Eh?» mormorò Bickslow, chiedendosi perché li stesse lasciando indietro. Ma non se ne preoccupò molto, era normale che Laxus volesse trovarsi solo faccia a faccia con quell'uomo. D'altra parte un lamento di Priscilla diede un'ulteriore motivazione. Evergreen scattò in avanti appena in tempo per prenderla per le spalle e aiutarla a restare in piedi.
«È stato difficile contenere e manipolare tutta quell'elettricità» disse con un sorriso imbarazzato, mentre cercava di rimettersi in piedi. «Una parte di questa mi ha colpito, ho i muscoli un po' rigidi, mi spiace» ridacchiò.
«Va bene, allora» disse Fried a Laxus, avvicinandosi a Priscilla per aiutarla a mettersi a sedere sulla fontana. «Ti aspettiamo qui».
«Cerca di non strafare, ok?» disse Priscilla, riuscendo così a strappargli ancora una volta un sorriso divertito. Strafare era nello stile di Fairy Tail, ovviamente avrebbe strafatto e lei lo sapeva bene.
Si allontanò, lasciando la ragazza nelle mani dei suoi amici per aiutarla a riprendersi, e si incamminò verso la casa del sindaco portandosi dietro un fiume di potenti e incazzati fulmini che cadevano dal cielo intorno a lui. Dopo qualche minuto uno di questi centrò in pieno la casa del sindaco, sfondando il tetto e disintegrandone gran parte del fianco sinistro. Nello stesso identico punto altri fulmini caddero, violenti, uno dopo l'altro, fino a quando un ultimo non esplose a mezz'aria, nel cielo sopra di loro.
«Alla fine ha strafatto» ridacchiò Priscilla, seduta sul bordo della fontana, intenta a guardare il cielo.
«Tipico di Laxus» disse Evergreen al suo fianco. Priscilla sorrise, socchiuse gli occhi e restò immobile per lunghi istanti mentre intorno a loro il vento cominciava a soffiare leggermente più forte. Le nuvole sopra la loro testa si mossero fino a quando in più punti non cominciarono ad aprirsi squarci che lasciavano intravedere l'azzurro candido dietro di loro. In pochi minuti sparirono tutte, dissolte, e Priscilla con un sospiro raccoglitore tornò ad aprire gli occhi.
«Il cielo in tempesta a me non dispiace, ma penso che queste persone se ne siano ormai stancate» disse, spiegando così il motivo che l'aveva spinta a far sparire con la magia quelle nuvole senza permettere a loro di farlo con i propri tempi. E mentre aspettavano il ritorno di Laxus dalla casa del sindaco una folla li circondò lentamente, inneggiando al loro valore e alla loro incredibile forza. Urlavano il nome di Fairy Tail, chiamavano con entusiasmo i nomi dei membri lì presenti, salutavano e ringraziavano, e quando Laxus fu di nuovo insieme a loro vennero accompagnati con la stessa euforia sino al confine della città, dove trovarono solo lì una carrozza disposta a riportarli indietro. Apparteneva a uno dei cittadini di Borwatt che per tutto quel tempo l'aveva tenuta chiusa, al sicuro, insieme agli animali che la trainavano. Finalmente poteva tornare a fare il suo lavoro, senza più temere i fulmini, e il modo migliore che aveva per ringraziarli era quello di riportarli a Magnolia evitando loro la strada a piedi. Laxus ebbe ovviamente bisogno della magia di Priscilla per evitare di star troppo male e di nuovo si appoggiò con la testa sulle sue gambe, mentre lei tenendogli una mano sulla tempia usava il suo potere per aiutarlo. Come spesso accadeva, finì con l'addormentarsi in quella rilassata posizione, e stanchi per la missione appena compiuta anche gli altri Raijinshuu finirono pian piano con l'addormentarsi. La stessa Priscilla cadde nel sonno, smettendo così di utilizzare la sua magia sul centro dell'equilibrio di Laxus, ma dormendo anche lui difficilmente si sarebbe accorto del cambiamento.
Nessuno di loro seppe perciò avere idea alla strada che stavano percorrendo, non sapevano quanto tempo fosse passato né di dove fossero quando improvvisamente vennero svegliati da una vera e propria esplosione. La carrozza venne sbalzata via, con loro all'interno, e schiantandosi contro rocce e alberi finì in frantumi.
«Che succede?» ringhiò Fried. Spostò un asse di legno della carrozza esplosa e cominciò a rialzarsi, guardandosi attorno confuso. Non troppo lontano anche Bickslow e Evergreen si stavano lentamente rialzando, doloranti e con lo sguardo corrucciato. Dall'altra parte sentì altre macerie che venivano spostate e anche Laxus uscì indenne da sotto un pezzo di carrozza. La terra tremò e sentirono l'urlo di Priscilla, a pochi metri da loro. Un ruggito tanto potente da scuotere gli alberi con le loro stesse radici, e dal bosco che li circondava un gigantesco mostro emerse sfondando almeno una decina di alberi. La testa di un facocero, camminava a quattro zampe ma poteva benissimo alzarsi su due. Il corpo massiccio, ricoperto di muscoli e artigli alle zampe che usava per raspare il terreno. Correva furioso, lanciando bava in giro, dritto verso Priscilla che nell'esplosione era finita incastrata con una gamba sotto a un albero, sbalzato e atterrata proprio su di lei.
Laxus tese i muscoli, pronto a correrle incontro. Bickslow e Fried erano già pronti a mettersi in piedi per seguirlo, diretti contro l'enorme bestia, mentre Evergreen sarebbe corsa ad aiutare Priscilla a liberarsi. La ragazza stessa aveva già alzato le braccia, pronta a usare il suo potere per difendersi come poteva. Ma nessuno di quei gesti venne portato a compimento.
Con un grugnito spaventato e dolorante il facocero interruppe la sua corsa, come se fosse stato tirato da qualcosa dietro di sé. Si voltò e vide la causa del suo blocco: un uomo. Un singolo uomo dagli occhi rossi, i capelli scuri, un tatuaggio intorno all'occhio sinistro, il petto nudo, scalzo, vestito di solo un paio di pantaloni scuri, anonimi. L'aveva afferrato per una zampa e nonostante la differenza di stazza fosse di almeno cento volte la sua sola forza fisica si rivelò abbastanza da trattenerlo. L'uomo ghignò e piantò un piede meglio a terra con tale forza che ne scavò un solco. Iniziò a tirare, irrigidendo ogni singolo muscolo delle sue massicce spalle e braccia, e il mostro grugnì per lo spavento sentendosi tirare all'indietro. Era un microbo, al confronto suo, un insetto minuscolo eppure aveva una forza tale in grado non solo di contrastare la sua corsa ma anche trascinarlo indietro.
Priscilla, come il resto dei suoi compagni, restò talmente scioccata che smise di muoversi. Sentì, in quel frangente di tempo in cui si era paralizzata, il terreno sotto di lei farsi più morbido e viscoso. All'improvviso si mosse, come fango che veniva manipolato sul momento da una forza invisibile, circondarono la sua gamba incastrata sotto l'albero e si allungò verso l'alto, spingendo via il tronco.
Arretrò, terrorizzata benché il terreno ora fangoso l'avesse in realtà appena salvata, ma non andò troppo lontano. Alle sue spalle il terreno si sollevò come vicino alla sua gamba, ma questa volta da esso prese forma e consistenza una testa e un mezzo busto che si piazzò alle sue spalle e contro cui si scontrò. Spaventata si voltò a guardare chi fosse e scoprì una -mezza- donna fusa col terreno sotto di sé. Aveva la pelle dello stesso colore del fango, scura, gli occhi neri erano protetti da un paio di occhiali da lavoro, di quelli che aderiscono alla pelle ed evitano che ci possa entrare qualcosa. I capelli verdi, corti, macchiati ancora di fango che però scivolava giù con un'inusuale facilità lasciandola pulita.
«Niente di rotto?» chiese semplicemente, senza nessun tipo di emozione sul volto se non forse addirittura una velata noia. Il mostro davanti a loro urlò e grugnì ancora, dimenandosi nel tentativo ora di liberarsi e riprendere a correre, ma l'uomo, anche in mezzo al polverone delle sue zampe, riusciva a tenerlo ben fermo dov'era.
«Eris!» gridò con voce roca e spazientita.
«Ecco, arrivo» sbuffò una ragazza alle spalle dei Raijinshuu. «Che palle» aggiunse, facendo scoppiare fuori dalle labbra la bolla di una gomma da masticare. Capelli corti, rosa con sfumature viola e bianche, aveva sul viso un trucco pesante nero e viola intorno agli occhi e un rossetto rosso acceso. Giacca in pelle, top bianco e giallo, una collana borchiata, pantaloncini strappati praticamente inguinali, una calza parigina rossa e l'altra nera e un paio di guanti gialli. Non c'era niente di sensato in quel look, sembrava essere saltata nell'armadio di un membro di un gruppo punk ed esserne uscita con le prime cose che aveva trovato, senza abbinarle troppo. Stringeva nella mano destra un'enorme spada dall'aspetto inusuale, probabilmente più lunga di quanto lei fosse alta, nera all'interno, gialla nella parte esterna della lama. La fece roteare al suo fianco, spostando con quel semplice gesto un enorme quantitativo d'aria, e infine corse verso il mostro trascinando la lama che con la punta poggiata a terra lasciò un solco al suo passaggio. Urlò, saltò e atterrò sull'articolazione dell'arto anteriore del mostro. Saltò di nuovo, come uno stambecco, atterrando ora sulla spalla, poi sulla zanna, poi sul naso e con un ultimo salto arrivò sopra la sua testa. Alzò l'elsa della spada sopra di questa, indirizzando la punta dritto tra gli occhi del mostro all'interno del quale penetrò. Con un ultimo ruggito il mostro scosse la testa, dilaniato dal dolore del colpo che l'aveva centrato in testa. Eris rimase aggrappata all'elsa della propria arma e venne sballonzolata per un po', prima che il mostro infine privo di vita non si accasciasse a terra. L'uomo lo lasciò andare e con un sospiro si asciugò il sudore della fronte con dorso della mano. Eris, anche quando riuscì a disincastrare la propria spada dal cranio del mostro, ci restò sopra sedendosi in quello stesso punto. A gambe divaricate, in una posa sciatta e volgare, tornò a masticare rumorosamente la propria gomma mentre guardava il mondo da lassù.
La donna fango alle spalle di Priscilla si allungò verso l'alto, dando forma a un corpo completo che si staccò dalla terra. Tirò su Priscilla in quel gesto, permettendo anche lei di mettersi in piedi. Le diede un paio di pacche sulle spalle, le tolse la polvere dai vestiti, una foglia dai capelli e infine annuì soddisfatta guardandola compiaciuta per essere riuscita a ripulirla e rimetterla in ordine.
«Tutto a posto, mocciosa?» chiese Eris, guardando Priscilla rigida e ancora sotto shock di fronte alla donna dalla pelle scura.
«Eris, sii educata» la rimproverò l'uomo con tono annoiato e apatico, sintomo che era sicuramente qualcosa che le ripeteva talmente spesso da aver perso le speranze di vederla cambiare.
«Non rompere» rispose lei a tono, facendo scoppiare un'altra bolla fuori dalle labbra. L'uomo superò le zampe posteriori del mostro appena atterrato e si avvicinò a Priscilla, ancora assistita dalla sua silenziosa, inquietante e invadente compagna. Ma non appena riuscì a intravedere il suo volto si paralizzò, sgranando gli occhi, e restò per qualche secondo a fissarla esterrefatto. «Aspetta... aspetta un attimo...» balbettò.
«Ehy... che ti prende?» chiese Eris, curiosa e stranita nel vedere il proprio compagno così sbigottito.
«Lei... lei...» balbettò, senza riuscire a concludere la frase.
«Athena aveva ragione» disse la donna dalla pelle scura, allontanandosi da Priscilla di un passo con fare solenne.
«Athena?» mormorò Priscilla, cercando di capire cosa stesse accadendo.
«Pricchan!» chiamarono in coro i tre Raijinshuu. Le corsero incontro trafelati e subito la presero d'assalto, esaminando ogni centimetro della sua pelle e del viso.
«Stai bene? Sei ferita?» chiese Evergreen prendendole il viso tra le mani con tale irruenza da schiacciarle le guance.
«Mi fai male, Ever» bofonchiò Priscilla a labbra strette, incapace di parlare decentemente con la donna che la stringeva in quel modo.
«Che diamine era quel coso?» chiese Bickslow, guardando il mostro a terra.
«Dobbiamo ringraziarvi» disse Fried avvicinandosi alla donna dalla pelle scura. «Ci avete salvati da quella bestia» ma la donna parve non ascoltarlo nemmeno e continuò a tenere gli occhi, ora liberi dagli occhialini da lavoro poggiati sulla testa, su Priscilla che veniva ancora maneggiata e studiata da un iper apprensiva Evergreen.
«Pricchan» mormorò Eris, storcendo il naso e cercando di esaminare probabilmente dei ricordi. Infine si illuminò e spalancando bocca e occhi gridò: «Per la miseria! Tu sei Priscilla!»
Saltò in piedi e cominciò a correre sgraziatamente giù dal mostro, inciampando e arrancando sui peli e sulla pelle granulosa del suo naso.
«Eris, piano!» cercò di dirle l'uomo, vedendola cadere di faccia a terra non appena fu giù dal mostro. Ma la ragazza lo ignorò e corse a perdifiato verso Priscilla, senza neanche alzarsi del tutto, procedendo in un primo momento a quattro zampe.
«Fuori dai piedi!» ruggì una volta raggiunta Priscilla e lanciando in avanti entrambi i pugni colpì sia Evergreen che Bickslow, scaraventando entrambi a terra. Prese Priscilla per le spalle e se la tirò contro, per guardarla meglio in volto, ma il suo trattamento irruento durò ben poco.
«Ilizia, per favore» sospirò l'uomo, mentre lentamente li raggiungeva. La donna dalla pelle scura si fece di nuovo malleabile e allungò il proprio corpo come fosse fatto di plastilina. Si attorcigliò intorno a Eris, la intrappolò e le chiuse la bocca, per poi tirarla via. Eris provò a ribellarsi, si dimenò e urlò, ma Ilizia la teneva ben serrata nel suo corpo di gomma come fosse un serpente che stringeva la propria preda e le impediva di far sentire troppo la sua voce. L'uomo si avvicinò a Evergreen e Bickslow, stesi a terra, e porse loro la propria mano per aiutarli ad alzarsi.
«Perdonate mia sorella. A volte le ci vorrebbe la museruola» disse ignorando la voce di Eris che alle sue spalle si fece più forte e potente nei suoi lamenti.
«Oh, non è successo niente, è solo una ragazza esuberante» disse Evergreen alzandosi da terra come se niente fosse appena successo, e benché avesse ancora la guancia rossa e gonfia per il colpo si strinse nelle spalle con fare femminile e cominciò a sventolarsi civettuola. Era ovvio che non fosse rimasta indifferente al corpo scultoreo dell'uomo.
«Che direbbe Elfman se ti vedesse adesso» le disse Priscilla, colpendola nel profondo e facendola sussultare. «Che c'entra Elfman adesso?» ruggì Evergreen, cercando di difendersi inutilmente.
«E così conoscete la nostra piccola stella, eh?» ridacchiò Bickslow mettendo un gomito sulla testa di Priscilla per appoggiarsi e in qualche modo marchiarne anche il territorio. «L'avete vista ai Grandi Giochi? Un vero spettacolo, non è così?»
«Beh...» mormorò l'uomo, spostando gli occhi ora diventati neri e non più rossi su Priscilla. La guardò dritta negli occhi così a lungo e così intensamente che lei, anche se non ne capì il motivo, finì con l'arrossire. «Sì, l'abbiamo vista ai Giochi».
«È davvero notevole» mormorò Laxus, avvicinandosi a loro e guardando il mostro a terra morto. «Non è facile uccidere un mostro del genere. Siete maghi anche voi, devo pensare» disse, guardando poi Ilizia che ancora teneva prigioniera Eris nel suo corpo deformato.
«Già» annuì l'uomo, prima di guardare il mostro. «Da queste parti siamo abituati, bestiacce come lui non sono rare, anche se di solito se ne stanno volentieri per i fatti loro. Probabilmente il passaggio della vostra carrozza deve averlo disturbato».
«A proposito!» sussultò Priscilla. «Dov'è l'uomo che la guidava?» chiese preoccupata, guardandosi attorno.
«Siamo molto lontani dalla strada per Magnolia, come siamo finiti qui?» si chiese poco dopo Fried, studiando l'ambiente circostante.
«Probabilmente è colpa della magia del sonno di quegli uomini se non vi siete accorti di niente» commentò l'uomo.
«Accorti?» chiese Priscilla.
«Magia del sonno?» chiese anche Evergreen.
«Una gilda di ladri, hanno sede non troppo lontano da qui e sono una vera piaga. Sono anni che gli diamo la caccia. Vi hanno addormentati, compreso l'uomo alla guida, e hanno preso possesso della vostra carrozza portandovi su questa strada. Athena, nostra sorella, ha un potere simile ad Archive. Questa è la sua zona e riesce a vedere tutto quello che accade, vi ha visti e ci ha mandati per aiutarvi. L'incidente col facocero non era previsto, ma non è niente che non abbiamo già affrontato. Probabilmente vi hanno seguiti dall'uscita di Borwatt, volevano appropriarsi della ricompensa per la missione svolta» spiegò.
«Come sapete della nostra missione a Borwatt?» chiese Laxus corrucciandosi appena e l'uomo si grattò la nuca, imbarazzato, mormorando un preliminare: «Oh, beh...» ma una voce infantile lo interruppe gridando: «Athena sapeva anche questo!»
L'uomo parve paralizzarsi nel sentirla ma sul suo volto sorpreso si dipinse immediatamente un'espressione furiosa, mentre una seconda voce di un ragazzino gridava con la stessa enfasi: «Athena sa sempre ogni cosa, è fighissima!»
«Ti stava cercando, Priscilla!» disse il primo, poi il secondo subito dopo: «Guarda, Ares! Abbiamo preso i cattivi!»
«Cercando?» mormorò Priscilla, mentre l'uomo, che scoprirono in quel momento chiamarsi Ares, si voltava verso i due ragazzini che si erano intromessi nella discussione. Non avevano sicuramente più di quattordici anni, uno aveva capelli rossi, ricci, spettinati a tal punto da sembrare un vero e proprio cespuglio. Un sorriso sdentato, lentiggini sul viso, vestito come un campagnolo dal rango estremamente povero e completamente ricoperto di macchie e sporco vario. Il secondo era un pochino più alto del primo, con i capelli rasati sui due lati e un accenno di cresta sulla testa. L'abbigliamento era meno da contadino del primo, ma comunque restava strappato e sporco in più punti, con addirittura un buco nelle scarpe. Nessuno dei due emanava un odore gradevole, chissà da quanto tempo non si lavavano o in quale fogna erano andati a nascondersi, ma avevano comunque in tutto e per tutto l'aspetto di due incivili. I tipici ragazzini a cui piaceva far scherzi, far rumore e cacciarsi nei guai. Tenevano sollevati sopra la testa due uomini fuori combattimento, svenuti e reduci sicuramente da un violento combattimento viste le innumerevoli ferite che avevano addosso. Nonostante fossero ben più grossi di loro, li tenevano sollevati sopra la testa come due trofei e li sventolarono allegri di fronte ad Ares che pareva ora ingrossarsi e gonfiare di più i propri muscoli.
«Voi due...» ringhiò con voce roca e questo bastò a far terrorizzare i due ragazzini. Urlarono, lasciarono andare i corpi dei due uomini che avevano catturato e si voltarono pronti a scappare ma Ares fu più veloce e li prese entrambi per la testa. Li sollevò da terra, mentre loro urlavano, sgambettavano e inutilmente cercavano di liberarsi dalla presa stritolatrice di Ares.
«Non vi avevo forse detto di restare alla gilda insieme a nostro padre e ai gemelli?» ruggì Ares.
«E' stata Athena a mandarci qui!»
«Ci annoiavamo!»
«Papà sta benissimo, poteva stare da solo pochi minuti!»
«C'era Ebe con loro».
«E Dike!»
«Volevamo solo aiutarvi!»
«Siamo grandi abbastanza da andare anche noi in missione, ora!»
«Volevamo conoscere Priscilla!»
«Athena diceva che era qua!»
«Alla fine abbiamo preso noi i cattivi, tu non hai fatto niente!» e urlarono maggiormente sotto la stretta sempre più furiosa di Ares che pareva volergli sfondare il cranio da un momento a un altro.
«Conoscere... me?» mormorò Priscilla, sempre più confusa. Quella gente parlava di lei come di una diva, di un sogno a cui sembravano aver ambito da chissà quanto tempo. Aveva partecipato ai Giochi, non c'era da stupirsi se era conosciuta, ma il loro modo di parlare e di fare sembravano andare ben oltre la semplice ammirazione.
«Siete parte di una gilda?» chiese Fried, chiedendosi con curiosità quale gilda si trovasse nella zona. Ares lasciò andare i due ragazzini solo al sentire quella domanda, convinto probabilmente di averli puniti abbastanza anche se avrebbe volentieri preso ancora a calci entrambi. La loro disobbedienza era incredibile, lo facevano diventare matto. Si indicò un bicipite, mostrando così un simbolo a forma di montagna aguzza, circondata da nuvole, e disse con orgoglio: «Olympos».
«La casa degli Dei!» esclamò il ragazzino con la cresta, sporgendosi oltre Ares per guardare Priscilla.
«Siamo la gilda degli immortali!» gli fece eco il rosso, sbucando al suo fianco, e Ares fu costretto a fare un passo di lato per permettere a entrambi di guardarla senza doverlo usare come pilastro per nascondersi dietro.
«I-immortali?» balbettò Evergreen, turbata e confusa. I due ragazzini lanciarono uno sguardo corrucciato ad Ares, prima di bofonchiare contrariati: «Non glielo hai ancora detto?»
«Non c'è ancora stato modo» disse Ares, imbarazzato. Eris, incastrata tra le spire di Ilizia, tornò a bofonchiare qualcosa e Ilizia la guardò come se stesse capendo ciò che diceva. Poi sospirò e disse timidamente: «È complicato».
«Noi siamo come te!» esclamò invece con esuberanza il ragazzino con la cresta e al suo fianco il rosso disse, altrettanto rapido: «Guarda!»
Estrasse un coltellino dalla tasca e con una velocità tale da essere praticamente invisibile pugnalò l'amico dritto al petto. Il ragazzino con la cresta aprì la bocca, sputando sangue e cercando invano dell'aria, sorpreso in quell'attacco improvviso. Si accasciò a terra, sotto lo sguardo attonito e le urla spaventate e preoccupate dei membri di Fairy Tail. Ma loro furono gli unici a spaventarsi tanto. Ares tirò un calcio al rosso, stendendola a terra, e gridò furioso: «Idiota!»
Prese il ragazzino con la cresta per il collo della maglia, lo sollevò da terra e gli tolse il coltello dal petto. Iniziò poi a tirare calci dietro la nuca del rosso, ruggendo sempre più furioso: «Quante volte devo dirvi che non dovete fare questi stupidi giochi!»
«Fa male» pianse il ragazzino con la cresta afferrandosi la ferita che ancora grondava sangue.
«Certo che fa male! Cosa credevi?! Essere immortali non significa che non potete farvi del male, cretini che non siete altro!» insisté Ares, continuando a colpire il ragazzino a terra.
«Ehy... un attimo...» balbettò Bickslow, il primo che sembrò cominciare a riprendersi da quello shock.
«Non stanno scherzando, vero?» sibilò Evergreen, pallida in volto.
«Sono...» mormorò Fried, ma il fiato sembrò sparire improvvisamente e non riuscì a concludere la frase. Laxus, al suo fianco, d'altro canto sembrava aver già smesso di respirare da un pezzo, probabilmente già da quando avevano accennato alla gilda degli immortali e al fatto che volessero conoscere Priscilla. Priscilla si portò le mani tremanti al volto, coprendosi le labbra dalla quale ora usciva un fiato spezzato, rotto dal dolore di un pianto che avrebbe potuto iniziare in qualsiasi momento, visti anche gli occhi lucidi.
«Sono...» sibilò, lievemente, e il ragazzino con la ferita al petto sorrise allegro notando la sua espressione. Si alzò la maglietta e le mostrò il taglio che aveva appena smesso di grondare sangue. Una luce sottile, azzurra, usciva dall'interno del suo corpo e da quella stessa luce la pelle pian piano si andava allungandosi e rinchiudendosi. «Sono come me».
Ilizia lasciò andare infine Eris, che parve ora calma e tranquilla. Ares cessò di colpire il rosso ai suoi piedi e rimise a terra l'altro ragazzino, che stava pian piano guarendo dal colpo e aveva già smesso di lamentarsi. Si voltarono tutti verso Priscilla e le concessero solo un amichevole sorriso, uno di quelli dolci e rassicuranti, il sorriso di chi dava il benvenuto a un fratello tanto mancato.
«So che siete in viaggio per tornare a casa, ma vorrei tanto che accettaste la nostra ospitalità anche solo per questa notte» disse Ares. «Nostro padre sarebbe felicissimo di conoscerti, e anche il resto della gilda».
«Il resto...» balbettò Bickslow. «Aspetta, siete tutti...?» cercò di chiedere, non sapendo bene come formulare la domanda, ma Ares riuscì comunque a cogliere la sua curiosità. Annuì prima di spiegare: «Nostro padre è il Master di Olympos, ha dato vita alla gilda mettendo al mondo noi figli. Purtroppo non siamo ancora una gilda ufficiale, anche se non facciamo del male a nessuno rientriamo ancora nel rango delle gilde oscure per il semplice motivo che il Concilio non ha molta simpatia per quelli come noi. Un'intera gilda formata da immortali non li entusiasma molto, ci stanno dando un po' di grattacapi ma papà ci sta lavorando molto».
«Un'intera gilda... quanti siete?» chiese Fried, ancora sotto shock.
«Dunque... con l'arrivo dei gemelli, tre mesi fa, direi che siamo più o meno una quindicina di persone» provò a ragionare Ares.
«Quindici?!» sussultò Evergreen.
«Una sola persona che riesce a tenere in vita tutti voi?» mormorò Fried e Ares annuì imbarazzato, confessando: «Sì, nostro padre è un uomo molto potente. Vi posso raccontare tutto per la via, possiamo anche farla a piedi, la gilda non è molto lontana da qui» disse Ares, invitandoli ancora a seguirli. Laxus e i Raijinshuu esitarono di fronte a quella richiesta, voltandosi verso l'unica che avrebbe dovuto dire qualcosa in merito. Priscilla era pallida, sconvolta, e ancora non riusciva né a respirare né a parlare.
«Pricchan...» mormorò Fried, chiedendole in quel semplice richiamo cosa avesse voluto fare. Lei deglutì e tremando ancora, semplicemente annuì.
«Fantastico!» si illuminò Ares, lasciando che l'emozione gli sfuggisse non solo dagli occhi ma anche dalla voce. «Fantastico!» ripeté voltandosi a cercare i due ragazzini che aveva malmenato fino a quel momento. «Hermes! Dioniso! Andate avanti, veloci. Avvertite tutti quanti. Preparate dei letti, per tutti e cinque, e un banchetto! Uno ricco e abbondante».
«Un banchetto?» storse il naso il ragazzino con la cresta, Dioniso.
«Che diamine è un banchetto?» gli fece eco Hermes, il ragazzino dai capelli rossi.
«Un banchetti, imbecilli! Cibo! Cibo umano! E da bere! Acqua, vino, birra... chiedete ad Athena, saprà sicuramente cosa fare» disse Ares.
«Oh, beh! Salta in groppa, socio!» disse Hermes, cominciando a correre sul posto per riscaldare le gambe. Si abbassò e Dioniso gli saltò sulle spalle, urlando entusiasta poco prima che Hermes partisse correndo a una velocità incredibile, lasciandosi alle spalle un gran polverone e sparendo dalla vista nel giro di mezzo secondo.
«Che velocità!» esclamò Evergreen, notando come fossero già spariti.
«Seguitemi, da questa parte» indicò Ares e cominciò a camminare. Priscilla gli andò subito dietro, affiancandolo, seguita poi dai Raijinshuu e da Laxus. Ilizia e Eris semplicemente restarono qualche passo indietro, ma li seguirono anche se più pigramente.
«Cibo umano...» mormorò Laxus. «Voi non mangiate?»
«Priscilla sì?» chiese Ares di rimando, voltandosi curioso verso la ragazza che ancora muta annuì. «Oh, capisco» sorrise Ares, per niente sorpreso. «Sei cresciuta in mezzo agli umani, hai assunto le loro abitudini. Quindi immagino che dormi anche».
«Il sonno mi aiuta a recuperare le forze» disse lei, semplicemente.
«Sì, capisco. Anche i gemelli dormono, loro sono ancora bambini non hanno imparato a recuperare gradualmente e volontariamente. Non ancora».
«Volontariamente?» chiese Fried.
«Quando usiamo troppa magia, magari per svolgere qualche lavoro, il nostro corpo va ovviamente in una specie di risparmio energetico. I più inesperti si lasciano travolgere da questa sensazione e si abbandonano al sonno per il recupero, chi ha un po' più consapevolezza di sé riesce invece a evitarlo. Basta non fare sprechi, starsene buoni seduti a riposare, prendersi del tempo, magari aiutare con un po' di meditazione e tutto passa. Lo stesso vale per il cibo, il nostro corpo anche se biologicamente funzionante non ha bisogno perché si nutre di Ethernano che si trova nell'aria, intorno a noi».
«Pricchan mangia più di tutti noi, è un po' diversa su questo» rise Bickslow, trovando divertente quella piccola e particolare caratteristica della ragazza.
«Sono stata abituata a farlo» rispose semplicemente Priscilla, ricordandosi con dolore le innumerevoli volte che suo padre l'aveva sgridata perché doveva somigliare a un umano e come tale, perciò, dormire e nutrirsi. Una risposta che zittì i suoi amici, ma che ancora di più portò Laxus a corrucciarsi e avere quell'orrenda sensazione in petto. Quelle persone erano così diverse da loro, rendersi conto che Priscilla fosse più simile a loro che a lui lo portava a dover sopportare un fastidioso dolore. Erano cresciuti insieme, l'aveva sempre chiamata sorella, qualunque fosse la verità non era mai stato in grado di vederla come un essere diverso da ciò che era lui. Pricchan era semplicemente Pricchan, aveva incredibili capacità, ma era parte della loro famiglia, era esattamente come loro. Niente di diverso da un umano... ma ora gli veniva invece buttata in faccia una realtà totalmente differente. Una realtà che addirittura lo spaventava. Una realtà che avrebbe potuto farla persino allontanare.
«È naturale, è stata cresciuta come un umano. Nostro padre, benché sia un umano, ci ha da subito fatto conoscere e accettare la nostra vera natura e per questo non siamo abituati a dormire o mangiare, anche se lui lo faceva» continuò a spiegare Ares.
«Un'intera gilda di immortali nati dalla stessa magia di Pricchan» rifletté Fried. «Perché non ne siamo mai venuti a conoscenza? Dicevi che la stavate cercando».
«Perché non sapevamo dove fosse, non prima di qualche settimana fa. Vedete, io sono stato il primo a nascere e sono venuto al mondo circa sette anni fa, poco prima che spariste tutti con l'isola Tenroujima. Mi ero già messo in viaggio per venire a Magnolia e cercarti, mio padre ti conosceva, mi ha parlato molto di te. Ma quando sono arrivato scoprii della tragedia dell'isola e perciò semplicemente me ne sono tornato a casa con la coda tra le gambe. Mio padre mise al mondo Athena, dopo di me, concentrando la sua capacità magica sull'intelligenza e su Archive. Sperava che lei sarebbe stata in grado di trovarvi, ma così non è mai stato. Intanto papà ha scoperto il piacere di avere intorno dei figli e ha cominciato a nutrire il desiderio di allargare la famiglia. È sempre stato un uomo molto solo, perciò quando ha iniziato a scoprire il piacere di averci intorno ha provato a darci dei fratelli... per noi è meraviglioso poter avere qualcuno con cui condividere la nostra natura, una famiglia, un'appartenenza e lui ci amava così tanto che, anche se questo è sempre andato a discapito della sua magia e forza vitale, ha continuato a dar vita ad altri fratelli per non farci sentire soli. Senza nemmeno rendercene conto abbiamo infine formato una gilda. Gli ultimi ad essere nati sono i gemelli, Apollo e Artemide, hanno solo tre mesi di vita anche se le sembianze di bambini di cinque anni».
«Capisco i timori del Concilio, in soli sette anni vi siete allargati a macchia d'olio» mormorò Fried, pensieroso.
«Noi...» mormorò Ares, abbassando lo sguardo abbattuto. «Non facciamo niente di male».
«Credi che siamo pericolosi solo perché non siamo umani?» ringhiò Eris, affiancando Fried e lanciadogli un'occhiataccia traversa.
«No, assolutamente!» sussultò lui, preoccupato per essere stato frainteso.
«Stai calma, Eris. Non c'è bisogno di arrabbiarsi» provò a tranquillizzarla Ares, ma lei disse offesa: «Ci ha dato dei criminali!»
«Non mi pare proprio che abbia detto una cosa del genere» sospirò Ares, rassegnato all'idea che Eris non perdesse occasione per attaccare briga con qualcuno.
«Scommetto che pensi che siamo dei mostri, non è così?!» si corrucciò maggiormente Eris e Fried cominciò a sudare freddo, ma per fortuna gli venne di nuovo in soccorso Ares dicendo: «Sono la famiglia di Priscilla, come credi che possa anche solo pensare una cosa simile?! Lascialo in pace, smettila di fraintendere volontariamente».
«Non sto fraintendendo volontariamente!» disse Eris, offesa.
«Sì, invece, perché vuoi solo litigare con qualcuno! Piantala, adesso» la rimproverò, prima di sospirare ancora. «Perdonala, ha un tale caratteraccio».
«No, ok, va bene così. È colpa mia, non dovevo dire quelle cose» disse Fried imbarazzato.
«L'evidenza della morte è qualcosa a cui siete molto legati» proseguì Ares, cupo in volto. «Poter uccidere qualcuno è qualcosa che vi rassicura. Se una persona è nemico, basta ucciderlo e tutto si risolve. Con noi questo ragionamento non è applicabile, capisco i timori del Concilio e di voi umani di fronte a una gilda come la nostra. Non vi biasimo».
«Ma questo non è totalmente vero!» esclamò Evergreen. «Priscilla ha rischiato la vita un sacco di volte, ci sono cose che possono uccidervi».
«E comunque possono sempre imprigionare i delinquenti, non per forza bisogna ricorrere alla morte» le diede corda Bickslow.
«I ragionamenti del Concilio sono assurdi e illogici» annuì Evergreen.
«Ciò non toglie che chi non comprende a fondo la nostra natura, può rimanerne spaventato. È molto complesso in realtà. Penso che Priscilla sia stata solo molto fortunata, è cresciuta come fosse una di voi e questo ha facilitato la sua accettazione» disse per poi lasciarsi sfuggire un verso di dissenso e aggiungere: «Scusate, sono stato indelicato».
«No, capiamo. State lottando da molto per farvi accettare, è normale che pensiate di essere discriminati» disse Fried e Ares, sentendosi appoggiato, si sentì libero di aggiungere: «Gli umani ci temono, o ci vedono come un esperimento, un oggetto. È difficile per loro comprendere che siamo esseri viventi anche noi, per questo ci siamo chiusi tra questi boschi e non facciamo molto parlare di noi. Ci siamo un po' isolati, probabilmente per questo motivo abbiamo scoperto che eravate ancora vivi e in circolazione solo quando siete apparsi ai Grandi Giochi. Abbiamo da allora pensato più volte di tornare a Magnolia, venirci a presentare, ma confesso che siamo sempre stati frenati da un certo timore. Sai, non potevamo aprire le porte della vostra gilda e presentarci con un semplice "ehy, siamo immortali, creati con la magia anche noi". Abbiamo titubato un po', ma alla fine il destino ci ha fatti comunque incontrare qui. È... eccezionale» sorrise, emozionato.
«Sette anni fa...» mormorò Fried, sempre pensieroso e sorpreso.
«Già! Abbiamo fatto ricerche, pare che siamo gli unici ad essere così. Per questo volevamo conoscere Priscilla... lei è stata la prima».
«Ed è nata da un padre diverso! Insomma, volevamo vedere com'era» aggiunse Eris.
«Nostro padre ti conosceva già da molto tempo, è per questo che ha voluto provare anche lui. In qualche modo siamo venuti al mondo grazie a te. Capisci il nostro entusiasmo?» chiese Ares con timidezza, volgendo lo sguardo a Priscilla.
«Sei l'origine di ogni cosa! La capostipite di una nuova razza!» saltellò Eris, guardando Priscilla con gli occhi che luccicavano.
«Io...» mormorò lei. «Io sono solo Pricchan» disse ancora annebbiata e confusa. Un tocco sulla propria testa, delicato ma ben presente, una carezza che conosceva ormai fin troppo bene. Alzò lo sguardo, in quel mondo confuso e assurdo, terrificante e del tutto nuovo, ma in mezzo al caos e alla paura trovò una luce familiare e confortante. Laxus le si era avvicinato, per quanto non avesse parlato molto, era ben deciso comunque a farle sentire la sua presenza. Le aveva accarezzato la testa, in quel suo solito modo di fare affettuoso, e solo questo era bastato a riportarla con i piedi per terra. Incrociare i suoi occhi, gentili e amorevoli, lo sguardo di chi le sarebbe stato a fianco di fronte a qualsiasi cosa, le avevano infine acceso una luce di tranquillità e fiducia. Un semplice gesto, era bastato per sentirsi meglio, meno sola e terrorizzata. Con un solo sospiro riuscì a far uscire tutta l'angoscia che l'aveva strozzata fino a quel momento. Finché Laxus era con lei, niente avrebbe potuto atterrirla.
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~{Fairy Tail}~ La bambina di carta ~
FanfictionNon c'era al mondo persona che non conoscesse Fairy Tail. La gilda simbolo di Magnolia vantava tra i suoi membri alcuni dei maghi migliori dell'intero continente. Ma ogni medaglia ha due facce e se Fairy Tail ne aveva una sublime, abbagliante, dall'...