Il segno che mai si cancella

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Un profondo sospiro e Priscilla ammorbidì le spalle, finalmente rilassata. Ora che tutto era finito poté sentirla la stanchezza pesarle sulla schiena come poche volte aveva fatto prima. Ansimò e cercò di recuperare aria. Si passò il polso su una guancia sudata, asciugandola, e infine si avvicinò ad Eris. Le allungò una mano e l'aiutò a rialzarsi, congratulandosi con un sentito: «Davvero ben fatto».
Ares si avvicinò a Ebe e Ilizia e cercò di tirar su loro la testa, per constatare i danni. Le ragazze riuscirono per fortuna a rialzarsi da sole, benché distrutte avevano comunque riacquistato i sensi. Si scambiarono delle parole, parlarono anche con lo spirito di Persefone, Eris le ascoltava interessata ma alle orecchie di Priscilla non risultò tutto che un soffuso rumore ovattato. Poteva sentirli... poteva sentire i loro sguardi contro la sua schiena. Laxus e i Raijinshuu erano lì, pochi passi dietro di lei, sulla destra, e dopo ben sette mesi di silenzio e fughe l'avevano incontrata nuovamente. Era scappata via senza dire una parola, senza far sapere a nessuno cosa le fosse capitato, come stava e persino senza interessarsi di loro stessi. Aveva così a lungo cercato persino di non ricordare il nome di Fairy Tail, bandendolo dalla lista delle parole che potevano essere pronunciate, e ora, al di fuori di ogni aspettativa, contro ogni previsione, loro erano lì... e la fissavano.
Avrebbe dovuto dire qualcosa, ma era diventata talmente tanto brava a eliminare dai propri ricordi ogni riferimento a Fairy Tail che le risultò difficile persino rendersi conto di averli realmente lì. La sensazione, la speranza, era che se si fosse voltata non li avrebbe trovati, forse effetto solo di un qualche scherzo della sua mente. Un'allucinazione. Ma poteva sentire i loro sguardi accusatori perforarle la schiena, in attesa di spiegazioni e probabilmente scuse. Quanto potevano odiarla?
«Pricchan!!!» l'urlo acuto e assordante scoppiò letteralmente a pochi centimetri dal suo orecchio. Neanche si era accorta che si fossero mossi, non ebbe tempo se non di voltare verso di loro lo sguardo allucinato e terrorizzato che i Raijinshuu in un intreccio di braccia e una pioggia di lacrime la presero vittima in un abbraccio dalla violenza inconcepibile. Un urlo spaventato uscì dalla gola di Priscilla, libera da una maschera di ghiaccio che le avevano letteralmente strappato via dalla faccia, e colpita da quello che era un vero e proprio assalto perse l'equilibrio e cadde a terra, travolta dai tre corpi degli amici più rumorosi e invadenti che avesse mai avuto.
«Stai bene» pianse disperatamente Evergreen, constatando la buona salute della ragazza che probabilmente avevano persino dato per morta.
«Grazie al cielo» urlò anche Fried, facendo eco all'amica e competendo con lei in quanto a lacrime versate. Bickslow non riuscì a pronunciare nemmeno una parola ma non si risparmiò nei singhiozzi e nelle urla disperate, mentre si sforzava insieme ai due amici per poter stringere Priscilla a sé il più possibile. Tanto che la ragazza, ora seduta a terra, se li trovò praticamente spalmati addosso con le guance spiaccicate contro il proprio volto. L'imbarazzo faceva invece padrone sul volto di Priscilla, sorpresa e sconcertata dalla loro reazione, non poté che guardarli con gli occhi spalancati e le guance tanto rosse da sembrare pomodori. E si sentì profondamente stupida, di fronte a quella loro reazione, per aver pensato che potessero odiarla per ciò che aveva fatto. Stupida... e felice.
Incassando la testa nelle spalle, vergognandosi di quei sentimenti egoisti di gioia nel rivederli, non riuscì a impedire agli angoli della bocca di allungarsi appena in un sorriso abbozzato. Andò a cercare con lo sguardo, in un desiderio incontrollato e istintivo, l'unico che ancora non aveva sentito e di cui non aveva visto la reazione. Laxus sedeva sotto a un albero, affaticato, cercava di riprendere forze, ma il volto era disteso e sereno. Lo sorprese che la fissava, chissà da quanto tempo, ma non appena i loro occhi si incrociarono il viso del ragazzo si distese maggiormente e si lasciò andare a un tenero sorriso. Un'espressione di pace come quella probabilmente non l'aveva mai vista sul suo volto. Era meno cupo e meno teso di quando l'aveva lasciato, sette mesi prima. Priscilla distolse lo sguardo, ancora più imbarazzata, e tornò a incassare la testa nelle spalle in una tenera espressione di vergogna. Le guance sembravano essersi fatte persino più rosse. Un pizzicorio all'altezza del petto, una sensazione scaldante, ma che non la rese felice nemmeno un po'. Era solo l'evidenza del suo fallimento: vederlo le provocava ancora il batticuore.
"Si è fatto crescere i capelli" si ritrovò a pensare, rendendosi conto di come non gli stessero affatto male. Lo ringiovanivano... e lo trovava ancora dannatamente affascinante. Probabilmente una volta a casa avrebbe fatto i conti con se stessa, avrebbe litigato con quelle emozioni una volta a mente fredda e lucida, maledicendosi per essere caduta così facilmente. Tanti mesi di sacrifici e impegno per riuscire a dimenticarlo e poi un semplice sorriso e un aspetto curato le facevano di nuovo girare la testa. Quanto poteva essere stupida?
«Ma guarda un po'!» esclamò Ares, avvicinandosi a Laxus a braccia incrociate. Sentire la sua voce sogghignante fece mutare con immediatezza l'espressione beata di Laxus in una furibonda e irritata. «Chi si rivede» sghignazzò Ares, probabilmente già pensandone a una delle sue per riuscire a importunarlo. Laxus non proferì parola e semplicemente gli lanciò un'occhiataccia, ma ciò bastò a divertire comunque Ares. Scoppiò a ridere, cominciò a colpirlo sulla testa, spacciando quei colpi per delle carezze, ed esclamò: «Su, su! È così che saluti i tuoi vecchi amici?»
«Eccolo che ricomincia» sospirò Ebe, guardando la scena. Eris si sedette accanto a lei, a gambe incrociate, e cominciando a picchiettarsi su un ginocchio scoppiò a ridere divertita. Ilizia si avvicinò invece all'intreccio composto di braccia e lacrime dei Raijinshuu e Priscilla e, benché sembrasse alquanto fredda e distaccata, fu l'unica alla fine a preoccuparsi di loro.
«State bene? Siete feriti?» chiese ai tre che non sembravano intenzionati a lasciare andare Priscilla.
«Ilizia!» esclamò Fried, sciogliendosi per primo dall'intreccio. «Da quanto tempo, come state?»
Ebe lasciò perdere immediatamente il duo Ares e Laxus, che proseguirono con quella scenetta ancora per un po', e si avvicinò rapida al gruppo. Sorrise, salutò e si unì all'emozione del ritrovamento. Lo spirito di Persefone comparve dietro la sua schiena, fissò Bickslow, ma ancora una volta non fece che nascondersi e lamentarsi.
Evergreen si unì a loro e poco dopo persino Eris dimenticò la coppia che aveva davanti, lasciandosi trascinare dalle chiacchiere che stavano nascendo. Niente di speciale, parole sul più e sul meno, come se non ci fossero in realtà stati sette mesi a separarli. Però la gioia di rivedersi era comunque sia intensa e, dimenticandosi di ciò che avevano appena affrontato, si interessarono solo gli uni agli altri. Fino a quando Priscilla con un innocente e curiosa domanda non ruppe la favola, involontariamente.
«Cosa ci fate voi qui? Non dovevano venire quelli di Blue Pegasus?»
Un dubbio: forse aveva capito male, forse l'avevano ingannata, forse era successo qualcosa a Blue Pegasus e persino Fairy Tail era stata costretta a intervenire. Insomma, quella era un'enorme incongruenza ai suoi occhi, legittima, ma che portò soprattutto i membri di Olympos a scontrarsi con ciò che a lungo avevano evitato. Il gelo calò tra loro, Ebe si morse un labbro, Eris distolse lo sguardo, mentre i Raijinshuu si guardavano confusi: possibile che non sapesse...?
«Ecco...» mormorò Evergreen, imbarazzata, ma Ebe la interruppe con un semplice: «Ci dispiace non avertelo detto».
Era stata una loro scelta, era bene che si prendessero ora loro le responsabilità di quanto era successo.
«D'altra parte non appena cercavamo di nominare Fairy Tail non facevi che cambiare discorso» si unì Eris, cercando una giustificazione.
«Ma avremmo comunque dovuto provarci» si colpevolizzò Ebe.
«Athena credeva che sarebbe stata una cattiva idea, visto il tuo umore» aggiunse Ilizia. Frasi che non dicevano niente, scuse e giustificazioni che non spiegavano niente ma aumentavano invece i dubbi. Priscilla si corrucciò, non capendo e anche infastidendosi per tutto quel divagare. Ma fu Ares a prendere in mano la situazione e dare un taglio netto.
«Fairy Tail si è sciolta».
«Cosa?» impallidì lei, voltandosi a guardare l'uomo ora seguito da Laxus. Voleva certamente partecipare a quella conversazione che in qualche modo lo riguardava personalmente.
«Il giorno dopo che te ne sei andata» aggiunse Eris.
«Che significa... sciolta?» balbettò Priscilla, incredula.
«Dopo che Tartaros ha distrutto la gilda il Master ha preso questa decisione e ci ha costretti ad andare ognuno per la nostra strada. Sono sette mesi che non abbiamo più notizie di nessuno, neppure del Master» spiegò Fried e Priscilla ebbe come la sensazione di sentirsi il mondo cadere addosso. Per cosa aveva combattuto tutto quel tempo se Fairy Tail non esisteva più?
«Davvero non lo sapevi?» chiese Evergreen, dispiaciuta nel vedere la sua reazione.
«No... io...» mormorò, senza sapere bene cosa dire.
«Tu non volevi sapere niente di nessuno, evitavi l'argomento e noi avevamo paura che dicendotelo ti saresti sentita in qualche modo responsabile o avresti provato senso di colpa per essertene andata proprio in un momento come quello» spiegò Ebe. «Ci dispiace davvero tanto, ma dopo un po' anche per noi è diventato difficile parlarne».
«Ma... ma perché?» chiese Priscilla, senza riuscire a riprendere un colorito decente.
«Non lo sappiamo. Ma il Master è stato risoluto in questo, non c'è stato modo di convincerlo» rispose Evergreen.
«Come se non bastasse il Master è sparito praticamente subito dopo, nessuno sa che fine abbia fatto» aggiunse Bickslow e Priscilla chiese, sempre più pallida: «E nessuno è andato a cercarlo? Insomma... nessuno ha fatto niente? Lo avete accettato... così? Senza opporvi?»
«Certo che ci siamo opposti!» provò a difendersi Evergreen.
«È stato inutile, non siamo riusciti a fare niente» disse Bickslow.
«E comunque non credo che tu sia proprio nelle condizioni di rimproverarci di una cosa simile» mormorò Fried, lasciandosi sfuggire un pensiero incontrollato. Una frecciata, solo uno spiraglio di rabbia che non era riuscito a domare, di fronte all'idea che proprio lei che aveva fatto esattamente la stessa cosa stesse loro rimproverando di non aver fatto abbastanza. Aveva abbandonato tutti, era scappata abbandonando persino Laxus nel momento del maggior bisogno, certo non era nella posizione di lamentarsi ora di ciò che era stato o non era stato fatto a Fairy Tail. Ma era solo una goccia su cui era stupidamente scivolato. Si rese conto subito dopo di aver detto qualcosa di crudele, che si sarebbe rimangiato volentieri. Era solo rimasto frustrato nel sentirsi abbandonato, nel vedere cosa questo aveva causato nel suo migliore amico, ma non era veramente arrabbiato con lei. Solo tanto preoccupato.
Ma questo Priscilla non poté capirlo, logorata dai sensi di colpa vide solo una giustissima pugnalata che la costrinse a fare un passo indietro. Fried aveva ragione... aveva maledettamente ragione e si odiava per quello. Abbassò lo sguardo e lasciò che la tristezza le deturpasse il volto.
«No, A-aspetta...» balbettò Fried, cercando un modo di rimediare al suo errore mentre sia Bickslow che Evergreen sembravano essere pronti a saltargli al collo e strozzarlo.
«No» mormorò lei. «Hai ragione».
«No, non è vero!» sobbalzò Fried. «Aspetta, fammi spiegare...»
«Non fa niente» disse lei e fece un passo indietro. Si voltò, diede loro le spalle, e si incamminò verso nessun luogo preciso. Solo lontano da lì.
«Ho bisogno di un momento, scusatemi» disse sperando che ciò bastasse a convincerli a non seguirla. Esattamente come aveva fatto quella notte di sette mesi addietro, desiderò solo scappare, logorata dalla paura e dal dolore.
«Valle a chiedere scusa» sputò rabbiosa Evergreen, contro l'amico rosso in volto dall'imbarazzo.
«Sì, vado subito» balbettò Fried, ma si bloccò quando sentì la mano di Laxus cadere sulla sua spalla e fermarlo. Gli impedì di proseguire oltre, lo superò e camminò sugli stessi passi di Priscilla, seguendola. Nonostante sapessero che il danno l'aveva fatto Fried, sapevano che era decisamente meglio così. Probabilmente Laxus sarebbe stata la miglior medicina per lei in quel momento. E lo sapeva anche lui stesso, visto che si era preso la briga di seguirla per andare a parlarle.
Priscilla non si era inoltrata troppo tra la vegetazione, ma era lontana abbastanza da potersi sentire al sicuro. Seduta su un tronco caduto, con le mani portate al volto, raggomitolata su se stessa, non faceva che tremare. Laxus le si avvicinò e lei probabilmente neanche lo sentì, concentrata com'era sulle sue sensazioni e le proprie lotte interne.
«Avevi promesso che non avresti più pianto da sola» parlò. Parlò per la prima volta dopo sette mesi, per la prima volta dopo quell'ultimo e straziante "Io posso proteggerti da qualsiasi cosa".
Priscilla sussultò nel sentire la sua voce, ma l'urgenza fu quella di pulirsi il viso con il dorso della mano, eliminando probabilmente le lacrime che la rigavano.
«Ho infranto promesse ben più grandi di questa» disse con la voce rotta. Laxus tirò un sospiro e si mise a sedere al suo fianco, ammettendo: «Lo abbiamo fatto entrambi».
Cercò il suo volto ma lei restava rigida nel puntare lo sguardo davanti a sé, lontano da lui. Cercava di fuggire via, anche se non fisicamente, ma con quello che poteva. Non rispose, sforzandosi nel prendere le distanze anche da quello.
«Non sono riuscito a proteggerti» sospirò, cercando di sdrammatizzare con un sorriso rassegnato. L'istinto portò Priscilla a coprirsi la cicatrice sull'avambraccio, avvolgendola tra le dita della mano destra guantata.
«Se non fosse stato per te sarei morta» confessò nel tentativo di rincuorarlo, benché l'apparente freddezza.
«È per questo che te ne sei andata?» chiese Laxus, palesemente provocatorio anche se con una dolcezza e una delicatezza particolare. Un modo per spingerla a parlare, senza farla sentire sotto accusa, solo perché lui aveva bisogno di sapere...e lei probabilmente aveva bisogno di sfogarsi. Priscilla non rispose e abbassò lo sguardo, avvilita.
«Non sono forte abbastanza» sospirò Laxus. «È un pensiero che ho fatto anche io, soprattutto di recente. Stiamo tutti provando a rialzarci con quello che abbiamo».
«Avevo perso la magia» confessò Priscilla tutto d'un fiato. Non sarebbe scappata, non più, anche se faceva male doveva affrontarlo. Solo così poteva metterci una pietra sopra. Solo parlandone senza scoppiare avrebbe dimostrato a se stessa che quei sette mesi di lotte erano serviti a qualcosa, che non provava più niente, nemmeno i sensi di colpa. Fare pace con se stessa.
«Completamente» aggiunse e Laxus restò in silenzio, pronto ad ascoltarla e ricevere chiarimenti che non tardarono ad arrivare. «Le particelle anti-Enthernano avevano distrutto quasi la totalità della magia che avevo dentro me. Il tuo intervento ha permesso che ne restasse una quantità sufficiente a sopravvivere, il vaccino ha poi impedito la sua propagazione e il peggioramento delle mie condizioni per colpa dell'infezione. Ma dentro me ne era rimasta comunque una quantità talmente irrisoria che mi era impossibile usarla in altro modo se non per restare in vita. Non posso più rigenerarmi e non riuscivo a usare la magia in nessun modo, neanche per una brezza. Ero diventata...» si morse un labbro e strinse le dita tra loro. «Sono diventata...» si corresse, ma ancora faticò a trovare le parole giuste.
«Umana?» chiese Laxus, cercando di andarle incontro e sviscerarla da quell'intoppo. Un sorriso, un ghigno divertito.
Umana.
La risata di suo padre mentre le diceva che lei non era umana, prima di morire davanti ai suoi occhi, tornò a punzecchiarle l'encefalo.
«Fragile» era la risposta corretta. «Sono diventata così fragile che se fossi rimasta insieme a voi avrei potuto mettervi in pericolo. Già l'avevo fatto, guardandoti su quel letto d'ospedale ho compreso il pericolo che potevo essere».
«Non è stata colpa tua» tentò di difenderla Laxus, non sopportando il fatto che si stesse colpevolizzando a tal punto. Se quel giorno si era sacrificato era stata solo una sua scelta, l'aveva fatto con orgoglio e con il desiderio di salvare non solo lei ma chiunque avesse attorno. Le persone di quella città, i suoi amici, la sua stessa gilda. Una promessa fatta a se stesso, dopo gli errori commessi, che avrebbe usato il suo potere solo per loro e per nessun'altro motivo.
«No, è vero» sorrise lei e sospirò, stringendosi nelle spalle. Si stava rilassando, riusciva a parlargli a quattr'occhi senza timori e questo la rendeva profondamente felice. Stava bene, forse averlo a fianco e saperlo in salute aiutava molto il suo stato d'animo. «Ma le cose non potevano andare che così. È stata la scelta migliore».
«Hai recuperato la tua magia» osservò Laxus, trovando del positivo in quanto accaduto.
«In parte, sì» annuì lei, aprendo e chiudendo ripetutamente le dita. Un gesto che sollecitava i muscoli, le dava energia, testava la sua forza. «Perlomeno ora posso combattere, anche se ho ancora bisogno di esercizio. "La mia medicina", è così che la chiamano loro. Viene da una fonte di Ethernano che abbiamo trovato casualmente, mi sta rimettendo in forze, ma ne devo assumere continuamente. Però sto facendo progressi, riesco a usare magia sempre più a lungo senza doverla utilizzare. A loro sembra normale, io mi sento invece come una malata» sbuffò e di fronte a quella piccola confessione si lasciò andare a un'espressione imbronciata. Piantò il gomito sul ginocchio e schiacciò la guancia sul pugno chiuso, fissando un punto invisibile di fronte a sé.
«Non sei infettiva, vero?» le chiese Laxus con un leggero ghigno sul volto e Priscilla sentì ogni singolo nervo del suo corpo scattare, infastidita. Lei gli stava praticamente aprendo il cuore, raccontando ogni singolo pensiero e sentimento e l'unica cosa di cui si preoccupasse era la sua incolumità?
«Ti sembrano domande da fare?» ruggì infastidita, prima di sentenziare: «Cafone!»
Il sorriso di Laxus si tirò ancora di più e schiudendo leggermente le labbra una soffusa risata ne uscì, rimbalzando nel suo petto. Non era una plateale e rumorosa, restava comunque nel suo stile pacato e silenzioso, ma era pur sempre una risata. Era davvero raro vedergliene una, soprattutto per qualcosa di così semplice.
«Sei cambiato» osservò lei, lasciandosi sfuggire un sorriso compiaciuto. Ricordava la sua eterna lotta contro il mondo solo per riuscire a scacciare dal suo volto l'espressione cupa e frustrata che aveva sempre da quando era adolescente. Aveva fatto di tutto solo per riuscire a fargli venire un po' di buon umore, perché saperlo felice era la cosa che più desiderava. In realtà sapeva che parte di quel suo comportamento era dovuto alla presenza degli altri, tendeva a chiudersi a riccio quando era in compagnia di qualcuno, mostrarsi forte e rude era il suo carattere distintivo. Quando restavano soli non era raro che si sciogliesse un po', ma l'aveva notato anche in mezzo agli altri, sembrava più sereno. E questo alleggeriva anche il suo di animo.
«Anche tu sei diversa» sospirò lui con un sorriso. Allungò una mano in un atto di coraggio e gliela poggiò sulla testa, scompigliandole i corti capelli, imitando un gesto vecchio mesi. La dimostrazione d'affetto più esplicita che conoscesse, non era mai andato oltre, era il suo modo di esporsi. Priscilla sapeva bene cosa significasse, non era un gesto che riservava a chiunque e l'aveva sempre apprezzato molto perché in qualche modo era comunque un contatto fisico. Erano sette mesi che non sentiva il calore di quel tocco...
«Hai i capelli più corti dei miei, ora» le disse volutamente provocatorio e lei ancora si irrigidì e si imbronciò. Lei gli stava praticamente aprendo l'anima e lui si soffermava su simili sciocchezze, sciocchezze che oltretutto nascondevano un gesto ben più significativo ma che certo lui non poteva conoscere.
«Stare a Blue Pegasus ti ha reso un vero simpaticone, lo sai?» disse irritata e sarcastica e Laxus sghignazzò nuovamente, con aria vittoriosa.
«A proposito» si legò lei, decisa a togliersi una curiosità. «Perché proprio Blue Pegasus? Ci sono gilde più vicine a Magnolia e anche più forti. Ti avrei visto meglio ad esempio in Sabertooth, o magari Lamia Scale».
«Blue Pegasus va bene» rispose semplicemente lui, celando nel suo sorriso una risposta ben più completa ma che non sembrava essere intenzionato a condividere.
«Bah» bofonchiò lei, per niente convinta. Ripensare a Ichiya e la sua squadra di fan non la metteva minimamente a suo agio. Un brivido raccapricciato la colse nell'istante in cui nell'immagine di quei quattro li affiancò un Laxus in giacca elegante e lo sguardo altrettanto ammaliante. No, non c'entrava per niente, era una nota dissonante troppo forte e le faceva venire la pelle d'oca.
«Non farete anche voi quelle cose, vero?!» sussultò, ricordandosi per cosa fosse famosa la gilda dei Pegasi.
«Quelle cose?» mormorò Laxus, chiedendosi a quali vergognose attività si riferisse. Poi capì e assunse un'aria colma di vergogna e umiliazione: «Ah, il secondo lavoro di intrattenimento di quella gente. Si fanno un sacco di soldi, sai?»
«Buttarla sul guadagno non rende la cosa meno imbarazzante!» ruggì lei, trovando conferma alla sua domanda con quell'ultima affermazione.
«Non ce la faccio proprio a immaginarti mentre ammicchi alle ragazze e versi loro da bere nel tentativo di intavolare una conversazione» e stranamente la cosa la irritava un po', nonostante ormai avesse la certezza di essere riuscita a superare la cosa. Non smetteva di essergli affezionata, su questo probabilmente non avrebbe potuto farci niente, ma almeno in quei sette mesi era certa di essere riuscita a dimenticarlo dal punto di vista sentimentale. Doveva esserci riuscita, non aveva fatto altro. Eppure saperlo in quelle attività la irritava... e non poco.
Il braccio di Laxus invase il suo campo il suo campo visivo e lo sentì immediatamente dopo poggiare il suo peso sulle sue spalle. Chiuse appena il gomito, trascinando così la ragazza verso di sé, costringendola e chiudendola in uno spazio che la teneva pericolosamente schiacciata al suo petto. Con due dita le afferrò delicatamente il mento e le sollevò il volto. Laxus portò le labbra a sfiorarle l'orecchio e un sussurro infine le diede letteralmente il colpo di grazia: «Potrei sorprenderti, lo sai?».
Priscilla poté sentire distintamente il volto prenderle fuoco, non solo metaforicamente: aveva le fiamme addosso, ne era certa, non poteva essere solo un'impressione visto quanto bruciava. Il cuore aveva dato un ultimo possente colpo, probabilmente uscendole dal petto visto che ora non riusciva più a percepirlo, e la paralisi era stata totale per almeno un paio di secondi. Poi si ridestò, avendo come la sensazione di tornare dall'oltretomba, e la rabbia prese il posto di qualsiasi altra sensazione. Rabbia per la facilità con cui l'aveva messa KO e rabbia di fronte all'idea che quello stesso trattamento riservava a chiunque altra sconosciuta. Si voltò, mandando all'aria ogni forma di dignità, gli piantò entrambe le mani al viso senza neanche preoccuparsi di schiacciargli il naso o infilargli un dito in un occhio, e lo spinse via con forza.
«Chi diamine sei tu? Che ne hai fatto di mio fratello?» ruggì furiosa.
«Mi stai facendo male, lo sai?» bofonchiò lui, infastidito dal trattamento burbero e irruento.
«Blue Pegasus è stata una pessima scelta» insisté lei, ora più convinta. Lo avevano trasformato in una sorta di playboy? Cosa gli avevano fatto? Lo avevano reso dannatamente più sexy... non doveva succedere! Non mentre lei combatteva quella lotta contro i suoi sentimenti! Rischiavano di farla scivolare brutalmente, non lo avrebbe accettato.
«È stata una buona scelta, fidati» bofonchiò lui con ancora le mani di Priscilla premute sul volto. Fece un passo indietro e si allontanò da lei, lasciandola andare, e solo quando Priscilla si sentì in zona sicura gli tolse le mani dalla faccia. «Comunque ammetto che è qualcosa che se posso evito anche io» confessò poi. «Non viene così naturale come sembra, non con loro».
"Loro?" si chiese Priscilla curiosa di sapere a chi si riferisse. Non sembrava esserci un soggetto particolare, ma negli occhi di Laxus si affollarono dei pensieri, poté vederli, anche se non distinguerli. Forse semplici riflessioni su quanto quel secondo lavoro fosse complicato e poco nelle sue corde, ma non poté comunque vederlo. Nella sua cecità, nella certezza che aveva messo nel fatto che lei non fosse poi così importante, non poté vederla la vera ragione che si celavano dietro le parole di Laxus. Le innumerevoli volte che, provando ad assecondare i desideri di Master Bob e cimentarsi in quella noiosa attività di intrattenimento, il novanta percento delle volte finiva con l'alzarsi a metà seduta, irritato, ed allontanarsi. Vedere quelle ragazze sedergli a fianco, poggiare le dita sui suoi bicipiti, cercare la sua attenzione e ammirare la sua prestanza fisica... lo irritavano, lo irritavano illogicamente. Non c'erano mai stati sussurri all'orecchio o abbracci per loro, neanche avrebbe mai potuto concepirlo, e a lungo aveva dato la colpa di quello solo al fatto che fosse un'attività che non gradiva. Ma Master Bob era un vero esperto e riusciva a vedere la verità anche laddove lui stesso non era riuscito a scorgerla.
«Cerchi gli occhi di qualcun altro» gli aveva detto una sera, raggiungendolo sulla terrazza dopo che per l'ennesima volta aveva piantato in asso le ragazze a metà serata. Erano andate a lamentarsi con lui, in fondo avevano pagato per quella preziosa compagnia, ma il Master non si era dimostrato arrabbiato nemmeno una volta. Solo preoccupato.
«Ti risarcirò» aveva risposto lui, sperando così di toglierselo dai piedi. Non era proprio serata, sentiva i nervi a fior di pelle.
«Certo che lo farai, ma non è questo il punto» rassicurante e amorevole, ma pur sempre letale. Non gli aveva fatto sconti, avrebbe dovuto pagare e la sua violenta frase diretta l'aveva trafitto come una lancia. «Sapevi benissimo quali erano le condizioni di Blue Pegasus, quando sei entrato, e le hai accettate. Comunque non è la prima volta che ci provi a passare una serata in compagnia delle clienti, diciamo che c'è una buona volontà di base, ma poi fallisci miseramente non appena ti volti a guardare chi hai a fianco. Sembri abituato a certe attenzioni, ma non appena realizzi di chi si tratta vai su tutte le furie» si era avvicinato, accogliendo il suo silenzio come un assenso, e si era appoggiato alla balaustra al suo fianco. «Da quanto tempo non la vedi?» si era informato e Laxus, infastidito ma arrendevole, aveva semplicemente mormorato: «Di cosa blateri, vecchio?»
«Ci sono gilde più adatte a te, al tuo stile e alla tua forza, anche più vicine a Magnolia di quanto lo siamo noi, ma sei venuto qui. I tuoi amici mi hanno detto che è stata una tua scelta» e a quell'affermazione Laxus si era ingrugnito ancora di più, sentendosi tradito oltre che scoperto. «Lei ti stava sempre vicina, sei abituato al contatto, probabilmente si aggrappava sempre a te e alle tue braccia nello stesso modo e cercava ugualmente le tue attenzioni. Poi ti volti, scopri che non c'è, e vai su tutte le furie ma non con loro... le ragazze le tratti sempre con riguardo. La rabbia è diretta verso te stesso, non è così? Per qualche motivo se n'è andata e tu sai che probabilmente la colpa è tua, per questo i tuoi passi ti hanno condotto qua, alla gilda famosa per le sue capacità di relazione e interazione. Speravi di imparare qualcosa, ma la verità è che ti scontri ogni giorno con la dura realtà. "Chissà dove si trova?", "Avrei potuto fare qualcosa di più?", "Avrei potuto farle capire ciò che provo?", "È andata via a causa mia e della mia incapacità ad amarla?"... o forse semplicemente non accettavi di amarla e l'hai capito troppo tardi, quando ormai lei ha smesso di aspettarti» le spalle di Laxus erano rigide, ma il volto non mentiva. Cercando di voltarsi dall'altro lato, salvarsi dalla vergogna di sentirsi letto dentro come un qualsiasi libro, non rispondeva e confermava così tutte le sue teorie.
«O forse si tratta di un lui!» aveva esclamato improvvisamente Master Bob, mostrandosi stranamente molto più eccitato all'idea. Affermazione e soprattutto reazione che aveva fatto scattare ogni muscolo di Laxus. Si era voltato e gli aveva praticamente sputato addosso un furioso: «No, affatto!»
«So bene che non rientra nel tuo stile, questo posto ti sta scomodo come una sedia di spine, ma cambiare è ciò che desideri fare, per questo hai varcato quella soglia» aveva ripreso Master Bob, prima di avvicinarsi e posare le mani sui muscoli di Laxus, strofinandoli e tastandoli con lascivia. Un contatto che a Laxus fece venire i brividi, ma per rispetto si limitò a indietreggiare solo un po', senza cacciarlo via. «Sciogliti un po', giovane avvenente maschione, Master Bob ti insegnerà come si fa e si prenderà cura di te e del tuo cuoricino spezzato» non era stato certo di accettare quella proposta, in un primo momento, dato che tutto poteva sembrare tranne che la promessa di insegnargli a gestire meglio le emozioni e le relazioni. Lo aveva evitato per giorni, inquietato dall'idea di trovarselo infilato nel letto da una notte a un'altra, ma alla fine aveva compreso il buon proposito che il Master aveva e si era lasciato andare, deciso a imparare il più possibile e lottare contro la corazza che si era costruito negli anni. Non che fosse andata troppo meglio, continuava a irritarsi quando si trovava circondato e assalito dalle ragazze di cui accettava la compagnia, ma gli insegnamenti del Master e di Ichiya e la costrizione ad esporsi in quel modo l'avevano in qualche modo aiutato. Ora riusciva a essere meno rigido e un po' più spontaneo. Aveva imparato, perlomeno, ad accettare i propri sentimenti.
Sentirsi dire da Priscilla di essere cambiato era solo una conferma che tutti quegli sforzi a qualcosa erano serviti.
«Ricordi quando eravamo bambini?» la voce di Priscilla si era fatta improvvisamente morbida, malinconica. La riflessione di Laxus, il ricordo della sera con Master Bob, lo aveva strappato dal presente più del dovuto e lei aveva fatto in tempo a farsi rapire a sua volta dai ricordi. Le ginocchia raccolte, i gomiti poggiati su di essi e le mani racchiuse l'una dentro l'altra che penzolavano morbide in avanti. China in avanti, si appoggiava sulle sue stesse spalle strette.
«C'era un boschetto simile a questo non troppo lontano da casa nostra, appena fuori Magnolia» mormorò. «Anche allora, appena ne avevamo l'occasione, scappavamo e ci rifugiavamo lì per passarci interi pomeriggi».
«Soprattutto quando nostro padre era fuori per qualche missione e noi potevamo stare un po' in pace» annuì Laxus.
«Avevi sempre qualcosa di nuovo da farmi vedere» ridacchiò lei, divertita.
«Riuscivi a sorridere solo in occasioni come quelle, era un ottimo incentivo» sorrise della stessa malinconia.
«E combinavi sempre qualche pasticcio» ridacchiò ancora. «Eri uno stupidone quando eri piccolo».
«No, non così tanto» cercò di difendersi, lasciandosi sfuggire un piccolo verso irritato. Sapeva che aveva ragione, quando era piccolo era un vero pasticcione, la sua euforia si mescolava male alla sua maldestria. Per fortuna crescendo era migliorato, ma certi ricordi li avrebbe cancellati volentieri dalla memoria se non fosse che quelli erano i momenti in cui Priscilla rideva di più.
«Una volta ti sei seduto su un formicaio» scoppiò a ridere lei e gli diede una leggera spinta alla spalla. Lui si irrigidì, nell'istante in cui gli tornò in mente quel terribile ricordo, ma Priscilla lo ignorò e proseguì, estremamente divertita: «Ti si sono riempiti tutti i pantaloni di formiche, hai urlato come un matto e ti sei spogliato completamente per liberartene» rise fino alle lacrime.
Laxus divenne completamente rosso in volto per la vergogna, soprattutto nel ricordare che quella volta aveva mandato in barba la decenza e Priscilla l'aveva praticamente visto senza mutande. «L'avevo dimenticato» bofonchiò, mentre lei ormai era arrivata alle lacrime e si teneva la pancia.
«Non hai molto da ridere, non appena sei cresciuta sei diventata tu il disastro, Priscema» tentò di difendersi e fu probabilmente il sentirsi chiamare in quel modo che la fermò dal ridere. «Vogliamo parlare di quella volta che a quattordici anni sei entrata in un nightclub convinta che fosse un luogo dove vendevano succhi aromatizzati?» e questa volta ad arrossire colma di vergogna fu lei. «Le ragazze del locale ti presero talmente tanto in simpatia che ti stavano per coinvolgere sul palcoscenico, saresti finita a ballare in mutande davanti a qualche porco quarantenne se non fossi corso io a recuperarti».
«Ero ancora inconsapevole di molte cose» borbottò, rossa in volto.
«Eri ingenua, accettavi di seguire chiunque, anche chi non aveva palesemente buone intenzioni» la rimproverò ancora, prima di aggiungere provocatorio: «E non è che con l'età tu sia cambiata molto».
«So perfettamente badare a me stessa» si difese repentina.
«Una volta Natsu diede fuoco a una sedia e tu sei intervenuta dicendo che avresti risolto la cosa soffiandoci dell'aria sopra. Per poco non davi fuoco alla gilda!» insisté lui, ormai divertito da quel gioco della memoria.
«Ti sei fatto inseguire dai gatti quando avevi sei anni e hai pianto per giorni!» rispose Priscilla a tono.
«Volevi far provare a Lisanna l'emozione di volare, ti sei distratta e hai finito col spazzare via tutti i membri della gilda. Ne hai messi KO almeno una decina» continuò. «Non so nemmeno per quale motivo ti sei distratta!»
«Io...» cominciò Priscilla, pronta a sostenere con forza le sue tesi, ma la risposta le uccise qualsiasi desiderio belligerante. Le era tornato in mente quel giorno e il motivo per il quale aveva combinato quel disastro.
La ricordava... la prima missione che Laxus aveva fatto da solo con i Raijinshuu, lasciandola sola a casa. Aveva da poco cominciato ad arrabbiarsi con lei, stava passando un terribile periodo. Era almeno qualche settimana che Laxus non faceva che evitarla, le rispondeva male, aveva sempre quel terribile sguardo, incazzato col mondo intero. Priscilla si sciolse nelle spalle e tornò a guardare un punto davanti a sé, tornando ad accovacciarsi su se stessa e poggiare i gomiti sulle ginocchia. Il senso di malinconia non l'aveva abbandonata, ma ora aveva tutto un altro sapore.
«Ti avevo visto rientrare» confessò, ma nonostante la tristezza del ricordo riuscì ad affrontarlo con un armonioso sorriso sul volto. Come se fosse stato un altro di quei bei momenti da ricordare. «Avevi un bel sorriso sul volto» aggiunse, sempre più nostalgica. «Era da tempo che non ti vedevo sorridere, in quel periodo».
Il volto di Laxus lasciò cadere lentamente il divertimento di quel piccolo battibecco, man mano che prendeva consapevolezza di cosa avesse ricordato e cosa fosse veramente successo quel giorno. Aveva rimosso il periodo esatto, aveva rimosso il prima e il dopo, ricordava solo di aver visto improvvisamente tutti volare via senza un motivo. Si era voltato verso la colpevole, ben consapevole di chi fosse, e l'aveva vista arrossire e infossare la testa nelle spalle. Timida, ma felice di rivederlo, anche se addolorata per essere stata per la prima volta lasciata indietro. Non l'aveva considerata e se n'era andato insieme ai Raijinshuu lasciandola sola col suo sguardo vacuo, il colore sul volto, e le urla di suo nonno che la rimproveravano per la solita distrazione, non consapevole di ciò che stesse vivendo lei in quel momento.
Laxus era stato stupido, era stato cieco, ed era stato un vero bastardo.
«Mi dispiace» mormorò, senza sapere bene per che cosa stesse chiedendo scusa. Per ciò che aveva fatto? O forse per aver riportato alla mente proprio quel giorno? Ma lei non sembrò risentirne troppo, nascondeva bene il dolore in uno sguardo incastrato in un volto indifferente e sorridente, come se niente avesse più importanza.
«Non fa niente. Non potevi saperlo, al tempo...» mormorò prima che una soffusa risata le uscisse dalla gola. Negò con la testa, colta da un pensiero che trovò ridicolo e divertente allo stesso tempo: la stimolò ad approfittare di quel piccolo angolo di mondo protetto dove si erano rifugiati per eliminare completamente tutti i panni sporchi. Scoprire tutte le sue carte... perché tanto sapeva che non avrebbe più avuto significato. Fairy Tail era sciolta, lei ormai era legata a Olympos, loro con ogni probabilità non si sarebbero rivisti mai più... che pericolo c'era se finalmente si toglieva anche quell'ultimo sassolino dalla scarpa?
«Saperlo?» chiese lui, intuendo che ci fosse dell'altro nascosto al di sotto di quella frase. Il sorriso si allargò sul viso di Priscilla, il sorriso di chi ripensando al passato non provava solo nostalgia ma si sentiva una vera e propria stupida. Lo stesso sorriso che avrebbe avuto nell'ammettere qualche pasticcio che aveva combinato.
Ma la voce le uscì più profonda di quanto si aspettasse, rivelando così che non era una sciocchezza come un'altra. Lei, in quella verità, ci era affogata per anni interi. E non era stato indolore nemmeno un po'.
«Io ti amavo, Laxus» l'uso del passato, necessario più a se stessa che a lui, per poter sorreggere quel possente muro che aveva piazzato tra loro. Era successo, era stato in passato, ma era qualcosa di molto diverso dal presente e lontano. Non ci aveva più niente a che fare, ma anzi lo trattava come se fosse stata una barzelletta. «Ti ho amato davvero e non...» una risatina imbarazzata. «Non come una semplice sorella».
Quanto era stata stupida a provare certi sentimenti? Era questo che provava e che trasmetteva in quella sua confessione. Aveva solo combinato l'ennesimo pasticcio, non era certo stato niente di serio. Ma non era così. Non era stato affatto un semplice pasticcio.
«Lo so» sospirò Laxus, raccogliendo in pieno quella confessione con tutto il peso che lei non riusciva nemmeno a darle. «Lo sapevo da un po'».
«Eh?!» un urlo stridulo e in un istante Priscilla fece crollare tutta la sua solennità e superiorità. Le guance divennero di un rosso abbagliante, gli occhi strabuzzati, sconvolta ma soprattutto colma di una vergogna che la schiacciava e la faceva sentire la più stupida delle stupide. Una reazione ridicola a testimoniare quanto intensamente si sentisse ridicola in quel momento.
E arrivò anche per Laxus il momento dell'imbarazzo, che dissolse in un affranto sospiro quando confessò: «La prima notte a Crocus mi hai baciato ma eri troppo ubriaca per ricordarlo. Ho cominciato a capirlo da lì».
«Che cosa ho fatto io a Crocus?!» urlò talmente forte che probabilmente anche i loro compagni, oltre la foresta, la sentirono, ma questo al momento era l'ultimo dei suoi problemi. La vergogna la inghiottì completamente e tutto ciò che riuscì a sentire fu il bisogno fisico e impellente di sparire con qualche magia definitiva che l'avrebbe cancellata per sempre dalla faccia della terra. Gli diede le spalle, si coprì il volto con entrambe le mani e cominciò a tremare e bofonchiare una serie di maledizioni rivolte tutte verso se stessa.
«Perché non me l'hai mai detto?!» strillò improvvisamente, puntando uno sguardo omicida verso Laxus, nella speranza di trovare qualcosa da rilanciargli contro. Un appiglio per far ricadere in qualche modo la colpa su di lui e liberarsi di quel profondo sentimento di logoramento.
«Ti avrebbe fatta sentire meglio?» chiese lui, alzando un sopracciglio, e lei tornò a urlare sempre più in preda al panico: «Santo cielo, no!»
Tornò a voltarsi e bofonchiare tra sé e sé cose incomprensibili, fino a quando Laxus non riuscì a intercettare qualcosa come: «È colpa di Cana... sì, lei mi ha fatto bere...» e «Sono stata costretta... odio l'alcol...» seguito da altri mormorii senza senso. Gli dispiaceva averla ridotta in quelle condizioni, ma in qualche modo la trovò persino divertente. Lo fece sorridere. Con un sospiro, infine, si alzò in piedi.
Priscilla si voltò veloce come un felino, puntandogli gli occhi addosso come se si fosse aspettata di vederlo scattare e tentare di ucciderla. Laxus invece prese i lembi inferiori della sua camicia, senza dire una parola, cominciò a sbottonarsela partendo dal basso. Probabilmente Priscilla prese fuoco, visto che più rossa di quanto era già certo non poteva diventare, ma sentì il cuore cominciare a batterle talmente forte che pareva volesse uscirle dalla gola.
«Che stai facendo?!» strillò e si scansò talmente rapidamente che scivolò giù dal tronco e atterrò per terra. Non sentì neanche dolore, ormai era completamente confusa e un'infinità di immagini le esplosero in testa, una più indecente dell'altra. Era talmente su di giri che probabilmente l'indomani non si sarebbe neanche ricordata cosa fosse successo, presa dallo shock il suo cervello l'avrebbe eliminato come un trauma... ma ne avrebbe portato i segni per il resto della sua vita. Chissà per quante notti se lo sarebbe sognato, con quella sua maledetta nuova mania di sussurrarle all'orecchio e spogliarsi come se niente fosse... e non solo quello probabilmente.
Laxus ignorò il suo attacco di follia e, sbottonata la camicia fino a metà, ne prese il lembo sinistro e lo sollevò. Scoprì la pelle al di sotto di questo, mostrandola a Priscilla con un certo orgoglio, e solo allora lei riuscì a rimettere ordine ai pensieri e capire le sue vere intenzioni. Decorato con i suoi tatuaggi, primeggiava sempre nello stesso punto e con la stessa fierezza di un tempo il simbolo di Fairy Tail. Le lasciò il tempo di elaborarlo, di comprendere che nonostante da sette mesi la gilda non ci fosse più il simbolo restava al suo posto, intoccato. Un messaggio di speranza, la sua speranza, la sua certezza: un giorno sarebbe tornato a casa.
Lo ricoprì e tornò a riabbottonarsi, prima di chiederle con un pizzico di sicurezza nella voce: «Hai ancora il tuo, vero?»
Non era domanda, aveva visto come Priscilla portasse le mani guantate e ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa che sotto quello destro avrebbe trovato lo stesso identico simbolo. Lei non rispose e spostò timida lo sguardo altrove, ma l'istinto portò la mano sinistra e cercare la destra e stringerla, protettiva. Lo teneva nascosto, forse per se stessa, forse per i suoi compagni di Olympos, ma nonostante avesse il simbolo della montagna annuvolata sulla nuca sapeva che quella mano non avrebbe volentieri rinunciato a quello della fata con la coda. Anche se aveva giurato di dimenticare, anche se era scappata, anche se si era unita a un'altra gilda e probabilmente credeva che lì sarebbe morta, non aveva mai avuto il coraggio di cancellare l'unico simbolo che ritenesse veramente importante. Il primo segno che la sua pelle non aveva mai eliminato, il segno non solo di una casa, non solo di una famiglia, ma il segno della sua stessa anima. Lei era nata lì dentro, fisicamente e con l'anima, era nata e cresciuta lì, insieme a quelle persone. Che l'avesse voluto o no non sarebbe mai riuscita a cancellare quel ricordo, anche se l'avrebbe nascosto per il resto della sua vita.
Ma quella era in realtà, segretamente, anche la sua speranza.
Poter tornare a casa... un giorno avrebbe accettato di farlo.
Laxus si voltò e si allontanò, pronto ad andarsene. Era ormai quasi il tramonto, se non si fossero rimessi in viaggio subito non sarebbero riusciti a rientrare prima che la notte fosse calata. Priscilla si strinse la mano destra con più forza, vergognandosi forse della debolezza che aveva avuto nel non riuscire a cancellare il simbolo di Fairy Tail, o mossa forse da qualche nuovo desiderio. La schiena di Laxus che si allontanava, in quel preciso istante, sarebbe stato l'ultimo ricordo che si sarebbe portata dietro dell'uomo che non solo le aveva insegnato a vivere ma le aveva anche donato le cose migliori che avesse mai avuto. Una famiglia, una casa, la forza, la felicità. Ogni cosa la doveva a lui... e quello era il loro addio. Adeguato, andava bene così in fondo, era riuscita a scoprire tutte le carte, rivelare ogni cosa. Non aveva più niente da dire, poteva voltarsi e proseguire con la sua vita. Ma quel simbolo... ce l'aveva ancora. Ce l'avevano ancora tutti e due. Per quanto lontani fossero stati, avrebbero portato sempre lo stesso segno sulla pelle, come un filo rosso del destino che univa non i mignoli ma le loro anime stesse.
«Senti, Pricchan...» Era già lontano qualche passo, ma si era fermato, anche se continuava a voltarle le spalle. La voce gli era uscita pensierosa, addolorata, forse malinconica. Ma il viso si era disteso poco dopo, nell'istante in cui pronunciò: «Quando Fairy Tail si riunirà, io ti aspetterò lì» si voltò e le regalò il sorriso più bello che lei avesse mai visto sul suo volto. Non solo labbra tirate, ma talmente ampio che mostrò persino i denti. Si era illuminato completamente riportando a galla, in quel breve istante, il ragazzino radioso e amorevole che era stato un tempo. Le fece un occhiolino, allegro. «Ok?» concluse, ma non aspettò risposta. Se ne andò, lasciando Priscilla sola in quel bosco insieme al rumore del suo incessante e tormentoso batticuore.
"Laxus, allora io ti aspetto qui" la promessa che lei stessa gli aveva fatto il giorno in cui lui era stato esiliato. Non era stata una semplice promessa di attesa, era stata una vera e propria dichiarazione. Lei aveva deciso di aspettarlo, l'aveva fatto così a lungo, perché averlo a fianco era tutto ciò che importasse a discapito di cosa fosse successo e quanto ancora avesse dovuto lottare. E sapeva che sarebbe tornato, anche a costo di aspettare anni, anche a costo di aspettarlo fino alla vecchiaia, non avrebbe mai smesso di aspettarlo. Non avrebbe fatto altro, ed era quella la dichiarazione d'amore più intensa che gli avesse mai rivolto. E ora... ora sarebbe stato lui ad aspettarla. Non solo fisicamente, avrebbe aspettato qualsiasi tempo e per qualsiasi motivo. Avrebbe aspettato che lei sarebbe stata in grado di sistemare ogni cosa, mettere in ordine ogni tassello della sua vita e che avrebbe trovato poi il coraggio di tornare. Non importava quanto... quando Fairy Tail sarebbe tornata, perché era certo che sarebbe tornata, lui sarebbe stato lì ad aspettarla.
Sette lunghi mesi. Sette intensi mesi di forza, coraggio, di lotte interne. Un allenamento estenuante, ombre cacciate nella notte, incubi con cui aveva combattuto per secondi che parevano eternità. Aveva fatto così tanto in quei sette mesi e lui era riuscito a spazzare via ogni cosa con la stessa rapidità e potenza di un fulmine. La forza del Dragon Slayer del tuono non conosceva davvero limiti.
Non c'era davvero niente che il Dio del Tuono non riuscisse a fare.
E lei cominciò a odiarlo per questo.
«Ma insomma...» borbottò, mentre i muscoli si tendevano sempre di più. Ormai Laxus se n'era andato e lei era rimasta imbambolata così a lungo che scommetteva che erano persino già saliti in carrozza. Provava rabbia nel sentirsi così debole e nel rendersi conto che non era servito a niente scappare perché tanto lui era sempre lì, nel suo petto, in ogni istante. E riusciva a giocare con lei come e quando voleva.
«Mi prendi in giro?!» gridò furiosa. «Che aspetti pure quanto gli pare, quello stupido!» scalciò e si rialzò, camminando infine con ampi e pesanti passi. «Brutto idiota. È solo un idiota! Che aspetti pure, tanto non mi vedrà mai. Imbecille!» e proseguendo per la sua strada, riuscì infine a riunirsi insieme ai suoi compagni. Non diede spiegazione del suo malumore, probabilmente se li sarebbe mangiati vivi se avessero azzardato a fare domande, ma loro sapevano che altri non poteva entrarci che Laxus che invece se n'era tornato dall'incontro con Priscilla, poco prima, con un ghigno soddisfatto.

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