• Capitolo LXXIV •

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Arthur allungò il metro sull'avambraccio di Mr. Peace.
"È corta." affermò stizzito l'anziano.
Il consigliere lo guardò dal riflesso della specchiera, "Ma signore, questo è impossibile..."
"Questa manica è più corta." ribadì lui, mentre l'uomo osservava confuso l'orlo.
"È la seconda volta che la misuro e..."
"Per l'amor del cielo, Arthur..." mozzò lui, irrigidendo la mascella, "Sono le gambe ad essere fuori uso, ma non la mia vista."
Il consigliere deglutì, "Vuole che parli al sarto?"
"Sì. Gli dica che è licenziato."
Mr. Peace levò malamente la giacca e spinse la sedia a rotelle verso l'enorme letto.
"Ma..." balbettò nervoso l'uomo, "Ma non conosciamo altri sarti validi."
"Ne troveremo uno. Del resto, basterà cucire due maniche della stessa lunghezza per superare in talento questo idiota."
"Se solo quella donna fosse ancora in vita..." commentò, allora, Arthur.
"Chi?" Mr. Peace ruotò il capo, "Intendi Zorah?"
"Era la migliore nel suo campo, signore."
"Sì, ma è morta. Blake l'ha uccisa dopo averla presa in ostaggio."
"Lo so, lo so signore..." stirò le labbra in una smorfia contrita, "Mi chiedo solo cosa gli abbia detto la testa per fare un gesto così sconsiderato..."
"È inutile rimuginare sugli episodi del passato, Arthur." l'anziano reclinò più in giù lo schienale della sedia, "Blake è stato raggirato, drogato di menzogne e realtà fittizie da una subdola ragazzina che pensava di riuscire a rivoluzionare l'impero che da mezzo secolo costruisco con fatica e sacrificio."
Il suo viso si stranì e un violento colpo di tosse lo riportò ad alzare la schiena in avanti. Afferrò dalla tasca della leggera vestaglia un fazzoletto in tessuto, con le iniziali ricamate agli angoli, e lo poggiò sulla bocca. Macchioline di un rosso intenso sporcarono il tessuto.
"Signore, vuole che chiami il dottor Glickman?"
"No..." replicò lui, osservando il sangue, "Sto già meglio. Aiutami a mettermi a letto."

Il consigliere raggiunse premurosamente la carrozzina e sollevò di peso l'anziano, accompagnandolo fin sotto la coperta bordeaux di velluto damascato. Gli era fedele da circa trent'anni e avrebbe fatto qualunque cosa per servirlo. E, in tutti quegli anni, mai una volta si era domandato per quale motivo avrebbe dovuto continuare a farlo, sottostando alle frequenti umiliazioni che Mr. Peace di certo non gli risparmiava.
L'anziano sistemò meglio la nuca contro al cuscino lucido, "Arthur..." gli disse poi, come se quel discorso non si fosse mai interrotto, "Blake sta recuperando bene e sento che questa sia la volta buona per una svolta."
"Ne sono certo, signore... ma adesso chiuda gli occhi e provi a riposar..."
Mr. Peace gli afferrò un braccio e lo guardò dritto negli occhi, "Lui è parte di me, lo capisci? La mano che ti stringe, adesso, è la stessa con cui lo presi in braccio quando fu generato. Era ciò che di più bello avessi mai visto. Non siamo capaci di immaginare la perfezione fin quando non ce la troviamo davanti..."
L'uomo spalancò gli occhi, tentando di resistere alla stretta morsa e al suo sguardo.
Lo lasciò andare, "Lui è mio, Arthur. È Blake l'unico futuro possibile per questo pianeta."

***

L'allarme della porta risuonò dentro il soggiorno, destando Blake dal profondo sonno che lo aveva fatto precipitare scompostamente sul divano. Si aggrappò col braccio alla spalliera e osservò stordito in direzione del portellone. Non attendeva alcuna visita. In realtà, era da almeno due anni che nessuno metteva piede in casa sua. Si alzò e, recandosi verso l'ingresso, attivò la telecamerina che dava sul pianerottolo: Connor ondeggiava sulle gambe, guardandosi nervosamente attorno in attesa di vedere schiudersi la porta.
"Non saresti dovuto venire fino a qui, è troppo rischioso." gli disse il balancer, appena i pannelli si aprirono.
Il vecchio alzò l'avambraccio sinistro, mostrandogli una piccola busta di carta gialla.
Il ragazzo, allora, si ammutolì e lo lasciò entrare aprendogli il passaggio verso il salotto. Connor osservò con poca invadenza i costosi arredi e accettò l'invito di Blake a prendere posto su uno dei sofà bianchi.
"Vuoi qualcosa da bere?" gli chiese, mostrandosi abbastanza impacciato nell'accoglienza.
"No, ragazzo. Siediti."
B-273 assecondò mestamente l'invito e prese posto senza distogliere lo sguardo dal vecchio.
"Aprila." proseguì Connor, lasciandogli sul palmo la busta.
Blake tentennò per pochi attimi prima di liberare il contenuto di quella carta: una grossa chiave in ghisa e ottone ricadde sulla sua mano.
"Adesso hai libero accesso al Sottosuolo. Spero che tu sia cosciente di cosa significhi questo."
Il giovane tirò in su lo sguardo, "Dimmi come posso sdebitarmi..."
"Non voglio nulla da te, ragazzo..." sentenziò deciso, "Ma se vuoi davvero farmi un favore, allora cerca solo di rimanere vivo il più a lungo possibile."

OSMIUM - Il pianeta senza amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora