• Capitolo LXXXV •

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Non lo sappiamo mai quando la linea delle nostre vite devia verso una direzione diversa. Sappiamo controllare il corpo, a volte la mente. Ma non abbiamo alcun potere sulla sequenza degli avvenimenti. Dire che il destino esista o non ci sia è la stessa identica cosa. È solo un modo diverso di chiamare la successione di certi precisi accadimenti che rimbalzano sulle nostre teste, nel corso della vita. Siamo troppo orgogliosi per ammettere che la nostra esistenza sia fuori controllo, troppo occupati a progettare, a costruire solide fondamenta, a rimandare e riprogettare per poi ricostruire. E, nel frattempo, la vita passa. Scorre e sa già che quello è solo un modo per tenerci occupati. Gli accadimenti. La loro successione. Lo chiamiamo destino per affidare ad una parola tutta la responsabilità del nostro mondo. Un'entità enorme, informe, imbattibile. Nulla può contro di lui. Il destino. La linea si è intersecata su altre, nuovi punti di contatto. Nuove prospettive, nuove possibilità. Infinite. Ognuna con strade differenti, approdi diversi. Possiamo scegliere? Possiamo cambiare le cose? Possiamo farcela?

"Posso farcela?" sussurrò tra sé e sé Skyler, dopo interminabili ore di mutismo. Alzò lentamente la testa dal guanciale e lo sguardo volò via oltre la finestra della camera. Era già buio. Nessuno l'aveva più disturbata, ma si accorse che, sul comodino, Zorah le aveva lasciato un vassoio con del thè, due uova sode e un tozzo di pane nero. Doveva essersi addormentata profondamente, pensò, toccandosi i capelli disfatti. Scese giù dal materasso e indossò, a piccoli scatti, la lunga vestaglia di lana. Ancora scalza percorse il corridoio, probabilmente era già notte fonda.
Erano quasi innaturali il silenzio e i sospiri che le scarne pareti di quella casa emanavano. Da fuori, però, si sentiva un fruscio leggero d'erba e il frinìo di cicale lontane. Skyler seguì proprio quei suoni, sentiva il bisogno di aprire i polmoni, respirare aria fresca, sentire brividi di freddo sulla pelle.
Aprì la porta e mise un piede sulle travi del piccolo portico: non si accorse subito di Blake. Il ragazzo, nella penombra della notte, aveva preso posto sulla bianca panca verniciata e fissava le stelle alte in cielo, come a voler tradurre dalla costellazione un qualche messaggio, un suggerimento o, forse, un aiuto.
Finalmente lo vide e, con lentezza, richiuse la porta d'ingresso alle sue spalle. Sapeva che non c'era modo di evitarlo, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare quel momento. Ma saperlo non significava esserne comunque pronta.
Avanzò, toccando con l'epidermide il lastricato in legno, mentre il balancer, voltatosi verso la giovane, sembrò quasi emettere un sospiro di sollievo nel vederla finalmente.
Skyler sentì le gambe tremare ma si strinse con più forza dentro la vestaglia, ingannandosi che fosse solo una mera reazione al freddo di quella sera. Si sedette accanto a lui, senza dire nulla, senza guardare nulla, limitandosi semplice a respirare, adesso con più forza, gonfiando e contraendo bene il petto.
Un nuovo silenzio avvolse i loro visi ma, dopo qualche minuto, il ragazzo tirò in sù il collo a guardare il campo che si stagliava a qualche metro più in là.
"Non riuscivo a chiudere occhio..." disse, a bassa voce, quasi lasciando che il leggero vento trascinasse via l'ultima sillaba, "In realtà, non riesco a sotterrare i pensieri."
Skyler rimase rigida nell'angolino opposto della panca, perseverando in quello stato di impassibile mutismo.
"Vorrei dirti tante di quelle cose che..." Blake deglutì e si interruppe, ruotando il volto e perdendosi nel contorno del suo profilo, "Voglio solo che tu sappia che io sono qui, adesso." abbassò gli occhi e si lasciò sfuggire un lieve sospiro, "So cosa stai pensando. E so che mi odi. Ma so anche cosa eravamo una volta, Skyler. E non sei una bugiarda, tu non sai mentire. Non lo sai fare. Non con me. Guardami." le disse, quasi esortandola.
La giovane strinse i pugni e, dopo interminabili istanti, assecondò quella richiesta voltandosi verso di lui.
"Non è la Skyler di un tempo quella che stai guardando adesso. Lei non c'è più. E per quanto ne so, tu sei solo un estraneo per la donna che vedi ora."
Fu un duro colpo dritto in petto per il balancer che, trovando la forza di insistere, riprese a parlare.
"Pensi davvero che avrei voluto tutto questo?! Credi che... credi che ti avrei abbandonata qui per sempre senza una spiegazione o una ragione, rinunciando a noi?!" cercò di guardarla dritta negli occhi, ma lei aveva già ripreso a fissare il vuoto difronte, "Me ne sono andato perché preferivo sopportare l'idea di non rivederti, anziché convivere per l'eternità con la consapevolezza di averti fatto uccidere da quei soldati, Skyler. E se vuoi davvero odiarmi per questo, allora fa pure. Ma io non mi rassegno... e continuerò a parlarti guardandoti in faccia, finché non mi dirai tutto ciò che stai trattenendo... che si tratti di rabbia o altro."
La ragazza accennò un sorriso sarcastico e furioso.
"Sei quasi convincente." esordì, "Ma purtroppo non ci casco."
Abbandonò la panca e si diresse verso la porta. Il giovane non esitò un solo istante e la seguì in fretta, bloccandola da un braccio.
"No, Skyler. Adesso parliamo."
"Non toccarmi!" scansò l'avambraccio e lo osservò aspramente, distogliendo poi subito lo sguardo.
"Non riesci nemmeno a guardarmi... Dimmi il perché." la esortò lui.
Infilò le mani dentro le calde tasche di lana, arricciando lievemente il naso e imponendo a sé stessa di non cedere, di non mostrarsi fragile né vulnerabile. Doveva essere forte. Non poteva permettersi di crollare proprio dinnanzi a lui.
"Pensi di avermi salvata lasciandomi qui, Blake?" gli chiese, buttando giù un nodo che le si era stretto in gola.
"Sì. Penso di aver fatto l'unica cosa possibile, Skyler."
Le scappò quasi da ridere, ma era evidente che fosse un modo per soccombere al dolore. I suoi occhi divennero in fretta lucidi.
"No... invece non l'hai fatto. Mi dispiace, ma non ci sei riuscito." rispose,
"Perché io sono morta quel giorno, Blake."
Spostò indietro una ciocca di capelli e i suoi iridi vibranti presero a muoversi compulsivamente da un punto all'altro dell'orizzonte.
"Mi svegliai presto quella mattina e pensai che forse ce l'avremmo fatta davvero. Credetti alle promesse che ci facemmo la notte prima, credetti a quei baci. Così mi alzai e pensai che le nostre vite ci appartenevano, Blake. Saremmo fuggiti e avremmo ricominciato altrove. Non importava se sarebbe stato difficile, rischioso, folle. Perché quella mattina avevo in me tutta la speranza del mondo. E ci credevo davvero." bagnò le labbra secche, "Ma c'era troppo silenzio attorno quella baracca. Non ti trovai. Credo di averlo capito subito ma di non volerlo accettare. Corsi da Zorah e chiesi di te. Lei non riuscì a rispondere ma appena mi guardò con... con quell'espressione... Dio, lo ricordo come se fosse ieri. Quando una persona ti guarda in quel modo è solo per un motivo."
Il ragazzo continuava a osservarla, scoprendo in lei occhi nuovi, diversi. Più cupi.
"Ti ho aspettato per un anno intero." emise poi, spezzando nuovamente il silenzio, "Ti vedevo sugli schermi, ti osservavo... e non riuscivo a riconoscerti più. Dov'era l'uomo che aveva promesso di tornare a prendermi, l'uomo che avrebbe dovuto tirarmi fuori da quell'inferno?! Parlavi della Causa con più fede di prima, alzavi il tono, battevi il pugno sul leggio godendo degli applausi, fiero e austero dentro la tua uniforme nera. Allora capii. Capii che non saresti mai tornato quaggiù."
"Mi stavano manipolando, Skyler." intervenne lui, "Mr. Peace mi informò della tua missione, della Resistenza, del Sottosuolo... di tutto quello che avrei sempre dovuto sapere! Mi sentivo tradito... usato. Credevo che ti fossi presa gioco di me fin dall'inizio! Riesci a capirlo?!"
"IO NON HO MAI FINTO CON TE!" battè una mano sul petto del balancer e ritirò subito il braccio, ricomponendosi.
"Lo so, Cristo. LO SO. Ma l'ho capito tardi." replicò, sperando quasi che la giovane avesse il coraggio anche solo di tirargli uno schiaffo. Probabilmente lo avrebbe preferito al vederla trattenere ogni istinto dentro lo stomaco.
"Sono morta tre anni fa, Blake." riprese, tentando di tirare su una lacrima, "E mi dispiace... ma non sei riuscito comunque a salvarmi. Sono morta lo stesso. La whiner del campo EZ1 è solo un lontano ricordo."
"No, io non ti credo."
"È così, Blake."
"E ALLORA GUARDAMI IN FACCIA!"

Una lucina si accese, illuminando la finestra sul retro. Zorah si affacciò sul portico, assonnata e allarmata dalle urla.
"Che succede...?"
"Va tutto bene, torna a letto. Tranquilla." rispose immediatamente Skyler.
La donna osservò i due ragazzi con aria titubante, "Sei... sei sicura?"
"Sì, sto bene. Stiamo... solo parlando." le lanciò uno sguardo serioso.
L'amica, allora, richiuse la porta, non prima di aver dato l'ennesima occhiataccia ed essersi accertata che la situazione non degenerasse.
I due sfruttarono quella interruzione per acquietare gli animi e calibrare il tono di voce.
Il balancer deglutì, irrigidendo la mascella, "Credi che io non ti abbia amata?"
Alzò il mento e lasciò scorrere qualche secondo di vuoto, "Credo che forse tu non ne sia del tutto in grado, Blake. Credo che tu possa pensare di averlo fatto... ma credo anche che non ti sia mai riuscito bene."
Blake annuì, sentendo una crepa risalire fino al cuore, "Eppure tutto quello che c'era da sapere me lo hai insegnato tu."
"È vero... ed è stata anche colpa mia. Avrei dovuto semplicemente accettare la tua natura ed invece mi sono coperta gli occhi per paura di vedere cose che non mi sarebbero piaciute."
Sì, lo stava facendo. Gli stava spezzando il cuore. Era meglio farlo subito, senza aspettare che il tempo scorresse via tra l'ennesima alba e l'ennesimo tramonto. Sentiva il bisogno di farlo, di vedere spegnersi quella luce nei suoi occhi, cambiare espressione, tentennare nei gesti. Lo doveva a sé stessa. Ferirlo era l'unica soluzione per tramortire anche i suoi turbamenti. Era qualcosa di crudele, sì, terribilmente cinico e spietato. Ma, per Skyler, era necessario ad andare avanti.
Blake rimase in silenzio, accusando un colpo dopo l'altro. La guardò, decidendo che per niente al mondo avrebbe ceduto.
"Cosa pensi di ottenere, parlandomi in questo modo? Credi davvero che mi basti questo per mollare?! Sono un soldato, Skyler. Forse non il miglior amante... magari hai ragione. Ma non sono di certo uno stupido."
"Voglio solo che tu prenda le tue cose e vada via." affermò, con durezza.
La osservò, immobile, "È davvero quello che vuoi?"
Strinse i denti, "Sì, Blake. Voglio che tu mi lasci in pace. Voglio... ricominciare daccapo senza l'ombra del tuo fantasma."
"Io non sono un fantasma, Skyler..." emise, con un filo di fiato, "Io sono qui, adesso. Davanti a te. E LO SONO ORA. In carne e ossa. E..."
"Sposerò un uomo." lo interruppe, prendendo un respiro profondo.
Si rese conto, allora, che la notizia non modificò in alcun modo la sua espressione, "Ma tu già lo sapevi. Non è così?"
Il balancer gonfiò il petto, "Dimmi solo se lo ami. E io me ne andrò davvero, Skyler."
Le cicale continuavano a rumoreggiare in un'eco che si estendeva su tutta la collina.
La ragazza, allora, accennò un leggero sì con la testa, che si fece più deciso col passare dei secondi e l'avanzare di una certa dose di coraggio o, meglio, incoscienza.
"Sì..." sibilò, "Lo amo, Blake. È così."
Riuscì quasi a sentire davvero il rumore di un tonfo nel petto del giovane che, senza dire nulla, indietreggiò istintivamente di un passo.
"Sono passati tre anni..." proseguì lei, senza accorgersi che quella lacrima, tanto trattenuta, finalmente riusciva a scivolare giù.
"Già..." replicò Blake, tentando di ricomporsi e sostenere l'animo, "Peccato che per me non siano mai davvero passati." deglutì, coprendo di nero il dispiacere, "Sono comunque felice di averti detto tutto ciò che sentivo. Probabilmente avrei dovuto farlo molto tempo fa. Non sono mai stato una cima sui tempi, devo ancora lavorarci su."
Si guardò attorno, vistosamente turbato e amareggiato, "Beh... ti auguro una buona vita e di... di essere felice. È l'unica cosa che conta davvero per me, Skyler."
La giovane mantenne la posizione, ma fu come se le travi di legno sotto ai piedi gelati si stessero sgretolando, come se da un momento all'altro rischiasse di esserne risucchiata, di finire ingoiata dalla terra e non poter respirare mai più, né vedere la luce del sole.
Si limitò a guardarlo, ora che un silenzio tombale era calato giù sul portico. Blake tentennò ancora qualche istante, quasi aspettando o, forse, sperando che lei lo fermasse, che d'improvviso lo tirasse da una mano dicendogli che era stato solo un brutto incubo, che c'era ancora modo di sistemare le cose, che non era troppo tardi. Ma nulla di tutto questo accadde.

Tornò quindi in casa, entrando silenziosamente nella camera che Zorah gli aveva ceduto, e si sdraiò sul letto. Guardò il soffitto e, a quel punto, si rese conto che era davvero finita. Avrebbe preso le sue cose l'indomani e sarebbe ripartito la mattina stessa. Non sapeva dove andare, né cosa farsene di una destinazione che non riguardasse Skyler. Se non era stato accettato dall'unica persona che da sempre gli era stata al fianco, probabilmente non lo sarebbe stato in nessun altro luogo su quel pianeta.

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