• Capitolo XLI •

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Avviate il video qui sopra giunti al TERZO spaccato del capitolo. Buona lettura!

Connor portò davanti gli occhi due bicchierini da scotch. Il calcare aveva prodotto sgradevoli macchie opache e il vetro sembrava tutt'altro che pulito. Si avvicinò, allora, a Skyler mostrando perplesso quel risultato.
La ragazza arrestò le mani sotto al getto d'acqua fredda che sgorgava vigorosa dal rubinetto, "Oh, merda." commentò, amareggiata, osservando i bicchieri.
"Che ti prende, Anderson? Sei più distratta del solito oggi." chiese il vecchio, con tono più preoccupato che severo. Poggiò i calici sul bancone e squadrò la ragazza con meticolosità.
Sebbene burbero, in pochi mesi Connor era riuscito a cogliere gli accenti più puri della giovane: la considerava un'anima buona, a volte fin troppo ingenua, altre fin troppo sveglia. Era a conoscenza dei suoi errori, dei suoi segreti, e non ne era affatto entusiasta. Ma, nonostante tutto, non avrebbe mai proferito parola a nessuno e l'avrebbe sempre protetta come lo scudo di un fante, così come avrebbe sempre difeso Blake.
"Non è niente. Sono solo un po' stanca." rispose lei, asciugandosi la fronte, con lo sguardo di chi sta solo cercando di gettare via la prima frase credibile da dire.
Gli avrebbe potuto raccontare del piano, della Resistenza e del suo farne parte, di come per tre mesi avesse mentito spudoratamente alle uniche persone a cui non avrebbe mai voluto fare un torto del genere, di quanto si sentisse morire ogni qualvolta incrociava il viso di B-273 o degli incubi atroci che le violentavano i pensieri da almeno tre settimane. Ma non disse nulla di tutto ciò. Decise di risparmiare a quel vecchio cuore il dolore che la verità bastarda, sputata meschinamente in faccia, gli avrebbe arrecato. Non l'avrebbe capita, solo disprezzata. E lei non l'avrebbe biasimato.
"Abbiamo dieci minuti prima che il locale apra e dei fottuti balordi inizino a posare i loro culi su questi sgabelli. Dimmi cosa ti prende. Continui a vederlo?" esordì, fermamente, ruotando il pomello del lavabo e interrompendo, così, il rumore dell'acqua.
"Non voglio parlarne, Connor."
"Non mentirmi, ragazzina. Non ho vissuto settant'anni per bermi, adesso, le tue stronzate!" ammonì.
Skyler, nella totale esasperazione, agì d'istinto e si slacciò, con disprezzo, il grembiule che gettò duramente sul pavimento.
"HO DETTO CHE NON NE VOGLIO PARLARE!"
"Che stai facendo?!" l'anziano la seguì con lo sguardo, mentre Skyler si dirigeva a passi pesanti verso l'uscita.
"Trovati un aiutante più capace! IO MI LICENZIO! Sono stufa di dover dare spiegazioni al mondo intero!" sbottò, infilando frettolosamente il giubbino nero.
"Anderson! Non fare la bambina. Io posso aiutarti!"
La ragazza spalancò la porta, "NESSUNO PUÒ AIUTARMI, CONNOR! NESSUNO!" concluse, alterata, con sguardo perso e voce scostante.

Si gettò in strada, camminando velocemente verso una meta indefinita. Se quel pianeta fosse stato solo un brutto incubo, la prima cosa che avrebbe fatto in quella circostanza sarebbe stata sicuramente prendere il cellulare e chiamare il padre, in cerca di rassicurante conforto. Lui avrebbe scelto con cura le parole da indirizzare alla figlia, dicendole che sarebbe andato tutto bene, che non c'era motivo di essere triste, che sarebbe stata forte. Che i momenti neri esistevano solo per dare la possibilità a quelli luminosi di riaccendersi. Ma quelle parole poteva solo immaginarle nella sua testa, quel calore solo sognarlo sulla pelle.
Arrestò quella forsennata smania di fuggire e si guardò intorno: il quartiere era desolato, come sempre, ed il silenzio di quelle strade la fece sentire ancora più sola di quanto già sapesse. Fu lo squillo del suo auricolare a destarla da quei terribili pensieri.
"Pronto... qui W-1022."
"Adoro le presentazioni formali, sono eccitanti."
La ragazza digrignò i denti e con un rapido movimento d'occhi si accertò che nessuno fosse nei paraggi.
"Cosa cazzo vuoi, Alan."
"Buongiorno anche a te, dolcezza."
"Non chiamarmi in quel modo. È disgustoso." disse, serissima in viso.
"Come vuoi." rispose il ragazzo, con tono leggero, "Ti contatto per invitarti ufficialmente ad una festa."
La giovane corrugò la fronte, mentre l'aria le smuoveva i capelli, "Una... una festa?"
"Beh, domani è il grande giorno! Gli abitanti del Sottosuolo hanno voglia di festeggiare l'ultima notte da invisibili... e di conoscere la donna che li salverà il culo." spiegò, con sarcasmo.
Il grande giorno. Il solo tornare al pensiero che quella sarebbe stata l'ultima sera trascorsa insieme a Blake le provocò un immediato crampo allo stomaco, che quasi le impediva di parlare. Aveva trascorso la mattinata provando a mentire a se stessa, raccontandosi un'altra versione della realtà. Ma non c'era modo di negare l'evidenza, l'inesorabile susseguirsi dei fatti, degli eventi.
"Non ho nulla per cui festeggiare, Alan."
"Non devi venire per fare contento me, è il Consiglio che conta sulla tua presenza." sottolineò, per cui, il ragazzo.
"Perché."
"Vogliono assicurarsi che tu stia bene prima di procedere alle operazioni. E, inoltre, vogliono che tu veda cosa potremmo perdere."
I suoi occhi si fecero lucidi, "Assicurarsi che io stia bene..." commentò con nervosismo quasi isterico, "...riferisci ai tuoi colleghi che NO, NON STO AFFATTO BENE, ALAN. PERCHÉ FRA MENO DI VENTIQUATTRORE DOVRÒ IMPIANTARE UNA FOTTUTA BOMBA DEL CAZZO DENTRO LA PELLE DELL'UOMO CHE AMO!!!"
Qualche frazione di silenzio intervallò la conversazione.
"...Dopo il tramonto, al Neon Demon. Ti aspettiamo."

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