• Capitolo LXXV •

638 44 10
                                    

I vapori di acqua venivano sparati dalle pareti umide del piccolo vicolo che si diramava in avanti a partire dalle suole di Blake, che rimase qualche minuto immobile a guardare la porta rossa che separava il suo mondo da quella dimensione a lui del tutto sconosciuta. Strinse la grossa chiave in ghisa dentro al palmo e, dopo un lieve sospiro di tensione, si avviò verso la serratura. Il chiavistello ruotò tra gli ingranaggi e provocò un sordido acuto metallico.
"Coraggio..." sussurrò tra sé e sé, mentre portava in giù la maniglia.
Era davvero il coraggio a servirgli? O forse sperava solo in cuor suo di essere irrimediabilmente travolto da quel mare di follia che non lo aveva mai del tutto toccato? Era paura, timore? O semplicemente il desiderio di assaggiare quel frutto e gustarne la polpa?
Avanzò in un buio cunicolo che procedeva oltre la porta: più avanti, da un foro sul pavimento, una calda luce si proiettava contro il soffitto di muffa. Il ragazzo vi si affacciò e notò subito la scaletta che portava giù Dio solo sa fino a quanti metri di profondità. Vi si calò senza pensarci troppo e, a mano mano che la discesa proseguiva, il tunnel verticale si faceva sempre più stretto, tanto che risultava difficile respirare a pieni polmoni. Ma, fortunatamente, quel viaggio claustrofobico si interruppe dopo circa quindici minuti.
Dopo un piccolo saltello, Blake posò i piedi su un lastricato in pietra bianca lucida, leggermente scivolosa. Un forte chiasso sembrava essere ovattato dalle mura rocciose del corridoio in cui si ritrovò. Seguì l'unico percorso possibile e, a quel punto, le voci e i passi iniziarono a diventare sempre più intensi e vibranti.
L'uscita era proprio davanti a lui, quel mondo sotterraneo a pochi metri dal suo petto, ma fu come se un attimo di esitazione lo avesse preso alla gola, facendogli schizzare in testa l'idea di tornare indietro, risalire le scale e richiudere alle spalle quella porta rossa, dimenticandosi di quella faccenda per sempre.
Ruotò il collo e si guardò indietro, col respiro che diventava quasi affannoso: dietro di lui c'era Mr. Peace, la scrivania del suo nuovo ufficio, le lenzuola sgualcite del suo letto solitario, la grigia routine di un mondo spietatamente ordinario.
Tornò a guardare davanti a sé e tirò su il cappuccio della felpa nera, coprendo così la chioma albina e parte del volto.
No, non sarebbe tornato indietro. Aveva bisogno di conoscere la verità, doveva vedere con i suoi occhi.

Entrò le mani dentro le tasche dei pantaloni e si avviò senza più pensare a nulla verso la luce abbagliante proveniente dall'arcata in pietra. I suoi iridi si contrassero per poi dilatarsi nuovamente alla vista di una enorme piazza circolare gremita di gente e colori.
Un uomo sbatté velocemente contro la sua spalla.
"Oh, stia attento!" ammonì lo sconosciuto passando oltre e trasportando una cassa stracolma di ortaggi.
"Mi... mi scusi..." sibilò il ragazzo, stralunato, quando ormai l'uomo era già lontano.
"Vuoi delle collane?" esordì alle spalle una ragazza con i capelli raccolti dentro ad una bandana di tela.
"Cosa?"
La giovane gli mise in mano una catenina piena di pietre scure, "È Ambra... direttamente dal Marocco. Merce buona!"
"Non voglio niente." rispose infastidito, restituendole la collana.
"Peccato, alla tua donna sarebbe piaciuta."
Blake corrugò la fronte, "...La mia donna?!"
Rimase interdetto e si allontanò con una certa premura dal centro della piazza, dirigendosi verso un vicolo che sembrava essere meno trafficato. Poggiò la schiena contro la parete e stirò il collo, provando a chiudere per un istante gli occhi.

"Prima volta?"
Un uomo sui trentacinque anni si avvicinò al balancer con atteggiamento tra il curioso e il divertito.
Blake aprì gli occhi e lo osservò rimanendo sulla difensiva.
"A volte fa questo effetto... intendo il Sottosuolo." proseguì lui, scrutandolo dalla testa ai piedi, "Soprattutto quando vivi per anni lassù."
Si arrestò e poi riprese, "Da quanto tempo sei ad Osmium City?"
Il ragazzo deglutì, "Da abbastanza per sentirsi storditi."
"Già..." rispose lui, annuendo, "Cazzo, è proprio così. Quella città ci rende questi, sai? Come... come fottuti zombie che si muovono per strada. Ma ho finito con quella merda. È da cinque anni che vivo quaggiù e sai una cosa? Sono stati i migliori della mia vita."

OSMIUM - Il pianeta senza amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora