Cuore a crudo

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Leggete lo spazio in fondo. x

Volevano riportarmi indietro. Trascinarmi con loro al negozio che avevo abbandonato in fretta e furia, di fronte al povero uomo che era stato appena derubato. Per umiliarmi, per fare giustizia - così come loro la definivano.

Sembravano non capire, parevano ignorare l'immensità della mia disperazione, ché il loro eccessivo cinismo li costringeva ad ignorarla. Eppure, soltanto a seguito di una preghiera da parte mia scongiurata, soltanto dopo un singhiozzo estremamente caricato, una crepa spezzò le ferree convinzioni del più giovane: Jake.

Fu lui a cedere per primo. Mi guardò, poi serrò la mascella con forza, violento e combattuto, in battaglia contro se stesso. Infine si arrese, svuotandosi il petto di un sospiro trattenuto.

«Harry.» sussurrò all'amico, posando le dita gelide laddove la mano del riccio ancora mi arpionava il braccio. «Harry.» ripeté a voce più bassa, arrendevole, come a volerlo convincere...come a suggerirgli che non ne valeva la pena, che avevo capito l'errore, che non costituivo una minaccia per nessuno di loro.

Eppure lui ancora non si era mosso. Immobile di fronte a me, titanico, avvolgente, avvelenato, con gli occhi ficcati come chiodi nel mio volto distorto dal disagio. Non seppi spiegarmelo: sentivo il cuore esplodere nella mia gola, affondare nello stomaco e disintegrarsi come un pugno di sabbia. Batteva come un selvaggio e mi arrossava le guance, mi portava inevitabilmente a tenere gli occhi bassi - perché non ero capace di sostenere uno sguardo così violento, così invasivo e pretenzioso.

Jake aumentò la presa sulla mano di Harry, sconvolto dalla sua improvvisa insistenza. «Harry.» sbottò, con voce carica di decisione. «Forza, mollala.»

Il riccio deglutì un grumo di saliva e si abbandonò ad un respiro profondo. Poi sciolse il nodo che ci legava: la sua presa si fece mano a mano più debole, dissolvendosi lentamente. Poi sparì. La mia pelle tornò a respirare e la mano di Harry trovò rifugio nella tasca dei suoi pantaloni, chiudendosi a pugno e screziandosi di venature verdognole.

Mi ritrassi istintivamente di un passo.
La veemenza del ragazzo aveva lasciato tracce evidenti sulla mia pelle: un bracciale di striature rossastre avvolgeva il mio avambraccio con evidenza pungolante, scuotendomi nelle budella, inerpicandosi sulle mie spalle.

«Prendi la roba e andiamo.» Proferì Jake senza guardarmi, piegandosi a terra per raccattare ciò che il riccio mi aveva strappato di mano. Osservai quelle confezioni venirmi private col cuore in gola e i lacrimoni negli occhi, soffocata da una sensazione di vergogna debilitante. Eppure non lottai per riprendermi ciò che avevo ingiustamente rubato...Perché Harry si rifiutava di lasciarmi andare.

«Vuoi farla scappare?» ringhiò infatti all'amico, senza però distogliere lo sguardo dal mio volto. Le sue mani non mi toccavano, ma riuscivo comunque a percepire i loro contorni, la loro forma e il loro calore intransigente. Erano mani forti, quelle di Harry. E in quel momento parevano stringere il mio cuore a crudo.

«Harry, lascia perdere.» sussurrò Jake in risposta. Si alzò con le braccia piene e il volto intenerito, senza però guardarmi, senza nemmeno infastidirmi. Come se avesse capito. Come se...non volesse infierire.

«Andiamo via e basta. Lei non tornerà. Giusto?»

Mi ritrovai ad annuire senza neanche aver udito le sue parole. Instabile come un soffio di vento, come un tremulo specchio d'acqua. Accadde che fuggii. Fuggii di nuovo, stavolta senza essere seguita, appesantita da un forte rammarico verso me stessa.

Tadcaster mi inghiottì ancora, avvolgendomi nelle sue spire d'ombra. Quella città si configurò nella mia mente come un cono di nebbia e foschia grigia, come un mostro nero e vorace. Nascondeva la mia rovina e la mia rinascita: stava a me indirizzarmi nella giusta direzione.

Prima che facesse sera riaccesi il telefono e lo strinsi convulsamente tra le dita, seduta su uno sporco marciapiede diroccato. Le chiamate da parte di mio padre erano aumentate, accavallate in gruppi di decine e seguite da numerosi messaggi minacciosi e arroganti.

Ero consapevole del fatto che prima o poi avrei dovuto affrontarlo, eppure mi convincevo del fatto che rimandare fosse l'unica opzione considerabile. In un momento simile - col mento ancora tremante, le mani sudate, gli occhi velati di emozioni liquide - non sarei stata in grado di gestire la furia cieca di Alexander Dekker. Dunque spensi nuovamente il cellulare e mi lasciai trascinare nel vuoto cratere che mi apriva il petto.

Gli ultimi eventi mi avevano cucito addosso una costante sensazione di agitazione e smarrimento - ma nessuna delle due, in quel momento, poteva essere paragonata al viscido sentore di terrore che lo sguardo di Harry mi aveva lasciato sulla pelle.

Si trattava di disagio, di vergogna, di negazione di fronte all'evidenza, di accusa feroce: essere placcata così crudelmente da un uomo arcigno e diffidente come lui aveva aumentato il carico che mi trascinavo sulle spalle da sette mesi a questa parte.

Eppure una minuscola parte di me aveva già accettato la realtà dei fatti: Harry era irrimediabilmente e ferocemente bello, e gran parte del terrore che avevo provato in precedenza non era causato dalla consapevolezza di poter essere in pericolo - sebbene lo fossi - quanto dalla vitale necessità di nascondere il battito accelerato del mio cuore. Mi ero sentita appassire sotto occhi così belli, ardere viva, come un bocciolo di rosa che brucia a causa del sole cocente di metà agosto.

Perché quei lineamenti mi si erano appiccicati negli occhi, smuovendo cocci di dolore che non dovevano essere toccati: una bellezza così pura e selvaggia mi era stata appena schiaffata in faccia nel peggiore dei modi.

Intanto trascorse un altro giorno. Occupai per poche ore una stanza di motel a basso costo, la mattina seguente mi concessi un pasto scarno che mi tenne ritta in piedi fino a sera, quando iniziai a chiedermi cosa avrei fatto quando avessi finito i soldi.
Se fossi tornata a casa mio padre mi avrebbe uccisa di botte o rinchiusa in collegio, o segregata in camera, e umiliata. Ma se fossi rimasta da sola in mezzo alle strade di una città che non conoscevo, non avrei avuto alcuna possibilità di andare avanti.

Otto mesi fa non mi sarei mai aspettata di ritrovarmi così, stravaccata sul marciapiede di un piccolo locale di Tadcaster, a ragionare spassionatamente del mio precario futuro. La mia natura disfattista mi portò a dipingere i peggiori scenari, nei quali io apparivo come ladra, prostituta o senzatetto.

Sta di fatto che la serata subì un drastico ribaltamento. Fu come l'improvvisa interruzione di un nastro: la cascata di pensieri che mi annebbiava la vista e i sensi si crepò di botto come uno specchio scheggiato. Il buio della notte aveva ingoiato le stelle e la luna che apparivano come puntini opachi su un tappeto di velluto nero - e mi guardavano dall'alto, silenziosi spettatori, giudiziosi occhietti curiosi che osservavano il panico serrarmi la gola, di nuovo.

Ché nella totale distrazione, non avevo avuto modo di notare un branco di uomini avvicinarsi alla mia figura irrequieta.

Mi chiedo con rammarico perché questa storia non riceva l'entusiasmo che mi aspettavo. I pareri sono molto positivi, le lettrici abbastanza numerose, eppure voti e commenti non si vedono nemmeno col binocolo. So che è tanto da chiedere, ma mi dispiace molto vedere tutte queste lettrici fantasma...semplicemente perché non ricevendo riscontri perdo entusiasmo.

COMUNQUE, il prossimo capitolo è bello strong, questa cagata è semplicemente di passaggio. Un bacino e al prossimo capitolo.

sangue nell'acqua [hs]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora