Pelle di velluto

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Come previsto, i sensi di colpa di Grace arrivarono al punto di convincerla a tornare, e così fece la mattina seguente. Si presentò nella mia stanza pacata come la prima volta, e subito notai come il suo volto fosse più sereno del giorno precedente. Sembrava più sciolta e sicura, oserei dire confidenziale, e nel frattempo mi salutava con un bacio su entrambe le guance, chiedendomi se avessi dieci minuti a disposizione per parlare con lei.

Io, che morivo dalla voglia di scoprire cosa avesse da dirmi, la invitai a sedersi sul mio letto. Non potevo mentire a me stessa, e dovetti ammettere che la sua visita, quella mattina, mi avesse scaldato il cuore - solo un po', come una carezza sul palmo della mano.

«Ho una notizia strepitosa per te!»

Tuttavia un'affermazione del genere ebbe modo di terrorizzarmi, perché poteva trattarsi di qualsiasi cosa, e ombrosa com'ero, nonostante gli sforzi, non riuscivo ancora a definirla mia complice.

«Sarebbe a dire?» risposi, mascherando il dubbio dietro un sorriso appena accennato. Il suo entusiasmo era palpabile, evidente, e non potei fare a meno di chiedermi cosa la rendesse così eccitata.

«Sono riuscita a convincere Tom a darti una serata libera...domani sei con me e gli altri ad una festa!»

E per un attimo credetti di aver smesso di respirare. Perché se c'era una cosa che odiavo, quella erano le feste. E se c'era una cosa che odiavo ancora di più, era andare ad una festa accompagnata da sconosciuti.

Subito il nervosismo mi strinse la gola e i polsi, e l'agitazione mi strappò le parole di bocca: rimasi a fissare il volto luminoso di Grace con gli occhi granati e le labbra appena socchiuse, come se volessi parlare, come se fossi in procinto di dire qualcosa, eppure non riuscissi ad emettere suono.

La mia reazione dovette allarmarla, perché il suo viso si deformò in un'espressione di leggero sconforto.

«Non sei felice?»

Mi imposi di mentire. Sebbene la prospettiva di partecipare ad una festa mi facesse ribollire lo stomaco, temevo che il mio carattere eccessivamente solitario potesse demolire il suo entusiasmo, e per ovviare tentai di tirare fuori qualche scusa quantomeno convincente.

«No, no...certo che sono felice! È che...insomma...non so nemmeno di cosa si tratta-»

«Oh, di questo non preoccuparti!» un sorriso tornò a campeggiare sul suo volto. «È una festa abbastanza tranquilla...voglio dire, ci sarà un po' di gente, ma per assurdo più siamo più intimo è il contesto. Mi segui?»

E su questo non avevo niente da dire: in genere è più semplice apparire inosservata all'interno di luoghi affollati.

«Saremo a casa di un certo Travis. Non lo conosco, ma è amico di Steve, e ha chiesto di portare quanta più gente possibile. Riempiremo una villa a tre piani...ci credi?»

Ogni volta sorprendevo me stessa. Mi chiedevo per quale ragione una neo diciottenne alle prime armi con la vita fosse così spaventata dall'idea di interfacciarsi coi suoi pari, e perché si sentisse tanto stupida in un contesto così congeniale ad una persona della sua età. Oh, le mie insicurezze erano mostri già prima della morte di mia madre, ma dopo...dopo si erano trasformate in ferite profonde, ansie languide, tremori lascivi.

Ché la solitudine era una brutta bestia. Ma niente, niente mi faceva sentire più sola che essere circondata dalle persone sbagliate - e la prospettiva di trascorrere un'intera nottata nell'oblio del mio silenzio non faceva più paura.

«Grace...ti ringrazio, ma io non- non ho niente da mettermi.»

Ed era vero. Era così vero da far male. Mi ero portata dietro pochi stracci e tanto risentimento, tante ferite aperte che non sarebbero mai guarite. Mi cadde addosso il peso di ciò ero diventata, e appena sbattei le palpebre i miei occhi si fecero lucidi. Brillarono di tutte le emozioni che mi tenevo dentro. Le custodivo tutte, una ad una, tentando di soffocarle col silenzio. Eppure loro restavano lì, irriverenti, e grattavano come spine contro il mio costato.

sangue nell'acqua [hs]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora