Il proprietario del Red Lion si rivelò essere il padre di Harry. Il suo nome era Tom Styles, e designava l'aspetto di un bell'uomo di mezz'età: occhi chiari e trasparenti, limpidi come il più puro dei cieli estivi, e volto fanciullesco e pulito, privo di alcunché di maligno o intimidatorio. Nel momento in cui i nostri palmi aderirono in una stretta calorosa, mi chiesi come Harry potesse essere figlio suo - come l'Harry corrucciato e impaziente potesse avere il suo stesso sangue a scorrergli nelle vene.
«I ragazzi mi hanno parlato della tua situazione.» mormorava, e nel frattempo mi affiancava nel percorso che tutti e quattro avevamo intrapreso lungo una rampa di scale in ascesa. «Non è il massimo, ma penso che per una notte possa bastare.»
Non ero in grado di comprenderne la ragione, ma la sua voce ferma e calma riuscì in poco tempo a sciogliere il nodo di ansia e preoccupazione che mi stringeva la gola, e in pochi minuti crebbe in me la sensazione di poter donare a quest'uomo la mia completa e assoluta fiducia.
Continuavo a guardarlo...incantata, finalmente tranquilla, grata di poter ancora calpestare terreno stabile. E intanto lo seguivo su per gli scalini, persa nella speranza di cui le sue parole di conforto erano intrise, mentre pronunciava «Devi sapere, Maia, che la stanza è molto piccola. Apparteneva ad una nostra vecchia dipendente che si è trasferita qualche mese fa...ma non penso sia un problema, giusto?»
«Giusto.» risposi in fretta, convulsa, impaziente di palesare il mio assoluto consenso. Non volevo apparire come un peso, o come uno scomodo bagaglio da trascinare a fatica. Desideravo...semplicemente, desideravo non dar fastidio a nessuno, non sconvolgere gli equilibri ma essere aiutata, incapace di far fronte alla disperazione che mi dilaniava.
Tom Styles, in quel preciso istante, apparve come la persona giusta. Mi guidò in un ampio corridoio buio, costellato da porte e ingressi di legno vecchio, indirizzandosi verso la prima di esse. Rivelò una piccola stanza avvolta dalla semioscurità, dal profumo di chiuso e di remoto, occupata da pochi mobili impolverati e sciupati dal tempo che era passato, inesorabile.
Tom accese la luce. Strizzai appena gli occhi, facendomi spazio nella camera che solo per quella la notte mi sarebbe appartenuta...ma percepivo lo sguardo intenso di Harry sulla nuca. Sembrava in attesa che io parlassi.
«Il letto è da rifare-» Tom si diresse frettoloso verso il comò, aprendolo per tirarne fuori lenzuola pulite. «Mi dispiace - in questo modo, senza preavviso...» e scosse la testa contrariato. La sua bontà fu palesata dal fatto che si sentisse in colpa per le squallide condizioni in cui la stanza riversava, senza rendersi conto che, per una come me, anche solo avere un tetto sopra la testa fosse sinonimo di pura gratitudine.
«Non importa, davvero!» Mi avvicinai a lui e gli strappai di mano il prezioso carico bianco di lino. «È tutto perfetto, seriamente. Il letto posso rifarlo io - voi avete fatto già troppo!»
Non volevo che mi facesse da balia. Non volevo sentirmi di troppo. Il letto lo avrei rifatto da sola, il pavimento lo avrei pulito da sola, e poi sarei tornata indietro, da sola.
«Tesoro, vai a fare una doccia.» Le mani di Tom coprirono gentilmente le mie, avviluppandosi attorno ai miei polsi tesi. «Per me è solo un piacere sapere di esserti di aiuto...dammi qua, per favore. Sei molto stanca. Hai bisogno di riposare.»
«No, io-» sembravo sul punto di piangere.
Harry mi guardava, Steve mi guardava, io crollavo a terra pezzo dopo pezzo, e la bontà di Tom iniziava a farmi sentire troppo vulnerabile, troppo esposta alla luce tenue della speranza.«Ti prego. Voglio fare da sola. Tu hai già fatto troppo, per me.»
E dunque, finalmente, Tom Styles comprese. La coscienza dell'uomo adulto e maturo quale era gli suggerì che io non fossi soltanto un'adolescente ribelle in fuga dal proprio destino (non come i due ragazzi alle nostre spalle gli avevano fatto capire) ma piuttosto una giovane ragazza in conflitto col proprio io, senza più un posto nel mondo, affranta, abbandonata - e sola, col complesso d'abbandono, col terrore di costituire un peso, con la ferrea convinzione di non valer nulla. Lui comprese tutto ciò, tutto con un solo sguardo. Lo lesse sul mio viso, nella mia assurda necessità di sembrare forte e indipendente. Lo assorbì con le sue mani buone, poi mi sorrise.
STAI LEGGENDO
sangue nell'acqua [hs]
FanfictionHarry era questo, Harry era una carezza e uno schiaffo. Due occhi incastrati in un volto troppo cupo per meritare quella vitrea freddezza, quello scorcio di cielo gettato sul suo viso serio, distorto in un'espressione di puro sdegno per la vita - c...