Le vacanze natalizie giunsero puntuali e inesorabili, trascinate a stento da un vento impudente che sussurrava parole di vendetta nelle orecchie dei più ingenui.
La sorpresa non fu grande come il rammarico quando compresi quanto poco bastasse a gettarmi nel cono d'ombra delle mie paure. I miei sogni si ripopolarono di sangue e occhi vitrei, di grida soffocate, di cemento umido sotto i piedi scalzi, e alla vista di ogni addobbo natalizio il mio corpo rispondeva coprendosi di una piaga più infetta.
Tutto mi riconduceva a lei. Il calore dei cartelloni pubblicitari, le canzoni deliziose trasmesse in radio e alla televisione, le decorazioni per le strade, le lucine gialle, come lucciole per le vie trafficate di Leeds.
L'atmosfera creatasi non faceva altro che acuire la cruda consapevolezza di ciò che avevo perso. E come se non avessi più controllo di me stessa, l'invidia che provavo verso coloro che potevano decantare gioia familiare si trasformò in odio.
La cosa peggiore fu che non riuscii a biasimare me stessa, neppure una volta.
Le mie ferite si riaprirono, squarci avvelenati su uno sfondo di solitudine, e io mi trasformai nel guscio vuoto di me stessa; divenni tutto ciò che avevo sempre giurato di odiare: i miei modi si fecero spinosi, le mie espressioni cupe e spigolose, e cucii intorno a me un'atmosfera di acida arroganza che finì per soffocarmi nel risentimento.
Nessuno fu in grado di capirmi. Perché nessuno sapeva da dove il mio spietato cinismo derivasse.
E io, a poco a poco, mi sentii sola...di nuovo.
Il mio corpo occupava spazio, si muoveva guidato da una volontà che non gli apparteneva: era vuoto, freddo. Congelato nell'attimo di tensione più stridente.
Tom aveva compreso. Tom aveva capito sin dall'inizio cosa mi tenesse tanto sulle spine, e con la discrezione di un padre mi cullò nel suo affetto sebbene, purtroppo, i suoi sorrisi non mi fossero più sufficienti.
Niente poteva più essere sufficiente.
Mentre Harry a poco a poco guariva e il suo sguardo tornava ad accendersi di vitalità leonina, io mi vedevo trascinare a fondo da ogni stralcio di quel disincanto che mi divorava impietosamente dall'interno.
Sola, stridevano i miei nervi, sola, sola.
Occhi vuoti, mente annebbiata dalla disperazione: nel punto più basso del mio decadimento avvertii perfino la tentazione di scomparire, di annullare me stessa.
Ma Harry non me lo permise.
Harry...non me lo permise.
Quando i miei silenzi si facevano taglienti come spilli lui li colmava col fruscio umido di un bacio rubato, e il suo sguardo mi seguiva ovunque andassi, che io mi perdessi o avessi bisogno di ritrovare me stessa.
Poi capii. Lui avvertiva il mio dolore, ma la sua infinita discrezione gli impediva di sporgersi oltre il baratro della mia afflizione; e laddove lui si vedesse incapace di venirmi incontro era il suo corpo a parlare e a smussare gli spigoli della mia anima in tempesta.
Poco prima della temporanea chiusura del locale in occasione delle vacanze natalizie, Harry mi rivolse uno sguardo che non avrei mai dimenticato.
Occhi di vetro che rimodellarono i miei, che si appigliarono a me e mi strapparono via dall'abbraccio soffocante dell'apatia.
Al mio ennesimo vagheggiare le sue dita afferrarono con mestizia il mio polso teso; e per un attimo fu come se l'anima mi fosse scappata via dal corpo, come se mi avesse lasciata preda di un'afflizione senza nome...di una paura che andava ben oltre la cruda vulnerabilità.
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sangue nell'acqua [hs]
FanfictionHarry era questo, Harry era una carezza e uno schiaffo. Due occhi incastrati in un volto troppo cupo per meritare quella vitrea freddezza, quello scorcio di cielo gettato sul suo viso serio, distorto in un'espressione di puro sdegno per la vita - c...