Maia genitrice

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I miei sogni erano privi di contorni.
Si muovevano pacati in una foschia tersa e scolorita, pregni di odori familiari e immagini che non avrei più dimenticato.

Vi scorgevo gli occhi di Harry, ogni notte. Le sue spire di silenzi ed emozioni taciute che parlavano soltanto a chi aveva la pazienza di restare ad ascoltare. Due occhi che erano estate e primavera, ma che brillavano in un volto gelido e inespressivo, figlio dei venti invernali.

Lui, un nugolo di contraddizioni.

Avido ed egoista si era ritagliato il suo spazio dentro di me, proprio all'interno del costato, vicino al cuore, e lì si era accomodato - prepotente e irriducibile aveva piantato radici, insidiandosi senza pietà.

E nessuno, nessuno, avrebbe potuto strapparlo via senza ridurmi in pezzi.

Avevo addirittura perso la speranza, o la forza di mentire a me stessa.

Perché la realtà, ormai, si era palesata agli occhi di entrambi, e le nostre bugie non avrebbero più potuto svilirla. Brillava di tutte le parole che non avevamo pronunciato, di quelle carezze che ci eravamo rubati; si portava appresso l'odore della sua pelle di principe dagli occhi tristi e il profumo delle mie mani da esule senza tempo né vergogna.

Maia, era così che mia mamma aveva deciso di chiamarmi. Perché Maia era la ninfa della primavera, era madre genitrice, fecondatrice di frutti e fiori. Maia era la regina del mese di maggio, e sedeva su un trono di steli e more boschive, cingendosi il capo di corolle e miele e rugiada.

Maia ero io, che mi portavo dentro la primavera nella speranza di fiorire ancora, e che mi tingevo dei colori dell'autunno per mascherare quei profumi proibiti. Ma Harry, Harry che era inverno, aveva avuto il privilegio di crogiolarsi in quegli odori e aveva imparato a distinguerli con gli occhi chiusi, come fossero i suoi.

Come se gli appartenessero.
E rifugiandosi nel proprio silenzio fagocitante ricopriva quei prati in fiore col proprio gelo, e io poco a poco appassivo per lui - lui che mi desiderava con ardore, ma che si scopriva incapace di curarsi della mia fragilità.

Harry non era cattivo, ma non sapeva essere delicato. Poteva provarci, poteva smussare i propri spigoli, ma la mia anima sottile e inquieta tremava troppo ferocemente per le sue mani che sapevano soltanto stringere e afferrare.

Dunque mi aveva lasciata andare. Aveva permesso al mio corpo di scivolare via dalle sue dita nonostante il suo bisogno di possesso, e con lui era appassita anche una parte di me.

Noi due insieme eravamo come sangue nell'acqua. Io così pura, feroce e mutevole, e lui crudele e tossico, pronto a lasciare una traccia indelebile di sé e marchiarmi col suo nome maledetto.

Ma io lo avevo capito nel momento in cui la rabbia aveva abbandonato il mio corpo...

Lui si sentiva la mia disgrazia. Di fianco a me, Harry si vedeva per quello che realmente era: un cuore nodoso e cinto di vetro scheggiato.

Avrebbe soltanto dovuto lasciarmi fare, permettermi di comprenderlo, e io lo avrei guardato con occhi diversi.

Avrebbe solo dovuto fidarsi di me.
Ma non era ancora pronto a spogliarsi delle proprie insensatezze.

*

Seguirono due giorni molto intensi.

Harry non ebbe nemmeno bisogno di evitarmi: ora ero io a sfuggirgli, strappandomi dal suo sguardo come se non volessi sentirlo scorrere sulla mia pelle.

La realtà era che provavo vergogna.

Avevo tremato sotto di lui.
Gli avevo concesso di toccarmi; i miei gemiti si erano infranti sulle sue labbra. E lui si era crogiolato sopra il mio corpo, gioendo di quei lamenti di zucchero, e subito dopo li aveva respinti, quasi ne fosse disgustato.

sangue nell'acqua [hs]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora