Paroxetina

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Harry poté fare ritorno soltanto il pomeriggio seguente.

Fummo io e Tom a scortarlo fino a casa, e poco più tardi al gruppo di festanti si aggiunsero anche Jenna e Grace, e Steve, e un Jake talmente sollevato che sembrava procedere in punta di piedi.

Come previsto Harry rispose con discrezione al calore delle nostre premure, quasi imbarazzato all'idea di trovarsi al centro di tante attenzioni. Eppure, dopo un iniziale momento di freddezza, le sue movenze persero di rigidità e si fecero più sciolte, lui più rilassato, disteso.

Ma una profonda inquietudine continuava a tenermi sulle spine. Grattava piano, silenziosa e lasciva, e contaminava i miei sorrisi spenti - l'allegria che mi circondava era fittizia, manipolata ad arte, ed Harry ne portava addosso l'evidenza come fosse un peccato incancellabile: non era possibile sorridere col suo volto maciullato sotto gli occhi, o tentare di apparire disinvolti con l'angoscia a divorarti le budella.

Tuttavia la giovialità, per quanto forzata, era l'unico mezzo a nostra disposizione per non cedere alla follia della rabbia e del risentimento.

Al resto avrebbe pensato il tempo.

Il pomeriggio stesso scoprii che Harry e Tom avevano sporto denuncia circa gli eventi di pochi giorni addietro, ma quella consapevolezza non riuscì a placare la mia angoscia - al contrario la fece ardere ferocemente nel timore di una nuova ritorsione.

«Ma quindi le infermiere come erano? Carine, eh?» celiò Steve, riempiendosi un bicchiere con fare disinvolto: rivolgeva le spalle a noialtri, sparsi come biglie per tutta l'ampiezza del salotto. L'ambiente era tiepido ed accogliente, ma i miei occhi non vedevano altro che Harry, riverso mollemente sul divano al centro della stanza.

Tom ascoltava le nostre chiacchere fitte con le mani immerse nel lavello della cucina. Le sue spalle avevano ormai perso la rigidità che le attraversava fino a poche prima, eppure lui non poteva dirsi sereno - come se dentro la testa gli risuonassero continuamente una voce sottile e cattivi pensieri, turbe profonde che lo tenevano sospeso sul ciglio della disperazione.

Conoscevo quella sensazione...mi irrigidiva le falangi; pesava sulle mie spalle, lasciva e strangolante, fino a piegarmi le ginocchia.

«Mh.» mugugnò Harry annoiato, gli occhi socchiusi, gonfi di sonno. «Diciamo di sì.»

«Che aria scorbutica...ci fai vedere almeno un bel sorriso?» mormorò Grace un attimo dopo.

Si accostò a lui e gli scompigliò bonariamente i capelli, gesto al quale Harry rispose con un ringhio seccato: si scostò bruscamente e le riservò un'occhiata accesa di inquietudine, vibrante.

Tuttavia Grace non parve esserne toccata e gli sorrise con occhi ridenti.
«Dì la verità...hai un gran sonno. Sono ormai le dieci passate.»

Sollevò il mento e il suo sguardo corse a Tom, silenzioso nella propria discrezione di padre.

«Tom, posso darti una mano con la cucina?»

Non appena richiamato lui si voltò, le sopracciglia appena sollevate dalla sorpresa, il volto pulito.

«Oh, no, figurati, qui ho quasi finito.»

Ma Grace ormai era già prossima a lui con le mani che prudevano, e presto fu inghiottita dalla distanza che ci separava e scomparve dal mio campo visivo, sfumando senza lasciare traccia di sé.

Steve si stiracchiò con pigrizia, e poi:
«Effettivamente siamo qui da un po'...credo sia ora di tornare a casa.»

Un sorriso irrisorio si aprì sulle labbra di Harry. «Finalmente.» mugugnò a bassa voce, con occhi affilati.

sangue nell'acqua [hs]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora