Quando sei con me

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In corridoio regnava un silenzio mortale. Mi ci affacciai, cheta e timorosa, e la porta socchiusa della mia stanza proiettò una lama di luce nell'oscurità.

Il pavimento era freddo sotto i miei piedi scalzi. Il tessuto del cuscino che stringevo tra le braccia scivolava come seta tra i miei polpastrelli mentre, col fiato sospeso tra le labbra, muovevo il primo passo fuori dalla camera.

Era trascorsa un'ora. Un'ora interminabile, eterna, durante la quale avevo tentato di combattere il mostro del dolore con una doccia calda; eppure lo scarico, insieme ai singhiozzi, si era ingoiato anche la mia forza di resistere.

Di combattere la pulsione irrefrenabile che mi spingeva a pensare a lui, che aveva la capacità di imprimermi addosso quella mancanza come se non conoscessi altro rifugio.

Mi ero rigirata tra le lenzuola senza pietà verso me stessa, tentando disperatamente di mettere un freno a quella necessità istintiva di conforto che non conosceva ragioni.

Ma io ero debole, e molle il mio cuore, e l'istinto non sapevo soffocarlo sotto la cenere.

Mi ero alzata con la dignità sotto i piedi, le mani affondate nel cuscino, gli occhi bassi. Con passo felpato, silenziosa, avevo socchiuso la porta, lasciandola cigolare nel silenzio di quella notte maledetta.

E altrettanto silenziosamente, ora, me ne stavo immobile di fronte camera sua. Sì, immobile, statuaria, col cuore stretto tra le mani in tutte le sue docili fragilità.

E aspettavo...ero in attesa, sospesa nell'azione, bloccata nell'atto di bussare - come se avessi i nervi di marmo dentro la carne, tesi sotto pelle, arcigni e spinosi al punto tale da impedirmi di emettere un singolo respiro.

Mi avrebbe cacciata?

In quel caso non avrei potuto biasimarlo; eppure sapevo quanto quel rischio fosse latente, e sapevo che il mio cuore non sarebbe riuscito a sopportare l'ennesimo rifiuto.

Ma lì, silenziosa e distrutta di fronte a quella consapevolezza, mi concessi la possibilità di rischiare - mi abbandonai completamente a quel destino inatteso, e col pugno tremulo bussai alla sua porta...

...due volte. Piano, con docilità, come se non volessi farmi sentire neppure da me stessa.

E poi, col cuscino stretto al petto e i piedini scalzi, attesi. Attesi col cuore in gola, selvaggio e forsennato, e con le mani attraversate da palpitazioni criptiche, tremebonda.

Attesi...e fui tentata di bussare ancora, perché non ricevetti risposta.

«Harry.» sussurrai piano, la voce contrita, pregna di bisogno, quasi disorientata. «Harry.»

Il silenzio accolse la mia richiesta. Rimasi immobile, fragile di fronte alla mia solitudine, e mai come allora desiderai morire.

Mi sentii sola, completamente e inevitabilmente, e odiai me stessa con ogni fibra del mio corpo, perché era stato il mio animo sprezzante e indomabile a cacciar via l'unica luce che avevo scorto in fondo al tunnel.

Sola. Sola.

Non c'era mamma lì con me, non c'era un padre. Non avevo una famiglia alle mie spalle, e non avevo un rifugio dal tormento di quella realtà infelice.

Io ero...sola.

Feci un passo indietro col mento tremulo, le spalle attraversate da una tensione dolorosa che mi inchiodava i nervi nella carne - e abbassai il volto, sconfitta, incapace di guardare negli occhi una verità tanto crudele.

Ma mentre ero in procinto di voltarmi, udii distintamente un pigro tamburellare di passi. E attimi dopo, come se lo stessi sognando, avvertii un suono metallico, greve, di una serratura che veniva sbloccata.

sangue nell'acqua [hs]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora