In punta di piedi

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La mattina seguente le mie palpebre tremule si sollevarono in un tepore affranto, e i miei occhi già stanchi affondarono con discrezione nella silenziosa quiete del volto di Harry.

Lui se ne stava lì, mansueto e fragile come mai si concedeva di essere, perso in un sonno che appariva tanto sereno quanto distante, appena palpabile.
E intanto io, immobile al suo fianco, venivo trascinata lontano dalla nebbia dell'incoscienza, e con uno strano torpore inchiodato nei lombi coltivavo nel silenzio angoscioso delle mie membra un segreto di vaga natura.

Al mio risveglio le ombre di quella nottata non avevano ancora abbandonato la mia mente; erano rimaste incollate lì, sulle solide pareti del cranio, a contaminare i miei pensieri e a tingerli d'inganno. E torciglioni di angoscia mi tenevano sospesa su un tappeto di spine mentre con dita sottili tracciavo il profilo spigoloso del volto di Harry.

Per un solo istante, ancora avvolta dal torpore del sonno, una punta di invidia mi trafisse la gola e il cuore.

E incosciente e malvagia nella mia infinita disperazione odiai Harry per aver insidiato nel mio cuore, pur incoscientemente, una nuova scheggia di vetro.

Ma scossi piano la testa, serrando con forza le palpebre, e scacciai via le ombre maligne che avevano macchiato il mio sguardo. Poi, con un sospiro trattenuto tra i denti, mi sollevai dal materasso senza fare rumore, in punta di piedi, e una cascata di capelli scuri scivolò languidamente lungo la mia schiena.

Quando giunsi in cucina udii la calda accoglienza della voce di Tom insidiarmisi nelle orecchie e nei pensieri: scivolai sul primo sgabello a portata di mano con un pigro sorriso sulle labbra.

«Buongiorno.» mormorai, stropicciandomi gli occhi chiusi con la carne nuda del polso.

Tom mi guardò col mento a sfiorargli la spalla, il bassoventre premuto contro il bancone, le mani ruvide alle prese con la macchinetta del caffè. Lui rispose al mio accenno di docilità con una smorfia pregna di sonno, eppure nemmeno dinnanzi alla sua luce riuscii a scrollarmi di dosso la sensazione di inquietudine che ormai da ore gioiva nel perseguitarmi.

Dunque attesi una manciata di secondi in più. Mi vestii di un silenzio tesissimo e puntai lo sguardo sulla sua schiena, quasi pregando che riuscisse ad avvertire con quanta disperazione bramassi la sua attenzione.

Poi, con le mani strette tra ginocchia, un pigolio fioco si spezzò tra le mie labbra.

«Tom...posso farti una domanda?»

Al suono della mia voce lui si volse nella mia direzione. Certo, rispose, con un piccolo cipiglio tra naso e fronte. Era stato il mio tono cupo ad incuriosirlo.

«Se non te la senti puoi anche non rispondere. Non vorrei risultare impertinente...ma sono ormai ore che una strana idea mi turba, e non riesco a starmene zitta senza prima aver provato a parlarne con te.»

Fu allora che Tom smise di prestare attenzione alla propria colazione; mi rivolse uno sguardo attento, discreto, e per attimo parve sul punto di avvicinarsi.

«Maia, è successo qualcosa?» domandò con circospezione, e io mi affrettai a mettere le mani avanti, intimandolo di non preoccuparsi.

Poi attesi un istante, distogliendo lo sguardo. «Il fatto è che...ho il timore di fare qualcosa di indiscreto.»

Pregai che Harry non si accorgesse proprio in quel momento della mia assenza, perchè prima ancora di aprir bocca sapevo già cosa avrebbe comportato al nostro rapporto quell'imminente conversazione.

Tuttavia, in un improvviso slancio di coraggio, le parole mi scapparono di bocca da sè, senza che avessi bisogno di spingerle fuori.

«Ieri sera, in bagno...ho trovato una cosa nel cassetto dei medicinali.» mormorai, ben attenta a non fare accenno alla nottata trascorsa tra le lenzuola del figlio.

sangue nell'acqua [hs]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora