Cap 1

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Da quel fatidico giorno, passarono 2 anni e molte cose cambiarono: mio padre cadde in depressione e perse il suo lavoro di avvocato, iniziò a rintanarsi in casa e con il tempo iniziò a bere.

Io diventai come apatica, non provavo più nulla, anche se fuori apparentemente sembravo una ragazza schiva, fredda e distaccata, dentro di me albergava una tempesta ma nonostante tutto, dopo quel giorno in cui mia madre morì, non piansi più, vivevo la mia vita senza uno scopo o un'obbiettivo, stavo spesso fuori casa per non sentire mio padre e i suoi deliri dovuti all'alcool.

Camminando per le strade, osservavo i volti delle persone: chi era soddisfatto, chi arrabbiato, chi innamorato, chi triste e pensai che sono tante le sfaccettature che una persona può avere ma pensai anche che quello che si vede all'esterno non sempre corrisponde a quello che si ha all'interno.

Continuando a camminare arrivai ad un parco e mi misi seduta su una panchina all'ombra, chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare da quella brezza primaverile. Sentii gli uccellini cinguettare allegri e felici, sentì l'odore dei fiori, il vento che sussurrava tra gli alberi muovendoli. Sentì quel senso di pace che donava quel piccolo angolo della terra; rilassandomi non mi accorsi che mi addormentai e quando mi risvegliai il sole stava calando, lasciano posto alla notte, così decisi di tornare a casa.

Non appena aprì il portone di casa, mio padre mi iniziò ad urlarmi contro dicendomi che ero una figlia inutile e che era colpa mia se la mamma era morta; Anche se non sembrava, le sue parole erano come coltelli affilati che ogni volta si conficcavano sempre più in profondità nella pelle.

Decisi di ignorarlo come sempre e andare in camera ma quella sera aveva bevuto troppo così prima che potessi salire un solo gradino mi prese per i capelli e mi strattonò fino al divano dove mi ci buttò con forza per poi iniziare a picchiarmi. Uno. Due. Tre... e ormani non li contavo più.       Per quanto cercassi di proteggermi con le mani i colpi arrivarono comunque a segno, ad ogni colpo iniziò ad usare sempre più forza fino a quando si stancò e smise.

Anche se sentivo dolore ovunque trovai la forza di alzarmi e mi trascinai su per le scale per poi arrivare finalmente nella mia camera e una volta entrata mi ci chiusi dentro, presi un po di respiro appoggiandomi alla porta con la schiena per poi andare davanti allo specchio e mi vidi, vidi che il mio labbro era spaccato, lo zigomo rosso tendente al viola, il braccio era pieno di lividi così come la pancia; stanca e stremata mi buttai sul letto e mi addormentai.

I giorni seguenti andarono sempre peggio, più mio padre beveva e più la situazione degenerava, infatti dalle mani passò all'utilizzo della cintura dei suoi pantaloni o ogni oggetto che gli capitava a tiro ed io ero sempre più marchiata: dai segni violacei a delle vere e proprie ferite dovute alle frustate con la cintura.

Un giorno decisi che era troppo e che non potevo sopportare più tutto questo cosi per la prima volta mentre mio padre o devo dire quello che credevo fosse mio padre ( un tempo paziente e affettuoso) mi picchiava, reagì: mentre lui era impegnato a lasciare dei segni  sulla mia pelle, (segni indelebili che non sarebbero andati via, perchè anche se le ferite sarebbero guarite dentro di me avrebbero continuato a sanguinare), io cercavo un modo per sfuggire a quella dolorosa tortura che andava avanti ormai da troppo tempo. Mentre mi piacchiava sempre più forte io cercavo qualcosa per potermi difendere e così notai un vaso alla mia destra, lo presi e lo diedi in testa a mio padre, lo colpì cosi forte che riuscì finalmente a farlo staccare da me e questo mi permise di scappare mentre lui dolorante si era seduto a terra per la botta appena presa; poi fu un'attimo corsi in camera presi uno zaino e ci misi alcune magliette e pantaloni poi scesi di sotto e mentre mio padre cercava di alzarsi in piedi, io andai verso la porta di casa e la aprì, prima di uscire dissi " addio papà, spero di non rivederti mai più". Chiusi la porta e me ne andai, prima di svoltare l'angolo decisi di guadare un'ultima volta quella casa dove ero cresciuta e avevo condiviso i ricordi più belli ma anche quelli più brutti e terribili della mia vita ovvero dalla morte di mia madre allla violenza di mio padre.

I giorni seguenti vagai per strada senza un riparo, dormivo nelle panchine dei parchi e con quei pochi soldi che avevo facevo un solo pasto al giorno.

Un giorno camminando, stanca, mi misi seduta su una panchina e cercai di rilassarmi; chiudendo gli occhi sentivo le macchine sfrecciare per strada, i clacson suonare impazienti e poi in sottofondo sentivo come dei colpi dati a qualcosa o qualcuno, così decisi di seguire quel "suono" e poco distante da dove ero arrivai davanti ad una palestra di autodifesa ed infatti nella vetrina della palestra vi era appeso un cartello con dei ragazzi che si allenano e a fianco a questa immagine vi era la scritta " tecniche di difesa di ogni genere: karate/kung fu/aikido e ju jitsu".

Mentre osservavo cosa si faceva all'interno, non mi accorsi di un ragazzo che mi si avvicinò

"hei ciao, sono Alex, se vuoi provare basta che ti iscrivi" mi disse gentile, io lo guardai e dopo un'attimo risposi " ehm non saprei... non credo di esserne portata" conclusi insicura        

" ma si può sempre imparare no?! Nessuno è portato per qualcosa finchè non si prova e si scopre che invece è proprio portato" ribattè

"ehm non lo so. non posso nemmeno pagare, non ho soldi"

"nessun problema, puoi pagare dopo 2 mesi ma nel frattempo ti consiglio di trovare un lavoro"

Lui vedendo che esitavo ancora continuò sicuro "quando ti sentirai pronta sai dove siamo ma vedo del potenziale in te quindi pensaci" detto questo e dopo avermi fatto un'occhiolino se ne ritornò dentro la palestra e io rimasi li a pensare.

Ero stanca di essere debole, mi ricordai il fatto con mio padre e così decidi di entrare.

Nessuno mi avrebbe più toccata!

La forza di rialzarsiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora