Smettiamola di farci del male

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Irene trascorse una settimana terribile: ignorava i messaggi di Mattia, quelli di suo padre e non faceva che pensare a tutto ciò che era successo in quelle disastrose vacanze natalizie.
Si rigirava nel letto la sera tentando di prendere sonno e pensava a Giuseppe, apriva i libri per studiare e non riusciva a concentrarsi pensando a lui.

Un' uggiosa sera di metà gennaio prese il coraggio a 4 mani, afferrò il telefono per chiamare Giuseppe ma poco prima di premere l'icona verde lo posò sul tavolo.
L'idea di essere rifiutata la attanagliava, così prese l'unica decisione che le sembrasse sensata al momento: andare da lui.
Se doveva essere rifiutata intendeva farlo di persona.
Sapeva che quel gesto poteva sembrare infantile, che niente di ciò che stava facendo era coerente e che i pezzi del puzzle non combaciavano, ma non poteva continuare a dannarsi l'anima.
Avevano entrambi sbagliato, entrambi si erano fatti del male a vicenda, ma non poteva finire così, non doveva finire così.

Percorse la strada verso Palazzo Chigi, un libro che lui le aveva prestato stretto al petto, poteva presentarsi lì con la scusa di restituirlo, per sembrare un filino meno pazza ai suoi occhi, ma sapeva dentro di sé che fiondarsi da lui in quel modo dopo aver chiuso la loro storia via telefono non poteva farla sembrare altro che una ragazzina viziata, e sì un po' squilibrata, cose che Irene non era, o almeno non così tanto.

Giunta di fronte al Palazzo si fermò per un attimo pensando a quanto questo gesto sembrasse stupido, ma prese coraggio ed entrò da uno degli ingressi secondari, come aveva imparato dalle diverse volte in cui era stata lì con Giuseppe.
Per fortuna sulle scale non incontrò guardie del corpo e arrivò al terzo piano, mentre si dirigeva verso l'ala degli appartamenti presidenziali incontrò la stagista della scorsa volta che la guardò con aria perplessa e un po' spaventata "Michela giusto?" domandò Irene cercando di essere cordiale, sapeva bene che l'ultima volta non aveva dimostrato alcuna gentilezza nei confronti di quella ragazza, aveva frainteso la situazione ed era stata sgarbata, nel vedere quanto quella ragazza fosse turbata si dispiacque ancora di più
"Sì, sono Michela, una degli stagisti"
"Sai dov'è il Presidente? È molto importante"
La ragazza fece vagare lo sguardo nel tentativo di eludere la domanda "Ecco io non penso di poterglielo dire"
Irene le si avvicinò e le prese le mani "Mi dispiace davvero se sono stata sgarbata con te, ero nervosa, è un brutto periodo per me e Giuseppe"
La ragazza annuì e Irene le sorrise con quanta più gentilezza potesse "Se tu mi dicessi dov'è mi saresti di grande aiuto"
"È nel suo studio, al primo piano" disse Michela "Ma non dica a nessuno che sono stata io a dirglielo" si affrettò a dire afferrando il braccio di Irene "Potrebbe seriamente togliermi il lavoro per non aver avvisato la sicurezza del suo arrivo"
Irene le sorrise di nuovo promettendole che avrebbe taciuto.
Scese le scale col cuore in gola e giunse davanti allo studio del Presidente, per fortuna a quell'ora il personale che girava per il Palazzo era decisamente limitato e Irene non incontrò quasi nessuno.

Aprì la porta senza bussare né annunciarsi, sarebbe stato inutile.
Quando varcò la soglia della stanza lo ritrovò chino sulla sua scrivania intento a sfogliare alcuni documenti, una piccola ruga di espressione in mezzo alle sopracciglia che denotava la sua concentrazione, ci mise qualche secondo ad accorgersi della sua presenza.
Alzò lo sguardo in direzione della ragazza che stava immobile sulla soglia della porta, un libro stretto al petto come se potesse farle da scudo
"Irene" disse semplicemente lui girando il busto sua direzione, lei si avvicinò cautamente come si fa con gli animali pericolosi "Sono venuta per riportarti questo" disse posando con delicatezza il libro sulla scrivania dell'uomo.
Giuseppe annuì "Non dovevi disturbarti"
Rimasero qualche attimo in silenzio incapaci di guardarsi direttamente negli occhi "Perché sei qui, Irene?" domandò Giuseppe rompendo il silenzio, lei ripensò al discorso che aveva provato mentre si recava verso Palazzo Chigi, ma le parole si ammassavano confuse nella sua testa "Io... Credo di aver fatto un grandissimo errore"
"Solo uno?" commentò Giuseppe giocherellando distrattamente col bordo della pagina di un documento, colpo ben assestato e Irene avvertì la rabbia della sue parole, parole che però lui non riusciva a dirle in faccia.
"Hai ragione, ho fatto tanti errori" ammise lei "In primis quello di allontanarti dalla mia vita"
Lui tornò a guardarla negli occhi
"Ho messo in secondo piano il grande dolore che provavi in quel momento per colpa delle mie gelosie e delle mie paranoie, ma ti assicuro che so cosa senti. Volevo solo starti accanto, ma tu non me l'hai permesso"
"Diamine Irene!" esclamò Giuseppe "È perché non ti ho chiamato subito dopo aver trovato mia sorella stesa a terra nel suo salotto? Per quello sei incazzata? Beh mi dispiace, ma il mio primo pensiero era assicurarmi della salute di mia sorella!" aveva le nocche bianche strette attorno alla sua penna.
"Tu non sai cosa voglia dire vivere un'esperienza del genere, e spero che non lo saprai mai"
Irene gli sorrise, di quei sorrisi tristi, di chi nasconde un segreto che pesa come un macigno "Ho perso mia madre da piccola" disse "Non te lo dico per farti pena, ma per dirti che ti capisco, che so cosa vuol dire vivere ciò che hai vissuto tu in questi giorni"
Il viso di Giuseppe assunde un'espressione leggermente dispiaciuta
"Per questo" proseguì Irene "Ti ho aspettato fuori dall'ospedale quella mattina, volevo confortarti, ma con te c'era Valentina"
Giuseppe smise nuovamente di guardarla negli occhi "So cosa vuol dire logorarsi l'anima in una sala d'aspetto" disse Irene "So cosa vuol dire implorare le notizie di un medico, stringere la mano di chi amiamo steso in un letto di ospedale"
Giuseppe ancora taceva
"Volevo solo starti accanto, ma tu hai preferito il conforto di un'altra donna, di quella che probabilmente consideri la tua famiglia. Mi sono sentita come se non valessi niente, come se io non potessi essere la tua famiglia"
"Non avevo idea di ciò che avevi vissuto" esordì Giuseppe "Altrimenti non avrei mai detto che tu non sai cosa voglia dir-"
"Non è questo il punto" lo interruppe Irene "Perché non hai chiamato me? Perché a me non racconti i tuoi dolori, le tue angosce? Pensi che abbia paura di farmene carico? Tu non hai idea di cosa sia la mia vita, non hai idea del carico di dolore che posso arrivare a sopportare"
"Non volevo che fosse un tuo peso"
"Cazzo!" sbottò Irene poggiando le mani sulla scrivania "Perché non capisci? Io voglio starti accanto, nonostante tutto. Vorrei che tu mi volessi al tuo fianco come lo vorrei io" aveva le lacrime agli occhi, Giuseppe le accarezzò il braccio titubante quasi tenesse di toccare la pelle della ragazza, quella pelle che aveva baciato e bramato.

"Non mi dici niente?" domandò Irene con gli occhi castani pieni di lacrime che avrebbe voluto trattenere, ma che continuavano a percorrere le sue guance arrossate.
"Forse dovresti dimenticarti di me"
Una fitta attraversò lo stomaco di Irene, dopo tutto ciò che aveva detto questa era la sua risposta? Dimenticarsi di lui?
"Credi davvero che sia così facile?!" esclamò lei "Forse lo è per lei Presidente, lei può schioccare le dita e dimenticare la povera studentessa illusa, ma io no"
Per la prima volta essere chiamato Presidente da lei lo fece rattristare
"Sono le dieci di sera e tu stai piangendo nel mio studio. Ogni volta che proviamo ad avvicinarci ci facciamo del male, esattamente come hai detto te"
Irene abbassò lo sguardo passando una mano sui suoi occhi umidi "Ti amo" disse semplicemente "Anche se questo forse non vale molto. Ti amo, e so di averci provato. Buona vita, Presidente".
Si girò verso verso la porta ma quando ebbe poggiato la mano sulla maniglia sentì le braccia di Giuseppe cingerle la vita, il suo mento poggiato sulla sua spalla.

Rimase immobile mentre il respiro di Giuseppe le accarezzava il collo, lo sentí tremare, stringere le mani con più intensità attorno al suo corpo, anche lui stava piangendo.
"Non so perché" disse lui "Non so perché non so fare a meno di te", Irene si sottrasse a quell' abbraccio per voltarsi verso Giuseppe "Perché mi ami anche tu?" lui sorrise
"Sarebbe romantico se me lo dicessi" proseguì lei avvicinando le labbra a quelle dell'uomo "Ti amo" rispose lui prima di baciarla portando una mano sul suo viso, com'era solito fare.
"Smettiamola, ti prego " disse lui staccandosi dal bacio "Smettiamola di farci del male"
Lei annuì e riprese a baciarlo sentendosi finalmente completa tra le braccia dell'uomo che la stava baciando con tutta quell' urgenza.

Mr President in love || Giuseppe ConteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora