Di vecchie interviste e senatori scortesi

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-È un uomo felice oggi?
-La felicità non è il mio traguardo. Sono un uomo impegnato a fare sempre meglio

(Accordi e disaccordi, intervista a Giuseppe Conte)

Quando quella puntata della trasmissione era andata in onda, qualche mese prima, Irene era stesa con lui sul divano "Che risposta triste" gli aveva detto "Perché?" aveva domandato lui accarezzandole i capelli "Come perché? La felicità dovrebbe essere il principale obiettivo di ogni essere umano"
Giuseppe aveva gettando la testa contro lo schienale del divano fissando oltre il televisore "Conosco un paio di filosofi che non la penserebbero come te"
"Per fortuna non sono una filosofa"
Erano rimasti ancora qualche minuto così mentre sullo schermo Giuseppe rispondeva alle domande del giornalista.
"Giuseppe... Tornando al discorso della felicità..."
Lui l'aveva interrotta "Schopenhauer diceva che la vita è un pendolo che oscilla tra la noia e la disperazione, e che la felicità è solo momentanea ed effimera"
"Mi dispiace per Schopenhauer, ma Aristotele diceva che la felicità è la massima aspirazione di ogni uomo"
Giuseppe le aveva sorriso orgoglioso
"Giuseppe adesso rispondi a me: tu sei felice?"
Lui l'aveva baciata, ma non le aveva mai risposto.


Ripensò a quella breve conversazione mentre finiva di rivedere un discorso che avrebbe tenuto dopo un'ora al Senato, e i pensieri iniziarono a vagare nonostante il fallimentare tentativo di tenerli incatenati.
Era felice?
Sarebbe stato egoista rispondere di no, eppure c'era sempre una parte dentro di lui che non riusciva a trovare il totale appagamento nella sua vita.
Amava Irene, amava Niccolò, amava il suo lavoro eppure non riusciva praticamente mai ad essere semplicemente sereno.

Tutta la sua vita girava vorticosamente attorno ad un'ossessiva ricerca di perfezione, soprattutto nel lavoro. Era sempre stato di una precisione maniacale, sempre in prima linea. Da quando ne aveva ricordo era sempre stato una persona estremamente diligente, concentrata, fin da ragazzino.
Aveva sempre saputo cosa voleva, e si era sempre impegnato per ottenerlo, per fare le cose al massimo delle sue capacità, per essere il migliore.
Aveva creato una carriera brillante, invidiabile, un curriculum vitae che riempiva diverse pagine. Eppure, si rese conto amaramente osservando la foto di Niccolò sulla sua scrivania, aveva perso così tanto.

Aveva provato a costruire una vita al di fuori della carriera, ma forse il motivo per cui si concentrava tanto sul lavoro era che, al di fuori di esso, sentiva di aver commesso solo centinaia di errori.
Aveva ferito Valentina, Niccolò, Olivia, Irene, sua sorella. Con i suoi sbagli o con le sue assenze aveva ferito le persone che più amava.

Si passò i fogli tra le mani senza realmente leggerli e iniziò a ripensare alle furiose litigate con Valentina nel loro vecchio appartamento, lo avevano venduto perché lei non riusciva a continuare a vivere nel luogo che li aveva visti sposati.
Ripensò alle recite di Niccolò a cui era arrivato tardi, ai saggi di pianoforte che non aveva visto, alle partite di calcio di cui si era perso i momenti salienti. Ripensò agli occhi nocciola di suo figlio pieni di lacrime e delusione mentre Valentina lo faceva salire in macchina guardandolo come la peggiore delle canaglie. E lui si sentiva esattamente così quando arrivava in ritardo, i capelli scomposti, i vestiti eleganti stropicciati e il fiatone. Poi sentiva il fischio di fine partita, gli applausi che sancivano la conclusione della recita e si sentiva sempre davvero orribile.
Ripensò a Olivia, alla loro storia complicata, al loro figlio mai nato, a Maria Pia e al suo estremo gesto, al suo corpo esamine steso nel salotto.
E poi ripensò a Irene, quante volte lui era stato la causa delle sue lacrime, quanto male si erano fatti.
Tirando le somme si rese conto di non aver fatto un buon lavoro, lasciò ricadere le carte sulla scrivania e si passò una mano tra i capelli già sfinito.

Osservò il suo ufficio riccamente decorato, la quantità disumana di fogli che affollavano la scrivania e pensò a quanto tutto ciò che aveva ottenuto gli avesse portato via un pezzo di cuore, un sorriso in meno sul volto di suo figlio, nottate fuori casa, il letto matrimoniale mezzo vuoto.
A metà. Aveva lasciato chi amava sempre a metà, incapace di fare meglio così.
Per quello si chiudeva in ufficio fino a tardi, da quando era diventato docente universitario, lo faceva perché era certo di saper svolgere quelle mansioni, di essere preparato, invece a casa tutto sembrava andare sempre a rotoli.
Valentina gli riservava sorrisi sempre meno calorosi, a volte non riusciva neanche a fingere, a piegare le labbra in un sorriso anche se di cortesia. Niccolò cresceva sotto i suoi occhi e lui si perdeva tutto di suo figlio. Sua sorella combatteva contro la depressione e lui non sapeva niente, troppo occupato per preoccuparsi delle persone più importanti della sua vita.

Mr President in love || Giuseppe ConteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora