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Sono passati diversi giorni dal primo giorno di lezione e, dopo essere passate a ritirare la colazione (per la terza volta consecutiva) nel nostro nuovo locale preferito collocato di fronte l'Università, il "Vintage", ci incamminammo verso la facoltà. Quella mattina, per la prima volta, avrei avuto lezione di diritto privato. Sapevo già che avrei odiato infinitamente quella materia e che, dopo svariate bocciature all'esame, avrei potuto seriamente prendere in considerazione l'idea di ritirarmi. Ma non era il caso di iniziare a farmi quei complessi così presto.
"Cate, un attimo."
Arrivate al primo piano della facoltà, mi fermai di fronte a quel muro ricoperto dagli annunci. Volevo prendere sul serio in considerazione il suggerimento che mi diede qualche settimana fa quel professore: "alcuni annunci potrebbero essere interessanti".
"Cosa stai cercando? Una nuova coinquilina?"
Distolsi lo sguardo dai mille annunci e guardai Caterina, inclinando la testa leggermente verso destra ed inarcando il sopracciglio sinistro, come per dire "ma che stronzate vai dicendo?".
"Sai benissimo che amo vivere da sola. Non riuscirei mai a sopportare uno o una sconosciuta con me".
Tornai a guardare gli annunci. Facevo balzare gli occhi velocemente da un annuncio all'altro, alla ricerca di qualcosa che speravo di trovare.
"Lo so, infatti la mia era una domanda retorica."
Sorridemmo entrambe, ma non distolsi lo sguardo da quegli infiniti fogli appesi al muro. Per un breve istante immaginai di condividere casa mia con una ragazza o un ragazzo che non rispettava le regole basilari della convivenza, ad esempio, non lavava mai i piatti o non gettava la spazzatura quando era il suo turno. Rabbrividii e confermai a me stessa che adoravo vivere da sola.
"Cosa stai cercando? Potrei aiutarti".
Spazientita dall'attesa, Caterina si avvicinò ed iniziò ad osservare i vari annunci anche lei.
"Qualche corso di scrittura, di giornalismo.. Sarebbe perfetto trovare qualche corso che prepari sulla "scrittura politica", ma dubito che esistano cose del genere".
Caterina acconsentì e si mise alla ricerca.
Dopo circa mezzo minuto di ricerca, Caterina ruppe il silenzio.
"Chi è Conte? Ci sono una marea di annunci su questo fan club. E' uno famoso? Io non l'ho mai sentito nominare."
"Ma sai che li avevo già notati? Non ho idea di chi sia. Dovrei cercarlo su Internet. Ma non ora. Per ora devo trovare qualcosa che faccia al caso mio."
Leggemmo ogni singolo annuncio ( incappando più volte in quello riguardante il fan club dello sconosciuto Conte), ma non trovammo nulla che potesse interessarmi.
"E va bene, mi arrendo. Vuol dire che chiederò di potermi unire al giornale dell'Università".
Era l'unica cosa che si avvicinava a quello che mi interessava fare. 
"Ma è fantastico! Se ti accettano puoi comunque scrivere articoli tuoi, recensire e..-"
"Sì, lo so".
Interruppi Caterina palesemente scocciata.
"E allora?".
"E allora non ho voglia di conoscere nuova gente. Speravo in qualche corso individuale. Sai che non sono molto estroversa. E raramente le persone nuove mi fanno simpatia."
"Hai un'abilità innata nell'odiare ogni cosa, tu".
"Dovresti saperlo ormai".
Sorridemmo entrambe e ci dirigemmo verso l'aula G1.
E' il nostro quarto giorno di lezione. Non molto sembra essere cambiato dal primo giorno nella grande aula, tranne che per qualche gruppetto di ragazzi che iniziava a formarsi. Ed in verità mi sentivo in colpa nei confronti di Caterina, perché ogni volta che qualche ragazzo o ragazza provava a stringere amicizia con noi, si allontanava quasi subito perché turbato dall'indifferenza  totale da parte mia. "Devo cercare di essere più simpatica e di farmi stare simpatici gli altri", riflettei.
L'aula è sempre la stessa per ogni lezione. Ha una capienza di cento ragazzi, ma, ad occhio e croce, penso che noi studenti fossimo una settantina; è disposta a semicerchio. Questa forma geometrica è data dalla disposizione di cinque file di banconi lunghissime, su ognuna delle quali vi sono rispettivamente venti sedie. Alla sinistra della porta d'ingresso dell'aula vi sono cinque gradoni che vanno verso l'alto, su ognuno dei quali vi è disposto un bancone, in modo tale da permettere anche all'ultima fila di godere di un'ottima visuale della cattedra e della lavagna, data la possibile ostruzione causata dalle teste degli altri colleghi. Poi, sulla desta della porta di ingresso, vi sono una comunissima cattedra per l'insegnante ed un'enorme lavagna bianca situata alle spalle della cattedra.
"Ci sediamo in prima fila stavolta? Voglio seguire bene le lezioni di diritto privato".
Mi chiese Caterina. 
"No. Io mi siedo dove mi sono sempre seduta".
Diedi le spalle alla mia amica e mi incamminai verso la terza fila, sedendomi al centro. Poi feci cenno a Caterina di raggiungermi. L'amica sospirò e mi raggiunse.
"Se non sapessi che sei pazza e metodica giuro che ti avrei già abband-.. ehm, mollata".

Quando dissi che consideravo Caterina una mia amica non mentivo. Quando sentii di potermi confidare con lei, le raccontai della mia sindrome e di come ho imparato a conviverci e ad affrontarla. Lei mi fece parlare e mi ascoltò senza interrompermi. Apprezzai molto il non vedere sul suo volto una faccia da "povera cucciola, chissà come stai soffrendo, mi fai pena, la mia vita è perfetta e la tua no". Per tutta risposta, quando finii di raccontarle tutto, mi abbracciò e mi disse che si sentiva onorata di poter condividere e conservare quel piccolo segreto che mi riguardava. Quella fu la seconda volta che mi fidai di qualcuno ( la prima volta fu con Diana). Non mi pentii di nessuna delle due.

Dopo qualche minuto fummo tutti seduti e pronti per iniziare la lezione. Aspettammo l'arrivo del professore o della professoressa con una leggera impazienza. Riuscii a scorgere dai miei colleghi seduti più vicini a me qualche frase come: chissà chi sarà la persona che ci boccerà in massa all'esame, e poi qualcos'altro tipo: ho sentito dire che il professore sarà proprio lui..
Poi non riuscii più a distinguere nessuna frase. le voci dei miei colleghi erano sempre più forti e non mi permettevano nemmeno di conversare con Caterina. Così io e lei ci capimmo telepaticamente e aspettammo che la lezione iniziasse senza provare a chiacchierare. Controllai L'orologio. Quando furono le otto in punto la porta si aprì.

Start living again - Giuseppe ConteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora