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Per la prima volta dopo tanto tempo, quella settimana trascorse molto piacevolmente.
Giovedì incontrai i ragazzi del giornale e discutemmo del successo mensile dovuto alla mia intervista. Mi dissero che non era mai successo che le copie venissero vendute tutte quante e per di più in così poco tempo.
Ovviamente ero consapevole del fatto che non fosse merito mio, ma di Giuseppe, che si era gentilmente prestato a rispondere alle domande.
Parlammo del prossimo volume, all'interno del quale avrei dovuto recensire un paio di libri (a mio parere noiosissimi) e scrivere due articoli: uno sulla squadra di calcio dell'Università e l'altro su Firenze.
Non potei lamentarmi anche se detestavo il calcio: era pur sempre un modo per migliorare il mio metodo di scrittura.
La lezione di Venerdì, invece, fu parecchio strana.
Io e Giuseppe, dalla nottata insieme, non eravamo riusciti a ritagliarci del tempo per poter star insieme. Personalmente, mi facevo bastare i fugaci e penetranti sguardi che ci lanciavamo nei corridoi universitari, divertendoci nel correre il rischio di dichiarare i nostri sentimenti tramite essi, tentando di non destare sospetti tra i presenti.
Comunque, quel Venerdì, riuscii a non farmi distrarre troppo dai miei pensieri e seguii la lezione tenuta, come al solito, egregiamente, dal mio professore.
Anche se, ahimè, ogni tanto mi capitava di imbattermi in qualche pensiero impuro e mi sforzavo di trattenere qualche risata.
Quando tornai a casa trovai una sua mail in cui mi diceva che se avesse finito presto la riunione, Sabato sera avrebbe avuto il piacere di passare la serata con me. Mi avvisò del fatto che la riunione sarebbe stata abbastanza pesante e non sapeva quando avrebbe finito. Io gli risposi scrivendogli il mio numero di telefono, dicendogli che sarei rimasta a casa e chiedendogli di tenermi aggiornata.

Così, in un batter d'occhio, arrivò il weekend e quel Sabato sera non sapevo se Giuseppe sarebbe venuto oppure no.
Nel pomeriggio, mentre studiavo, mi mandò un messaggio avvertendomi del fatto che la riunione, come previsto, sarebbe durata fino a tardi e che probabilmente sarebbe stato troppo stanco per passare da me. Non mi arrabbiai, del resto mi fidavo di lui e se mi diceva di essere stanco, lo era davvero.
Notando che l'ora di cena era passata da un po' (secondo i miei infrangibili standard), spensi la televisione ed iniziai ad apparecchiare la tavola solo per me, prevenuta dal fatto che non sarebbe più venuto. "Potrebbe almeno avvisare che alla fine non viene", pensai.
Apparecchiata la tavola, decisi di mantenermi sul leggero per cena ed iniziai a tagliare a fette sia del pomodoro che dell'insalata.
Poi, mentre mi accingevo a tagliare il primo pomodoro, sentii bussare alla porta e sorrisi, pensando che fosse proprio lui.
Mi imposi di non sembrare troppo contenta di vederlo perché non volevo dargli la soddisfazione di fargli sapere che lo stavo aspettando, ma che soprattutto stavo sperando con tutto il mio cuore che alla fine sarebbe venuto da me nonostante fosse stanco.
Posai tutto ed asciugai le mani sporche dal succo del pomodoro con un tovagliolo, poi andai verso la porta e la aprii.
Era lui, ed era visibilmente stanco, ma felice.
"Sono distrutto".
"Potresti almeno salutare".
Gli dissi mentre gli feci cenno di accomodarsi. Lui mi diede un bacio sulla guancia ed entrò.
"Ciao Leo".
Chiuse la porta alle sue spalle.
"Ti dispiace se vado in bagno? E' da stamattina che non vado..".
"Va pure".
Si tolse la giacca e spese qualche secondo ad osservarmi in viso.
"Mi stai tenendo il broncio o è una mia impressione?".
"Avresti potuto mandarmi un messaggio per avvisarmi che saresti venuto alla fine, come ti avevo chiesto di fare. Adesso per punizione mangerai insalata e basta, come me".
Lui sorrise e si incamminò verso il bagno senza rispondermi.
Quella era la mia casa, ma quando lui era lì con me, sotto lo stesso tetto, la casa diventava nostra. Mi chiedevo spesso se anche lui si sentisse "a casa nostra" mettendovi piede, ma sapevo che stavo correndo decisamente troppo con la fantasia.
Tornai al ripiano della cucina per continuare a preparare l'insalata. Ero molto lenta perché mi imponevo di ritagliare fette di pomodoro identiche tra loro. Insomma, le mie solite cose da matta.
Dopo qualche minuto Giuseppe uscì dal bagno.
"Dio, adesso sto molto meglio!".
Esclamò. Non gli risposi e continuai a concentrami sulle mie faccende.
"Dai.. mi perdoni? Non ho avuto un attimo di tempo e quando la riunione è terminata sono corso qui da te, senza pensare ad altro. La prossima volta ti avviserò.. E mangerò la tua insalata in segno di scuse".
Lo sentii sorridere da dietro le mie spalle ed io dovetti trattenermi per non farmi sentire ridere.
Poi fece dei passi verso me finché non si trovò proprio dietro le mie spalle. Appoggiò una mano sul mio fianco e con l'altra mi scostò tutti i lunghi capelli sulla spalla destra per poi iniziare a lasciare dei dolci ed umidi baci sulla parte libera del mio collo.
"E va bene.. So io come farmi perdonare".
Sussurrò al mio orecchio.
Non riuscii a trattenermi e sorrisi, distruggendo ogni speranza di continuare a sembrare arrabbiata con lui. Nonostante ciò, continuai a tagliare il pomodoro a fette, cercando di non farmi distrarre troppo.
Lui accostò il suo corpo al mio e ricominciò a baciarmi il collo.
Quando provai a girarmi per baciarlo in segno di perdono, non me lo permise, bloccandomi col suo corpo e facendomi restare in quella posizione, continuando a dargli le spalle.
"Non muoverti..".
Le sue mani scivolarono dai miei fianchi alla mia pancia, per poi scendere verso il basso, fino alle mie ginocchia. Si piegò notevolmente per arrivare così in basso, per poi rialzarsi, molto lentamente, permettendo alla sua mano di infilarsi sfacciatamente sotto la mia gonna.
Mi bloccai e decisi di mandare a quel paese il pomodoro, liberando le mie mani da ogni cosa e concentrandomi solo sulle sensazioni che mi stava facendo provare.
La sua mano scorse sempre più su, finché non trovò le mie mutandine. Le scostò e vi infilò due dita, dando inizio al suo lavoro.
Fui pervasa da un'ondata di piacere già dal primo istante: il suo tocco era sicuro, esperto. Sapeva quali punti toccare, ma soprattutto sapeva come toccarli, come se sapesse cosa volessi sentire istante dopo istante. In quel momento i movimenti del mio corpo dipendevano dalle sue dita: quando lui accelerava, il mio corpo accelerava.
Il mio respiro era sempre più frenetico.
"Lasciati andare.."
Mi disse bisbigliando al mio orecchio notando che opponevo una certa resistenza.
E allora seguii il suo consiglio.
Lasciai cadere all'indietro la testa, che andò a finire sulla sua spalla. Non sapendo cosa farne delle mani, mi aggrappai al bordo del ripiano di fronte a me e mi resi conto che quell'appiglio avrebbe potuto aiutarmi a mantenere l'equilibrio per non rischiare di fare qualche movimento involontario. Poi mi lasciai andare. Feci in modo che in quell'istante prendesse il sopravvento l'eccitazione. Iniziai ad ansimare sempre più forte, e lui, notando che i miei freni inibitori erano scomparsi, iniziò a muovere le dita ancora più velocemente.
Il risultato fu ovvio: venni in un batter d'occhio.
Dopo avermi fatto raggiungere quell'appagante e liberatorio orgasmo, si allontanò lentamente da me per andare in bagno. Lavò le mani e tornò subito in cucina con il viso soddisfatto come di chi aveva appena ottenuto qualcosa di molto importante. Era bellissimo.
"Sai.."
Iniziai a parlare ancora con il fiatone ed aggrappata al bordo del ripiano.
"Dovrei fingere di essere arrabbiata con te più spesso..".
Lui si morse il labbro inferiore e, sorridendomi, si avvicinò e mi baciò cingendo i miei fianchi con le mani.
"E tu dovresti lasciarti andare sempre. Sei fantastica quando.. dimostri di star apprezzando in pieno quel che ti faccio.. non vergognarti di te e delle tue reazioni spontanee.. sono le cose che mi fanno impazzire di più..".
Si fermò per darmi un altro piccolo bacio.
"Tipo quando abbiamo fatto l'amore e hai preso in mano tu la situazione. Dio, mi hai fatto impazzire..".
Non potei far altro che scoppiare a ridere.
"Ma cosa stai blaterando? E' stata la mia prima volta e non venirmi a dire che sono stata "brava". Sicuramente sarai stato a letto con donne molto più esperte di me".
Dissi continuando a ridere.
"Leo, per favore, smettila. Non hai idea di quanto mi sia piaciuto fare l'amore con te".
Notando la serietà con cui pronunciò quelle parole, smisi di ridere, ricomponendomi. Lo abbracciai afferrando delicatamente i suoi capelli. Lui poggiò la testa sulla mia spalla e restammo in quella posizione per quasi un minuto.
"Anche a me è piaciuto tanto".
Dissi interrompendo quel silenzio.
"Per favore, non paragonarti più ad altre donne".
Concluse Giuseppe con tono rassicurante.
Poi tornammo a stare in silenzio ed a goderci l'abbraccio.

"Dunque".
Giuseppe ruppe il silenzio staccandosi da me.
"Devo mangiare insalata per cena? Direi di essermi fatto perdonare, non credi?E poi io sto morendo di fame. Cos'altro hai da mangiare?".
Senza chiedermi il permesso aprì il frigorifero. La cosa non mi turbò affatto perché quella era anche casa sua ( nella mia testa). "Se fosse stata un'altra persona,l'avrei già cacciato di casa a calci nel sedere. Ma lui può fare quello che vuole", pensai.
"Non c'è nulla qui dentro".
Constatò lui insoddisfatto. Poi riprese a parlare.
"Ordino due pizze".
"Vuoi ordinare due pizze alle dieci di sera? Nessuno fa consegne a quest'ora".
"Questo lo pensi tu".
Disse prendendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e, facendo scorrere il pollice su e giù tra i suoi contatti, cercò il numero della pizzeria.
"Io comunque passo. Stasera mangio solo insalata".
Giuseppe sospirò e, rassegnato, posò in tasca il cellulare appena preso.
"E va bene. Ti farò compagnia. Stasera si mangia insalata. Ma non hai nient'altro? Una fetta di carne? Oh, guarda. Ci sono degli hamburger qua".
Giuseppe prese la confezione di hamburger tra le mani e lesse cosa vi era scritto sopra.
"Hamburger.. di soia?".
Mi chiese sgranando gli occhi.
"Sei vegana?".
"No, sono vegetariana. Non troverai mai della carne nel mio frigo. Se vuoi, stasera puoi assaggiare un hamburger di soia. Sono buoni".
Lui posò gli hamburger dove li aveva presi, chiuse il frigorifero, sbuffò e tirò fuori di nuovo il cellulare.
"Scusami, ma stasera ho troppa fame. Ordino una pizza. Sicura che non ne vuoi una?".
"No, ma grazie".
Lui annuì e fece partire la chiamata. Si spostò verso la cameretta e, dopo aver ordinato la pizza, tornò in cucina da me.
Avevo paura di fargli la domanda che stavo per porgergli.
"Senti.. ma.. resti qua per tutta la notte oppure torni a.. casa tua?".
Pronunciai quella frase senza guardarlo perché se mi avesse risposto che sarebbe tornato a casa, non avrei voluto che notasse la tristezza e la delusione nei miei occhi.
"Resto qua".
Rispose con tono deciso. Io sorrisi coprendo la bocca con una mano.
"Posso sapere almeno che scusa inventerai a tua mogl-?".
Giuseppe si avvicinò a me, prese il mio viso tra le mani e delicatamente mi fece girare verso lui.
"Non pensarci. Sono qui".
Deglutii e trattenni un singhiozzo.
Con lui ero al settimo cielo.
"Sono qui".
Ripeté Giuseppe stringendomi più forte.
E in quell'attimo scomparvero dalla mia mente tutti i momenti bui, tutte le stranezze e tutte le malattie che mi trascinavo dietro.
La normalità sembrava finalmente essere parte integrante della mia tormentata vita.


Start living again - Giuseppe ConteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora