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Come da abitudine, durante tutti i Sabati della mia vita, raramente mi capitava di fare qualcosa di interessante.
Quella sera mi toccò fare qualcosa di diverso.
Alle 21.00 precise di quel Sabato sera ero pronta per uscire. Stavo aspettando che Caterina con i suoi amici mi passassero a prendere.
L'idiota era riuscita a convincermi dicendomi: "dopo avermi traumatizzata ieri rischiando di iniziare una rissa con mezza aula universitaria, adesso ti fai perdonare uscendo con me e svagandoti un po'". Così fui costretta ad accettare l'invito, anche se in verità ero contenta di uscire e distrarmi dai miei maledetti pensieri che si erano incollati a lui.
Quell' uomo intanto non si era fatto sentire nemmeno dopo ciò che successe con Alessandra. Stava rigorosamente rispettando ciò che mi aveva detto. Sarei riuscita a far finta di non provare nulla per lui o addirittura a dimenticarlo? Per quanto la situazione mi ferisse, cercavo di rialzarmi e reagire. Dopo tutto.. tra noi c'era stato soltanto un bacio.

Quando mi ritrovai sul sedile posteriore all'interno della macchina di un amico di Caterina, iniziai a sentirmi un po' più libera dalla sua costante presenza nella mia mente. Pensai che effettivamente, uscire con loro, mi avrebbe fatto decisamente bene.
Caterina era bellissima: il suo vestitino nero, abbinato ai suoi capelli e scelto probabilmente come diceva lei per mettere in risalto i suoi meravigliosi occhi azzurri, le lasciava scoperta quasi tutta la lunghezza della gamba. Dal canto mio, invece, non me la sentii di osare così tanto, perciò optai per un vestitino, sì, ma che coprisse molto di più. Probabilmente era da almeno cinque mesi che non ne indossavo uno.

Conoscevo a stento i suoi amici perché raramente uscivo con loro, nonostante i numerosi e fastidiosi inviti di Caterina tutti i fine settimana per unirmi a loro.
Quando arrivammo al locale e la macchina si spense, aprii lo sportello per scendere. Un amico di Caterina, non ne ricordavo il nome, mi porse una mano per aiutarmi a scendere, ma io gli sorrisi e gli risposi che potevo fare da sola. "Non voglio toccare da degli estranei", pensai.
Scoprii con piacere che il locale non era cupo ed affollato. Vi erano diversi tavoli liberi e distanti tra di loro. La musica faceva da sottofondo e chiacchierare non risultava difficile.
Dopo aver preso da bere, ci accomodammo su un tavolo al centro del locale. Caterina era seduta alla mia sinistra ed ogni tanto poggiava la sua mano sulla mia coscia nuda. Dedussi che quello fosse il suo modo per farmi sapere che era lì vicino a me, non solo fisicamente, ma anche emotivamente, nel caso in cui avessi bisogno di sostegno.
Assaggiai il mio cocktail e mi resi conto che mi mancava sorseggiarne uno.
Inevitabilmente, essendo un tavolo relativamente grande e, una comitiva formata da quindici ragazzi, era difficile conversare tutti insieme, perciò a poco a poco iniziarono a crearsi diversi tipi di conversazione.
La conversazione che toccò affrontare a me, nata in quella parte del tavolo, riguardava le partite di calcio. Essendo che odiavo il calcio e, soprattutto, non ero bravissima nel conversare con degli sconosciuti, mi limitai ad ascoltare i loro discorsi annoiata. "Non importa se mi sto annoiando, sto riuscendo a non pensare a lui", mi dissi. Ma proprio quando in quel momento la mia mente tornò all'attimo del nostro bacio, sentii il mio corpo sussultare leggermente.
Luciano, un amico di Caterina seduto alla mia destra, se ne accorse.
"Tutto bene?".
Mi chiese. Attirò anche l'attenzione di Simone, seduto a sua volta alla sua destra, quindi due volte di fianco a me.
"Sì, scusami".
Gli sorrisi distrattamente.
"Non sono abituata a bere e questo cocktail sta già dando i suoi effetti..".
Continuai a dire, e i due ragazzi risero guardandosi. Io mi sentii un po' in imbarazzo, ma le loro reazioni fecero sorridere anche me.
"Quindi adesso che sei brilla puoi dirci come mai sei così silenziosa? Non che le altre rare volte in cui sei uscita con noi avessi la parlantina, ma stasera sei proprio muta".
Mi chiese Luciano aspettando una mia risposta. Io bevvi un altro sorso del mio cocktail, asciugai le labbra umide con un fazzoletto, poi gli risposi.
"Non avete tutti i torti. Non sono molto estroversa. Preferisco ascoltare".
"Potresti invece bere ed aprirti per farti conoscere meglio".
Disse Simone parlandomi per la prima volta.
"In verità preferisco restare abbastanza lucida. Mi sta bene bere qualche drink, ma.. è meglio avere la situazione sempre sotto controllo".
I due tornarono a sorridere contagiandomi nuovamente. "Mi stanno prendendo per ridicola", dedussi.
"Cosa avete da ridere? Se la memoria non mi inganna anche voi eravate molto silenziosi tempo fa, quando uscivo con voi".
I due, guardandosi per l'ennesima volta, si fecero seri.
"Oh, scusate. Ho forse detto qualcosa di inappropriato?".
"No, figurati. Semplicemente.. anche noi tendevamo ad essere molto timidi, introversi: avevamo paura ad esporci troppo. Poi, quando abbiamo deciso di non nasconderci più, le cose sono cambiate, come puoi notare".
I due insistettero a scambiarsi degli sguardi, poi, io, seguendo con lo sguardo le loro mani che si intrecciarono, capii.
Scoppiai a ridere coprendo la bocca con una mano, mentre con l'altra tiravo giù il vestitino che ogni tanto andava troppo su.
"Potevate dirmelo prima".
"Pensavamo fosse ovvio".
Rispose Simone dando un bacio sulla guancia a Luciano.
"Caterina non ti ha raccontato nulla?".
"No".
"Beh, molte cose sono cambiate da quando abbiamo fatto coming out".
Continuando a sorseggiare il mio cocktail, li esortai a raccontarmi la loro storia. "Finalmente si parla di qualcosa di interessante", pensai.
I due, continuando a stringere la loro mani in un intreccio solido, mi raccontarono di come all'inizio avessero avuto paura della reazione di tutti. Mi dissero che fu difficile dichiararsi alle loro famiglie e che il padre di Luciano inizialmente non riusciva ad accettare il fatto che suo figlio fosse gay. Luciano mi raccontò di quanto volesse bene al padre e di come lo implorava giorno e notte provando a fargli capire che nulla fosse cambiato, che fosse tutto come prima, che essere gay non significasse essere anormali. Mi disse di quando alla fine suo padre finalmente lo accettò e di come si abbracciarono per la prima volta dopo almeno un anno di lontananza. Simone, invece, non ebbe mai problemi con la propria famiglia perché, a detta dei suoi genitori, "era ora che ce lo rivelassi, lo sapevamo già da un pezzo!".
Nonostante quegli attimi felici, la loro relazione, mi dissero, era comunque costellata da difficoltà continue: gli sguardi indiscreti della gente erano sempre presenti. Il pregiudizio, gli insulti, a volte anche qualche schiaffo, non mancavano mai. Ma erano felici perché, dopo tanti anni passati a nascondersi, adesso si sentivano liberi di amarsi anche pubblicamente.
La loro storia mi prese molto a tal punto che iniziai ad avere anche gli occhi lucidi per l'emozione. Simone fu il secondo a seguire le mie orme.
"Per quanto mi riguarda, penso che questa vita, nonostante tutta la cattiveria che c'è in giro, mi piaccia. Lottare per me e per Simone, per noi due, è stato faticoso, ma alla fine ci ha portato a diventare una coppia felice. Se potessi tornare indietro indosserei di nuovo i guantoni e tornerei sul ring a lottare per Simo".
Si diedero poi un bacio a stampo ed io rimasi a fissarli, noncurante del fatto che potessi sembrare inquietante. Ma erano proprio belli insieme e la bellezza del loro bacio mi coinvolse emotivamente, infatti, quelle ultime parole di Luciano mi arrivarono dritte al petto.
Mi fecero rendere conto del fatto che anche io volevo lottare.
L'immagine del bacio con il professore tornò ad essere chiara e trasparente nella mia mente.
Mi alzai ed andai ad ordinare l'ultimo drink, mentre nella mia mente rimbombavano delle precise parole: "me ne fotto della tua felicità con tua moglie e delle tue richieste, professore. Anche io lotterò per averti".



Il resto della serata trascorse tranquillamente parlando del più e del meno, ma dentro me ribolliva un ardente desiderio di tornare a casa il prima possibile ed iniziare a fare qualcosa per ottenere la mia felicità.


Quando gli amici di Caterina e lei stessa si accertarono che fossi entrata a casa sana e salva, se ne andarono. Mi riaccompagnarono a casa alle 02:00 di notte.
C'era solo una cosa che volevo fare, e la feci subito. Andai dritta al computer e lo accesi.
Mi lasciai ispirare dalla storia di Luciano e di Simone e di come non si arresero. Così, probabilmente leggermente brilla e spinta da quella inarrestabile voglia di ottenere la mia felicità, cliccai sul suo indirizzo mail. Non gli scrissi un poema, non gli dissi quali fossero le mie intenzioni. Sapevo come colpirlo, sapevo come tentarlo. Se i suoi interessi nei miei confronti si limitavo ad essere prettamente fisici, allora avrebbe dovuto fare i conti fare i conti con la voglia di venirmi a trovare ogni volta che il suo desiderio fisico nei miei confronti diventava impossibile da trattenere.

"viale della Libertà, 76".

Gli scrissi solo il mio indirizzo di casa, senza salutarlo, senza dirgli nient'altro, nella speranza che prima o poi sarebbe venuto meno alle sue imposizioni morali per venire a casa mia ed accettare il fatto che anche lui mi volesse.
Sorrisi.
Poi premetti invio.








E niente, ho già anche scritto il capitolo successivo e lo amo. 

Start living again - Giuseppe ConteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora