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La pizza arrivò alle 21:00 esatte.
Io ordinai la mia solita margherita ( essendo una maniaca delle abitudini, non avrei mai cambiato il gusto della mia fedelissima pizza).
Quel nostro primo appuntamento risultò un po' una delusione: non avevo nulla di interessante da bere, né vino, né birra ( tanto per rallegrare un po' gli animi) e l'atmosfera non era per nulla romantica. Come se non bastasse, quando apparecchiai la tavola diedi per scontato il fatto che lui avrebbe voluto mangiare la pizza con le mani. Così, quando ci sedemmo a tavola per mangiare, imbarazzato, mi chiese le posate.
"Scusami. Non sono abituata ad avere ospiti".
Gli dissi mentre gli porsi le posate.
"Che vuoi dire? Hai una casa tutta per te e non inviti mai nessuno?".
"Ogni tanto viene la mia amica Caterina".
Tagliai secco io. Non volevo fargli capire già dal nostro primo appuntamento quanto fossi strana.
Poi il silenzio.
Troppo silenzio per troppo tempo.
"Leona".
Disse lui interrompendo quell'imbarazzante silenzio.
"Sono stati i tuoi genitori a darti questo nome prima di abbandonarti?".
Deglutii. Ma non perché avevo della pizza da ingoiare, ma perché non volevo parlare di certi miei affari personali.. "No, lui non è uno sconosciuto. Certo, non è nemmeno la mia psicologa con la quale parlo di tutto. Dovrei aprirmi a lui. Se non voglio fargli sapere della mia sindrome, delle mie crisi e delle mie paranoie è un conto, ma posso raccontargli del mio passato. Posso farcela", pensai mentre mi sforzavo di non apparire troppo stramba. Fare un passo del genere con un "estraneo" sarebbe stato un grandissimo traguardo.
"Il mio nome..".
Iniziai a parlare. Poi bevvi un sorso d'acqua. Lui, seduto di fronte a me, posò le posate sul piatto, mise i gomiti sul tavolo, intrecciò le mani e vi poggiò il viso sopra, aspettando l'inizio della mia storia.
"Vuoi saperlo davvero?".
Chiesi nella speranza che si tirasse indietro per non farmi affrontare quella sfida.
"Certo".
Mi guardò incuriosito, come se stesse iniziando a capire che qualcosa dentro me non andasse. Infatti, io, dal canto mio, probabilmente avevo lo sguardo terrorizzato. Poi sospirai e, rassegnata, mi imposi di iniziare a parlare.
"In verità "Leona" non è il mio vero nome. Nessuno sa quale sia. Io.. Come ti dissi la prima volta che ci siamo incontrati, sono stata abbandonata appena nata. Non so se ricordi.. Vedi, tutto quello che so a riguardo mi è stato raccontato".
Presi una pausa. Stavo parlando in modo impacciato e gesticolavo in continuazione. Notando che lui era davvero curioso di conoscere la storia del mio nome, sospirai nuovamente per poi riprendere a parlare in modo un po' più rilassato.
"Venni ritrovata da un signore in un paesino della Sicilia di cui non ricordo nemmeno il nome. Non c'era nulla con me che potesse ricollegarmi a qualcuno. Chi mi abbandonò, non lasciò né un biglietto, né un nome, né una foto. Quando subito dopo venni affidata ad una struttura di competenza, aspettando di essere adottata, si trovarono a dovermi creare un'identità: il cognome era facile da decidere, perché mi diedero appunto il cognome del fondatore di quella struttura, ovvero De Benedictis . Per quanto riguarda il nome.. Mi dissero che gli infermieri che lavoravano in quella struttura si lasciarono ispirare dalla copertina che mi avvolgeva dentro la cesta la sera che venni abbandonata: vi era disegnato sopra un leoncino. Così, se fossi stato un maschio mi avrebbero chiamato Leone, se fossi stata una femmina.. Leona".
Facendo un mezzo sorriso forzato, terminai il mio racconto. Non riuscivo a credere al fatto di esserci riuscita.
Lui mi stava cambiando, mi stava aiutando davvero a migliorarmi.
"Non avrebbero potuto scegliere un nome più azzeccato per te, Leona. Tra l'altro, mi piace sentirti raccontare della tua vita: potrei abituarmi a tutto ciò".
Non fui molto contenta di sentirgli pronunciare quelle parole, ma pensai che, se a poco a poco lui mi aiutava a stare meglio ed a superare tutti i miei traumi, sarei riuscita a raccontargli tutto quello che voleva sapere, senza paura, ogni volta che ne aveva voglia.


Terminammo la pizza parlando di Firenze e di come quella giornata fosse stata più calda rispetto alle precedenti.
"Caspita, ci vorrebbe davvero un bicchiere di vino".
Esordì lui dopo avermi aiutato a sparecchiare la tavola.
"Mi dispiace davvero.. di solito non lo compro mai. Se vuoi però posso farmi perdonare".
Gli dissi facendo un sorriso ammiccante. Lui si avvicinò a me e mi prese per i fianchi.
"Posso farti vedere i miei film preferiti".
Gi sussurrai all'orecchio con una voce provocante, facendogli credere che gli avrei proposto qualcosa di più interessante. Lui si staccò da me e sorrise. Non sembrava deluso perché si aspettava altro, ma era sinceramente divertito.
"Sarei curioso di sapere di che film si tratta".
"Ma ovviamente i film di Harry Potter".
Lui alzò gli occhi al cielo mentre io mi posizionai sul piccolo divano di fronte alla televisione. Gli feci cenno di sedersi accanto a me, nonostante lo spazio fosse davvero poco.
"Mio figlio potrebbe guardare Harry Potter, non io".
"Tuo figlio sarebbe un bimbo intelligente, tu no".
Lui non si mosse per venire da me.
"Ti prego, almeno provaci. Sono davvero i miei film preferiti e significherebbe molto poterli vedere con te".
Lui, rassegnato, sospirò e venne a sedersi vicino a me in quello spazio minuscolo sul divano.
Dopo aver spento la luce, feci partire il film e ci accucciammo.



Harry Potter, come personaggio principale della saga, per Leona, è sempre stato un punto di riferimento. All'insaputa dei suoi genitori adottivi, ovviamente, la prima volta che vide il primo film non riuscii a smettere di piangere per tutta la notte, perché finalmente aveva trovato qualcuno come lei.
Ha sempre trovato delle affinità tra lei stessa ed Harry: entrambi, seppure per motivi diversi, sono cresciuti con persone a cui non fregava nulla di loro e che li consideravano addirittura di troppo. Harry era sicuramente molto diverso caratterialmente da Leona, ma nonostante ciò, quel particolare di crescere e vivere diversamente rispetto a tutti i bimbi che li circondavano, le permetteva di rispecchiarsi in Harry. Per lei era davvero importate che Giuseppe vedesse quei film con lei.
Per lei confessargli che quello fosse il suo film preferito era come concedergli di conoscere una piccola parte del suo cuore.



Proprio quando Hermione stava per correggere l'accento sbagliato di Ron nel pronunciare l'incantesimo " Wingardium Leviosa", Giuseppe raggiunse il limite di sopportazione.
"Questo film è per bambini. Ti prego, risparmiami. Non ce la faccio più".
Mi guardò con aria supplichevole, perciò spensi la tv un po' scocciata.
"Va bene, hai vinto. Ma lo finiremo un'altra volta".
Lui sorrise e mi baciò. Mi sembrava quasi di essermi già disabituata a quel dolce contatto, perché quando le nostre labbra si toccarono fu come se fosse la prima volta.
Lui, intensificando la forza del bacio, mi trasmise tutta la sua impazienza.





Ciao bellezze

" Mi corre l'obbligo di fare alcune precisazioni" ( dato che in questo capitolo nomino anche "Leone"): il figlio della Ferragni non c'entra proprio nulla ahah.
Per dare i nomi ai miei personaggi principali, ho preso ispirazione da un videogioco, all'interno del quale tre personaggi che mi piacciono tantissimo si chiamano Leona, Diana e Katarina ( che ho modificato in Caterina).


Altra piccola cosa: ne approfitto per ringraziarvi di cuore. Non l'ho mai fatto prima e vi chiedo scusa per il ritardo, ma grazie davvero tanto per il costante sostegno. Ho avuto il piacere di conoscere alcune ragazze tramite Twitter e ricevere i vostri meravigliosi complimenti mi emoziona tantissimo! Perciò grazie grazie grazie a tutte!


Vi prometto che il prossimo capitolo sarà.. moooolto interessante.. e siccome pretendo che sia perfetto, impiegherò più tempo per scriverlo.

Un bacio a tutte

Start living again - Giuseppe ConteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora