Capitolo 20

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Riccardo's Pov
Mi svegliai, ma non aprii gli occhi.
Probabilmente aveva piovuto, perché non sentii i soliti raggi del sole accarezzarmi il viso, e ciò accadeva sempre; si dice che il sole baci i belli!
Sospirai e strinsi di più le palpebre, avvertendo un dolore lancinante partire dalla nuca per poi finire sulle tempie.
La notte prima avevo bevuto di nuovo?
Cercai di ricordare il giorno prima e mi venne in mente di Gaia che era venuta a casa mia, ma non ricordai di aver bevuto, zero.
Sentii qualcosa sprofondare di più sulla mia pancia e inizialmente pensai fossero le mie mani premute sullo stomaco, ma quando le mossi, mi accorsi di averle lungo i fianchi; le allungai dove sentivo quel peso e tastai un qualcosa di liscio e morbido, simile a... dei peli?!
Aprii di scatto gli occhi e riconobbi i capelli di Amanda.
Cosa ci faceva lei qua? Non era incazzata nera con me?
Ma quella non era la mia camera, come cazzo ci ero finito in quella stanza?
Guardai alla mia sinistra e vidi un vecchio con una flebo che rantolava nel sonno. Ero in un ospedale?Magari era uno di quei sogni strani che ero solito fare.
Chiusi gli occhi e dopo aver contato fino a tre, li riaprii, ma niente: continuavo a essere in una stanza d'ospedale con un vecchio alla mia sinistra che russava e Amanda che apparentemente dormiva sulla mia pancia, con il sedere appoggiato su una sedia.
Che cazzo avevo fatto? Un incidente con la macchina? O ero di nuovo finito in un'altra rissa e non era andata a finire bene?
Tastai il mio viso alla ricerca di graffi, ma sentii solo la leggera barba che mi ero lasciato crescere negli ultimi giorni.
Tentai di sedermi, ma quando cercai di appoggiare i gomiti sul letto, qualcosa sull'avambraccio me lo impedii. Mi resi conto di avere una flebo.
Dannazione, qualcuno poteva spiegarmi cosa diavolo era successo?!
Istintivamente misi la mano sulla flebo per liberarmene, ma una voce mi fece trasalire.
"Non farlo. Ricky."
Alzai il capo e mi resi conto che era stata Amanda a dirlo, anche se continuava ad avere gli occhi chiusi e a essere praticamente sdraiata sulla mia pancia.
A malapena riuscivo a scorgere il suo viso dato che la poca luce che proveniva dalla finestra, era davvero tenue e non capii come il buio potesse fare luce. Che ore erano?
"Sto bene" dissi cercando un'altra volta di sedermi, ma il dolore alla testa mi obbligò ad affondarla sul cuscino.
"Non stai bene, altrimenti non saresti qua" disse con la voce ancora impastata dal sonno e sbuffai.
Certo che l'occasione di insultarmi non se la faceva mai scappare, eh.
Quale sarebbe l'insulto?
"Che mi è successo?" domandai, guardando le piastrelle poste sul soffitto.
"Hai avuto una commozione cerebrale." La sentii alzarsi dal mio ventre e venne un vuoto ad occupare il suo posto.
"Cioè?" chiesi in sospiro, di medicina sapevo solo flebo, tubi, storta, qualcosa di rotto e trapianto.
In realtà conosci molto di più
"Cioè, hai battuto le testa."
Mi girai verso di lei per interpretare la sua espressione, ma non riuscii ad individuare una singola emozione. "Sei svenuto."
Il cuore mi finì nello stomaco quando mi ricordai l'evento prima dello svenimento.
E a ripensarci ero sul punto di svenire di nuovo.
"Ah – riuscii solamente a dire – e poi cos'è successo?"
"Shhh, abbassa la voce!"
"Ma perché?!" domandai irritato e il mal di testa l non mi aiutò a calmarmi.
"C'è un signore che dorme!" disse in un bisbiglio isterico.
"Ma chi, quel vecchio? – lo indicai e lei strabuzzò gli occhi – quello non si sveglia nemmeno con una bomba."
"Non si indicano le persone!" Mi schiaffeggiò la mano con la quale avevo indicato il tizio.
Quanto cazzo mi era mancata.
"Che ore sono?"
"Le sei meno un quarto" disse estraendo un telefono dalla tasca, che non era suo.
"Che fine hai fatto il tuo iPhone?" bisbigliai, proprio come mi aveva ordinato lei.
"Mi è caduto in una pozzanghera ed è morto."
"Ah." Mi massaggiai la testa nel tentativo di alleviare quel fastidiosissimo dolore, ma non cambiò praticamente niente.
"Gaia dice che hai preso una bella botta."
Lei e Gaia si erano parlate?!
"Cos'altro ti ha detto Gaia?!" Mi sedetti con uno scatto e provai la sensazione di qualcuno che mi dava una martellata in testa.
"Hey, sta calmo! Lei ha parlato con i paramedici che lo hanno detto ai tuoi, che l'hanno detto a me!"
Tirai un sospiro di sollievo mentalmente.
"Perché? Cosa non avrebbe dovuto dirmi?" Inarcò un sopracciglio.
Merda.
Mi avrebbe visto come un mostro se le avessi raccontato la vera verità?
Io ero una sorta di fratello maggiore, dovevo dare esempio.
"Forse lei è incinta" dissi senza pensarci e lei spalancò la bocca.
Forse, ma molto probabilmente.
Bell'esempio.
"Di Alex?"
Siccome una volta le avevo detto che Alex aveva lasciato incinta una, era rimasta con quell'idea.
Magari fosse stato lui.
"In realtà Alex è suo fratello."
Più dicevo le cose ad alta voce, più mi accorgevo della gravità della situazione.
"Allora di chi è incinta? Ipoteticamente parlando" chiese, avvicinandosi di più a me.
"Di me." Sputai con cento emozioni insieme e dopo avermi guardato intensamente, scoppiò a ridere.
"Bello scherzo, ci ho quasi creduto" disse cercando di attenuare la risata e mi salii ancora di più il panico, quella situazione mi stava squassando l'anima.
"Non sto scherzando, Am" sibilai serio e lei interruppe la risata gradualmente.
"Che cosa?!"
"Hai capito bene." Mi sdraiai nuovamente e socchiusi gli occhi.
"Ma come fate... cioè... ma..."
"Abbiamo scopato senza precauzioni ed eravamo ubriachi." Le risparmiai di balbettare e lei si voltò dall'altra parte.
"Oh mamma... – imprecò e poi si voltò di scatto – ma è sicuro quindi?"
"No."
"Quando te lo ha detto?"
"Ieri."
"E sei svenuto per quello immagino."
"Amy, datti una calmata!" Aprii completamente gli occhi e mi pentii di averle risposto bruscamente.
"Si scusa, è che..."
"Scusami tu – la interruppi – per tutto." Sbuffai e lei appoggiò la sua manina fredda sopra la mia.
"Ti devo anche io delle scuse" sussurrò e quasi pensai di essermelo immaginato siccome lo disse a bassissima voce.
Ma non importava, mi aveva chiesto scusa e aveva messo da parte l'orgoglio per me: questa era una dimostrazione del fatto che ci tenesse tantissimo al nostro rapporto.
"Sono stato uno stronzo. Sai che quando mi preoccupo, mi arrabbio, mi ingelosisco o sono triste, dico le cose senza pensare" spiattellai quel mio difetto e lei annuì comprensiva.
"Lo so" sussurrò e mi venne voglia di stringerla fra la mie braccia, ma mi limitai a stringere la sua manina, che nel mentre si era scaldata.
"Comunque sì, sono svenuto per quello." Ripresi il filo del discorso.
"Se lei facesse il test di gravidanza e risultasse positivo?" domandò discretamente e al solo pensiero, un brivido percorse tutta la mia spina dorsale; ero impulsivo, possessivo, lunatico, ansioso, irascibile, insopportabile, pesante, a volte anche un po' stupido, ma quando la combinavo grossa, avevo le palle di assumermi le mie responsabilità: avevo tutti i difetti del mondo, tranne quello di essere codardo.
E se il test di gravidanza fosse risultato positivo?Non sarei stato io a decidere di fare abortire Gaia e lo avrei tenuto.
Beh, ovviamente avrei sperato che lei non lo volesse in modo da avere la coscienza più pulita, ma se lei lo avesse voluto tenere sarei diventato padre a diciotto anni; avevo giurato a me stesso che non sarei stato come gli stronzi dei miei genitori e sarei stato un buon padre;  non penso che un buon padre ucciderebbe suo figlio o sua figlia.
"Lo terrei" dissi titubante e il suo viso si illuminò, non se lo aspettava.
"Ovviamente sarei io la madrina" disse ridendo, anche se io la presi alla lettera.
Una famiglia ce l'avevo.
Amanda, Jessica e Marco erano la mia famiglia, mi avrebbero di certo aiutato in una situazione del genere.
Se Gaia non avesse voluto saperne del bambino, lo avremmo tenuto noi e sarebbe cresciuto felicemente.
Mi ero sempre chiesto che tipo di padre sarei stato, era una di quelle grandi domande che uno si fa.
Esiste il karma? Come fa una donna a stare con un uomo che la picchia? Come fa una ragazza magra a vedersi grassa?
Ma a quanto pare, non c'erano risposte esatte per domande così grandi.
"Certo." Annuii.
"Ho un sonno terribile." Sbadigliò.
"Da quant'è che sei qua?"
"Dalle nove di sera del giorno prima."
Seriamente?
"Ma non ti hanno cacciata? Che io sappia ci sono degli orari di visita."
"Sì, infatti ho supplicato un infermiere spesso di fare finta di niente" disse ridendo leggermente.
"Aspetta, ma è quello con l'accento mafioso?" Iniziavo a ricordarmi un po' di ieri sera, di un tizio ciccione che mi bucava un braccio.
"Sì, proprio lui!" esclamò ad alta voce e non mi curai del fatto di fargliela abbassare, che cazzo me ne fregava del vecchio dormente?
"Quanto dovrò stare qua?" Mi sentii un bambino di cinque anni che chiedeva il riscatto dall'ospedale alla madre.
"Dipende come stai nei prossimi giorni, il dottore ha fatto una stima di minimo un giorno e massimo tre giorni."
"Che cosa?!"
"Ricky, abbassa la voce!" gridò in un bisbiglio.
"Tanto quel vecchio..."
"Quel signore." Mi corresse.
"Chiamalo come vuoi, sta di fatto che non si sveglia nemmeno con un colpo in testa."
"Ricky!" Mi ammonì e io sorrisi per quanto fosse gentile ed educata.
"In che ospedale sono?"
"Martini."
Cavolo, quello non era nemmeno l'ospedale in cui lavorava Jessica!
"Ma io sto bene, perché devo stare qui tutto questo tempo!" protestai e ancora una volta mi fece segno di abbassare il tono di voce.
"Ricky, hai battuto forte la testa, non bisogna mai sottovalutare un trauma cranico."
"Uffa – incrociai le braccia al petto e lei abbozzò un sorriso – ma non hai scuola?"
"Sì, ho le prove atletiche" disse appoggiandosi completamente sullo schienale della sedia.
"Fossi in te, blazerei."
"Balzerei?" Ripetè in tono interrogativo.
"Vuol dire saltare scuola"mi spiegai meglio.
"Quasi quasi  – si stropicciò gli occhi – domani mi interroga la tipa di latino sulle declinazioni e non ho ancora aperto libro."
L'avevo influenzata bene con il mio linguaggio.
"Vieni qua." Mi spostai per farle spazio sul letto e lei tirò fuori dalla tasca del suo pantalone, una specie di fascicolo che iniziò a leggere.
"È vietato a chi fa visita ai pazienti sedersi sul letto di degenza, poiché..."
"Ma stai zitta." La interruppi e la attirai a me, per farla sdraiare accanto a me.
"Ma nel regolamento che mi ha dato l'infermiere..."
"Dai, fallo per me – feci gli occhietti da cerbiatto – sto male, non puoi girarmi le spalle! Inoltre questo letto è con le lenzuola tirate!"
E dopo diverse esitazioni, si appollaiò sul bordo del letto, rimanendo con le caviglie fuori.
Era già tanto che avesse ceduto, non mi sentivo nella posizione di insistere pure sul farle togliere le scarpe e mettersi sotto le coperte con me: sapevo come la pensava sul non sdraiarsi mai sul letto con i vestiti sporchi.
Inspirai il suo odore e chiusi gli occhi.

Io e te. Il resto non conta.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora