Capitolo 18

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I raggi solari accarezzarono le mie palpebre, ma non le aprii, ancora troppo beata dal tepore delle coperte.
Un momento.
Le coperte avevano l'odore di Mattia, respiravano regolarmente e si alzavano e si abbassavano?
Aprii di scatto gli occhi e mi resi conto che ero sul petto di Mattia e il suo braccio circondava... il mio sedere?!
Oh Gesù, ditemi che non abbiamo dormito così tutta la notte!
"Mhm" mugolai scuotendo Mattia per svegliarlo, la mattina non ero di molte parole; Riccardo diceva che dalle dieci di sera fino a quando mi svegliavo, avevo il mutismo selettivo, perché per comunicare annuivo o non gli rispondevo proprio (ero stanca per muovere i muscoli facciali e di conseguenza la lingua per parlare.)
Si mosse un po', ma solo per sistemarsi meglio su un fianco e mi strinse di più a sé.
Era obbligatorio allontanarmi da lui?

Sospirai e cercai di spostare il suo braccio dalla mia vita e lui sembrò opporsi, siccome aumentò la presa.
"Mattia!" Squassai il suo braccio, lui aprì gli occhi di scatto e poi li richiuse, come se niente fosse.
"Mhm?" rispose accomodandosi meglio sul mio seno.
"Devo andare a... casa, fammi alzare" dissi contro i suoi capelli, ancora frastornata per quel risveglio e arrossii.
"Ma sei comoda!" Protestò con la voce
impastata dal sonno e mi venne da sorridere per quanto sembrasse la protesta di un bambino di cinque anni.
La mia rinuncia per lui stava iniziando a farsi davvero complicata, se non impossibile.
Ma io ce la dovevo fare.
"Devo andare." Mi dimenai bruscamente e lo scavalcai, facendo cadere la coperta azzurra a terra.
"Ieri non eri così stronza." Si svegliò del tutto e mi guardò con un misto tra cipiglio e dispiacere, allungando il braccio per raccogliere la coperta che avevo fatto cadere.
"Te l'ho detto, devo andare."
Raggiunsi la cucina a passi svelti in cerca del telefono e quando lo intravidi sul tavolo lo agguantai, consapevole del fatto che Mattia mi stesse tallonando.
"È domenica mattina, cosa avresti di così urgente da fare?" chiese infido.
"Devo lavorare." Mi infilai le scarpe acciuffate sul terrazzo e mi indirizzai verso la porta d'ingresso, ma si parò davanti.
"Hai quindici anni e lavori?" domandò scettico.
"E tu come lo sai che ho quindici anni? Tra un po' ne faccio sedici." Mi morsi un labbro, non volevo che sapesse che ero più piccola di lui.
"Me lo hai detto in discoteca" disse ovvio, e a dire il vero non me lo ricordavo affatto (lecito contando che avevo bevuto.)
"Okay, ci vediamo a scuola." Lo sorpassai e aprii la porta, per poi sgattaiolare fuori da casa sua, percorrendo sette piani di scale a piedi: prendere l'ascensore non mi avrebbe permesso di muovermi e ne avevo davvero bisogno quella mattina.
Presi il cellulare per vedere l'ora: le 11:47.
Aprii meccanicamente il cancello e non appena mi tuffai sul mio letto, tirai un sospiro di sollievo.
Controllai whatsapp, ancora speranzosa di trovare un messaggio di Riccardo, ma non mi stupii quando ancora una volta, non trovai nulla.
A lui non importava niente, ero io che continuavo a farmi paranoie inutilmente, il nostro rapporto era finito e dovevo accettarlo.
Mi sfilai la felpa di Mattia e mi fiondai sotto la doccia, avevo bisogno di consumare parte della riserva di lacrime in pace.

Riccardo's Pov

"Riccardo! Se tra dieci minuti non sarai a tavola, verrò in camera tua con una ciabatta!"
Ed ecco le volte nelle quali desideravo che mia madre avesse il turno la mattina, non tollerava che mi svegliassi tardi.
E io continuavo a chiedermi il perché e quando lo chiedevo a lei, la sua risposta era 'non sta bene svegliarsi così tanto tardi.'
Che cazzo di motivazione era?
"Arrivo!" urlai a pancia in giù, con la voce ovattata dal cuscino.
"Sarà meglio per te!"
Massaggiai le tempie nel tentativo di ricordare qualcosa del giorno prima, ma niente, la mia testa era un pozzo vuoto senza ricordi.
Come avevo passato il mio sabato sera?
Appena avevo saputo che Amanda sarebbe rimasta da una sua amica, mi ero catapultato in centro con Samuel e gli altri del gruppo.
Dopo aver bevuto in Piazza Vittorio, eravamo andati al Life e mi ero fatto tutte le tipe presenti, già ubriaco perso.
Poi una mi era saltata al collo e il dopo era una bella incognita, anche se probabilmente le avevo dato una bella botta e basta.
Tentai di mettermi in posizione supina e appena lo feci, constatai che la sbornia non mi era ancora passata.
Se mi fossi alzato avrei sboccato o sarei caduto a terra come un sacco di patate.
Allungai il braccio verso il parquet per prendere il telefono e... Amanda non mi aveva scritto.
Me lo sarei dovuto aspettare? Nemmeno uno 'scusa', perché sì, lei era in pieno torto, ma era una fottuta orgogliosa e non si sarebbe scusata così facilmente.
Anche se le poche volte che lo aveva fatto era valsa la pena aspettare, cazzo se ne era valsa la pena sentire le sue scuse con quegli occhi verdognoli e il suo visino bagnato dalle lacrime; era orgogliosa, ma era anche così buona, che si sentiva in colpa per le minime cose.
Ma ormai non aveva più senso preoccuparsene, avevamo praticamente chiuso e lei non riteneva sensato il nostro rapporto, facevamo così solo per fare contenta Jess, sue testuali parole.
Magari lei lo faceva solo per fare contenta mia madre, ma io no, anzi, mi trovavo davvero bene con lei e mi ero affezionato anche tanto nell'ultimo periodo; la mia filosofia riguardo le ragazze era: o te la scopi o ci costruisci qualcosa di serio, non avevo mai creduto che potesse davvero esistere amicizia tra maschio e femmina.
Insomma, alle femmine piace il cazzo e ai maschi piace la figa, come faceva l'attrazione fisica a non frapporsi?
Esistono anche gli omosessuali
Sì, ma il mio discorso è un altro!
Amanda, era riuscita a farmi vedere lati delle femmine che non avrei mai immaginato esistessero.
Non erano solo rompicoglioni con il mestruo, ma anche persone profumatissime, dolcissime e tenerissime, capaci di sostenerti in una maniera unica e farti sentire apprezzato come nessun amico maschio sarebbe in grado di fare.
Ero certo di volerla come una sorella, anche se fossi stato innamorato di lei, non avrei saputo come rendermene conto, siccome non ero mai stato innamorato di una ragazza seriamente.
E non ero mai stato fidanzato.
Feci appello a tutte le mie forze e al mio coraggio per sollevarmi e correre verso il water, ma il vomito uscii dalla mia bocca prima che potessi raggiungerlo.
Mi arrampicai alla tazza del sanitario e sentii il vomito diguazzare nell'acqua del cesso e rimbalzarmi in faccia.
Dopo gli ultimi conati, finalmente finii di vomitare e tirai lo sciacquone.
Okay, ero stato un coglione a bere tutta quella roba e a spaccarmi di canne nel mentre (ma in fondo sapevo che lo avrei rifatto ancora tante volte.)
Afferrai un asciugamano posto sopra il lavandino e lo lanciai sopra il vomito che era finito a terra, evitando di respirare con il naso.
Mi alzai e un dolore lancinante colpí la mia testa, ma lo ignorai e mi lavai i denti per sbarazzarmi di quel sapore di merda; sputai il dentifricio e mi sciacquai la faccia, ma servì a ben poco dal momento che continuavo a essere giallo in faccia e ad avere gli occhi rossi, per giunta contornati da occhiaie scure.
Bella domenica di merda.
"Riccardo!" Fu mio padre a chiamarmi questa volta e mi irritai ancora di più.
"Arrivo, cazzo!" sbraitai come una tipa nel pieno delle mestruazioni e con schifio presi l'asciugamano che avevo buttato sopra il vomito, per poi lanciare il tutto nella cesta dei vestiti sporchi e feci canestro.
Mi sciacquai nuovamente la faccia e dopo averla tamponata con un asciugamano pulito, strusciai i piedi contro il pavimento per raggiungere la cucina.
"Hai un aspetto orrendo" disse mio padre quando mi sedetti a tavola: non capii come avesse fatto a vedermi bene, contando che aveva gli occhi puntati sullo stupido giornale che leggeva tutti i giorni, proprio come i vecchi che non avevano mai un cazzo da fare.
"Concordo." Lo sostenne mia madre e guardai Amanda di soppiatto, in attesa di un suo qualsiasi commento o insulto che faceva di solito, ma niente, mangiava con lo sguardo rigorosamente rivolto verso il piatto di riso.
"Non è vero, Amanda?" Sua zia attirò la sua attenzione e lei sbatté più volte le palpebre.
"È vero cosa?" domandò, evidentemente disinteressata.
"Che Ricky ha un aspetto orrendo."
Mi guardò furtivamente e notai che aveva gli occhi rossissimi.
Aveva pianto?
"Lo vedo fiacco e paonazzo."
Lo disse con una voce così monocorde, che mi fece saltare i nervi; odiavo quando usava i suoi termini difficili del cazzo e faceva la saputella.
E lei lo sapeva benissimo, infatti lo faceva apposta, ma questa volta non lo aveva fatto per infastidirmi.
Allora era finita veramente?
Al solo pensiero mi vennero i brividi.
"Hai pianto, Amy?" Venne il sospetto anche a Jess e lei scosse la testa.
"Mi è andato solo un po' di sapone negli occhi." Abbozzò un sorriso.
Era davvero brava a raccontare le bugie.
Convivendoci da più di un mese, ormai, conoscevo ogni sua mossa, ogni sua scusa e sapevo per certo che lo sguardo che indossava quel giorno, non era quello di tutti i giorni.
Aveva pianto e presto avrei scoperto anche il perché.
"A che ora vai a fare la babysitter?" chiese Jess, probabilmente nella speranza di una conversazione che non racchiudesse i monosillabi.
Non credevo che Amanda gliene avesse parlato, come faceva a essere così trasparente?
In effetti non mi diceva bugie, anche perché quando lo faceva, me ne rendevo conto dal suo sorriso da furbetta trattenuto.
Per esempio quando le chiedevo se era stata lei a finire la nutella.
"Alle 14:15 devo essere fuori casa" rispose dolcemente e per mezzo secondo spuntò la fossetta.
"Sono le 13:55, tesoro." Jess diede un'occhiata al suo orologio da polso.
Con uno scatto guizzò in piedi e corse in camera sua, come al solito era in ritardo.
"Vuoi che ti venga a riprendere Riccardo?"
Ma perché Jess sapeva essere così stupida?! Ci eravamo rivolti mezzo sguardo a tavola e ciò non le aveva fatto capire che avevamo litigato pesantemente?
Sì, eravamo cane e gatto, ma solitamente a tavola scherzavamo o battibeccavamo, invece quella volta non ci eravamo nemmeno dati il buongiorno, cosa che era di rito ormai.
"No!" gridò dalla sua stanza, prolungando la 'o' e nel profondo ci rimasi male.
Mi sarebbe piaciuto tantissimo andarla a prendere, per poi sentirla criticare il mio modo di camminare e prendermi in giro.
Okay, stavo diventando patetico.
"Ricky, adesso vado al lavoro con papà – feci spallucce, non era una novità – quando torno voglio tutto pulito." Si alzò da tavola e andò verso l'uscita insieme a Marco.
"E se non lo facessi?"
"Niente play per un mese." Mi sorrise maligna.
Cara Jess, esistono amici che hanno case con la play all'interno, sequestrarmela pure.
In realtà avrei obbedito senza ricatti.
Ero succube di mia madre.
Chiusero con un tonfo la porta e andai in camera mia; nonostante avessi già vomitato, continuavo ad avere una nausea assurda e le vertigini, per non parlare dello stomaco che mi implorava di bere una tisana, ma ero troppo pigro per tornare in cucina e accendere il gas.
Mi buttai sul letto a peso morto e mi rimboccai le coperte fino al naso nella speranza di sentirmi meglio, ma non servì a niente.
Sentii nuovamente la porta d'ingresso chiudersi con un tonfo e razionalizzai che anche Amanda era uscita e ciò mi svuotò ancora di più.
Se fossi stato meglio avrei chiamato qualche mia amica per farmi compagnia, ma ero così messo male che non mi si sarebbe nemmeno alzato.
Chiusi gli occhi e strinsi tra le mani la trapunta blu per il fastidio allo stomaco e per un istante mi sentii meglio.
Avrei dovuto chiedere scusa ad Amanda?
Anche se lo avessi fatto era lei che non mi voleva, era stata lei a dire che andava d'accordo con me, solo per compiacere Jess e non per altro.
E poi scusa per cosa?
Magari per averle urlato contro?
Oh.
Forse lei mi aveva detto quelle cose perché era arrabbiata e l'avevo ferita trattandola in quel modo, ma ancora una volta lo avevo fatto perché ci tenevo a lei, ci tengo a lei.
Infinitamente, inspiegabilmente, incondizionatamente.
All'improvviso qualcuno suonò il campanello ma lo ignorai, convinto che fossero i Testimoni di Geova o dei rompicazzo simili.
Suonarono altre dieci volte e scattai in piedi dal nervoso.
"Chi cazzo é!" strepitai, ancora prima di arrivare alla porta d'ingresso.
"Sono Gaia." Sentii la sua voce strana, come se avesse appena finito di piangere.
E adesso, questa, cosa voleva?
Aprii la porta e mi appoggiai allo stipite.
"Se sei qua per fare sesso... – iniziai, ma mi interruppi quando mi accorsi che stava piangendo – hey, che succede?" chiesi preoccupato.
"Fammi entrare." Tirò su con il naso e la feci entrare.
"Andiamo in camera tua." Si asciugò le lacrime e sbavò ancora di più, il mascara già colato.
"Ascolta, oggi non mi va di scopare. So che vuoi distrarti, ma trova qualcun altro perché..."
Fui interrotto da un forte dolore alla guancia: non ci misi molto a rendermi conto che mi aveva appena dato un schiaffo.
"Io non sono una puttana, sai che faccio sesso solo con te!" Singhiozzò e mi sentii profondamente in colpa per come la stavo trattando, aveva ragione; sapevo che faceva solo sesso con me, perché era innamorata.
"Va bene!" esclamai massaggiandomi la guancia dolente, se avesse avuto il cazzo l'avrei ammazzata di botte.
Andò verso camera mia e quando la raggiunsi, chiusi la porta.
"Non sono qui perché voglio fare sesso – chiarì – cosa ti ricordi di ieri?"
"Sinceramente poco e niente, ho bevuto troppo."
Passai una mano tra i capelli e sbadigliai.
"Ieri abbiamo fatto sesso, tu eri ubriaco marcio e io ero brilla – si interruppe, così la esortai a continuare, avvertendo un orrendo presentimento – abbiamo fatto sesso senza preservativo."
Non sentii più niente, il pavimento sotto i miei piedi non esisteva più, vidi tutto nero.
Ero sempre stato attento a questo genere di cose, com'era possibile che ciò che diceva Gaia fosse la verità?
Era una bugia? Una scusa per tenermi tutto per sé per sempre?
All'improvviso mi ricordai della notte prima.
Era lei quella che si era accollata a me e io non mi ero certo tirato indietro.
"C'è un elevato rischio che io possa essere incinta."

Amanda's Pov

Scesi dal tram e percorsi a piedi tutta Via Roma, finché non arrivai sotto il portico che mi avrebbe condotta a casa dei due gemellini.
Piangere sotto la doccia mi aveva liberata da tutta quella angoscia e dal rancore che avevo nei confronti di Riccardo, ma nonostante ciò, continuavo a chiedermi se fosse il caso di parlargli e provare a risolvere le cose.
No, era un'idea troppo stupida, se mi avesse voluto veramente bene non si sarebbe fatto problemi a mettere l'orgoglio da parte.
Potrebbe pensare la stessa cosa
Ha iniziato lui però!
Tu hai iniziato a dire che non aveva senso il vostro rapporto
Non potevo farmi mettere i piedi in testa da Mr.occhi verdi.
Ah si?
Okay, entrambi dovevamo chiederci scusa.
Lo sapevo!
Io lo sapevo che non dovevo affezionarmi!
Avevo un serio talento ad affezionarmi alle persone sbagliate; adesso, tanto per dirne una, ero affezionata a uno dei ragazzi più lunatici, gelosi e complessati di tutto il mondo.
Sospirai e mi lisciai il tessuto sangallo, uno dei tanti acquisti fatti con Sam: avevo un vestito invernale di colore verde pino, non troppo aderente, non troppo corto e non troppo scollato, a maniche lunghe, con sotto una calzamaglia nera.
E le scarpe?
Adidas bianche.
Avevo dei seri problemi con gli abbinamenti, lo ammetto, ma almeno sarei stata comoda tutto il giorno.
Suonai al citofono e aprirono senza dire niente; arrivai al secondo piano e bussai.
La porta si aprì e...
Che diavolo ci faceva lui qui?













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Due colpi di scena in un capitoloo.
Come sempre lasciate una stellina e fatemi sapere cosa ne pensate ❤️
Non sto aggiornando più come prima,non perché non sappia come continuare,ma perché scrivere 1500 parole ogni giorno è davvero pesante.
Probabilmente da ora in poi usciranno 2/3 capitoli a settimana,altrimenti non riuscirei a sviluppare bene le cose.

Io e te. Il resto non conta.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora