"Ma... ma non è sicuro" affermai, cercando di metabolizzare il più il fretta possibile ciò che aveva appena detto.
Che cosa? Riccardo padre?
"Invece sì, cazzo, c'erano due lineette su quella specie di termometro!"
Si passò una mano fra i capelli e appoggiò la schiena contro il cancello, per poi sedersi lentamente.
No, non era possibile.
"E quante volte ha fatto il test?" Tentai di trovare un qualsiasi errore.
"Una sola volta." Si calmò e forse capì dove volevo arrivare.
"Visto! Il test va fatto più volte!"
Appoggiai lo zaino a terra con noncuranza e mi sedetti vicino a lui.
"Sì, ma non credo che la seconda volta risulterà negativo" mormorò guardando l'asfalto grigio.
Non dovevo dargli false speranze, ma nemmeno fargli credere che quella fosse l'ultima parola.
"Ha preso la pillola del giorno dopo?" Gli accarezzai una spalla, ma ciò non bastò per confortarlo nemmeno di un po'.
"Lei ha detto di sì, perché non ne voleva sapere di alcun bambino."
"Quindi non lo vuole tenere?"
"No che non lo vuole tenere e da una parte mi uccide, ma dall'altra mi fa stare meglio – si voltò verso di me e i suoi occhi lucidi trafissero i miei – capisci che schifo di persona sono?"
Scoppiò a piangere, rifugiandosi sull'incavo del mio collo.
Nonostante non fosse la prima volta che lo vedevo piangere, mi faceva tanto effetto ogni volta. Non lo sapevo nemmeno io il perché.
Forse perché non mi aspettavo che avrebbe reagito così.
Ero sicura se ne sarebbe fregato o almeno, che non avrebbe addirittura pianto.
L'hai giudicato male
"Hey, non è vero – circondai la sua schiena con un braccio – non è assolutamente vero."
"Sì invece, voglio fare fuori una vita" disse con la voce spezzata dalle lacrime, che udii ovattata siccome la sua bocca era contro il mio collo.
"Non vuoi fare fuori una vita, non sei un assassino. È solo che in questi casi ci sono modi diversi di prendersi le proprie responsabilità – stanò la testa – ma ciò non significa che abortire voglia dire non perdersi le proprie responsabilità o essere assassini."
"Sì invece."
"No! Vuol dire solo che sei consapevole di non essere pronto. Hai diciassette anni, non hai un lavoro e forse nemmeno la maturità per affrontare la crescita di un figlio. Quindi paradossalmente sarebbe maturo prendere coscienza di non essere ancora in grado di essere papà, perché non è un gioco.
Al contrario, se volessi tenerlo, sarebbe comunque una scelta coraggiosa, implicherebbe un grande cambiamento per tutti e non saresti solo; hai me, Jess, Marco e di sicuro avresti il nostro aiuto. Certo, non sarebbe facile, ma dovresti sentirti un minimo all'altezza, no?
Sappi che non è uno scherzo, questa scelta sarebbe per sempre e per mettere al mondo un figlio che non sai nemmeno se vuoi per rovinargli la vita, non ha davvero senso."
"Credevo che mi avresti giudicato. Tu credi in quel genio della lampada."
Mi accigliai per capire che cosa intendesse.
Ah, ho capito.
"Non parlare così di Dio!" Lo presi per un orecchio.
"Okay, scusa!" Si dimenò dalla mia presa e si asciugò le lacrime.
"Guarda che non sono così bigotta, sono più che moderna!" Cercai di sdrammatizzare e lui sorrise debolmente.
"Davvero mi aiuteresti?" I suoi occhi mi chiesero conferma e annuii freneticamente.
"Certo." Lo strinsi fortissimo e in quell'esatto momento udii la porta del palazzo di fronte aprirsi; per un momento il mio cuore mancò di un battito, ma quando roteai lo sguardo vidi una donna giovane, con un cagnolino al guinzaglio. Speravo fosse Mattia?
"Adesso entriamo e ne parliamo meglio, okay?" Proposi ritornando in me e lui stanò dal suo fortino.
"No Am, non ho intenzione di fare finta di niente e starmene a casa" disse con uno sguardo pieno di ira e le guance pullulate dal rossore.
"Che vuoi dire?" Mi allarmai.
La sua frase alludeva ad altro.
Perché il mio cuore aveva iniziato a battere forte?
"Me ne vado – svincolò dalla mia presa – per un po'."
Non era più sollevato come due minuti prima, adesso era come se si fosse estraniato da ciò che era appena successo.
"E dove vai?"
A differenza sua mi alzai goffamente, agguantando il metallo del cancello, per aiutarmi ad alzarmi da terra.
"Non lo so, ma me ne vado." Con un semplice movimento scavalcò il cancello e atterrò sul giardino.
"Ma non puoi!" Pescai le chiavi nuovamente e aprii il cancello.
"Sì che posso!" gridò in contraccambio, mi chinai per prendere lo zaino e corsi verso la portafinestra.
"Spiegami il senso!" esclamai lanciando lo zaino semivuoto a terra una volta in camera mia, ma lui lasciò cadere la mia frase; uscì dalla mia stanza e dedussi che i miei non fossero ancora in casa.
"Ne ho bisogno."
"Aspetta! – finalmente riuscii ad anticiparlo e mi parai di fronte a lui, cercando di riprendere fiato: era faticoso rincorrere un diciassettenne palestrato! – perché non ne parli con Jess e Marco, non mi sembrano dei genitori che ti giudicherebbero o di sbatterebbero fuori casa."
"Non posso." Serrò la mascella.
"Sì che puoi. Se vuoi..."
"Ho detto di no."
Il suo tono si indurì così tanto, che non ebbi il coraggio di replicare.
Che cavolo vuol dire me ne vado?
Dove?
E soprattutto qual è il senso?
"Non me ne vado per sempre, sarà... solo per un periodo."
"Hai diciassette anni, che cosa vuoi fare?" Mi scappò una risata sarcastica.
"Ma senti chi parla! La quindicenne scappata dall'America Latina mentendo a tutti quanti – rise – e dimmi un po', da quanto tempo non chiami tua madre?"
Da un bel po'.
Mi ero rassegnata all'idea che avesse scelto il suo fantastico marito aggressivo e non me.
E lei non sembrava nemmeno sforzarsi nel chiamarmi a tutti i costi.
"Avevo le mie ragioni. È vero, ho mentito, ma l'ho fatto per una giusta causa."
Il mio sguardo infilzò il suo e lui si voltò dall'altra parte.
"Dico sul serio – nascose il suo viso dietro una mano e sospirò – non me ne vado per sempre!" disse con voce stridula e mi guardò come se fossi inebetita.
"Giura – gli porsi il mignolo – giura" ripetei, in attesa che il suo mignolo stringesse il mio.
"Smettila con queste stronzate. Io non ti devo alcuna spiegazione."
"Almeno puoi dirmi dove vai?"
Si catapultò verso l'armadio.
"Credo di non allontanarmi troppo" snocciolò.
"Io non ho intenzione dì coprirti" dissi perentoria e mi sedetti sul suo letto a braccia conserte.
"Invece lo farai."
Suonò come una minaccia.
"Cosa dirò a Jess e a Marco?!"
Lo guardai infilare dei vestiti in un borsone da palestra nero e realizzai che non scherzava affatto.
"Solo che me ne sono andato – si sporse verso un'anta dell'armadio per guardarmi in faccia – guai a te se dici il motivo" disse burbero e nel profondo mi spaventai, perché non ero sicura di poter mantenere un segreto del genere.
Con il busto mi sdraiai all'indietro, rimanendo con le gambe a penzoloni sul letto e guardai le stelle di plastica appiccicate sul soffitto, le stesse che guardavamo ogni tanto la sera.
Ormai quello era diventato il 'gioco delle domande'.
Mi capitava spesso di andare in camera sua, la sera per fare quel gioco, che consisteva nel fare qualsiasi domanda, ovviamente cercando di omettere quelle imbarazzanti, cosa che certamente lui non aveva rispettato siccome ogni volta mi chiedeva se fossi vergine!
Me lo aveva chiesto circa tre volte e non capivo da dove provenisse tutta quella curiosità; non ero vergine, la mia prima volta era stata con Lucas, ma non gliene avrei di certo parlato durante il gioco delle domande.
O forse non gliene avrei mai parlato!
Lui, invece, era stato in grado di rispondermi a tutto, dettagli compresi (i quali aggiungeva di sua spontanea volontà.)
"Ricky, tu non te ne vai." Guizzai in piedi; afferrai la chiave che era inserita nella toppa della porta e la infilai in tasca.
"Ma che vuoi fare?" domandò retoricamente in un sorriso spavaldo, mettendo il borsone in spalla.
"Impedirti di andare" dissi appoggiando la schiena contro la porta.
Sorrise e le sue braccia mi cinsero la vita, come se mi avesse vinta ad una torneo di chissà quale sport.
"La prossima volta assicurati di avere chiuso la porta a chiave, prima di mettertici davanti."
Ma la porta la avevo chiusa, vero?
Senza nemmeno il tempo di verificarlo, Riccardo mi sospinse e uscì da camera sua con passi lunghi.
"Non vale!" Mi lagnai aggrappandomi alla sua felpa bianca, esatto, quella che gli avevo rubato e che avevo fatto riapparire magicamente nel suo armadio.
"Sto facendo quello che hai fatto esattamente tu."
A quella frase mi pietrificai.
Era vero.
Lo avevo fatto anche io e perché adesso stavo facendo la parte di Juan?
"Hai ragione." Allentai gradualmente la presa, per poi mollare la sua felpa definitamente.
"Quindi smettila, per favore."
Il mio volto si spense: non lo avrei convinto a restare. Eppure ero convinta del contrario.
Ti sopravvaluti troppo a volte
"Okay."
"Se non vado via spacco qualcosa. Però tornerò."
"Ti credo. Adesso va... non vorrei mai che perdessi il treno o qualsiasi mezzo tu debba prendere."
Mi voltai diretta in cucina per vedere cosa mangiare e sorprendentemente non mi afferrò dal braccio, come spesso accadeva quando mi rivolgevo a lui in quel modo.
Ero arrabbiata, ma allo stesso tempo mi sentivo stupida nell'esserlo: ecco come si sentiva mio cugino.
Il karma esisteva eccome.
La porta si chiuse con un tonfo.
Aprii il cassetto inferiore della cucina e presi un contenitore di plastica, ci misi l'insalata già pronta trovata in fondo al frigo e feci per tagliare i pomodorini.
Presi una scatola di tonno, tentai di aprirla e quando finalmente ci riuscii, il mio indice era impregnato di sangue.
Lo sciacquai velocemente, tagliai i cetrioli e anche questa volta mi ferii.
Perfetto, senza Riccardo non ero nemmeno in grado di preparare un'insalata.
"Ci rinuncio!" Anche il coltello fece compagnia allo strofinaccio sul lavandino e mi arresi, misi i pochi cetrioli che ero riuscita a tagliuzzare insieme al resto e appoggiai il contenitore di plastica sul tavolo.
Condii velocemente l'insalata che finii in dieci minuti a causa del nervosismo e udii il mio telefono squillare.
"Brutto stronzo, come puoi lasciarmi con un peso così grande addosso?"
Mi lamentai ad alta voce tra me e me, prima di rispondere al telefono.
"Hey Sammy." Mascherai il mio malumore con una voce squillante, dopo aver letto il mittente.
"Allora? Pronta per questa sera?" domandò con la sua solita enfasi e mi chiesi come facesse ad essere sempre così festaiola.
"Ma pronta per cosa?!" domandai stizzita, il dolore alle dita mi rendeva ancora più nervosa di quanto già non lo fossi.
Leccai l'indice e il medio e mi alzai per andare in bagno.
"Stai scherzando vero? – chiese retoricamente – oggi è Halloween."
"E quindi? Vuoi andare a suonare ai vicini per fare dolcetto o scherzetto?" La beffeggiai, sostenendo il telefono tra la spalla e l'orecchio.
Aprii uno sportello vicino allo specchio e trovai acqua ossigenata, alcol, cotone, cerotti e qualche garza.
"No, qualcosa di molto più figo."
"Qualsiasi cosa sia, non mi interessa." Aprii l'acqua tiepida e misi le dita sotto il getto lieve.
"È da tre settimane che non andiamo a ballare!"
Erano già passate tre settimane da quando avevo chiuso con Mattia?
Avevo smesso di andarci proprio per quello, per il timore di incontrarlo, erano già sufficienti gli sguardi omicida che mi lanciava nei corridoi di scuola.
Per non parlare di quando mi aveva dato una spallata per sbaglio il martedì prima da Starbucks.
"Sopravviveremo" dissi trattenendo una smorfia, causata dal bruciore del taglietto.
"Ti prego, Amanda!"
Misi un cerotto su entrambe le dita (troppo fifona per usare l'acqua ossigenata) e tornai in camera mia.
"Si prega in chiesa." Mi infilai sotto le coperte.
"Sono seria."
"E sentiamo, cosa avresti intenzione di fare?" Tentai di farmi convincere.
"Qualcosa che ricorderai per sempre."
Beh, cosa avrei fatto da sola in casa senza Riccardo, d'altronde?
"E va bene, verrò."
Il fatto di stare da sola a casa a torturarmi, mi aveva fatto cambiare decisamente idea.
Non ero nemmeno in grado di aprire una scatoletta di tonno senza farmi male!
La mia voce venne ovattata dal campanello che mi costrinse ad alzarmi: Dio, quanto era straziante alzarsi da un letto caldo?
"Aspetta un attimo." Lasciai Sam in attesa e guardai dallo spioncino.
"Sei impazzita?" domandai divertita, quando la trovai con un sorriso a trentadue denti fuori da casa mia.
"Sapevo che avresti detto di sì." Mi abbracciò e ricambiai, non staccandomi più.
"Riccardo se n'è andato" mormorai sul suo petto.
"Non è morto, vero?" chiese allarmata.
"No Sam, se n'è andato via di casa!" Sorrisi per il suo dubbio e sospirai.
"Visto! È destino! – sciolse l'abbraccio e la guardai confusa – tu stai male e sono venuta in tuo soccorso senza nemmeno saperlo." Sfoggiò la sua teoria e scossi la testa.
"A che ora è la festa?" Cambiai discorso, spostandomi per farla entrare in casa.
"Dalle dieci alle sette del mattino." Alzò le spalle.
Sbuffai e mandai un messaggio sul gruppo Whatsapp 'famiglia' (composto da me, Riccardo, Jess e Marco) e misi il telefono in carica.
"Dobbiamo travestirci?" domandai buttandomi come un sacco di patate sul letto.
"Sì Am, sarebbe come andare ad un matrimonio in tuta altrimenti!" Si accasciò vicino a me e il suo odore di miele attraversò le mie narici.
"Ma io non ho niente..."
"Ti travestirai da Minnie."
Aveva già pensato a tutto, furba.
"E tu da Topolino?" Risi.
"Che stronza, comunque no, anche io da Minnie." Mi lanciò il mio cuscino, il quale afferrai al volo.
"Dici che a Mattia manco?" Cambiai discorso ingenuamente, con la faccia schiacciata contro il guanciale.
"Amy – si avvicinò di più a me – se anche lui ritiene vero ciò che è successo fra voi, penso proprio di sì. Ma se così fosse, perché non è qua che bussa alla tua portafinestra?"
E se fossi stata una stupida ad agire di impulso?
Se avessi esagerato? Se non ci avessi riflettuto bene? Il mio orgoglio mi ricordò che se gli fosse importato qualcosa, mi sarebbe venuta a cercare e avrebbe chiesto spiegazioni per la mia reazione apparentemente esagerata.
"Magari si sarà sentito rifiutato e credimi, nessuna ragazza ha mai rifiutato Mattia."
"Okay, questa sera devo pensare ad altro" dissi inaspettatamente e mi voltai a pancia in su. "Finalmente! – esclamò in un sospiro – hai venti euro?"
"Anche di più" risposi disinteressata, non avrei avuto alcun problema a prestarglieli, anzi, nemmeno a regalarglieli: ogni mese mia madre, Saverio (purtroppo), Juan, mia nonna, mi mandavano soldi e in due mesi ero riuscita ad accumulare mille euro senza fare niente.
In più avevo il lavoro occasionale come babysitter e i soldi lasciati da Jess e Marco per sicurezza.
"Con chi sei in debito?" domandai, cercando dei contanti nelle tasche in qualche giubbotto.
"Abbiamo affittato una limousine e siamo in quattro, non sono in debito con nessuno!"
"Contando Chri e Manuel?"
"Sì."
Perché diavolo continuavo ad avere il terrore che ci fosse Mattia?
"Okay, puoi guardarti." Mi concesse Sam dopo ore di tortura; mi aveva obbligata a fare la pulizia del viso, ceretta, semi permanente ed ero sicura mi avesse truccata come un pagliaccio.
"Era ora!" Mi lamentai irritata per il bruciore continuo sul viso causato della ceretta e lei mi fece voltare verso lo specchio.
"Allora?" domandò dopo un minuto intenso che passai ad analizzare ogni singolo angolo del mio viso.
"Sono... bellissima."
Suonò come una domanda, ma in realtà sarebbe dovuta essere un'affermazione.
Ero così bella, che non sembravo io: non mi ero mai sentita bella a dirla tutta, ero troppo insicura per sopravvalutarmi in quel modo.
"Te l'avevo detto – disse pavoneggiandosi – adesso è il turno dei capelli!"
"Dimmi che non ci metterai tanto." La supplicai, in fin dei conti avrei dovuto mantenere quel look per qualche ora!
"Solo dieci minuti."
E per la prima volta in assoluto, Sam era stata di parola: dopo venti spruzzate di lacca era riuscita a fare una coda alta, impeccabile.
Mi infilai goffamente degli stivali e quando Sammy mi disse che avremmo dovuto prendere il pullman per andare in centro, non ci pensai due volte prima di chiamare un taxi.
"Non siamo così tirchie! Ti pare che possiamo salire su un pullman così senza essere molestate?"
"Giusto."
"Ma non mi avevi parlato di una limousine?"
"Infatti, dobbiamo aspettare gli altri qui, credevi che avremmo fatto un giro con un bolide del genere nella tua zona schifosa?"
"Hey! Non è brutta la mia zona!"
Okay, non c'era niente di particolare, ma non per questo era brutta.
Era ben servita: c'erano supermercati, tre fiorai nel giro di cinquecento metri, scuole di ogni grado, negozi molto carini, giardini, parco giochi.
Per non parlare dei bar e delle tabaccherie!
"Eccoli!" urlò Sam, quando avvistò Christian e Manuel, entrambi travestiti da vampiro.
"Wow, molto fantasiosi" dissi sarcastica e Manuel mi diede un buffetto.
Amava tirarmi le guance.
"Lascia stare, mi sento troppo ridicolo, ma cosa fare pur di far comenta boccoli d'oro?"
"Infatti." Sam abbraccio Manuel.
"Se avessi avuto un minimo di preavviso avrei proposto di vestisci abbinati.
Tipo Sam e Chri da Barbie e Ken; io e Manu da carcerati."
Tutti scoppiarono a ridere.
"Perché da carcerati?" Manuel rise.
"Non lo so, credo che sarebbe stato di certo meglio di così."
"Okay, questo è il programma: andremo in San Salvario a bere, faremo un giro in limousine e poi andremo a visitare Torino."
Disse l'ultima frase con grande enfasi, la ragazza dai capelli biondi.
"Sul serio?" Inarcai un sopracciglio.
"Sì."
"Per te una serata figa, sarebbe andare a visitare Torino con scarpe scomodissime?" Mi infuriai, per prima cosa perché non mi aveva consigliato scarpe più comode e seconda cosa perché... che razza di idea era?!
Io Torino la conoscevo a memoria.
"Ma di cosa stai parlando?" Mi guardò divertita.
"Non ho intenzione di visitare Torino..."
"Torino sotterranea – mi corresse – muoviamoci che siamo in ritardo." Eclissò il tutto e finalmente arrivammo al pub.
Torino sopra o Torino sotto era uguale: perché non mi aveva consigliato delle scarpe più comode?
"Tu cosa prendi da bere?" Mi domandarono Manuel e Christian all'unisono.
"Niente, non mi va di bere." Scossi la testa e scrutai il pub alla ricerca del bagno.
"Ma è halloween!" esclamarono tutti scoordinati.
"E quindi?" chiesi scostante.
Non era di certo Natale e non avevo fatto il regalo a nessuno!
"Quindi prendi qualcosa." Christian mi diede una gomitata e lo trucidai con lo sguardo.
"Ma poi siamo tutti minorenni, non penserete mica che ci daranno da bere!"
"Infatti questo è l'unico pub che da da bere anche ai minorenni e comunque sì, è obbligatorio ad Halloween."
"Scegliete voi!"
Appena lessi toilette su una porta, mi alzai dal tavolo, avevo bisogno di guardarmi allo specchio per verificare che fossi ancora bella.
"Ma che ha?"
Udii in lontananza le domande dei miei amici, ma non me ne curai.
"Andrade." Megan apparve davanti a me quando aprii la porta del bagno, come se mi stesse aspettando da diverso tempo.
"Megan." Evitai di chiamarla per cognome e mi specchiai.
"Anche tu qui?" chiese con quella voce da vipera.
"Già."
"Verrai anche a visitare Torino sotterranea?"
"Come lo sai?" Mi voltai verso di lei.
"Ho immaginato, viene qui molta gente della scuola il trentuno." Si sistemò i capelli teatralmente e uscì dal bagno.
Dopo svariati minuti, uscii anche io e mi guardai bene intorno; se era vero che veniva molta gente della scuola il trentuno...
Ed ecco Mattia con il solito sguardo torvo bere non so che cosa.
"Amanda, aspettiamo solo te!" gridò Christian e non appena Mattia udì il mio nome, si voltò verso il tavolo dei miei amici. Prima che potesse intercettare il mio sguardo, scappai nuovamente in bagno.
"Mi spieghi che stai facendo?" La voce di Sam mi fece trasalire.
"Tu sapevi che ci sarebbe stato anche Mattia?!" Mi voltai verso di lei e immaginai che fossi rossa come un peperone.
"Sì, ma non ti devi preoccupare, verso mezzanotte se ne andrà al Milk – la guardai confusa – è un'altra discoteca."
"Ah" risposi, senza nemmeno aver ascoltato quello che aveva detto.
"È poi basta far dipendere la tua vita da questo uomo! Chi se ne frega Am, hai la fila!"
"La fila" ripetei ridendo.
"Sì, hai la fila ma sei troppo stupida per capirlo. Ce l'hai ancora con me per la storia di 'avete usato precauzioni' vero?"
Le prestai la giusta attenzione e risposi sinceramente.
"Un po'." Ammisi e pensai a quanto odiassi essere sensibile ed emotiva. E permalosa. Eh sì, anche un po' rancorosa.
"Ti chiedo scusa Amanda – fece un passo verso di me – tu sei la migliore amica che io abbia mai avuto, non mi piace che tu ce l'abbia con me, sul serio" disse con aria contrita e il broncio se ne andò del tutto.
"Anche tu sei la migliore amica che abbia mai avuto" borbottai per la troppa dolcezza e la abbracciai goffamente.
"Adesso – sciolse l'abbraccio – esci e fai vedere a Mattia quanto sei figa."
Annuii poco convinta e tornammo al nostro tavolo, sotto lo sguardo di alcuni ragazzi che ci strizzavano l'occhio.
"Ce l'hai fatta!" esclamò Christian quando mi sedetti accanto a lui e alzai gli occhi al cielo.
"Tieni – mi porse un bicchiere di plastica con un liquido di colore rosso – alla salute."
"Ma..."
"La birra era finita, quindi ti ho preso un succo." Alzò la sua bottiglia di tequila in alto e bevve un sorso: mi aveva letta nel pensiero.
Portai ingenuamente il bicchiere alle labbra ma... ovviamente mi accorsi della vodka alla fragola quando mi bruciò la gola, dato che iniziai a tracannare la bevanda a causa della sete.
"Fottiti!" Diedi una pacca a Christian tossendo, mentre lui scoppiò a ridere.
"Piccolina, ti fidi di me!" Mi diede un buffetto e io gli schiaffeggiai la mano.
"Va al diavolo" dissi schiarendomi la voce e già che c'ero, finii lentamente il bicchiere cercando di non farmi venire gli occhi lucidi.
"Passamela." Ordinai a Manuel e titubante mi passò la bottiglia di vetro rossa.
Con una mano versai la vodka, ma non mirai bene dato che la maggior parte del liquido uscì fuori dal bicchiere.
"Grande!" Il mio tavolo applaudì, tracannai il bicchiere mezzo pieno e strizzai gli occhi per la strana sensazione.
Quando li riaprii, vidi tutto appannato.
Volli stropicciarmi la faccia, ma vidi di sfuggita la chioma bionda di Sam avvicinarsi.
"No! Così ti rovini il trucco!" gridò e non capii per quale motivo.
Sbattei più volte le palpebre per mettere a fuoco e una volta riuscitaci, versai più attentamente della vodka sul mio bicchiere e riempii anche quello di Sam.
"Hey ragazze, state esage..."
"Zitto!" urlai contro Manuel e Sam disse ad alta voce qualcosa di incomprensibile.
"Chri, leva i bicchieri a quelle due prima che se ne vadano definitamente." Intimò Manuel e bevvi il più in fretta possibile per evitare che qualcuno mi sottraesse il bicchiere.
"No." Protestò Sam e non capii più niente.
"È colpa tua, Christian!"
Vidi Manuel e Christian sfocati che gesticolavano animatamente e Sam accasciata sulla sedia. Magari aveva sonno.
"Disdici la limousine e basta, non è successo niente di che!"
Sentii girarmi la testa come se avessi fatto cento piroette e feci alcuni passi all'indietro per cercare qualcosa su cui sorreggermi.
"Attenta, stupida." Una voce burbera echeggiò nelle mie orecchie e mi sentii sorretta da non so cosa.
"Io sono attenta." Confutai indispettita e cercai di tornare in piedi.
"Ma che hai bevuto?"
"Non sono affari tuoi!" Mi voltai e mi arrampicai sul ragazzo di fronte a me per tirarmi su.
"Sì invece, dato che volevo passare tranquillamente e tu mi sei caduta addosso!" Si lamentò un ragazzo identico a Mattia... o forse era l'originale.
"Mattia." Feci la prova del nove e lui alzò le spalle.
"Io voglio dirti che..."
"Scusa, ma devo fare la coda per il Milk."
Mi interruppe e mi sospinse per andare dove stava andando.
"Chi era quello?" Christian mi raggiunse e mi strinse un fianco, per farmi camminare.
Non sentendo nessuna risposta lasciò stare.
"Ce la faccio anche da sola!" biascicai ridacchiando, ma appena mi lasciò, presi una storta e caddi sul marciapiede.
E poi come se mi fossi teletrasportata, mi trovai in una macchina all'interno rosa.
"Am?" Mi chiamò qualcuno e mi voltai a destra: era Sam.
"Sì?"
"Lo sai che la gente dice che quando sei ubriaco dici quello che pensi veramente?" Spalancò la bocca e lo feci anche io.
"Davvero?" domandai.
"Sì, quindi adesso dimmi qualcosa di sincero."
"Non sono sincera e tu?" Prolungai la 'u' e qualcuno rise.
"Voglio essere una tovaglia!" Si sdraiò sulle mie gambe e Christian la spostò nel sedile affianco.
"Amanda? Capisci quando parlo?" Manuel schioccò le dita davanti ai miei occhi diverse volte.
"Certo che capisco!" Incrociai le braccia al petto e mi imbronciai, mi credevano stupida!
Lo trucidai con lo sguardo e volli chiacchierare con Samantha, ma quando mi girai la vidi dormire, di nuovo.
Mi appoggiai al finestrino di quella macchina lunga lunga e cercai di decifrare ciò che c'era fuori.
Era tutto appannato, così passai una mano sul vetro, ma non servì a niente dato che continuai a vedere tutto sfocato; decisi che i miei occhi erano il problema, ma immaginai che se Sam fosse stata sveglia non mi avrebbe permesso di stropicciarli, quindi stetti ferma.
Continuai a guardare fuori e fuori continuava ad essere un casino: le luci soffuse dei lampioni illuminavano alcune panchine marroni con la rugiada in bella vista.
Che senso avrebbe avuto l'arrivo dell'inverno?
Odiavo il freddo, odiavo il blu oceano, il nero e qualsiasi colore mi ricordasse l'inverno.
Eppure ce lo avevo dipinto nel soffitto, il nero.
Il blu lo odiavo, ma allo stesso tempo lo ammiravo, ammiravo la profondità di un oceano, di un cielo infinito, di occhi espressivi.
Ma gli occhi blu erano rari, come erano rare le persone che odiavano il blu.
Aveva ragione Juan, ero brava a lamentarmi, ma non ero brava a cercare di cambiare le cose che non mi convincevano.
Forse perché spesso mi accontentavo di accontentarmi, ma davvero mi sarei accontentata ancora per molto di vedere Mattia lontano da me?
"Ma sei impazzita?!"
Christian mi attirò a sé e lo guardai confusa.
"Che c'è?!"
"Non puoi uscire dalla limousine se non è ferma!" Mi rimproverò e cercai di dimenarmi.
"Devo risolvere delle cose!"
Sembravo una formica che stava cercando di sollevare una roccia, ma continuai a sopravvalutarmi.
"Adesso?" domandò eloquente.
"Sì, adesso" asserii.
"Non sai cosa stai dicendo, sei ubriaca."
"Non sono ubriaca!" Gli diedi un pizzicotto sul braccio e cercai di riprendere fiato.
"Risparmia gli sforzi." Mi consigliò il mio amico e mi arresi: avrei dovuto attendere un altro giorno per chiarire con Mattia, anche se probabilmente sarei impazzita.
"Cos'è questo rumore!" Sam guizzò seduta e tutti sobbalzammo, come faceva a russare un secondo prima e poi sedersi?
"Niente, l'ora in limousine è quasi finita e per colpa vostra non ce la siamo potuti godere!" Si lamentò Manuel.
"Vaffanculo!" Scappai dalle braccia distratte di Christian e mi sedetti vicino a Sam.
"Non avete fatto altro che essere un peso durante tutta la serata! – la macchina frenò e nel fondo della mia sobrietà me la presi – e parlo soprattuto di te, Samantha." Christian la indicò e lei scoppiò a ridere.
"Non mi interessa se i tuoi genitori non ti danno le giuste attenzioni e se ne sbattono se torni a casa dopo settimane, rischi sempre grosso mischiando farmaci e alcol."
Sam prendeva farmaci?
"Stai esagerando." Venne Manuel in soccorso di Samantha, ma fu troppo tardi siccome i suoi occhi erano sul colmo di straripare.
"Fottetevi tutti quanti!" disse singhiozzando e scese agilmente dalla macchina.
"Sei un idiota, Chri!" Manuel scese dalla limousine.
"Non volevo farla piangere" disse Christian sgomentato, anche lui scendendo dalla macchina.
"Dovresti scendere anche tu." La voce roca dell'autista mi fece rabbrividire e senza farmelo ripetere due volte, balzai giù dalla macchina e inciampai sull'asfalto.
"Dove vai, Amanda?"
"Torno subito – vidi Mattia di sfuggita svoltare verso un vicolo – torno subito." Trattenni un sorriso, ma Chri mi afferrò per un braccio.
"Ma torni subito veramente."
"Sì." Lo trucidai con lo sguardo, mi bastava già Riccardo come fratello protettivo.
Tolsi gli stivali, li agguantai e corsi verso Mattia che, sarai pronta a giurarlo, stava parlando con tizio che conosco benissimo, ma in quel momento non fui in grado di collegare il suo volto al suo nome.
Feci per rimettermi le scarpe, ma pestai qualcosa di appuntito.
"Cazzo!" Imprecai e attirai l'attenzione di Mattia.
Ora non c'era nessuno accanto a lui.
Mi guardò vituperante e si voltò di nuovo, non dopo aver esitato.
"Mattia!" Lo chiamai e il mio fastidio per la sua indifferenza, scaturì nel suo nome.
"Che vuoi!" Si voltò meccanicamente, come se sapesse già che lo avrei chiamato e che si sarebbe dovuto girare.
"Ti devo parlare."
Il via vai di persone divenne un problema e così io stessa proposi di toglierci di mezzo.
"Perché cammini in quel modo?" Mi guardò con pena.
"Ho pestato qualcosa, non lo so, ti ho visto e ho iniziato a correre senza scarpe e..."
"Okay, se farà infezione mi sentirò in colpa." Mi fece sedere sul cemento e se fossi stata più sobria, avrei fatto più attenzione nell'evitare che lui scorgesse le mie mutandine arancioni e avrei commentato il suo perenne 'sentirsi in debito e mettere le mani avanti'.
"Ahi!" Mi lamentai in un suono acuto e lui estrasse dalla pianta del mio piede un pezzo di vetro.
"Sei fortunata che ho un pacco di fazzoletti dietro."
Tamponò la piccola ferita e socchiusi gli occhi.
"Non dovevi andare al Milk?"
Non seppi per quale motivo, ma abbozzai un sorriso.
"Non avevo la prevendita e non c'era più posto."
"E quindi adesso che fai?"
La mia domanda fu interrotta dalla suoneria del suo telefono.
"Sì... sto arrivando" farfugliò e ripose subito dopo il telefono in tasca.
"Che fai... adesso?" Mi domandò, come se fosse obbligato ad interessarsi a me.
"Non lo so" dissi infilandomi nuovamente gli stivali.
"Che hai fatto alle dita?" Le indicò e in risposta feci spallucce.
"Non so aprire una scatoletta di tonno da sola. E nemmeno tagliare un cetriolo intero."
"Perché non mi hai chiamato? – lo disse così a bassa voce che immaginai di essermelo sognata – vieni con me. Sei ridotta malissimo." Mi afferrò per un braccio e mi feci guidare da lui.
"Ma dove stiamo andando?" domandai con un filo di voce: me lo sentivo, dovevo vomitare.
E nemmeno il tempo di finire di pensarlo, che due conati riempirono il silenzio di quel vicolo.
"Ti prego, no..." Si lamentò Mattia e io tentai di inspirare ed espirare lentamente per farmi passare la nausea.
"Tranquillo, non devo vomitare!" Lo rassicurai stizzita e continuai a camminare verso la direzione nella quale stavamo andando, sperando vivamente che non dovessi davvero vomitare.
"Perché non mi hai chiamato, Am?"
Non suonò come una domanda, eppure lo era; e il fatto che mi chiamò Am mi rassicurò, non ero una sconosciuta per lui.
Feci finta di non aver sentito e mi unii istintivamente alle persone accalcate davanti ad un cancello.
Stupida stupida stupida
"Amanda." Mi richiamò Mattia e sentii l'alcol scorrermi nelle vene.
"Hey, silenzio – lo zittì una voce maschile davanti a me – siamo davanti all'entrata di Torino sotterranea e teoricamente non potremmo essere qui a quest'ora."
Sentii l'odore di Mattia pizzicarmi le narici e immaginai che si fosse avvicinato a me.
"Siamo in tutto venti – mi sporsi in avanti e capii che fosse Josh quello a parlare e che di fianco a lui c'era Megan – adesso..."
La mia concentrazione non riuscì a reggere e capii la metà delle cose che aveva detto Josh, ovvero che probabilmente avremmo incontrato satanisti intenti a fare massonerie.
"Ma tu sai a cosa stiamo andando in contro, vero? – il suo fiato solleticò il mio collo e rabbrividii, ma mi costrinsi a dare la colpa al vento – se hai paura di vedere un film come l'esorcista non immagino come tu possa scendere sotto quindici metri di scale e vedere una città sotterranea satanica."
Ah, sul serio?
"Non ho paura" dissi sicura di me.
"Perfetto, allora buona fortuna" disse seguendo la fila indiana che si era incamminata per scavalcare il cancello e improvvisamente non mi sentii più così sicura.
Mi aveva davvero lasciata da sola?
"Aspetta!" strillai e tutti mi fecero segno di fare silenzio: quasi mi ruppi una gamba per scavalcare quel maledetto cancello senza l'aiuto di nessuno e probabilmente tutti avevano avuto l'opportunità di vedere la mia caduta in diretta.
"Scesa questa rampa di scale, ognuno sarà responsabile di se stesso." Annunciò Josh e cercai di stare il più appiccicata possibile al ragazzo davanti a me, ma appena iniziai a scendere le scale, non vidi più niente: era buio pesto.
Con l'aiuto del muro scesi lentamente le scale e un odore di umidità e di roba andata a male mi pervase le narici. Dove cazzo ero finita?
Vidi in lontananza una luce soffusa e immaginai che qualcuno avesse acceso una torcia, così continuai a scendere le scale fatte in pietra nel tentativo di raggiungere la luce, ma più mi avvicinavo, più sembrava che la luce si allontanasse; era una presa in giro, come la convinzione che la luna ti segue mentre guardi fuori dal finestrino di una macchina.
Mi arresi e mi voltai nel verso opposto per uscire da quella specie di cantina.
Salii il primo gradino, il secondo e al terzo qualcosa mi sfiorò la spalla, ma non ci diedi importanza.
Accelerai, per quanto possibile, il passo e questa volta sentii chiaramente che qualcuno mi toccò un fianco.
"Chi sei?" domandai terrorizzata, ma come risposta ricevetti solo il mio eco fischiare nelle mie orecchie.
Poi sentii uno scalpiccio, qualcuno mi afferrò bruscamente per il braccio e cacciai un urlo.
Venni trascinata giù dalle scale e fui obbligata a correre verso diversi cunicoli, che riconobbi solo attraverso il tatto.
"Am, sono io!"
Mattia mi appoggiò al muro.
"Qualcuno mi ha toccato la spalla!" sussurrai, convinta che alle mie spalle ci fosse qualche maniaco.
"Sei solo ubriaca."
"No, ti assicuro che..."
"Fidati."
"E tu cosa ci fai qua?"
"Ti stavo aspettando ma non ti muovevi, poi ti ho sentita delirare."
Mi imbronciai e mi divincolai dalla sua presa.
"Me ne stavo andando, a dire il vero." Ammisi sinceramente e lo sentii allontanarsi da me, anche se odiai quel gesto.
Era questa la cosa figa da fare ad Halloween?
Cercare di non fratturarsi le gambe sotto una cantina buia?
"Di cosa volevi parlarmi?"
Immaginai la sua schiena aderire contro il muro.
"Odio starti vicino, ma ho scoperto che odio ancora di più starti lontano."
"E perché odi starmi vicino? E soprattutto perché dovresti starmi lontano?"
"Perché mi hai alzato la voce" sussurrai imbarazzata.
Adesso mi prenderà per stupida fra tre, due, uno...
"E quindi ti sei spaventata perché credi che se alzo la voce, posso essere potenzialmente un uomo di merda."
"Esatto."
"Perché non me ne hai parlato?" Avremmo evitato di ignorarci per settimane!"
"Perché aspettavo che fossi tu a parlarmi. E soprattutto volevo le tue scuse."
Mi appoggiai completamente al muro e feci per sedermi, ma poi mi venne il terrore di sentire qualche scarafaggio e repressi l'idea.
"Scusa allora."
"Mi stai chiedendo scusa per farmi contenta o..."
"Ti sto chiedendo scusa perché voglio chiedertelo. Sono scuse sincere."
"Scuse accettate."
Passarono altri minuti in cui nessuno proferì parola.
"C'è dell'altro?"
"Sì."
Glielo dico o non glielo dico?"
"Perché proprio io?"
"Cosa?"
"Perché scegliere proprio me? Ma guardati, tu sei Mattia Ferra, uno dei ragazzi più belli della scuola se non il ragazzo più bello della scuola! E scegli me, solo me."
"Sei davvero stupida."
Mi offesi terribilmente.
"Okay. È meglio che trovi l'uscita il prima possibile da questo stupido covo."
Feci per andarmene, ma i miei giramenti di testa non mi aiutarono affatto.
"Sei davvero stupida perché odio il fatto che non ti renda conto di quanto sei bella. Hai sempre gli occhi puntati addosso, ovunque. Li hai fuori da Bershka, a scuola, per strada... Perché non te accorgi? Hai degli occhi bellissimi, non riesco mai a capire di che colore sono, forse verdi.
Hai quella fossetta che ogni volta vorrei baciare – arrossii violentemente – quell'accento spagnolo così attraente, quei capelli lunghi e morbidi... e poi nessuno e dico nessuno, mi ha mai portato in giardino nel bel mezzo della notte per giocare al gioco delle domande. Sei tutta da scoprire Amanda e beato chi ha questo privilegio."
Mi pietrificai.
"Perché non hai bussato alla mia porta finestra?"
"Non sopportavo l'idea che una ragazza mi avesse conquistato con uno stupido gioco sopra uno stupido copriletto sull'erba. Credevo che mi saresti stata indifferente, ma non lo sei, non lo sei per niente."
"Nemmeno tu mi sei indifferente."
Perché mi spaventa a morte quella dichiarazione improvvisa?
Forse perché ero ubriaca, forse perché non ci volevo credere, il mio cervello non voleva saperne di assorbire le sue parole.
Hai conquistato Mattia Ferra
Quando pensai che non avrebbe più spiccicato parola, diede segni di vita.
"Non voglio prenderti in giro, Amanda – perché diavolo ogni cosa che diceva lui suonava terribilmente perfetta? – è solo che... io non sono uno che corre."
Eh?
"E perché, io sì?" Mi voltai di lato, anche se non riuscii a scorgere il suo viso nemmeno di un po'.
"Beh, se ti aspettavi che dopo tre giorni – li aveva contati anche lui allora! – ti facessi la proposta di matrimonio..."
"No, scemo! – lo interruppi e con le mani lo cercai per dargli una pacca – non pretendevo niente, solo che..."
"Solo che ti chiedessi il fidanzamento?"
Stava chiaramente sorridendo e ahimè, veniva da sorridere anche a me.
"No, ma che almeno facessi chiarezza sul nostro rapporto. Non credo nelle vie di mezzo."
"Nemmeno io ci credo."
"Strano. Le mie orecchie sanno altro."
"Cioè?"
"Cioè non hai una bella reputazione."
"Forse l'anno scorso."
"Rassicurante."
Deglutii rumorosamente e le sue labbra si poggiarono sulle mie, dopo averle cercate a tastoni.
Inizialmente fu un bacio lento, ma quando le sue mani scesero lungo i miei fianchi, un tepore piacevole si irradiò su tutto il mio corpo.
Gli allacciai le braccia al collo e lui mi strinse di più a sé, provocando ad entrambi un gemito.
"Mhm, spero che non sia vera la faccenda dei fantasmi qua sotto..." dissi contro le sue labbra e lui mi zittì, tappando completamente la mia bocca contro la sua.
"Vodka alla fragola, eh..." biascicò contro la mia bocca.
"E tu vodka alla pesca" dissi in contraccambio.
"Si ma... – mi mordicchiò un labbro – almeno io mi so controllare, tu no."
"Hey!" Mi staccai completamente da lui.
"Dove vai?" chiese in un sorriso e mi afferrò bruscamente per un braccio; scommisi che il giorno seguente mi sarebbe ancora rimasto il segno.
"Io so controllar..." Non mi fece nemmeno terminare la frase e si avventò sul mio collo.
"Mattia." Lo chiamai, ma non mi diede corda, troppo impegnato a mordicchiare la pelle sensibile del mio collo.
Si staccò e passò alla mandibola.
"Comunque ti preferisco da ubriaca. Sei più audace – smise di torturarmi – e mi faresti uscire di testa se fossi così anche da sobria."
Non seppi se offendermi o prenderlo come un complimento.
"Dormi da me?" Mi stampò un bacio.
"Ci devo riflettere."_\|\_\|||\_|~|\______\|~<\_
Scusatemi per l'assenza.
É davvero un periodo particolare e non ho più il tempo di prima per aggiornare.
Cercherò di fare del mio meglio,promesso.
♥️♥️
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Io e te. Il resto non conta.
Teen Fiction[IN FASE DI REVISIONE] Nella tranquilla cittadina di Adrogué, la vita di Amanda, una ragazza appena uscita dalla sua quinceañera, sta per prendere una svolta inaspettata. Dopo aver scoperto che l'uomo che ha sempre chiamato padre non è tale, Amanda...