Capitolo 39

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Riccardo's Pov

"Allora Riccardo... come ti stai trovando?" Strinsi le maniche della mia felpa e sospirai. La dottoressa Azito si tolse gli occhiali per una frazione di secondo e li appoggiò sul tavolo frapposto tra noi.
"Bene." Feci spallucce e incurvai la schiena; quello stupido letto era più scomodo di una roccia!
"Come ti sembrano i tuoi compagni?" E come cazzo dovevano sembrarmi?
"Problematici come me. Saremo tutti in comunità per un motivo, no?"
Aprì la sua agenda e appuntò qualcosa.
"Riesci a dormire?" Mi domandò, senza staccare gli occhi da quei fogli bianchi.
"Sì." Serrai la mascella.
"Riccardo – mi ammonì, sapevo perfettamente cosa stesse per dire – perché non sei sincero con me?"
"E tu perché mi fai delle domande del cazzo se conosci già la risposta?!" Tirai un pugno sul tavolo e come ormai da copione, lei non reagì. Non si scompose nemmeno di una virgola.
"Perché voglio sapere le cose da te. Ho saputo che tutti hanno cercato di includerti in una conversazione, in un gioco di squadra, in mensa, ma ti isoli sempre. Perché fai così?"
"Perché non sono interessato a interagire con quelli."
"Guarda che noi ti vogliamo aiutare, ma devi venirci in contro anche tu. Che cosa credi, che gli educatori non abbiano sentito tutti i tuoi incubi? Da quanto è che hai ripreso a sognarla?"
"Se mi voleste aiutare davvero mi fareste fumare tutte le cazzo sigarette che voglio, mi fareste parlare quanto cazzo mi pare con i miei e non mi rinchiudereste alle nove di sera come si rinchiudono i cani al canile! Che razza di posto è questo!" Mi coprii il volto e desiderai non aver mai ingoiato tutte quelle pasticche di sertralina. A quest'ora non sarei qua, non sarei insieme ad altri scarti della società come me, non starei parlando con una tizia che vuole imbottirmi solo di farmaci per farmi stare buono, non starei peggio di prima e fumerei erba in pace.
Perché? Perché l'ho fatto?
"Ti prego, ti prego – intrecciai le mani in segno di preghiera – se mi farai uscire farò il bravo, non farò più cose da pazzo, non prenderò più niente a pugni, non mischierò più farmaci e alcool, non farò più parkour saltando da un palazzo all'altro, non..."
"Riccardo – interruppe le mie preghiere – non uscirai di qua finché non mi dimostrerai di stare meglio. Adesso vai a fare attività con gli altri. Ti verrà aumentata la terapia."
"Vai a fare in culo, stronza! Te lo hanno detto che se mi trattieni qua non ti aumentarono il tuo stipendio da fame? Ti odio!"
Mi misi il cappuccio in testa e feci appello a tutte le mie forze per non ribaltare il tavolo.
Non farlo, altrimenti scatterà il codice giallo
Soffocai tutte le mie intenzioni e uscii da quella stanza squallida con una rabbia disumana dentro, ero un vulcano pronto a esplodere e trasformare tutti in pietra con la mia lava.
"Qualcuno mi dia una sigaretta o giuro che accoltello tutti! Avete capito?!" Un'educatrice mi intimò di andare in area fumatori e fui accontentato.
"Ti facevo più furbo, sai?" Il ragazzo che cercava di interagire con me più di tutti si accese una sigaretta e consegnò l'accendino all'educatrice.
"E tu chi cazzo sei?" Aspirai fortissimo.
"Hai la memoria corta Riccardo, ci siamo presentati una settimana fa, però possiamo rifarlo se vuoi. Piacere, Alessandro." Mi porse la mano, ma gliela schiaffeggiai.
"Oh sì, quello che cerca sempre di attaccare bottone. Perché non vai a giocare con gli altri polli?"
"E tu pensi di essere superiore a loro? – si avvicinò pericolosamente a me – ho una notizia per te, non lo sei, sei uguale a tutti loro perché guarda un po', ti ritrovi qua come tutti quanti."
"Perché ci tieni tanto a parlarmi? Per caso qualcuno ti ha dato il compito di farlo? Ti hanno detto che se lo fai uscirai prima di qua?" Gli soffiai il fumo in faccia.
"No in realtà, ma sarebbe stata originale come possibilità – aspirò tre volte – mi stai simpatico, a pelle, tutto qua."
Finimmo di fumare in silenzio e buttammo i mozziconi di sigaretta a terra.
"Sappi che finché continuerai a fare sta scenate melodrammatiche non ti daranno nemmeno i permessi. Devi essere furbo, Rik."
Lo guardai di sbieco e ci dirigemmo nella sala ricreazione.
"Luisa, puoi portarmi i miei mandala?" Quest'ultima gli sorrise e fece come gli aveva chiesto.
Già, non potevamo nemmeno tenere in camera un semplice libro, dei semplici disegni da colorare, dei pennarelli, niente di niente, veniva custodito tutto dagli educatori.
"Ah, anche Riccardo ne vuole uno" aggiunse, anche se io non manifestai questa richiesta in alcun modo.
Luisa mi portò un mandala, intitolato 'porca puttana: calma la tua rabbia'
Trattenni una risata e ne conservai un po' per Luisa: lei era l'unica che tolleravo.
Alessandro mi passò i pennarelli e scartabellai quella sorta di libro delle parolacce per sceglierne una e optai per per 'faccia di merda'.
Avrei dovuto passare il tempo in qualche modo, in ogni caso.
"Ottima scelta" commentò il ragazzo di fronte a me, quando buttò l'occhio su ciò che stavo colorando. Guardai fugacemente il suo e lo vidi intento a colorare la parola 'sticazzi'.
Non male.
"Allora? Come mai hai l'onore di essere qua?" esordì dopo un po'.
Finii di colorare la lettera 'd' e chiusi il pennarello verde.
"Perché è da un po' che faccio cose strane e pericolose." Aprii il pennarello marrone e iniziai a calcare la lettera 'm'.
"E perché le fai?" Non distolse lo sguardo dal suo capolavoro.
"Non lo so. A volte sento di doverle fare, forse per vendetta, forse per ricordarmi che esisto, forse perché ho problemi in testa e basta."
"Beh, tutti abbiamo problemi in testa." Le risate di un tavolo in fondo alla sala colmarono quel momento di silenzio.
"E perché ti isoli sempre? Cosa credi, che la gente in questa stanza faccia cose completamente diverse dalle tue?"
"No, semplicemente alcuni mi inquietano più di altri."
"Ad esempio?"
"Quella con i capelli di uno spaventapasseri."
"Jasmine?" Ci rifletté qualche istante.
"Sì, esatto." Feci per fissarla, ma Ale mi diede un calcio da sotto il tavolo.
"Non fissarla, capirà che stiamo parlando di lei e non mi interessa farla arrabbiare."
Distolsi immediatamente lo sguardo e decisi di colorare i fiori intorno alla parolaccia anziché finire le lettere.
"Perché lei è qua?"
"Diciamo che ha problemi di rabbia, un po' come te – alzai gli occhi al cielo – ah e ha cercato di soffocare la sorellina di un anno con un cuscino."
Smisi di colorare gradualmente e alzai lo sguardo verso di lui.
"Che c'è, non vorrai mica giudicarla per questo?" alzò un sopracciglio.
No, non l'avrei giudicata per quello; d'altronde nella mia vita avrei voluto soffocare tante persone, la differenza era che lei era passata ai fatti e io agivo solo contro me stesso.
"No, non la giudicherò per questo. È solo inaspettato, credevo fosse una rapinatrice e basta." Ripresi a colorare il mio mandala, mentre Ale trattenne una risata.
"E che mi dici di quello con i capelli neri pieno di tatuaggi?"
"Alex, lo spaccino di fiducia. Sua nonna ha avuto un tumore e per questo prevedeva oppiacei, glieli ha rubati e li ha venduti a €50 a pasticca."
Okay, lui era un genio. Mi stava già simpatico.
"E quello che disegna cerchi su un foglio di continuo da solo?"
"Dennis. Poverino, lui è schizofrenico, spero possa migliorare."
Mi intristii per qualche secondo e cambiai pennarello.
"Invece lei è l'unica di cui ricordo il nome, Cassandra." La indicai con un cenno minuscolo della testa. E come dimenticarsi di lei, con quelle braccia e gambe sottili come i grissini.
"Lei è stata rapita per poi essere stata tenuta prigioniera per mesi." Avrei preferito non saperlo. Immaginai solo cosa le fosse stato fatto.
"E non mangia per questo?"
"A quanto pare..."
Scartabellai di nuovo quel libro e cambiai parolaccia, nonostante non avessi finito il primo foglio.
"Quello con i capelli rossi sembra molto furbo."
"Lo è – si schiarì la voce – Erik, tossicodipendente, ha subito abusi dal padre e..."
"Cazzo! Questo sì che è pesante." Mi bruciò lo stomaco e feci una smorfia per il dolore. Ma che diavolo di gente esisteva al mondo? Non sapevo chi fosse messo peggio fra tutti quanti.
Finii di colorare due disegni interi in totale silenzio e mi sentii davvero più tranquillo; chi lo avrebbe mai detto che colorare parole come faccia di merda e buco di culo mi avrebbe fatto calmare?
"E tu invece?" Ale continuò a colorare come un treno.
"Io... cosa?"
"Perché sei qua?"
Chiusi il libro definitivamente e gli prestai la mia attenzione.
"Perché ho subito una grave ingiustizia – chiuse il tappo del pennarello rosa e mi guardò negli occhi – ho rifiutato una ragazza e questa si è inventata che l'ho violentata, ti rendi conto?"
Strinsi i pugni e se solo i suoi occhi non mi avessero dimostrato un'assoluta sincerità, lo avrei ucciso di botte: odiavo quei maschietti che si credevano Dio e che trattavano le femmine come oggetti. Li avrei usati come sacchi da boxe per sfogare la mia rabbia.
"Ma tu..."
"Certo che no! Anzi, è stata lei a chiedermelo e io le ho sempre chiesto fino all'ultimo se fosse sicura, dicendo fin dal principio che non avrei voluto qualcosa di serio e lei si è inventata questa puttanata creando anche screen falsi in cui la insultavo."
"Ma è disturbata?"
"Mi sa di sì a questo punto, sta di fatto che adesso lei è libera e io sto in un posto nel quale non dovrei stare."
"E come fai a essere così tranquillo?" Abbassai il cappuccio della felpa e mi stravaccai.
"Guarda che all'inizio ero come te, deliravo perché non era giusto, non sapevo che avrei incontrato persone con difficoltà simili. Mi è stata diagnosticata la depressione, ma io prima stavo bene. Mi sono ammalato per tutta questa storia, ma sai che c'è? Vado avanti sereno perché so di essere innocente e confido nel lavoro dei miei avvocati."
Qualcosa mi diceva che quello fosse pieno di soldi.
"Che troia questa, non ha un minimo di coscienza."
"Pazienza. Appena verrà dimostrato che lei si è inventata tutto quanto le chiederò un risarcimento di milioni di euro."
"Però, dimmi – mi avvicinai di più a lui – come fai a sopravvivere in questo posto? Non senti l'aria che si respira?"
"Certo che la sento, come sento tutte le grida, la tossicità di questo ambiente, però devi essere furbo; devi far credere a tutti quanti di stare meglio."
"E come faccio?" Mi aggrappai con tutto me stesso a quei consigli.
"Sii obbediente, prendi la terapia senza fare capricci, dimostra calma e fiducia, fai finta che tutto ciò ti stia aiutando. Chi ha avuto un atteggiamento del genere è uscito dopo due mesi, chi ha opposto resistenza è rimasto molto più a lungo."
Avrei fatto tutto il possibile per uscire da quel posto, a costo di ingerire tutti quei farmaci e far finta di aprirmi con la dottoressa. Sì, era un piano perfetto, avrei iniziato a interagire con gli altri, non avrei fatto più storie per le sigarette, non avrei più urlato nel mezzo del corridoio ed entro poco sarei uscito.
Quei due mesi mesi sarebbero passati volando.
Iniziai ad applicare quei consigli fin dall'ora dopo, a pranzo. Avevo visto che Cassandra si era seduta da sola, così mi ero seduto vicino a lei. Alessandro mi aveva imitato.
"Ciao" dissi solamente e la ragazza dagli occhi di ghiaccio sollevò lo sguardo. Sembrava di fissare un ghiacciaio in grado di riflettere la tua figura.
I ricci sfibrati le ricadevano sulle spalle e il suo corpo sottile era nascosto in una felpa che le andava tre volte più grande.
Fissai il suo vassoio e ci trovai solo una mela verde.
"Io sono Riccardo" dissi con la bocca piena, ma lei continuò a fissare terrorizzata quella stupida mela.
"Cassandra." Concentrò i suoi occhi blu sul mio vassoio e lo guardò schifata; non le piaceva ciò che avevo intenzione di mangiare?
"Ho notato che ultimamente leggi tanto, è la tua passione? Anche io amo leggere" commentò Ale.
"Davvero? – deglutii – non sembri un nerd da liceo."
"Già, sono pieno di sorprese."
"Cosa leggi?" chiese ad Ale.
"Delitto e castigo." Presto un ghigno si allargò sul viso di Cassandra.
"Bello lungo, me lo presti?"
"Ti piacciono i libri lunghi?" domandai. Io non ne avevo letto uno in vita mia, nemmeno quelli per la scuola.
"Io odio leggere, ma ho scoperto fa bruciare calorie ed è un'ottima cosa dal momento che non mi fanno correre in cortile."
Ma che cazzo?!
"Ma se..." Il calcio di Ale mi fece capire che dovevo tenere la bocca chiusa e dovetti mordermi la lingua per farlo. Come diavolo si arrivava ad essere così magri? Ma come faceva a non morire di fame? Non si rendeva conto che non rimaneva più nessuna caloria da bruciare? Rischiava di morire?
Presi un bicchiere d'acqua e glielo porsi, doveva idratarsi perlomeno!
"Non ho sete, grazie."
"Sì invece, hai le labbra secche."
"L'acqua fa ingrassare" disse ovvia.
"Ma che cazzo dici?" Mi indignai per quella cazzata stratosferica e Cassie si alzò dal tavolo correndo via.
"Capisco che tu hai delle buonissime intenzioni, ma se vuoi sopravvivere non devi fare il crocerossino con nessuno; fidati, finiresti direttamente al manicomio se cercassi disperatamente di salvare qualcuno qua dentro, non è compito tuo."
"Ma..."
La mia opposizione venne interrotta dagli occhi impauriti di Ale. Quando mi voltai, era troppo tardi: il tavolo ci era stato lanciato addosso.
"Chi cazzo è stato?!" Mi alzai come una furia e sentii il mio naso pulsare. Per la rabbia spostai il tavolo in tre secondi e vidi Dennis in piedi, di fronte a noi che ansimava: era stato lui.
Mi avventai immediatamente su di lui e quando il mio pugno stette per fratturargli ogni singolo osso della faccia, il mio subconscio mi fermò.
È schizofrenico, non è colpa sua
"Codice rosso!" gridò il capo degli educatori e legarono Dennis, il quale continuò e guardarsi intorno in modo compulsivo.
Il mio naso iniziò a grondare di sangue e Luisa mi sorresse.
"Se mi hai rotto il naso ti faccio fuori stronzo, è l'unica cosa perfetta che ho!" strillai in preda al dolore e macchiai il maglione giallo di Luisa.
"Ha il naso rotto?" Ale corse vicino a me, lui non si era fatto niente, il tavolo non lo aveva preso in pieno, a differenza mia.
"Andate via" ordinò un'altra educatrice e fui portato in sala infermieri, con un fazzoletto premuto in faccia.
"Stai meglio?" Mi chiese Luisa dopo dieci minuti di ghiaccio. Il naso aveva smesso di sanguinare.
Tolsi quella roba gelida e lei appoggiò delicatamente le dita sulla piramide del naso.
"Ti fa male?" Scossi la testa e lei continuò a tastarmi la faccia.
"Non sembra rotto, hai preso solo una piccola botta."
"Una piccola botta? Ho preso un tavolo in faccia!" Luisa trattenne una risata per il mio tono buffo.
"Tieni ancora il ghiaccio e sarai come nuovo." Me lo porse e feci come mi aveva detto.
"Perché? Perché hai scelto di fare un lavoro così di merda?"
"Non è un lavoro di merda." Mi contraddì.
"Ah no? Guarda che Dennis avrebbe potuto colpire anche te."
"Lo so. Ma è un lavoro con tante sfaccettature, guarda che sono stata anche nelle comunità per adulti."
"E là era meglio?
"Conta che avevo a che fare con una che diceva di essere la ex di Renzi." Scoppiai a ridere e il mio labbro superiore si ghiacciò immediatamente, a causa del contatto con il ghiaccio.
"Sempre meglio di stare qua, allora." Accavallai le gambe.
"No, è solo diverso. In neuropsichiatria è diverso, nelle attività a casa con i ragazzi è diverso, qua è diverso."
"Come ti fa a piacere?"
"Sono sempre stata una crocerossina e mi sono detta, perché non fare di questo un lavoro? Immagina fare una cosa che ti è naturale a pagamento?" Non male come ragionamento.
"Ho capito." Sorrisi per quella spiegazione.
"Ho una buona notizia per te" esordì dopo un po'.
"Quale?" Tolsi definitamente il ghiaccio dalla mia faccia, ma non mi fasciai la testa: al massimo mi avrebbe comunicato che mi avrebbero cambiato il materasso.
"Alessandro sarà il tuo compagno di stanza!"
Questa sì che era una bella notizia, quello più normale sarebbe stato il mio compagno di stanza.
Quando fu l'ora delle chiamate mi precipitai nell'ufficio degli educatori, mi mancava sentire la voce di mamma.
"Mi raccomando, quindici minuti." Mi ricordò Stefano.
"Metti pure il cronometro, stronzo."
Sapevo che la chiamata intera sarebbe stata ascoltata, ma non mi infastidii, volevo solo sentire mamma.
Composi il numero e attesi che rispondesse.
Non rispose.
Composi nuovamente il numero e scattò la segreteria telefonica. Ancora e ancora.
"Ricky..." Stefano mi appoggiò una mano sulla spalla, ma la scostai immediatamente.
"Non ho bisogno della tua compassione, lei mi risponderà."
Ricomposi quel maledetto numero, ma niente.
"Prova domani, magari..." Corsi in camera mia e chiusi con tutte le forze che avevo la mia cella da prigioniero.
"Che succede?" Ale saettò seduto.
"Che succede?! La stronza della Azito mi ha aumentato la terapia, una mi dice che anche l'acqua fa ingrassare, un altro quasi mi spacca il naso e mia madre non risponde al telefono di proposito!"
"Beh, magari..."
"Magari un cazzo! Che senso ha lottare qua dentro se non ho nessuno che mi aspetta a casa! Come fai a tenerti impegnata l'unico orario nel quale sai che posso chiamarti?!"
Lo sguardo compassionevole di Alessandro bussò al mio cuore, ma non volli farlo entrare.
"E cosa pensi di fare?" Mi buttai sul letto a peso morto, soffocando tutte le grida di rabbia. Ero una Coca-Cola che era stata scossa per troppo tempo e che adesso qualcuno stava cercando di aprire di colpo.
"Hey, calmati, altrimenti se ti sentono scatta il codice giallo."
"No, la puntura di sedativi sul culo no!"
"E allora calmati!" abbassò il tono di voce, affinché io lo imitassi.
"È cento volte meglio la neuropsichiatria, rimpiango ogni giorno della mia vita di aver ingerito tutta quella sertralina!" La mia voce fu ovattata dal mio cuscino e lo morsi con tutta la forza che avevo.
Ale mi accarezzò la schiena e mi calmai gradualmente.
"Andrà meglio giorno dopo giorno, datti tempo." Si sedette sul mio letto.
"Ma certo – abbandonai il cuscino – se la Azito non mi lascerà uscire, lo farò io."
"Eh?"
"Domani scapperò."
"Sai che è davvero da idioti pensare di scappare da questo posto? Ed è ancora più da idioti confessare questa intenzione a qualcuno."
"Perché – mi sedetti – lo diresti a qualcuno di quei falliti?"
"No, ma potrei." Fece spallucce.
"Non hai la faccia di uno snitch."
Ale alzò gli occhi al cielo e si stese sul suo letto.
"Vieni con me, è ingiusto che tu stia qua. È anche la tua occasione."
"Sei bravo a manipolare."
"Buonanotte!" disse in tono cantilenate un'educatrice e ci segregó.

Il mattino seguente fu esattamente come lo pianificai: mi svegliai alle 8:35, feci colazione, stetti sotto il getto caldo per diversi minuti e arrivò il momento di andare in cortile.
"Finalmente brontolo ha deciso di interagire con noi" disse quel bruno montato di Alex.
E tu perché non torni a rubare le medicine a tua nonna?
Meglio non dirlo ad alta voce, quello è il doppio di te
"Già, ho proprio voglia di una bella partita di basket." Ale trattenne una risata ed Erik mi lanciò il pallone da pallacanestro.
"Due contro due?" Alex non mi staccò gli occhi di dosso.
"Va bene."
Io e il mio compagno di squadra facemmo finta di impegnarci e al secondo punto loro, ci passarono la palla.
"Quanto siete scarsi" commentò Erik.
Io e Alessandro ci lanciammo un'ultima occhiata fugace e quest'ultimo lanciò il pallone sul piede di Alex.
"Ma che cazzo fai?"
"Ops, vado a prenderla."
Ale inseguì il pallone con tutta la calma del mondo e quando fu abbastanza vicino al cancello, volai come un falco in picchiata, tagliando l'aria con una rapidità sorprendente. Lui, avendo avuto vantaggio, riuscì a scavalcare il cancello senza alcun ostacolo; gli educatori mi corsero dietro immediatamente e a quel punto saltai, mi aggrappai fino alla parte più alta del cancello, ma Stefano mi afferrò una caviglia.
"Lasciami!" consigliai al capo degli educatori, non mi sarei fatto problemi a tirargli una scarpata in bocca; avrei fatto qualsiasi cosa per non farmi prendere, ero stanco di quella prigione.
"Guarda che peggiorerai solo le cose. Fidati di me, non..." Gli tirai una scarpata in fronte tanto forte quanto bastasse per lasciare la mia caviglia e atterrai fuori da quella merda di posto.
"Scusa Stefy, non volevo." Mi scusai sinceramente e corsi dietro ad Ale. Alcuni educatori cerarono di acchiapparci, ma li schivammo con l'agilità di un ghepardo.
Corremmo fino a quando i nostri polmoni chiesero pietà, fino a quando le nostre gambe cedettero, fino a quando ci intrufolammo completamente nel verde.
"E adesso?"

Io e te. Il resto non conta.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora