Capitolo 29

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Se c'era una cosa che stavo iniziando ad imparare di Mattia, era il suo mostruoso orgoglio.
Dopo che non gli avevo dato quel bacio, non aveva fatto altro che ignorarmi ed essendo orgogliosa anche io, mi ero accontenta di non ricevere nessun messaggio da parte sua.
Eccetto quel venerdì.
Avevo deciso di andare davanti alla sua classe per vedere se mi avrebbe rivolto parola, ma quando buttai un occhio attento nell'aula, non lo vidi.
Sam aveva ragione: non lo aveva mai rifiutato nessuna e perciò non accettava il fatto di corrermi dietro, a questo punto nemmeno dietro alla sua fidanzata.
Scrutai perfino tutti i visi all'uscita da scuola ma niente, era scomparso.
Pensai di tornare a casa con mio zio, ma poi mi ricordai che il venerdì la sua ultima lezione era alle dodici, ciò voleva dire che avrei fatto mezz'ora di pullman per tornare a casa.
"Allora? A te com'è andata storia?"
La mia migliore amica mi risvegliò dallo stato di trance.
"Una merda." Fui sincera.
Mi ero ridotta a studiare cinquanta pagine  la notte prima e ovviamente non era praticamente servito a niente.
Avevo preparato dei bigliettini e avevo scritto qualcosa sulle braccia, ma alla seconda volta che la professoressa continuava a fissarmi, ci avevo rinunciato.
"Anche a me." Mi affiancò del tutto e percorremmo il marciapiede che ci avrebbe condotte alla metropolitana.
"Ho scritto così tante cazzate su quel foglio che lunedì quella di storia valuterà se ridere o piangere – mi acciambellai nel piumino e rabbrividì – oppure se licenziarsi."
"Addirittura?" Scoppiò a ridere.
"Si!" Spalancai le braccia e mi guardai ancora una volta intorno: non c'era alcuna traccia di Mattia.
"Che hai scritto di così tanto spaventoso?"
"Ho fatto molti giri di parole su cose inventate, spero almeno in un quattro."
Soprattutto nell'esercizio del vero o falso dove dovevo giustificare il falso, avevo dato risposte scontate se non stupide.
Della serie, in quale battaglia morì?
Nell'ultima.
"Io so già che è un bel due, ho praticamente lasciato in bianco"disse in modo sbarazzino e pensai di farle la ramanzina, ma finché era il trimestre non c'era tanto da preoccuparsi.
E poi non ero nella posizione migliore per rimproverarla, dato che io speravo in un quattro.
"Alle 23:30 ti passo a prendere in taxi."
Pochi giorni prima avevamo deciso che di venerdì avremmo fatto serata, per premiare tutti i nostri sforzi a scuola (che però lei non fece ed io solo per metà.)
Avevo veramente bisogno di svagarmi dopo quella settimana intensa di scuola.
E non solo dalla scuola...
Tutta la storia di Riccardo mi aveva recato uno stress assurdo. Non facevo altro che pensare a lui e al suo misterioso passato.
Al fatto che non avevo mantenuto il segreto.
E che non vedevo l'ora che tornasse.
"Non vedo l'ora." Sospirai.
"Wow, che ti succede? Solitamente devo pregarti almeno due ore!"
"Invece oggi ho voglia di farmi bella e di fare serata." Feci spallucce.
"Tu sei già bella!"
Mi diede un pizzicotto e sorrisi. "Devi essere più spesso così." Si voltò per scendere le scale della metro.
"Vedremo!" urlai in tono cantilenante, guadagnandomi alcune occhiatacce.
"A dopo!" gridò anche lei di rimando.
Vidi di sottecchi il pullman e corsi alla fermata per prenderlo e finalmente dopo mezz'ora, scesi al capolinea.
Percorsi il solito cunicolo e mi soffermai sul palazzo di Mattia, come se potesse comparire da un momento all'altro.
Pensai di citofonare, ma all'ultimo ritrassi la mano: chi me lo faceva fare di rincorrere un ragazzo al quale non importava nemmeno di vedermi?
Sicuramente non il mio orgoglio!
Istintivamente estrassi il telefono dalla tasca del giubbotto e selezionai la chat con lui.
— Mi aspettavo un po' più di interesse da parte tua, ma va bene così. Buona giornata —
Digitai con le mani gelide affiancando l'ultima frase l'emoj della manina che saluta.
Menomale che non dovevi rincorrerlo
Rimisi il telefono a posto e aprii il cancello di malumore: una parte di me sapeva che sarebbe andata a finire così, ma l'altra (molto più vasta) era troppo felice per pensare alle conseguenze e soprattutto voleva dimostrare a Samantha che si sbagliava.
Ma probabilmente mi sbagliavo io.
Le lacrime salirono agli occhi, ma diedi la colpa al freddo e alla nebbia di novembre.
Entrai lentamente dalla porta finestra e sbattei più volte le palpebre quando lo vidi seduto sul mio letto, concitata da chissà quale emozione.
"Hey" pronunciò a bassa voce.
Riccardo era sul mio letto con il viso stravolto.
Sembrava che per tutto questo tempo avesse assunto delle droghe: era dimagrito di almeno tre chili, la faccia era scavata e gli occhi erano infossati sopra due grandi occhiaie rossastre.
"Diamine, non sai quanto sono stata in pena per te!" Lasciai cadere lo zaino dalle mie spalle e corsi ad abbracciarlo.
"Mi sei mancata" disse contro il mio orecchio freddo e non potei fare a meno di stringerlo più forte, appoggiando la mia faccia sull'incavo del suo collo.
Sapeva di Riccardo, un misto di deodorante, tabacco e menta.
"Anche tu, non sai quanto ti ho pensato e quanto eravamo preoccupati!" Sciolse l'abbraccio e mi guardò negli occhi.
"Ho raccontato tutto a papà – il suo sguardo saettò sul il mio – stanotte.
Mi sedetti vicino a lui e posizionai una ciocca di capelli dietro l'orecchio; era tornato questa notte e non lo avevo sentito?
Dalla sua espressione non riuscii ad interpretare se fosse andata a finire bene o male.
Un senso di colpa mi schiacciò lo stomaco: Marco e Jess sapevano tutto da un pezzo.
"Gaia è andata ad abortire."
Lo disse con un tono così monocorde, che sembrò avesse appena letto una frase di analisi logica.
Anche se nessun professore di italiano sarebbe stato così malvagio, da far analizzare una frase del genere ai propri alunni.
"E tu eri..."
"No – non mi fece terminare la frase – ma era una decisione che spettava solo a lei, insomma... Avrebbe dovuto tenere lei quel coso nove mesi in pancia."
Rabbrividii solo al pensiero.
"Adesso come stai?" Mi avvicinai di più a lui con il sedere.
"Bene. Sto bene."
Riccardo non era più Riccardo, qualcosa in lui era cambiato, ma non sapevo cosa.
Era Riccardo solo in aspetto fisico, ma mi sembrava di parlare con uno sconosciuto.
Non stava affatto bene, lo sapevo.
Era difficile scindere l'affetto che provavo per lui e vedere com'era nella realtà: un cattivo ragazzo che combinava tanti guai.
O magari un bravo ragazzo che faceva cose cattive, il risultato era sempre lo stesso no?
Avevo sentito addirittura delle malelingue a scuola sparlare di un certo Riccardo Rinaldi, ovvero il bellissimo figlio del professor Rinaldi.
Questo voleva dire che aveva pure frequentato delle ragazze della mia scuola.
Cancellai immediatamente quei pensieri dalla mia mente e feci finta di credergli.
"Nessuno di noi è perfetto, basta riconoscere di aver sbagliato e cercare di migliorarsi – gli diedi un buffetto – e già il fatto che tu abbia riconosciuto i tuoi errori è un buon segno."
Me lo diceva sempre zia Jess al telefono, quando la chiamavo perché avevo litigato per l'ennesima volta con mia madre o con Juan.
"Lo sai che Jessica mi ha detto la stessa e identica cosa?" Ricambiò il mio sorriso.
"Si vede proprio che è mia zia! – mi alzai dal letto e battei le mani – adesso che hai intenzione di fare?"
Ero molto curiosa di sapere quali fossero i suoi piani per diventare una persona migliore, ammesso che pianificasse tutto come facevo io.
"Se ti dicessi che lo so sarebbe una bugia, ma adesso voglio solo pensare a stare bene e..."
"Wow, questa vacanza ha migliorato i tempi verbali!" Gli diedi una gomitata ammiccando, sotto il suo sguardo sinistro che accolsi con un sorriso.
"Ho intenzione di fare la patente e magari trovare un lavoro." Si alzò in piedi anche lui.
Niente male come piano.
"E per riprenderti devi mangiare, a momenti     scompari!" Lo squadrai dalla testa ai piedi.
"Hey, non esageriamo! – mi diede una spintarella  e alzò di poco la maglia a maniche lunghe del pigiama blu che notai solo in quel momento – la mia tartaruga è ancora scolpita!"
"Sì, ma la tua faccia è troppo scavata e le tue gambe sono due stecchini; poi è facile avere la tartaruga evidente se sei magro magro!"
Incrociò le braccia al petto e si offese.
"È facile avere la tartaruga se sei magro" scimiottò la mia voce, gesticolando esageratamente.
"Io non parlo in quel modo!" esclami con voce stridula.
"Sì, invece." Insistette ed alzai gli occhi al cielo.
"A parte tutto, sono contenta che tu sia di nuovo qui."
Gli sorrisi timidamente, ammettere i sentimenti ad alta voce a volte mi imbarazzava.
Un po' come quando dovevi leggere la poesia che ti aveva fatto scrivere la maestra ad alta voce.
Erano imbarazzanti le emozioni.
"Anche io." Mi scompigliò i capelli e mi diede un ultimo abbraccio intenso.
Dopo aver riscaldato la pasta al forno avanzata il giorno prima, ci sedemmo l'uno di fronte all'altro.
"Jess e Marco come l'hanno presa?"
Improvvisamente si irrigidì e deglutì rumorosamente, ma non mi importó: meritavo tutte le spiegazioni possibili ed immaginabili, dopo che mi aveva addossato una responsabilità del genere.
"In realtà erano abbastanza tranquilli – mi guardò con gli occhi più tristi che mai – e come sempre sono stati comprensivi e..."
Iniziò a ridere subito dopo.
"Perché ridi?" Sorrisi anche io.
"Perché mi hanno comprato una scatola enorme di preservativi e ho dovuto dire anche la mia taglia."
Okay, questo non me lo aspettavo.
"Beh, direi che non hanno reagito così male." Mi riempii la bocca di pasta e mi imitò.
"No, erano troppo felici del fatto che fossi tornato a casa."
"A proposito, dove sono?"
"Ad una visita medica... E tu che mi racconti? Ci sono novità?" domandò con la bocca piena.
Fidanzamento con Mattia
Un quattro massimo di storia
Andare in discoteca di nascosto
"Mhm, niente di che e tu?"
Se gli avessi detto una di queste cose mi avrebbe fatta cadere dalla sedia come minimo: nella gelosia non sarebbe mai migliorato, ne ero sicura.
E sì, mi avrebbe dato fastidio se avesse saputo che per una volta non ero riuscita ad organizzarmi bene con lo studio, io ero il suo esempio!
"Ma come niente di che?" Corrucciò la fronte e si pulì un angolo della bocca unto di intingolo.
"Solita vita – riempii la mia bocca di pasta per colmare l'imbarazzo – tu, piuttosto? Dove sei stato finora?!" domandai con la bocca piena anche io, ma lui non ci fece nemmeno caso; stavo prendendo una brutta abitudine!
"Io alla fine sono andato dal mio migliore amico a Milano." Alzò le spalle, segno che non avrebbe detto più di tanto.
Aveva un migliore amico a Milano?
"Come lo hai conosciuto?"
Smise di masticare.
"Amico di infanzia" rispose concentrandosi sul piatto e quasi si strozzò. Okay, c'entrava il suo passato.
"Ti è stato utile?" Deglutii.
"Abbastanza." Addentò una forchettata di pasta abbondante.
"E che hai fatto là?"
"Letteralmente niente."
Non mi guardò nemmeno in faccia, non voleva continuare quella conversazione.
"E oggi hai in mente di fare qualcosa?"
"Vado con Alex e gli altri a fare serata in centro – si schiarì la voce – tu piuttosto?" Il suo sguardo si fece inquisitorio.
"Che cosa? Sei appena tornato a casa perché hai fatto una bravata proprio in quel posto e ci vai? Con Alex per di più!"
"Alex non sa niente della faccenda e voglio dimostrare a me stesso che posso essere responsabile."
Si irritò per la mia osservazione.
Era senza dubbio più scontroso.
"Secondo me è presto." Rimasi ferma sul mio pensiero.
"Secondo me no e fatti i cazzi tuoi – concluse il discorso – tu invece?"
Io vado a fare serata, ma in discoteca, con un outfit con il quale non vorresti mai vedermi addosso.
"Io vado a dormire da un'amica invece" dissi una mezza verità, sconcertata dalla sua risposta scorbutica.
"Un'amica? Sei sicura?" Mi guardò con circospetto.
"Certo che ne sono sicura." Bevvi un sorso d'acqua.
"E che vuoi fare con questa tua 'amica?'" Mimò perfino le virgolette.
"Mhm... cose da ragazze magari?" dissi retorica.
"Dai, ho avuto quindici anni anche io!" Mi tirò un calcio da sotto il tavolo.
"Beh, io non faccio cazzate come te – più o meno – intesi?" Ricambiai il calcio.
Mi guardò ancora una volta scettico per poi annuire.
Fortunatamente non si offese.
"In ogni caso uscirò di casa alle dieci." Commentò, come se a quell'affermazione avrei avuto chissà quale reazione.
"Sono contenta per te" affermai sarcastica.
"Dove abita la tua amica?" domandò petulante.
Questo lato di lui non mi era per niente mancato.
"Qui in zona" snocciolai scostante.
"Calmina." Assottigliò lo sguardo fino a fare diventare gli occhi due fessure.
"Sei irritante, lo sai?"
"Un pò, lo ammetto."
Finimmo di mangiare in un silenzio che non fu imbarazzante e sparecchiai.
"Tu lavi i piatti." Stabilii, puntandogli una forchetta unta.
"Esiste la lavastoviglie per un motivo." Obiettò disinteressato, fissando il suo cellulare.
"Fa come vuoi, l'importante è che la cucina rimanga pulita, io vado a dormire."
Raggiunsi camera mia a passi pesanti, pronta per un bel sonnellino; avevo preso quest'abitudine da un po' di giorni a questa parte.
Dopo una giornata intensa di scuola, affrontata con solo poche ore di sonno, era diventato inevitabile non dormire di pomeriggio.
"Va bene, ci vediamo domani allora, a meno che non ti svegli un po' prima delle dieci."
"A domani." Eclissai il tutto con uno sbadiglio e lui intese che no, non mi sarei svegliata prima delle dieci di sera.
Quello stronzo, possessivo, scontroso non era di certo il Riccardo di cui mi ricordavo, qualcosa era cambiato e dovevo scoprire cosa.

Io e te. Il resto non conta.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora