Capitolo 17

55 22 2
                                    

"In tournée?" Furono le uniche parole che riuscii a pronunciare.
Ma in quel momento non mi importava di che lavoro facesse la madre, volevo solo prendere tempo per metabolizzare la sua
proposta, ma soprattuto il fatto che avesse inteso che avevo pensato subito male; di certo il suo okay niente sesso e niente scambi di liquidi mi avevano tranquillizzata.
"Fa l'insegnante di danza, sarà assente per una settimana."
Ah.
"E... che genere insegna?" Temporeggiai ancora una volta, ma lui non ci cascò.
"Stai cercando un modo carino per dirmi di no?" Si morse il labbro inferiore e sorrise.
Ma come facevo a dirgli di no?
"No, ti ho solo fatto una domanda."
Usai un tono fermo.
"Ma io te ne ho fatta una prima – non sorrise questa volta – non starò qui a pregarti, se non ti troverò quando sarò uscito dal bagno, vorrà dire che non dormirai da me."
Mi diede le spalle e fece per andarsene.
"E se invece mi troverai?"
"Vorrà dire che starai da me" disse in tono cantilenante e chiuse la porta del bagno con un tonfo.
Cazzo.
Avrei potuto dire a Jessica e a Marco che avrei dormito da una mia amica e la mattina dopo...
No, era tutto un grossissimo sbaglio.
Ero andata da lui solo per restituirgli la felpa, niente di più, dovevo essere almeno fedele a ciò che dicevo!
Sospirai e uscii dalla cucina, intenta a percorrere il corridoio che mi avrebbe condotta alla porta d'ingresso, mentre udii il fruscio dell'acqua della doccia scorrere.
Sei stupida?!
No, sto solo cercando di essere coerente almeno per una volta!
Il ragazzo che ti piace ti ha invitata a dormire da lui e te ne stai per andare?
Non sarebbe la cosa giusta da fare?!
Il mio telefono vibrò: era Jess.
"Tesoro, hai intenzione di fermarti dalla tua amica?" Sentii Riccardo blaterare di sottofondo.
Bene Rik, a quanto pare abbiamo entrambi preso le rispettive decisioni.
"Sì zia, resto dalla mia amica – le parole mi uscirono di bocca prima che potessi rendermene conto, non avrei voluto immaginare cosa avrebbe pensato se io le avessi detto amico anziché amica – verso l'ora di pranzo sarò a casa, tanto lei abita di fronte a noi."
"Sì, Marco me l'ha detto. Basta che un giorno me la fai conoscere."
Sicuramente
"Certo Jess – udii Riccardo chiedere di me – allora a domani." La salutai e lei fece lo stesso.
Cosa importava a Riccardo, se tanto avevamo appena chiuso?
"Allora sei rimasta."
Mattia uscii dal bagno con un asciugamano nero legato in vita e una nuvola di vapore lo seguì; aveva un accenno di addominali, ma niente di scolpito come avevo pensato.
Come facevano i ragazzi a fare la doccia così in fretta? Io ci mettevo sempre mezz'ora! (Come minimo.)
Sciacquare i capelli, fare il doppio shampoo, balsamo, maschera, non erano step che potevano essere eseguiti in soli cinque minuti.
"A quanto pare sì."
"Smettila di avere quella faccia lunga."
Si avvicinò pericolosamente a me e scosse la testa più volte, in modo che i suoi capelli umidi mi bagnassero.
"Ma sei stupido?" Mi misi a ridere e lui circondò il mio corpo con le sue braccia, ma solo per bagnarmi di più; a un certo punto mi prese per i fianchi e strofino i suoi capelli umidi contro il mio collo.
"Sai di frutti di bosco" disse inspirando il mio odore e sentii il suo sorriso a contatto con la pelle delicata del mio collo.
"Ho bisogno che tu mi impresti uno spazzolino, un pettine, delle ciabatte, un pigiama e..."
"Sei davvero una rompicoglioni, te l'hanno mai detto?" disse imperturbabile e non seppi se stesse scherzando o meno, nemmeno quando i suoi occhi incontrarono i miei.
"No, sei il primo! – mentii, me lo avevano detto fin troppe volte – e comunque non è vero!"
Mi accigliai e asciugai le gocce che Mattia mi aveva schizzato poco prima.
Era ovvio che avessi cambiato discorso perché altrimenti la situazione sarebbe degenerata, sarebbe stato ovvio per tutti, ma a quanto pare per lui no, dato che se ne andò in quella che probabilmente era camera sua, senza dire niente.
"Beh, quindi?" Mi avvicinai alla porta socchiusa, ma non mi azzardai a entrare, non sapevo in che condizioni fosse.
"Quindi vai in bagno e ti fai una doccia e..."
"Stai insinuando che puzzo?"
Lo interruppi divertita, anche se sapevo che era impossibile, poco prima mi aveva detto che sapevo di frutti di bosco.
I frutti di bosco erano buoni, no?
"Proprio così, quindi fatti una bella doccia e sopra lo sportello del lavandino troverai uno spazzolino confezionato."
Mi diressi in bagno, consapevole che non avrei fatto la doccia in casa sua nemmeno se mi avessero pagata: non avevo chissà quale confidenza e sarebbe stato troppo imbarazzante.
Non avevi nemmeno la confidenza per dormire a casa sua
Ah, non avevo nemmeno il cambio.
Chiusi la porta del bagno e mi stupii per quanto fosse piccolo e disordinato rispetto al mio: alla mia destra c'era la cesta dei vestiti sporchi e subito affianco, un box doccia; alla mia sinistra, un po' più avanti, c'era il lavandino e dei mobiletti specchiati ai lati di esso. Non furono il water, il bidet e la lavatrice ad attirare la mia attenzione, bensì le pareti che erano di un fucsia acceso.
Guardai il mio riflesso nello specchio: gli occhi erano ancora un po' rossi e le lacrime ormai asciutte, si erano appicciate sulle mie guance rossastre.
Sciacquai il mio viso con acqua tiepida e stropicciai per bene ogni angolo della mia faccia.
Aprii il cassetto da sotto il lavandino e trovai solo degli asciugamani puliti, così aprii quello più in basso e trovai un pettine a denti larghi.
Era già tanto che ne avessi trovato uno.
Spalancai tutti gli sportelli in cerca dello spazzolino e ne trovai almeno sei.
Mattia collezionava spazzolini?
Teiere con i fiori, bagno fucsia e pantaloni viola?
"Amy!" gridò il mio nome, anche se non capii il motivo siccome il bagno era attaccato a camera sua.
"Eh?" urlai di rimando, tamponando il viso con un asciugamano pulito.
"Pizza o kebab?"
Accidenti, ma c'era qualcuno che mangiava sano in Italia?
"Pizza" risposi stizzita, altro che un chilo e mezzo in più, potevo dire addio alla dieta e a un bel fisico; ma non avrei nemmeno potuto mettermi a fare i capricci in casa altrui.
Uscii dal bagno e vidi la sua porta semiaperta, così entrai solo dopo aver fatto passi pesanti, in modo che si accorgesse che stavo per entrare.
"E come la vuoi la pizza?" domandò non appena mi vide varcare la soglia, con voce ammaliante.
Inutile sottolineare quanto fosse bello con i capelli umidi.
"Patatine." Lo guardai imperterrita per celare la forte infatuazione che avevo per lui.
"Questo è il tuo pigiama." Mi lanciò una maglia bianca che atterrò sul mio viso; non mi arrabbiai solo perché odorava di lui.
"Grazie tante."
Quella maglia mi sarebbe andata come vestito e come avevo pensato, non lasciava intendere all'immaginazione siccome il reggiseno continuava a essere blu notte con il pizzo!
Sistemai i capelli sopra il seno, in modo che il reggiseno non trasparisse troppo, e mi guardai dieci volte allo specchio prima di uscire nuovamente dal bagno.
"Era ora!" esclamò Mattia in tono sarcastico, le pizze erano già in tavola e io non avevo nemmeno sentito il campanello suonare.
"Hai del ketchup?" Ignorai il suo commento e mi sedetti di fronte a lui.
Sbuffò e fece per alzarsi in piedi.
"Ti ho chiesto se hai del ketchup, non di andarmelo a prendere, tieniti pure l'aria nei polmoni al posto di buttarla tutta in un colpo per lamentarti" dissi in tono scherzoso (anche se in fondo ero seria) e mi alzai.
"Beh, ma solitamente è una domanda retorica."
"Certo che hai un'ospitalità a dir poco discutibile."
Risi dopo essermi seduta e lui mi seguì.
"Ma che termini usi?" Si accigliò.
"Che ne so, leggo tanto, ecco tutto."
Non potevo mica dire che il mio finto padre, era stato un ottimo insegnante.
"Anche io leggo tanto, ma non uso termini ottocenteschi." Esagerò e lasciai cadere la sua frase, addentando una fetta di pizza.
Sperai che commentasse il ketchup sulla pizza per colmare quella stanza vuota, ma non lo fece.
"Immagino che anche tu sappia ballare."
Esordii quando arrivai a metà pizza, quel silenzio stava iniziando a essere un tantino imbarazzante.
"Ballare è un parolone – disse asciugando un lato della bocca sporco di olio – mia madre è uscita fuori di testa per insegnarmi almeno la bachata, ma continua a dire che sono troppo duro."
"Cioè? Non muovi abbastanza i fianchi?" Trattenni una risata e anche io mi pulii i lati della bocca sporchi di intingolo.
"Non lo so." Scosse la testa e gettò il bordo della pizza sulla scatola ormai vuota.
"Accidenti!" Imprecai con un lamento, quando macchiai la maglia bianca con la passata di pomodoro.
"Vado a prenderti un'altra maglia."
"Ma non puoi darmi una felpa? Fa troppo freddo!"
"No, perché poi me la rubi" disse in tono cantilenante e io mi imbronciai.
Finii la pizza, buttai entrambi i cartoni nel cestino e lavai i due bicchieri.
"Tieni." Mi porse una felpa nera quando tornò in cucina, tenendo il muso.
Allora mi aveva dato ascolto!
"Guarda che se..." Con due passi mi raggiunse e mi infilò la felpa, come il pomeriggio stesso.
"Parli troppo, te l'hanno mai detto?"
Fece un sorriso sghembo, quando la mia testa sbucò dal cappuccio e i nostri occhi si incontrarono.
"Adesso metto apposto la cucina."
"Va bene, io vado di là" farfugliò e sparì.
Quando terminai il tutto, chiamai Mattia, ma non mi rispose.
"Mattia?" Entrai in camera sua, ma non lo trovai nemmeno lì.
"Se è uno scherzo, mi arrabbio!"
Lo avvisai e mi tenni pronta a vederlo sbucare da qualche angolo.
Andai in soggiorno e accesi la luce.
"Ma io dico, sei stupido?" dissi retoricamente, non appena lo vidi seduto sul divano fissarmi, senza dire niente.
"Sei stupida tu." Si prese gioco di me e abbozzai un sorriso.
"No, sei stupido tu che non mi rispondi quando ti chiamo!" Mi avvicinai.
"Sei stupida tu che non accendi la luce" rimbeccò e mi sedetti sul divano a un metro di distanza da lui, non volevo sembrare troppo invadente.
"No, sei stupido tu..." In uno scatto mi raggiunse e mi tappò la bocca.
E io che non volevo essere invadente.
"Dai!" Mi lamentai con la voce ovattata a causa della sua mano e lui mi sfoggiò il suo bellissimo sorriso.
"Dì che ho ragione." Si avvicinò sempre di più a me, premendo più forte la mano contro la mia bocca.
"Mai." Lo sfidai.
"E allora rimarremo così."
Poi mi illuminai e iniziai a leccare il suo palmo liscio: per un momento sembrò prenderla come una provocazione, siccome le sue pupille si dilatarono, ma poi si riprese e tolse la mano. La strusciò sui pantaloni neri della tuta, per sbarazzarsi della mia saliva.
"Stronza – borbottò e si sedette composto – quindi? Che facciamo?"
"Guardiamo un film" dissi ovvia e mi sistemai i capelli indietro (dato non c'era più il problema della maglia bianca.)
"Okay, tu hai scelto cosa fare e adesso penso di avere il diritto di scegliere io cosa guardare." Stabilì e fece zapping per un minuto buono.
"Guai a te se è roba horror!" Rabbrividii al solo pensiero e strinsi le ginocchia al petto: non avevo mai avuto esperienze positive con quello stupido genere di film.
Mi ricordo che quando avevo sette anni, Juan faceva di tutto per mettermi paura o farmi spaventare e per riuscirci al meglio, si inventava storie horror; a pensarci adesso non capivo come potessero spaventarmi così a morte.
Una volta mi aveva raccontato semplicemente di una donna che andava ad aprire la porta e trovava una bambina che voleva dell'acqua; allora la donna chiudeva la porta, prendeva l'acqua e la riapriva per dargliela, ma al suo ritorno la bambina non c'era più.
Andò così per diverse volte, finché la donna arrivò alla porta con il bicchiere in mano e quando le chiese ripetutamente se volesse l'acqua, alla sesta lei gridò 'sì!' con un urlo stridulo.
Perché mi spaventava a morte?
Perché lo stupido di mio cugino imitava la bambina che gridava 'sì' all'improvviso squassando le mie braccia (e ogni volta che me la raccontava, non gli parlavo per almeno due settimane.)
Per non parlare del bigote, che significa letteralmente 'baffi.'
Capitava che spesso mi chiamasse dal telefono di casa per dirmi che era il bigote e che presto mi avrebbe rapita, era una sorta di mostro pronto ad uccidermi.
Ci credevo?
Da morire.
"Ecco, l'ho trovato!" esclamò, quando arrivò sul canale nove.
"Che genere è?"
"Azione" disse disinteressato e alzò il volume.
Dopo vari minuti, notai in alto a sinistra una scritta piccolissima, probabilmente era il titolo del film sottostante; assottigliai lo sguardo e mi focalizzai su quella piccola scritta.
"Ma sei impazzito!" strillai, dandogli una pacca sul collo quando lessi L'esorcista.
"Ma non fa paura, dai!"
Circondò le mie spalle con il suo braccio per minimizzare, ma non servì a più di tanto.
"Ma non possiamo..."
"Shh." Mi zittì e mi rassegnai, Mattia non avrebbe cambiato idea e io non avevo abbastanza sfacciataggine per insistere.
"Hai freddo?" domandò quando sfiorò la mia guancia sinistra; mi era venuta la pelle d'oca.
"Sì" borbottai, per mascherare il fatto che avevo la pelle d'oca a causa sua e non per il freddo.
Si alzò, prese una coperta azzurra dal mobile affianco alla televisione e me la lanciò, ma non dissi niente perché apprezzai il fatto che si fosse alzato per me (per l'ennesima volta.)
"Non ce la faccio a vedere questa roba!"
Mi ancorai al suo braccio quando ci fu una scena del film esplicitamente demoniaca, comprese delle grida stride.
"Dai Amy, non esagerare." Mi strinse a sé e nascosi il viso mio sul suo petto, inspirando il suo buonissimo odore. Iniziavo a pensare che volesse che io avessi paura.
"No veramente, non dormirò per una settimana! – mi lamentai con la voce ovattata dal suo petto – se non di più!"
"Manca un'ora alla fine – disse preso dal film e io sbuffai sonoramente – se vuoi dopo guardiamo quello che vuoi tu, va bene?"
Annuii sul suo petto e lui sospirò.
"Ma non mancava un'ora?" Uscii dal mio fortino quando mi accorsi che la tv era spenta.
Era saltata la corrente?
"Solo Amanda Andrade mi farebbe perdere gli ultimi sessanta minuti di un film."
Si stiracchiò e gemette.
Mi sentii così tanto onorata.
Perché solo Amanda Andrade ne era in grado.
"Io non volevo guardarlo proprio! – spostai le coperte – posso andare in bagno?" Gli domandai imbarazzata e lui scoppiò a ridere.
"La smetti?" Iniziai a offendermi, avrei dovuto finirla con tutto quel pudore.
"Perché cazzo mi chiedi il permesso? – continuò a ridere – nemmeno fossi il tuo professore."
"Perché non è casa mia e sono educata."
Gli lanciai la coperta e andai in bagno, rossa di vergogna.
Mi lavai nuovamente i denti, in attesa che il mio viso riprendesse un colorito decente, e quando uscii dal bagno, lo trovai ancora sul divano che si sbellicava dalle risate.
"Va al diavolo!" Mi sedetti il più lontano possibile da lui, incrociando le braccia al petto.
"Ti sei offesa?" domandò in tono divertito, ma almeno smise di ridere.
"Si!" risposi decisa, guardandolo di sottecchi.
"E perché?"
"Perché mi stai antipatico."
"Ti sto antipatico?"
"Si, mi stai antipatico!" Sostenni la mia tesi e mi girai dall'altra parte.
"Ah, sì?" Sentii il suo fiato sull'orecchio.
Lo faceva apposta.
"Sì." Mi voltai di scatto e trovai la sua faccia a un centimetro dalla mia.
Oh.
"Che film vuoi guardare?" Si allontanò scuotendo la testa, attraversato da chissà quale emozione e una parte di me tirò un sospiro di sollievo.
Una piccolissima parte di me.
"Io prima di te" dissi confusa a causa del suo allontanamento.
"Che palle! Non ho voglia di..."
"Adesso non rompere! Prima hai voluto guardare quella roba e ora devi guardare quello che voglio io!" Mi stupii anche io delle mie parole e lo scavalcai per mettere il film.
Durante tutto il tempo non avevo fatto altro che guardarlo (nascondendomi dietro le ciocche dei miei capelli lunghi), ma a parte quello, avevo fatto di tutto per pensare a Will e Lu e non alle urla del demonio della bambina di dodici anni.
Mattia non aveva più il braccio attorno alle mie spalle e le nostre gambe nemmeno si sfioravano.
"Ho troppo sonno" disse in uno sbaglio, quando spuntarono i titoli di coda e venne da sbadigliare anche a me.
"Io anche" commentai asciugandomi le lacrime, quel film mi avrebbe fatta piangere anche se fosse stata la milionesima volta che lo guardavo.
Spense la tv e restammo in silenzio a guardarla, nonostante non ci fosse niente da vedere, troppo assonnati per dire o fare qualcosa.
"Maty?" Lo chiamai dopo un po', ma non mi rispose.
Mi voltai verso di lui e lo trovai appoggiato allo schienale del divano, con la guancia schiacciata, e le palpebre chiuse: stava dormendo.
I raggi lunari provenienti dalla finestra mi permisero di vedere quanto fosse bello con quei capelli mossi e quel neo piccolo vicino alla sua bocca.
"Buonanotte" sussurrai e mi domandai perché avesse preso una coperta e non due.
No, era sbagliato.
Era tutto fottutamente sbagliato.
Quella situazione mi stava stritolando il cuore, perché provavo per lui delle cose alle quali non volevo dare un nome.
Quello che veniva comunemente definito 'amore' nel mondo, si rivelava spesso dannoso, portando sofferenza quotidiana e io ero in procinto di fare quella fine. Avrebbe infranto le mie aspettative, giocato con la mia fiducia e cercato di manipolarmi.
Perché io sapevo come funzionava l'amore, era un'apparente onda che a tutti i surfisti sembra facile da cavalcare, quando in realtà si sarebbe presto trasformata in una maledetta onda anomala, pronta a farti affogare o a travolgerti senza darti tregua.
E io non lo avrei permesso, non un'altra volta.
Mi allontanai da lui e serrai le palpebre, avevo deciso: mi sarei allontanata.














-///////———-___\|\___\|\_[|,?
Raga sono riuscita ad aggiornare,fatemi sapere cosa ne pensate e lasciate stelline a tutti i capitoli ❣️

Io e te. Il resto non conta.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora