Capitolo 2

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"Amy... è l'una." Annunciò mio cugino, entrando in soggiorno. Scommisi che nessuno avesse sentito quello schiaffo, che Juan non si sarebbe mai accorto di qualche segno anomalo sul mio viso, non pensavo sarebbe mai intervenuto qualcuno in ogni caso. Iniziavo davvero a credere di essere esagerata e che fosse la normalità punire così i propri figli, anche senza una ragione apparente.
Il mio cuore mancò di un battito e una parte di me disse finalmente. Finalmente mi sarei disintossicata da quell'ambiente putrido.
"I miei amici restano a dormire, per te è un problema?" La avvisai, sicura che non avrebbe detto di no.
"No Am." Sorrise debolmente.
Era sempre stata una donna ospitale, avevamo gente a casa circa cinque volte a settimana di fatto; l'unica regola era lasciare tutto come prima, ovvero in un rigoroso ordine, per il resto avrei potuto invitare dieci persone.
Le diedi un ultimo abbraccio, l'uomo affianco a lei sparì e andai verso Juan, che come gesto di consolazione appoggiò la sua mano sulla mia spalla.
"Aspetta!" gridò mia madre, come se fossi già lontana.
Mi voltai e me ne pentii, aveva un viso distrutto: gli occhi erano rossi, aveva il trucco un po' sbavato e non faceva altro che tirare su con il naso.
"Sei sicura che non vuoi che ti accompagni?" domandò, con lo sguardo speranzoso.
Non cedere Am. Ha scelto lui per l'ennesima volta, lo stesso che ti ha picchiata e lei non ha fatto niente per difenderti! Tua madre è uguale a Saverio dopotutto, ha preferito uno sconosciuto a sua figlia.
"Sì, sono sicura." La mia testa annuì, ma il mio cuore scosse la testa.
"Allora ciao." Mi salutò incurvando le sopracciglia e facendo il gesto con la mano.
"Ciao mamma" dissi semplicemente, con il volto serio.
"Ti voglio bene." Aggiunse, ma io avevo già chiuso la porta del soggiorno.
Avrei voluto tanto ritornare e darle un ultimo abbraccio, e dire 'anche io', ma di questo passo non sarei più riuscita a partire.
Volevo bene per davvero a mamma, ma in qualche modo mi aveva tradita e non potevo passarci su, come se niente fosse.
"Pronta?" Mi domandò Juan in un sussurro e io annuii, illuminata dalla luce soffusa del corridoio.
"Come stai?"
Come stai? La classica domanda stupida e inutile che ti fanno le persone solo per fare conversazione o per fare finta che interessi loro.
"Bene" dissi sbadigliando.
"Cos'è che non ti convince?"
"Non c'è niente che non mi convinca, ma da una parte sono molto felice e dall'altra..." Lasciai in sospeso la frase: dall'altra, era tutto un casino.
"Dall'altra?" Mi incitò a continuare.
"Penso di essere emozionata da morire... beh é normale giusto?" Aspettai la sua approvazione e lui annuì.
Ero felice perché stavo sotterrando i miei problemi e triste perché sapevo che sarebbero stanati presto.
"Ti ricordi quando da bambina..." Si interruppe perché iniziò a ridere.
"Che cosa?" Sorrisi e mi lasciai contagiare.
"Quando la prima volta che..." Cercò di continuare, ma ricominciò a ridere.
"Che cosa Juan?!" Iniziai a ridere rumorosamente, solo perché mi faceva ridere il fatto che lui ridesse e io non capissi.
"Quando avevi paura di fare la cacca..." Riprese a ridere così tanto, che gli vennero gli occhi lucidi.
Per un momento obbligai me stessa di smetterla di ridere, sapeva benissimo che odiavo ogni volta che tirava fuori questo sgradevole aneddoto della mia infanzia, ma poi decisi che ogni tanto potevo anche evitare di offendermi e risi liberamente.
Si trattava della mia fobia di fare i bisogni sul water anziché sul pannolino; avevo tre anni ed ero insieme a Juan quel giorno, stavamo giocando in camera mia, finché...
"Da oggi in poi dovrai fare la pupù come noi grandi, non più sul pannolino." Aveva stabilito mia mamma, dicendo inoltre che i pannolini erano finiti ovunque. A me terrorizzava
quell'aggeggio strano, ero convinta che se mi fossi seduta lì, ci sarei caduta dentro.
"A oggi non ho ancora capito perché avevi così tanta paura." Lo guardai di sottecchi e sospirai.
"Beh, non me lo ricordo nemmeno io!" Mentii, cercando di trattenere il sorriso che facevo ogni volta che dicevo una bugia.
"Non è vero."
"Si che è vero!"
"Avanti, questa è l'ultima notte, rimane qui."
"E va bene!" Mi lasciai convincere.
"Sono tutto orecchi."
"La verità, era che avevo paura di caderci dentro." Ammisi e iniziai a ridere, senza riuscire a fermarmi.
"Scusa ma... – Juan cercò con tutte le sue forze di fermarsi e per un tratto solo ci riuscì – perché avresti dovuto avere questo dubbio se gli altri non cadevano..."
"Beh, perché credevo che fosse impossibile siccome avevate il sedere più grande." A forza di ridere, incominciai a tossire.
"E ti ricordi che tu e mamma mi tenevate la mano nel mentre e quando non ce la feci più..." Non fui nemmeno in grado di terminare la frase dal tanto ridere (che a pensarci adesso, non era poi così divertente, tutto ciò era dovuto alla stanchezza e alla nostalgia di quell'istante.)
Non era vero che io e Juan ci vedevamo solo a Natale o nelle occasioni importanti, siamo cresciuti praticamente insieme ed é sempre stato come un fratello maggiore.
Odiava quando dicevo che per me era un cugino come tutti gli altri, ci teneva al fatto che io lo vedessi come un esempio da seguire. Solo in quel momento mi resi conto di quanto mi sarebbe mancato.
"Certo che mi ricordo."
"Juan." Esordii dopo un po'.
"Dimmi."
"Quanto manca?"
"Mezz'ora circa."
"Mi scappa la pipì, ho riso troppo."
"Adesso che lo so, andrò ai sessanta orari."
"Ci devi solo provare, giuro che faccio pipì sulla tua macchinina!" Sapevamo entrambi che ne sarei stata capace.
Come risposta schiacciò il pedale dell'acceleratore e arrivammo ai centoventi kilometri orari.
"Juan, non puoi fermarti un attimo?" Quasi lo supplicai.
"Siamo in tangenziale, non posso assolutamente fermami."
"Non ce la faccio più!"
"Non pensarci."
"Dovresti fare lo psicologo sai? Così quando un tuo paziente ti dirà che sta male tu gli consiglierai di non pensarci!"
"Ma che ne so, aspetta un quarto d'ora!"
Perché le persone adulte piuttosto che dire una cosa inutile, non se ne stavano zitte?

Io e te. Il resto non conta.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora