Capitolo 35

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"Vieni pure."
La donna sulla quarantina d'anni mi sorrise, ma le mie gambe non vollero muoversi.
"Tesoro, avanti." Virai lo sguardo da Jess alla neuropsichiatra e non mi mossi di una virgola.
Non mi era mancato per niente quel reparto, era rimasto esattamente come lo ricordavo; quel corridoio grigio con qualche sedia sparsa, quei neon insopportabili, il via vai di pazienti e dottori, l'odore forte del disinfettante, erano ricordi ancora fin troppo vividi.
"Ricky..." Mi supplicò la mia quasi-mamma-ufficiale e feci appello a tutte le mie forze per alzarmi. Glielo dovevo.
"Allora? È un po' che non ci vediamo."
Aprì la sua agenda del cazzo e scrisse qualcosa al computer.
"Già, non è una cosa positiva?" borbottai e mi stravaccai su quella sorta di divano scomodo.
"No – mi rivolse la sua totale attenzione – dimmi, come stai?"
Prima di venire qua bene, brutta stronza.
"Non c'è male" snocciolai, giocherellando con i lacci del pantalone della tuta.
"E il sonno? Gli attacchi di panico? Gli incubi?"
Era ovvio che la bastarda sapesse già tutto. Smisi di giocare con i lacci e puntai gradualmente il mio sguardo su di lei.
"È stata Jess..."
"Riccardo, non ci va un genio. Hai interrotto di punto in bianco la terapia farmacologica, mi aspetto che tu non stia bene."
"Io sto bene, invece."
"Io sono molto preoccupata, invece – utilizzò la mia stessa opposizione – perché hai ripreso a fare gli incubi e hai interrotto le sedute con me all'improvviso e..."
"Cosa vuoi che ti dica? Che dormo di merda, mi è capitato di avere ancora attacchi di panico e che ho fatto gli incubi di sempre?"
"No. Io voglio che ti renda conto che finché tu non farai un passo verso te stesso per stare bene, nessuno potrà aiutarti. Io non voglio di nuovo arrivare a un tso per farti rendere conto che non puoi andare avanti così per sempre."
"Vuoi dire che mi vedi ancora come quel bamboccio che faceva cose strane?!" Mi alzai in piedi e serrai la mascella, più furioso che mai. Lei voleva manipolarmi, lei voleva farmi credere che stessi male, ma non era così!
"Siediti." Mi ordinò con la sua maledetta voce vellutata. Obbedii, sei mi fossi agitato troppo avrei confermato ciò che pensava di me e mi avrebbe rinchiuso di nuovo.
"No, perché non puoi dire che non sono migliorato, altrimenti tu sei la pazza, tu sei pazza a dire che non vedi cambiamenti positivi!"
"È proprio questo che mi spaventa, questo repentino cambiamento dopo l'arrivo di quella ragazza, Amanda, giusto?"
"E questo cosa straminchia c'entra?!" urlai con tutta l'aria che avevo nei polmoni. "Tu non sai niente di me."
"Temo che tu sia nella fase calma prima della tempesta."
"No, invece io sono stato in grado di dimostrati che posso stare bene senza vedere la tua faccia di merda e prendere le tue stupide medicine inutili!" Quasi scoppiai a piangere dal nervoso. Che cosa voleva insinuare quella stupida?
"È ovvio che la terapia non funziona se ti presenti una volta ogni sei mesi e interrompi i farmaci in autonomia. Prendiamo un altro appuntamento, ogni non sei dell' umore" sentenziò digitando qualcosa al computer.
"Ma a te chi ha dato la laurea?!"
"Puoi fare entrare Jessica." Mi ignorò completamente e spalancai la porta.
"Io esco, non ho nemmeno voglia di sentire le tue cazzate." Jess entrò in quella stupida stanza con una faccia mortificata e io mi sedetti in sala d'attesa. Lo sapevo. Sapevo che sarebbe andata a finire così, quel posto non faceva per me, le medicine non facevano per me, questo mondo non faceva per me! Attesi qualche minuto, ma quando vidi che Jess non arrivò mi allarmai; perché ci stavano mettendo così tanto tempo?Che cosa le aveva detto la stronza? Mi voleva rinchiudere di nuovo? Mi alzai immediatamente e appoggiai l'orecchio contro la porta.
"La situazione è più grave di quanto pensassi. È un bene che tu abbia adottato quella ragazza, se lei se ne andasse lui starebbe peggio di quando era ricoverato e il motivo lo sappiamo entrambe – voleva farmi passare come il ragazzino innamorato? – ho un quadro abbastanza completo per una diagnosi definitiva. Riccardo soffre..."
"Cosa fai, ragazzino?" Un infermiere mi fece sobbalzare.
"Fatti i cazzi tuoi." Mi trattenni per non spintonarlo e quando tentai di origliare di nuovo, Jess uscì.
"Ma non potevi fare qualche peretta a qualche vecchio?! Proprio adesso..." Feci per prendermela con l'infermiere, ma Jess mi interruppe.
"Riccardo." Mi ammonì a denti stretti e mi calmai immediatamente.
Adesso che sa come ti sei comportato ti abbandonerà anche lei
Ti abbandonerà anche lei
Ti abbandonerà anche lei
"Mamma scusa. Scusa, scusa, scusa."
"Saliamo in macchina, adesso."Non cambiò tono e io continuai il mio elenco di scuse finché non arrivammo verso l'uscita.
"Non mi servono le tue scuse, Ricky."
Quella frase mi fece precipitare dal quarto piano, ma senza la possibilità di aprire un paracadute. Adesso mi avrebbe odiato e lasciato solo, forse era questo ciò che mi meritavo davvero, forse doveva andare così e basta.
"Mi vuoi rimandare in comunità?" Mi tremò la voce. La donna dagli occhi castani aprì la macchina e io salii con un macigno di cento chili addosso. Se mi avesse risposto di sì avrei aperto la portiera e...
"No, certo che no. Ma sono arrabbiata con te."
Che cosa? Jessica arrabbiata? Con me?
"Lo so che non dovevo urlare alla dottoressa, ma quella parla e non sa proprio niente di me e poi..."
Mi interruppi quando vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime. Mamma stava piangendo. Mamma stava piangendo per colpa mia, stavo di nuovo ferendo una persona che amavo.
"Non è questo il punto – due lacrime le rigarono il volto – io voglio il meglio per te, non voglio mai più vederti in ospedale o in comunità o a terra che piangi così forte da non riuscire nemmeno ad ingoiare le gocce..."
"E tu non mi vedrai mai più in quei posti, guarda che nemmeno io..."
"E invece ci finirai di nuovo se non ti fai curare come si deve. Non si guarisce da un giorno all'altro purtroppo e tu hai dato segni evidenti del fatto che stai facendo dei passi indietro – allungai le miei mani per asciugare le sue lacrime – Alessia è di nuovo nei tuoi sogni."
A quell'affermazione mi paralizzai.
"È successo solo una volta Jess..."
"Magari fosse solo quello! Tu non dormi mai, ogni mattina trovo il bicchiere di latte che sei abituato a bere quando non riesci a prendere sonno, la storia di Gaia ti ha stressato moltissimo e la cosa spaventosa è che sei riuscito a fare finta di niente fino a ora. Credi che non ti conosca?"
"Non mi conosci bene Jess, non mi conosco nemmeno io, come fai a conoscermi tu?" Afferrai le sue mani gelide e gliele riscaldai.
"Avrai anche ragione, ma il mio istinto mi dice che non stai bene e tu devi stare bene, tu sei un ragazzo meraviglioso e hai esaudito il mio sogno più grande..." I suoi occhi si riempirono di lacrime un'altra volta. Era uguale ad Amanda quando piangeva, si somigliavano in fondo.
"Quale sogno?"
"Quello di essere mamma, tu hai realizzato il sogno più grande della mia vita, ci avevo rinunciato sai? Ma poi sei arrivato tu e mi hai reso la persona, donna, mamma più felice del mondo e adesso puoi chiamarmi così senza sentirti strano. Sei ufficialmente mio figlio. L'adozione è andata a buon fine."
"Sei mia mamma? Al 100%?" Mi fu quasi impossibile crederci; per me era già un miracolo essere stato preso in affidamento e adesso di punto in bianco Jess e Marco avevano deciso di affezionarsi così tanto a me da adottarmi? Adesso avevo una famiglia e non avrei mai più avuto paura di essere abbandonato, no? Strinsi fortissimo la mia adorata mamma ufficiale, anche perché non avrei saputo che dire.
Grazie? Ti voglio bene? Sarebbe risultato niente di fronte a quello che provavo, ed era un mix di emozioni così forti, che non riuscivo a dire o a fare niente, se non stare ancorato alla mia nuova mamma.
"Amanda non lo sa ancora. Voglio sia una sorpresa."
"E quando sarà anche lei la mia sorella ufficiale?"
"Il suo caso è molto diverso e più complicato, ma quando l'ho detto a sua madre non ha opposto resistenza, dunque mi aspetto che le cose saranno un po' più semplici. Grazie per avermelo detto, potresti averle salvato la vita. Gli uomini come il marito di mia sorella possono diventare un pericolo mortale."
Mi staccai da lei e mi sedetti composto.
"Io vorrei solo essere normale. Non voglio più essere il ragazzo diverso che faceva i day hospital o che frequenta posti così."
"Ti capisco bene Ricky, ma è uno sforzo grande che devi fare. Il primo passo è sempre quello più faticoso, si inizia con la salita per poi finire con la discesa, è sempre così."
"Tu dici che non sono mai migliorato?" Mi demoralizzai. Magari davvero ero solo convinto ed ero rimasto lo stesso ragazzino problematico di sempre.
"Certo che sei migliorato, ma è come se tu avessi bisogno ancora delle stampelle nonostante cammini bene. Se inizi ad avvertire dolore, almeno hai le stampelle e non peggiori. Capisci cosa voglio dirti?"
"Capisco..." dissi sospirando: ero ancora uno zoppo invalido mascherato da atleta, che non ce la faceva da solo.
"Non c'è niente di male ad avere un sostegno, credi che io non sia mai andata dallo psicologo? Ci vado tuttora."
"Davvero?!" Mi voltai verso di lei.
"Davvero. Tutti ne avremmo bisogno, ma molte persone sono scettiche oppure non hanno le possibilità. Tu sei solo scettico." Mi diede un buffetto.
"Ti fidi di me?"
"Certo." Annuii più volte.
"Allora adesso andiamo in farmacia a prendere le medicine che ti ha prescritto la dottoressa."
Deglutii rumorosamente e allacciai la cintura. Okay, devo sforzarmi di darle ascolto, devo essere il figlio migliore del mondo e un figlio modello è obbediente no? È già tanto che lei mi abbia scelto.
"Mi impegnerò a prendere le medicine con costanza e andare a tutte le visite. Sarai orgoglioso di me, te lo prometto e troverò anche un lavoro."
Mamma mi sorrise dolcemente e mi accarezzò il viso.
"Per me l'importante è che stai bene, poi si vedrà tutto il resto. Ciò che è certo è che io non rinuncerò mai a te, sei mio figlio."

Io e te. Il resto non conta.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora