Capitolo 11

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Riccardo's Pov
"Ma non sei allergico ad altro? Che ne so... alla polvere?" Gesticolò animatamente per la dodicesima volta circa.
E non mi servii nemmeno rifletterci un secondo, ero sicuro di essere allergico solo al peperoncino e basta.
"Ti ho detto di no! E perché ti agiti così tanto?"
"Beh, quando viene Andrès è normale!"
E adesso chi cazzo era Andrès?!
Non potevo farmi carico di tutti i casca morti che gli andavano dietro!
Che le andavano dietro, mi corresse il mio subconscio.
Va beh, era uguale!
"Io sto male e tu pensi ai tipi, guarda, fa come vuoi!" Sbuffai, e nel farlo, percepii che si erano gonfiate anche le labbra.
Feci per aprire la porta della sua profumatissima camera, ma lei mi colpì con un cuscino in testa.
Okay, la mattina me l'ero cercata io, ma adesso non ne aveva nessun motivo!
"Andrès es el amigo que viene una vez al mes." Rise, si alzò dal letto e per un momento il suo bellissimo spagnolo mi tranquillizzò, un momento che durò circa 2,1 secondi.
Ah, questo amichetto di nome Andrès andava pure a trovarla una volta al mese, di male in peggio direi.
Idiota parla del ciclo!
Ah.
Forse avrei dovuto fermarmi a ragionare più spesso.
Forse?
"Ho provato a mettere del ghiaccio, ma..."
"Ma quale ghiaccio! Adesso io chiamo Jessica e vediamo cosa fare!" Stabilì e andò verso i piedi del letto, per prendere il suo telefono in carica.
"Tu sei matta! – mi inginocchiai vicino a lei –quella se lo saprebbe mi manda all'ospedale!"
"Se lo sapesse! Ricky, le basi!" Mi corresse e mi sentii un po' stupido: sapeva parlare così bene e non era nemmeno italiana.
"È lo stesso!"
"In ogni caso, se sarà necessario andrai all'ospedale" disse e non volle più sentire ragioni.
"Comunque c'è una cosa che devo dirti..." si fece seria.
"Ti ascolto."
Di sicuro aveva un ragazzo, SICURO.
"Oggi ho messo a posto camera tua – annuii, anche se credevo che fosse stata Jessica in chissà quale momento – e poi non so cosa mi è preso..."
La porta d'ingresso si aprì .
"Che ci fate ancora svegli?" Marco entrò in camera, avevo lasciato la porta aperta e la luce era accesa. "Oh signore! Jessica, vieni subito!" gridò non appena scorse il mio viso, che nel frattempo si era gonfiato ancora di più.
E lei arrivò in un batter d'occhio, nemmeno si fosse teletrasportata!
"Tesoro vieni, andiamo di corsa all'ospedale!" Mi prese per un braccio, ma opposi resistenza.
"Ricky, vai!" Mi sospinse Amanda.
"Hai mangiato il peperoncino?"
"No, non ho idea di che cosa sia!"
Sbuffai sonoramente e mi alzai dal pavimento.
"Vengo anche io." Stabilì Amanda e come sempre, non seppi se amarla o odiarla.
"Amy, domani hai scuola." Assunse un tono severo Jess e una parte di me sperò che non le facesse cambiare idea per nessun motivo al mondo.
"Ma..." Cercò di contestare lei.
"Ma, niente." Concluse Jessica e una parte di me la odiò.
"Scrivetemi un messaggio quando saprete qualcosa, almeno." Si infilò sotto le lenzuola e pensai a che cosa volesse dirmi prima che i miei entrassero.

Amanda's Pov

La sveglia mi fece aprire gli occhi per ricordarmi che erano le sei e mezza del mattino e che mi sarei dovuta alzare.
Subito mi ricordai della sera prima e un qualcosa sembrò trafiggermi il petto, mi sentivo terribilmente in colpa: avevo mandato Riccardo all'ospedale.
Sì, detta così sembrava che lo avessi menato o chissà cosa, ma purtroppo lo avevo letteralmente mandato all'ospedale.
Controllai il telefono e non trovai nessun messaggio.
La sera prima avevo tentato di dirgli che ero stata io a mettergli del peperoncino sul cucino, e questa volta non lo avrei fatto solo per pulirmi la coscienza, ma per essere sincera con lui.
Ma il destino aveva voluto che Marco ci interrompesse.
Istintivamente mi alzai dal letto, per vedere se fosse in camera sua e quando aprii lentamente la porta, lo trovai dormire con la bocca aperta.
Era così tenero e buffo allo stesso tempo, che gli feci una foto, il viso era quasi sgonfio del tutto.
Chissà com'era andata all'ospedale, lo avrei potuto chiedere a Marco una volta in macchina per andare a scuola, ma volevo farmelo raccontare da lui.
Ero pronta per il mio secondo giorno di scuola italiano.
"Ma hai parlato di me a una professoressa graziosa che mette gonne lunghe fini ai piedi?" domandai in uno sbadiglio a mio zio, una volta in strada.
"Ma a chi? De Luca?" Scoppiò a ridere per il mio umorismo mattutino.
"Già." Mi vennero gli occhi lucidi a causa dello sbadiglio.
"È una delle mie colleghe preferite – per un momento pensai che ci fosse una simpatia che avrebbe lasciato spazio ad altro, ma poi mi ricordai che aveva cinquant'anni –  sono sicuro che ti troverai bene con lei."
"Sì, in effetti è stata molto carina con me." Concordai e mi slacciai la cintura di sicurezza.
"Corro, che ho una verifica in quarta." Mi salutò velocemente e lo vidi mischiarsi tra la folla di studenti ancora fuori, in attesa della campanella che avrebbe segnato l'inizio delle lezioni.
Avere un cognome che iniziava per "A" era una delle cose che odiavo di più in assoluto.
L'idea di essere prima non mi piaceva in qualsiasi contesto: essere la prima in una fila che si fa nell'ora di ginnastica per iniziare l'esercizio assegnato (perché probabilmente sarei dovuta servire da esempio agli altri e io ero tutto tranne che un esempio), il primo nome che apre l'appello, la prima in un'interrogazione, la prima della fila per assistere a un concerto; già, odiavo perfino quello, perché quando i bodyguard iniziavano a togliere le transenne per permettere alle persone di entrare, la folla accanita dietro di me rischiava di venirmi addosso e pestarmi.
"Andrade." Iniziò l'appello una professoressa che abbinava i colori dei vestiti, peggio del mio pigiama bordeaux e verde mela.
"Presente." Alzai la mano svogliata e mi voltai verso Manuel.
"Cosa insegna questa?" bisbigliai, magari lei non era sorda come la De Luca.
"Boh, latino."
A che cosa serviva il latino poi, un giorno, qualcuno me lo avrebbe dovuto spiegare... è una lingua morta!
"Ma hai dormito questa notte?" Risi sotto i baffi.
"Ma cosa ne so, non sto capendo un cazzo –sbadigliò – sono ancora in coma."
"A chi lo dici!" Lo seguii, la scuola alle otto del mattino era assolutamente infattibile.
Mi ero sentita così in colpa che non avevo chiuso occhio ed ero più assonnata del giorno prima.
L'ora di latino passò veloce proprio come guardare un orologio che sembra muoversi più lentamente del solito.
Quando suonò la campanella, tirai un sospiro si sollievo.
"Ripassate bene, dalla prossima settimana inizieranno le interrogazioni. Non voglio sentire proteste, avete avuto tre mesi di tempo."
"Ma cosa mi serve il latino nella vita?! – mi lamentai con il mio vicino di banco – ormai è una lingua morta!"
"Guarda, non chiederlo a me perché più passano le ore e più mi chiedo perché cazzo ho scelto di fare il liceo." Incrociò le braccia e appoggiò la testa sul banco.
Già.
Pensai di chiedermelo anche io, ma poi mi ricordai di essere una raccomandata e che fosse difficile essere ammessa in un'altra scuola con così poco preavviso.
"Chi abbiamo l'ora dopo?" domandai a me stessa ad alta voce aprendo il diario, in cerca dell'orario provvisorio.
"La tipa di inglese, ma è ancora via – mi anticipò Manuel – infatti probabilmente adesso ci sarà supplenza."
"Siamo solo alla seconda ora e già non reggo più" borbottai, ma Manuel mi udì comunque.
Ed era vero, non ne potevo già più ed era la seconda ora del secondo giorno di scuola dell'orario provvisorio, che prevedeva per quel momento quattro ore!
Non osavo immaginare quando avrei incominciato l'orario definitivo, ovvero quello composto da sei lunghe ore.
"Io vado alle macchinette del piano terra, vieni con me?" Fece per alzarsi in piedi.
Un caffè mi avrebbe dato un aiuto divino.
"Certo!" Finsi enfasi per cercare di tirarmi su da sola psicologicamente, ma non c'era niente di entusiasmante.
Uscimmo dalla classe, come molti dei nostri compagni e scendemmo al piano terra.
"Pago io, senza ma e senza se" sentenziò lui.
"Beh, grazie allora."
E no, non mi sarei messa a fare scenate del tipo 'no pago il mio' oppure 'ti do i soldi indietro.'
Non credevo che con 30 centesimi in meno sarebbe diventato povero.
Me lo voleva pagare? Bene, meglio per me e i miei trenta centesimi.
Manuel finì il suo caffè in un minuto, mentre io ero ancora là che soffiavo sul bicchiere di plastica marrone fumante.
"Amy, dobbiamo muoverci." Mi sorrise dolcemente, così bevvi tutto il caffè praticamente in un sorso e sentii il piacevole calore della bevanda percorrere la mia trachea per poi arrivare allo stomaco, mischiato al dolore della mia lingua ustionata.
Inutile dire che soffrii in silenzio.
Come facevano gli italiani a tracannarlo in quel modo, nonostante fosse bollente?
La seconda ora, a differenza della prima, passò velocemente e non appena l'intervallo suonò, Samantha si avvicinò al mio banco.
"Non sai cos'è successo ieri!" esclamai e dovetti accorgermi da sola che stavo gridando, siccome tutta la classe smise di parlare.
Mi girai confusa e infastidita e tutti tornarono a farsi i fatti loro, tranne loro due.
"Spara." Si incuriosí Samatha e addentò una patatina.
"Indovina chi abita di fronte casa mia!" Presi anche io una patatina quando avvicinò il pacchetto a me, nonostante mi bruciasse ancora la lingua.
"Non dirmi Ferra perché giuro che..." Non terminò la frase e si riempì la bocca di patatine.
"Proprio lui!"
"Ma avevi detto che non ti piaceva!"
"Infatti non ho detto che mi piace! Potrebbe... potrebbe interessarmi" farfugliai e mi riempii anche io la bocca di patatine; era palese che Manuel stesse ascoltando tutta la conversazione, infatti intervenne.
"Mattia Ferra? Quello che fa 4 M?" Spalancò gli occhi.
"Già" rispondemmo all'unisono io e Samantha.
"È un grande."
"Non dire stronzate! – lo contraddì la mia amica – comunque è meglio che ne parliamo da un'altra parte, Megan non fa altro che fissarci" sussurrò Samantha, così uscimmo dalla classe.
"Non ho mai detto che mi piace, penso solo sia carino e basta." Ribadii sollevando le spalle e lei mi guardò scettica, così alzai anche le mani in segno di resa.
Che ipocrita...
"Te lo giuro!"
Meglio che non aggiunga altro...
"E va bene!"
Mi guidò verso il terzo piano e la seguii.
"Dove andiamo di bello?" domandai ingenuamente, scrutando qualsiasi viso che incontrassi: Riccardo aveva ragione, nella mia scuola c'erano quasi solamente ragazze, ma ovviamente non glielo avrei mai detto.
"Di bello da nessuna parte, voglio solo presentarti una persona speciale."
Annuii confusa e mi immaginai chi potesse essere; il suo gruppo di sole ragazze? Dei suoi vecchi compagni di classe? Il suo fidanzato?
"Chri!"
Un ragazzo molto alto si voltò.
"Sam, non sai quanto tu sia fortunata a non essere più in questa classe, è davvero una merda!"
Vecchio compagno di classe.
"Lo so, anche se la mia nuova classe non è chissà quanto meglio, non è vero?" Samantha mi diede una gomitata.
"È vero – cercai di essere il più disinvolta possibile, tanto che presi io l'iniziativa di stringere la mano a quel bellissimo ragazzo – io sono Amanda."
"Christian." Mi sorrise porgendomi la mano e notai che a differenza mia, aveva entrambe le fossette.
"Amanda, ti presento una delle poche persone normali in questa scuola."
Risi per quella frase e pensai che ci fosse un fondo di verità.
D'altronde solo Josh, Samantha e Manuel si erano presentati, mentre il resto della classe era rimasto anonimo.
Iniziavo davvero a pensare che gli italiani fossero antipatici.
Oppure tutti gli italiani antipatici erano intrappolati in quella scuola.
"Oggi tutti da Starbucks?"
"Certo, come ogni martedì pomeriggio." Lo seguí Sam e mi guardò, in cerca della mia approvazione.
"Verrei volentieri, ma per domani ho un sacco di roba da studiare."
Non sapevo nemmeno da dove iniziare.
Non ero abituata a quella mole di studio, non lo ero affatto.
"Infatti porteremo anche noi roba da studiare."
"Esatto, io per domani non ho iniziato un cazzo! E domani c'è il tema; ciò significa che dimenticherò categoricamente il foglio protocollo."
"Io direi di invitare anche Manuel, sembra quello più normale della classe."
"Già che dice che Ferra è un grande non penso proprio sia normale, però... se proprio vuoi invitarlo..."
Samantha era una di quelle persone che ti giudicava in base alle prime impressioni che le davi (un po' come me) e Manuel non le aveva dato di certo una bella impressione.
Prima o poi mi sarei fatta spiegare tutto questo odio per Ferra.
"Questo Manuel non ha tutti i torti." Christian venne in soccorso di Manuel e Mattia e Sam alzò gli occhi al cielo.
Okay, tutti questi punti di vista mi stavano confondendo.
"Sono sicura che potrà aiutarci con lo studio, ha l'aria di uno che va bene a scuola."
"Mi hai convinta."
Le battei il cinque e la campanella suonò.
"Alle quattro e mezza davanti a Starbucks, puntuali, mi raccomando." Sam si rivolse più che altro a Christian e lui incrociò le dita, come dire che sarebbe stata una promessa.
Le ultime due ore le passai a giocare all'impiccato con il mio compagno di banco e vinsi quasi tutte le volte.
"Non vale, sono tutte parole in spagnolo!" Si era giustificato per tutte le volte che perdeva.
"Ma tu lo studi lo spagnolo, quindi vale eccome!" Era quello che gli avevo ripetuto una decina di volte.
"E va bene, ma domani voglio la rivincita con nomi cose e città!" Stabilì e io fui d'accordo.
Era un gioco che Jess mi faceva sempre fare quando avevo cinque anni, per allenare il mio italiano che ai tempi, era poverissimo.
"Però in napoletano!"
"Che cosa? Così non vale!"
"No, così come fai tu non vale!"
Ci ammutolimmo immediatamente perché la professoressa aveva iniziato a guardarci male.
"Hai da fare questo pomeriggio?"
"No, perché?"
Sorrise sghembo.
"Starbucks, 16:30, puntuale."
"Ricordatevi i fogli protocollo per domani, chi non li porterà avrà un punto in meno." Era l'unica frase che avevo ascoltato dell'ultima ora.
Finalmente quelle quattro ore di scuola terminarono.
"Quindi dove dovete essere alle quattro e mezza spaccate di questo pomeriggio?" Ci domandò Sam, per la terza volta.
"Da Starbucks!" esclamai come se non lo avessi detto le due volte prima, mentre Manuel si era stufato di ripeterlo già la prima volta.
"Risposta esatta." Si fermò davanti all'entrata della metro, insieme a Manuel.
"A più tardi." Li abbracciai un instante e aspettai mio zio al solito posto.

"Jess, alle alle quattro esco." La avvisai e finito il suo interrogatorio insieme alla pasta al pomodoro, mi precipitai in camera di Riccardo.
"Ancora che dormi?" Lo scossi e lui grugnì in segno di protesta; la faccia sembrava essere tornata come prima e aspettavo solo che si svegliasse per sapere da lui com'erano andate le cose all'ospedale.
"È l'una!" Esagerai e lui si girò dall'altra parte.
"Ci vediamo questa sera allora." Feci per andarmene sollevata, ma la sua voce roca mi fermò.
"Dove devi andare?" Mi domandò con gli occhi ancora chiusi.
"Segreto!" Feci la finta misteriosa per il gusto di infastidirlo e richiusi la porta di camera sua, lasciandolo completamente in aria.
Mi misi una canotta bianca e dei pantaloni della tuta neri, sarebbero andati più che bene per un pomeriggio che avrei passato a studiare.

"Avevamo detto alle quattro e mezza!" Mi rimproverò Sam quando arrivai e non capii se stesse scherzando o meno.
"Infatti – presi il telefono e le feci vedere l'ora –sono le quattro e mezza." Scandii ogni parola.
"Sono le 16:32 – si accigliò –almeno tu sei arrivato puntuale!" Si complimentò con Manuel e dopo qualche minuto arrivò anche Christian con le cuffie alle orecchie.
"Strano, mi aspettavo più coda." Commentai ad alta voce.
"Abbiamo scelto il martedì apposta." Sentii lo sguardo di Christian trafiggere il mio profilo.
"Il martedì e il giovedì non c'è quasi mai nessuno." Confermò Manuel.
Ordinai un muffin e un cappuccino e raggiunsi il mio gruppetto insieme a Manuel.
(Mi aveva aspettata, mentre Sam e Christian erano andati a prendere posto).
"Ops, scusa."
Non so da dove, apparve Megan e mi rovesciò il suo frappé al cioccolato sulla scollatura della mia canottiera bianca.
Spalancai la bocca e lei assunse un viso contrito in modo teatrale: l'aveva fatto apposta.
Sapevo fin troppo bene che cosa si provava in quelle situazioni.
Imbarazzo, un imbarazzo così profondo da desiderare che la terra ti inghiottisca, da desiderare di tornare indietro nel tempo, con la consapevolezza che non ti devi trovare in quel posto in quel momento esatto.
Una vergogna tale, da voler essere così intelligenti da sapere come trasformare quella situazione, in qualcosa di meno imbarazzante.
Un disagio immenso, da farti venire la nausea.
Chi è che non è mai stato preso in giro da ragazzino?
Ma solo perché era normale, non per questo era meno doloroso.
Mi venne in mente il mio nomignolo: tomate con brackets .
Pensai al perché avevo deciso di lasciare scuola a quindici anni.
Decisi che non si sarebbe mai più ripetuta una situazione del genere.
Senza pensarci mezza volta, posai il mio ordine sul tavolo, presi il dolce che aveva nel suo vassoio e glielo spalmai in faccia, attirando l'attenzione di tutti.
Sapevo che avevo appena fatto una delle cose più infantili che avrei potuto fare e che mi ero abbassata al suo livello, ma per la prima volta in tutta la mia vita, avevo dato a qualcuno che cercava di umiliarmi, ciò che si meritava.
Il cuore minacciava di uscirmi dal petto.
"Questa giuro che me la paghi!" Mi puntò il dito contro ed io le sorrisi beffarda, facendo appello a tutta la mia sfacciataggine.
"Allora aggiungila alla lista di tutte le cose che devi ancora farmi pagare, sono curiosa di vedere il conto!" Alcuni scoppiarono a ridere, altri sembrava che fossero al cinema e mancavano loro, solo dei popcorn.
"Tu non sai di cosa sono capace" disse le stesse parole dell'ultima volta.
"Staremo a vedere."
Allora anche io ripetei le stesse parole di quando eravamo nel bagno degli insegnanti e lei digrignò i denti.
Megan, semmai tu non sai di sono capace io.

Io e te. Il resto non conta.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora