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Prima di arrivare qui, mi sono informata riguardo New Hope e ho scoperto alcune cose interessanti. Generalmente non amo studiare ma, più mi informavo sulla storia di questo posto, più ne venivo catturata. La città di New Hope è situata sul fiume Delawere ed è collegata a Lambertville dall'omonimo ponte.
È affascinante vedere come le varie auto sfreccino su quest'ultimo, lasciandosi alle spalle delle scie di fumo mentre l'acqua sottostante è calma.
Per quanto questo posto possa essere misterioso, ammetto che incomincio ad esserne attratta e vorrei tanto che non fosse così.
Manhattan era molto più affollata, essendo una metropoli, ma anche qui il rumore mi fa quasi esplodere le orecchie, forse anche a causa del viaggio in aereo che ha reso il mio udito più sensibile.
Tuttavia, non è questa la parte interessante di New Hope, bensì il mistero che la circonda:
le morti improvvise delle persone, alle quali nessuno ha mai saputo dare spiegazione, e la segretezza che la polizia mantiene sui vari casi.
L'unica chiesa presente a New Hope organizza messe private dedicate a pochi eletti, ad eccezione di funerali o cerimonie richieste dal sindaco Archer in persona.
Su un forum online chiamato 'Nerd Uniti' - dove la gente ha preso alla lettera questa definizione, dato che gli utenti sembrano una vera e propria congrega di fratelli - , ho trovato una notizia riguardo le leggende metropolitane del luogo.
La maggior parte hanno l'aria di essere state inventate da un dodicenne che ha appena terminato di leggere un libro fantasy per bambini, ma quelle che parlano di demoni ed esseri sovrannaturali capaci di rubarti l'anima, però, mi hanno letteralmente terrorizzata e il mio lato da fifona non può fare a meno di emergere ogni qual volta senta un rumore nelle vicinanze.
Una volta raggiunta la casa dove da ora in poi dovrò vivere, a sud di Main Street, per poco non scoppio a ridere:
è una villa in stile ottocentesco, realizzata in pietra; le pareti sembrano essere state costruite un secolo fa e ci sono delle crepe poco rassicuranti sul muro esterno. Il giardino è ricoperto da piante e fiori morti e posso notare la piscina piena di foglie secche.
Alcuni corvi sorvolano la casa e il loro gracchiare spaventa mio padre che era troppo assorto nei propri pensieri e nella contemplazione della residenza.
"Beh, direi che ha il suo stile" commenta tentando di convincere me o, più probabilmente, sé stesso.
"E che stile!" ironizzo, sconvolta da ciò che vedono i miei occhi.
Mi avvicino alla piscina e mi salgono dei conati di vomito nel vedere un topo morto a terra, ricoperto ancora dal sangue. I suoi occhi spalancati paiono fissarmi in modo minaccioso e, nella mia mente, posso visualizzare le sue zampe muoversi sul mio corpo mentre tenta di attaccarmi.
È solo un topo, ma tutto in questa città, anche la cosa più banale, diventa terrificante.
"Ma è orribile! Questa casa fa concorrenza a quella di Amityville!" affermo disgustata.
"Non ti avvicinare a quel coso, Zoe!" urla mio padre correndo verso di me.
"Non preoccuparti, stavo solo guardando."
"Non guardarlo, potrebbe prendere vita. Non si sa mai in un posto del genere."
Gli rivolgo un'occhiata divertita, per poi esplodere in una risata che non riesco più a trattenere, data l'assurdità della frase che ha appena detto.
"I topi possono portare alcune malattie. Sarà meglio sbarazzarsene" interviene un ragazzo dal vialetto della casa qui di fronte.
Voltandomi verso di lui, incontro due occhi azzurri e penetranti, i più intensi che abbia mai visto, nei quali scorgo anche una strana malinconia. Il suo fisico è piuttosto snello, i suoi arti sono lunghi e indossa una felpa di una band musicale a me sconosciuta.
"Scusami, tu chi saresti?" chiede mio padre confuso.
"Alec Crave. Vivo nella casa qui davanti. È bello avere finalmente dei nuovi vicini" afferma con un sorriso che, proprio come i suoi occhi, risulta triste e spento.
Quest'ultimo, infatti, non è smagliante o da belloccio.
"Almeno qualcuno è contento di vivere qui" sussurro, ricevendo in risposta una gomitata da parte di mio padre.
"Cerca di portare rispetto, da oggi ogni persona per me è fonte di ispirazione" mi dice con un sorriso speranzoso.
Alzo un sopracciglio e mi volto nuovamente verso il ragazzo che chiede: "Volete una mano con il roditore? Sarà il quarto che trovo, ormai sono un esperto."
"No grazie. Ce la caviamo da soli" risponde papà, stranito quanto me da tanta cordialità immotivata.
"Allora vi serve aiuto con le valige?" insiste Alec.
"Che cosa sei? Il nostro maggiordomo? Perché, in tal caso, mi piace l'idea" affermo con involontaria malizia che disturba in modo evidente l'uomo al mio fianco: "Zoe, smettila!" mi zittisce lui, rivolgendo uno sguardo al ragazzo che assume un espressione ancor meno serena.
"Siamo a posto, ma grazie per l'offerta. Vieni pure a trovarci quando vuoi" continua papà.
"Oh, questo accadrà sicuramente" dice Alec soffermando lo sguardo su di me per qualche istante e mettendomi a disagio, prima di andarsene.
Odio già questa città. Se la gente dovesse essere tutta così strana, penso proprio che non resisterò una settimana a New Hope.
Io e papà ci ricomponiamo ed entriamo in casa. Le mie narici vengono subito invase dalla polvere e inizio a tossire ripetutamente.
"Questo posto mi mette i brividi" dico sbuffando e guardandomi intorno.
È proprio come la immaginavo:
arredata con mobili antichi, con vecchie statue in legno e un televisore impolverato in salone. Una testa d'alce, appesa proprio sopra il camino e semicoperta da un telo, cattura la mia attenzione a causa di un occhio mancante; dire che è aberrante sarebbe un eufemismo.
Una fila di librerie è appoggiata lungo l'intera parete, sul lato destro della stanza, e gli scaffali sono riempiti con vecchi libri che, di sicuro, mio padre amerà leggere.
Saranno qui da anni, o forse decenni; la cosa è elettrizzante ma, allo stesso tempo, inquietante.
"A me piace, è vintage" dichiara papà appoggiando una mano su una mensola che, pochi secondi dopo, cede, trascinando con sé i libri sul pavimento.
La scena mi lascia a bocca aperta e rimango immobile a contemplare i danni mentre papà assume un'espressione simile a quella che aveva il giorno in cui la nonna ha definito 'banali' i suoi romanzi.
"Facciamo che sistemiamo la nostra roba e poi...poi sistemiamo...questo" dice indicando con la mano il caos che ha appena provocato.
"Oddio, sarà un vero incubo!" rispondo in preda allo sconforto.
Porto la mia roba in camera:
una stanza abbastanza grande, con un letto a due piazze posizionato sotto la finestra e una scrivania ricoperta di polvere vicino alla porta.
Per fortuna, ho anche un armadio piuttosto spazioso.
Spero solo che non cada a pezzi come la mensola in salone.
La prima cosa che ho notato entrando qui dentro, è stato il quadro appeso sul muro che raffigura una donna mezza nuda intenta a farsi corteggiare da due uomini.
Non ho idea di chi sia l'artista ma vorrei incontrarlo per discutere dei suoi pessimi gusti.
Posiziono una delle mie foto preferite sulla scrivania:
raffigura me e mia madre e risale a quando ero così piccola da non saper nemmeno dire il mio nome e assomigliavo ad un angioletto.
Ai tempi, i miei occhi non erano così inquietanti, lo sono diventati progressivamente e inaspettatamente con il passare degli anni.
Mi siedo sul letto e, sentendolo scricchiolare, inizio a saltarci sopra per testare la sua resistenza.
Per fortuna, regge perfettamente il mio peso, nonostante il pessimo rumore.
Credo proprio che dovrò abituarmi a New Hope, alla nuova casa e a tutto ciò che mi aspetta.
Non sarà affatto facile ma, da oggi, sarà questa la mia vita e posso solo farmene una ragione.

Undead (ritorno a New Hope) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora