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Non avevo mai partecipato a un pigiama party prima di questa sera, quando Sam mi chiede di dormire da lei, proponendomi una nottata tra ragazze.
Abbiamo scelto una raccolta di film romantici da guardare, comprato dolcetti di vario tipo, tra cui orsetti gommosi e cioccolata al latte e, infine, un pacchetto gigante di patatine che ci gusteremo entrambe mentre parleremo dei nostri problemi adolescenziali.
Sembra il tipico cliché da serie televisiva anni duemila ma non mi dispiace più di tanto se mi  permetterà di passare una normale serata con la mia migliore amica.
"Sicure di non volere che resti con voi? Sapete, nel caso il mostro dovesse tornare" dice Justin.
Ha insistito per restare il pomeriggio qui con noi, implorandoci di fargli compagnia.
Lo fa spesso ora che Aiden è partito per Aspen insieme alla sua famiglia, a visitare le magnifiche montagne di quella stupenda città innevata che sogno di vedere da anni.
"Ma che carino! Justin, l'eroe che si preoccupa per le povere donzelle in pericolo" rispondo ironizzando sul suo lato protettivo e da eroe 'fallito', come amerebbe definirlo Aaron.
È da giorni che non abbiamo sue notizie e a nessuno di noi importa scoprire dove si sia cacciato.
Magari non tornasse! Farebbe un favore a tutta la cittadina di New Hope e anche a sé stesso.
"Era solo per darvi una mano."
"Levati di mezzo."
Sam lancia un cuscino verso di lui che lo schiva abbassandosi.
"Ok, ma se quel mostro dovesse tornare non ditemi che non vi avevo avvisato."
Il temerario Justin non ha nessuna intenzione di arrendersi mentre ci guarda eroicamente.
"Tranquillo, ti chiameremo subito" dico deridendolo ancora.
"Potrei non esserci."
È una frase alla quale neppure lui crede, infatti, poco dopo riprende parola: "Invece no" dice, conscio di non poter mai abbandonare qualcuno che si trova in pericolo; sarebbe un vero affronto per il suo istinto da paladino.
"Grazie, nostro cavaliere dalla lucente armatura."
Gli do un bacio veloce sulle labbra, davanti al quale, per nulla soddisfatto da una tale rapidità, storce il naso.
Ci saluta ed esce dalla stanza, irrequieto.
"Justin è un vero rompi palle" dico saltando sul letto, accanto a Sam.
Lei traballa ridacchiando.
"No, è dolce" risponde.
"Tu lo chiami dolce, io lo chiamo idiota."
Acchiappo una rivista di moda nascosta sotto al letto e la sfoglio, solo per guardare le immagini.
Queste donne sono bellissime, con il trucco perfetto e i capelli piastrati. Non sarei bella come loro neanche se dovessi cambiare faccia e imparare a camminare elegantemente.
"Ma non è il tuo ragazzo?" domanda Sam, che non ha preso nel migliore dei modi la definizione che ho rivolto a Justin.
"E allora?"
Mantengo gli occhi puntati sulla rivista.
"Non dovresti dirgli cose carine?" "Forse, ma poi mi annoierei."
Chiudo la pagina appena aperta e metto via il giornale, guardando Sam sul procinto di sorridere maliziosamente.
"Tu hai mai avuto un ragazzo?" chiedo.
"Una volta, in terza media, si chiamava Johnny."
Sam si morde il labbro inferiore, eccitata nel ricordare questo spasimante del passato.
"Johnny, che nome da sfigato."
Dirlo mi costa un'occhiata letale da parte sua.
"Sto scherzando" mi correggo, prima che mi dia fuoco con una delle tante candele al piano di sotto.
Sam mi ha raccontato che le utilizza Claire quando tutti dormono per realizzare incantesimi misteriosi, facenti parte dei suoi libri proibiti. Non è a conoscenza del fatto che sono in possesso proprio di uno di questi e che ho imparato una miriade di cose sulle streghe e sugli esseri soprannaturali, leggendolo.
"E tu?"
Adesso è lei a pormi la medesima domanda.
"No, mai."
"Sul serio? E non hai mai dato il tuo primo bacio?"
"Sì, ma non è stato così bello."
"Fammi indovinare, ha usato male la lingua?"
"Non l'ha usata proprio, ma ha detto in giro che io l'avevo fatto."
Stupido Carl e la sua boccaccia larga! "Che pezzo di merda!"
"Già."
Scrollo le spalle.
Non lo odio per avermi rovinato la reputazione e avermi fatto chiamare lingua di serpente per dieci mesi, ma non dimenticherò mai il suo sguardo fiero quando gli ho chiesto spiegazioni. Aveva ottenuto ciò che desiderava, si era preso gioco di una ragazzina indifesa e sola che voleva essere accettata da qualcuno.
Questo la rendeva debole e ingenua, ma non lo sarà più. Io non lo sarò più! "Quindi, Justin è il tuo primo ragazzo." "A quanto pare" rispondo insicura.
"E come ti fa sentire? Ti stai innamorando di lui?"
Incrocia le gambe l'una sull'altra, aspettando con fremito che le dica di sì.
Ciò che ottiene, però, è un semplice sguardo spaesato.
"Perché mi guardi così?" chiede ridendo con nervosismo. "Innamorarmi? Ma ti pare? Ho sedici anni, nessuno sa cosa sia l'amore a sedici anni, fingiamo di saperlo ma non è vero."
Ci ho pensato, a volte, a quanto l'amore possa essere bello e cambiarti la vita, ma adesso sono giovane e non capirai nemmeno come distinguerlo da qualsiasi altro sentimento. Dovresti sentirlo dentro di te, uno strepitoso miscuglio di emozioni che ti stringono lo stomaco e ti fanno passare l'appetito.
Non ho mai provato queste cose e non accadrà per i prossimi due o tre anni, presumo.
"I miei si sono innamorati a sedici anni" risponde Sam, rivoltando le mie convinzioni.
"Mia madre mi diceva sempre che l'amore vero ti colpisce all'improvviso, non importa l'età, se deve succedere accade e basta" continua.
"Lo diceva sempre anche mia madre..."
'Devo trovare una persona che mi guardi per quella che sono davvero', è una frase che si ripete incessantemente nelle mie memorie. La spazzola viaggia lungo le ciocche dei miei capelli, morbida e lenta, dando pace all'inquietudine che mi sono sempre portata dietro, nel cuore. Sam è attenta e scorge il dolore che mi ha colta con il ricordo della mamma.
"Non ci rattristiamo, ti va una canna?" domanda tirando da sotto il letto, dove ormai ho capito che nasconde gli oggetti che non vuole far trovare a sua zia, una bustina di erba.
"No, ne ho già avuto abbastanza" rispondo.
"Ok, allora guardiamo un film." Accende il televisore e si mette comoda, sistemando un cuscino dietro le nostre teste.
Mi posiziono accanto a lei e, mentre mi sorride e accarezza una spalla;  decido di ricambiare con una mezza smorfia.
Avrebbe dovuto farle credere che sto meglio ma ha avuto l'effetto opposto: ora è più preoccupata di quanto non lo fosse prima.
La notte cala e Sam si addormenta come un ghiro.
Spesso si gira da un fianco all'altro ma non accenna minimamente a svegliarsi.
A differenza sua, che fino a domattina non aprirà gli occhi, io non riesco a dormire.
Fisso il soffitto, unendo le mie mani per realizzare delle immagini.
Mi diverto con le ombre cinesi e sono una campionessa del mestiere, mio padre potrebbe confermarlo, se solo non fosse impegnato tutto il giorno nel suo studio a scrivere.
Mi auguro che lo ricordi, che ci pensi, durante la notte, a quando giocavamo insieme nel lettone dopo la morte della mamma.
Restare sveglia a rimuginare sul passato mi stresserà solamente, ecco perché mi alzo, senza fare rumore, e mi dirigo in punta di piedi fuori dalla stanza.
Claire dorme nella camera al piano di sopra e non deve sentire i miei passi. L'obiettivo che voglio raggiungere è la soffitta, sperando poi di poter combattere l'incantesimo da lei adoperato e di entrare al suo interno. Ci saranno una dozzina di libri proibiti e leggerli tutti mi aiuterebbe ad accrescere il mio potere ma, soprattutto, a scoprire chi o cosa sono davvero.
Salgo le scale e cammino lungo il corridoio al piano di sopra.
Ho quasi raggiunto la porta, mancano pochi centimetri e toccherò la maniglia.
Trattengo il fiato corto e muovo il piede delicatamente sul pavimento che cigola per un secondo, nel quale mi fermo, assicurandomi che nessuno abbia sentito.
C'è ancora silenzio e io ricomincio a camminare, venendo fermata inaspettatamente da qualcuno che, prendendomi alle spalle, mi stringe e allontana dalla porta.
Grido e quello che scopro essere un ragazzo, data la voce profonda, mi tappa la bocca.
"Non urlare, cazzo!" dice Aaron premendo sulle mie labbra con la sua mano snella ma, grazie al potere che possiede, abbastanza forte da non farmi urlare.
"Perché dovete sempre fare così?" parla tra sé.
"Aaron."
Posso ribellarmi nel momento in cui allenta la stretta e per poco non perde l'equilibrio.
È ferito, ha dei tagli sul volto e la sua camicia bianca è ricoperta di sangue. Dal naso gli grondano delle goccioline della stessa sostanza e una bruciatura gli ha sfregiato la guancia.
"Ma che ti è successo?"
Sono in grado di chiedere, ma non prima di aver esaminato il suo aspetto e di essermi resa conto di quanto sia ridotto male.
"Una sorpresa spiacevole da parte di un mio vecchio amico."
Tenta un movimento che gli costa caro.
Cade a terra disarmato, peggiorando nettamente le sue condizioni.
"Dammi una mano, Claire e Sam non devono sapere nulla" dice mentre lo sollevo con grande fatica dal pavimento.
Stringo la sua camicia, sporcandomi le mani di sangue.
Guardo il liquido rossastro, raccapricciata.
Qualcuno ha cercato di ammazzare il serial killer Aaron Fletcher ed è andato vicino al suo intento, visto che non ha più la forza di reagire.
"Che vuoi che faccia? Stai sanguinando sul tappeto!"
"Portami in cantina, lì nessuno ci sentirà" risponde tenendomi per un braccio e cercando un contatto visivo con me.
Gli do ciò che vuole, ma non come se lo aspettava, il mio sguardo è arrogante e d'accusa.
Porto Aaron nella cantina della residenza Fletcher; a vederla mi fa rimpiangere la mia.
È un luogo tetro, con i muri cadenti e le mattonelle del pavimento spaccate in alcune zone. È impossibile fingere che la puzza di muffa non mi stia infastidendo, ma viene sovrastata dallo squittire dei topi che scodinzolano in giro per la stanza, proprio attorno ai nostri piedi. Guardo il disinfettante che ho in mano mentre l'espressione disorientata sul mio volto non tarda ad aggiudicarsi scherno da Aaron.
"Suppongo tu non abbia mai medicato nessuno" dice, seduto su una di quelle sedie in vimini.
Si trovava già qui quando siamo scesi e al di sopra c'erano alcune foglie secche che ho gettato via scuotendola.
"Come tu non avevi mai estratto una pallottola dalla gamba di nessuno" ribatto, non facendomi intimidire. Aaron reagisce con una risata, scaturita, come sempre, dalle mie risposte a tono.
"Ho visto qualche video, comunque." "Ti sarai guardata qualche episodio di Grey's Anatomy e ora ti crederai un'esperta di medicina."
Fatica persino a prendermi in giro; ha la bocca piena di tagli sui lati.
"No, coglione" dico, bagnando l'ovatta con il disinfettante.
"Guardavo Dr. House, ma non vuol dire che..."
Gliela sto per appoggiare sulla ferita ma lui, affrettatamente, ferma la mia mano.
"Ascoltami, Zoe, la ferita mi sta bruciando davvero tanto e ho bisogno che tu la disinfetti, puoi farlo oppure no?"
"Perché non chiami Justin?"
"Perché nemmeno lui deve sapere." "Che cosa?"
"Che mi vogliono morto!" esclama stringendo i denti.
Non si è preoccupato di svegliare Sam o Claire, spinto dalla necessità di mettermi a tacere.
"Oh, ma davvero?" chiedo, a momenti sprizzante di entusiasmo.
"Zoe, curami questa cazzo di ferita!" "Ok, ok, calmati."
Stufa di discutere, gli tocco la ferita con l'ovatta inzuppata di disinfettante.
"Grazie, almeno ti rendi utile" dice, abbassando poi lo sguardo sulla mia mano, che si muove accuratamente sul graffio.
È abbastanza profondo e non smetto di chiedermi chi possa avergli fatto una cosa simile uscendone vivo.
"Mi renderei più utile se ti lasciassi sanguinare."
L'ovatta tocca un punto aperto della ferita e Aaron tira la testa all'indietro, afflitto.
"E poi, com'è possibile che Aaron Fletcher si sia lasciato ridurre così? Non dovresti sopportare il dolore o cose simili?"
"Non se vengo attaccato da un gruppo di assassini pagati per uccidermi con delle frecce infuocate."
"Cosa...?" chiedo, con un tono più alto rispetto a quello utilizzato fino ad ora. "È una storia lunga e non la racconterò a te, ti sto solamente usando per medicare questa, poi lascerò la città."
"Vuoi andartene via?"
"Per un giorno, devo fare una visita a Brooklyn."
"Te ne vai a New York?!"
La mia voce continua ad alzarsi ogni qual volta Aaron dica delle cose compromettenti.
"Sì, perché?"
"Sai che vivevo lì."
"E tu sai che non me ne frega un cazzo" risponde con insolenza.
Sono tentata da premere forte sulla sua ferita ma non lo faccio; se dovesse prendere fuoco, per qualche strano caso, morirei anche io e non ho per nulla intenzione di passare il Natale all'inferno.
"Portami con te."
Il mio è un ordine.
"Mai."
"Bene, allora curati da solo."
Getto via l'ovatta e avanzo per andarmene.
"No, no, no, aspetta."
Aaron, prendendo il mio braccio, mi riporta da lui.
"Perché ci tieni tanto a venire? Qui ci sono i tuoi amici, se dovessi sparire per un'intera giornata si farebbero tutti delle domande."
"Dirò a Sam che sono dovuta correre a casa durante la notte per un'urgenza e a Justin che sto studiando."
"Sei disposta a prenderli in giro solo per rivedere la tua città?"
l'incredulità che viene racchiusa in ogni lettera da lui pronunciata è quasi di sollievo per me.
Vuol dire che Aaron crede sia una brava ragazza, in fin dei conti, e non un demone che seguirà le sue orme.
"C'è una persona che devo vedere." Rimango sul vago.
"Una persona? Davvero? E chi sarebbe?" domanda, interessandosi in maniera particolare alla faccenda.
"Tu non mi dici perché ci vai e io non lo dico a te, mi dai un passaggio e basta; Justin mi ha detto che il teletrasporto funziona solo nei pressi della città dove ci si trova, quindi ho bisogno della tua macchina e tu del mio aiuto ora."
Sta ragionando, può darsi che abbia delle speranze di ricevere aiuto da parte sua.
Aaron non lo farebbe mai senza un secondo fine, questo significa che presto tornerà da me e vorrà un favore in cambio, uno che sarò costretta ad esaudire o scatenerà la sua ira su New Hope.
"Ci stai?"
"Ok, ma appena arriviamo a Brooklyn ognuno per la sua strada; ci ritroviamo vicino al ponte per le 19:00" risponde, ma non di fretta o senza pensarci attentamente, ci impiega un po' a comunicarmi la sua decisione che, con stupore, è positiva. "Affare fatto."
Gli porgo la mano, tirandola indietro quando sta per stringerla.
"Non te la volevo stringere davvero" dico.
"Tu sei completamente matta."
Aaron mi squadra indispettito.
"Detto da te è un complimento." Sorrido acidamente e torno a pulirgli la ferita, restando in silenzio il più possibile, facendo sì che nessuno dei due abbia motivo di litigare con l'altro.
Mezz'ora dopo avverto mio padre che passerò il pomeriggio da Sam, dico a Justin e alla mia amica che per via di un'urgenza famigliare sono tornata a casa e mi preparo al viaggio con Aaron, che è seduto in auto e aspetta scocciato che io salga a bordo.
Mi sgrida per il ritardo e mette in moto, guidando in silenzio per una gran fetta di tragitto.
Dovremmo restare insieme in quest'auto per almeno un'altra ora e io ho già perso la pazienza.
Aaron non parla, batte il dito sul volante nervosamente, ogni tanto si lancia uno sguardo ammirevole attraverso lo specchietto e poi compie li stessi gesti a ripetizione. È un vero strazio.
"Adoro il clima delle sei del mattino" dico, in cerca di conversare.
"A te non piace questo fresco così leggero e terapeutico?" gli chiedo voltandomi a guardarlo.
Aaron alza le spalle, ridendo in modo flebile.
"Il fresco terapeutico" fa eco alle mie parole, burlandosene.
La luna sta lasciando spazio alle nuvole e, se sforzo l'occhio, posso vedere il sole che fa capolino dietro l'ammasso nebuloso e fosco che ricopre il cielo.
Quest'ultimo è diviso in due colori, sopra abbiamo l'azzurro candido e sotto un leggero rosso mischiato all'arancione, che conferisce alle strade di New Hope un'illuminazione, seppur debole, terapeutica a mio avviso, parola che Aaron, a quanto pare, non tollera.
"Hai capito cosa intendo."
"No, in realtà non ti capisco proprio" risponde intensificando la presa sul volante.
"Ci troviamo insieme, in viaggio per New York, e stai riempiendo i tuoi amici e tuo padre di cazzate, per cosa poi? Per trovare una persona? È ridicolo" aggiunge, scettico riguardo il mio comportamento.
L'osservo qualche altro istante, girandomi subito dopo ad ammirare la stradina deserta che stiamo percorrendo.
Presto saremo immersi dal traffico di Manhattan e ho intenzione di godermi ogni attimo di questa pace e tranquillità che sto imparando ad amare da quando vivo a New Hope. Le foglie degli alberi oscillano lente grazie al leggero vento e un cervo, che corre in mezzo al bosco, saltellando allegramente, mi fa pensare a come sarebbe bello sentirsi così, liberi e dinamici, senza il minimo pensiero per la testa, vivi.
"Non me lo vuoi dire proprio chi è?"
La voce roca di Aaron mi scosta dalla fantasia dentro la quale mi trovavo. "Tu non mi vuoi dire chi ti ha ridotto così?"
Come immaginavo, dopo avermi guardata risentito, si focalizza sulla strada e non ribatte.
"Il viaggio non durerà molto, in ogni caso, quindi aspetterò che finisca ascoltando la musica" dico, aprendo il cruscotto e frugando al suo interno. Chissà quale musica ascolta il mostruoso Aaron Fletcher.
"Non credo che i miei brani ti piacerebbero" risponde, lanciandomi ogni tanto delle occhiate per controllare che non stia commettendo danni.
"Che c'è? Ascolti roba satanica?" "Questo è un pregiudizio bello e buono."
Rido spostando alcuni cd sparsi a casaccio dentro il cruscotto.
Trovo così ciò che stavo cercando. "AC/DC, wow" affermo girando il cd da una parte all'altra, studiandolo per bene.
"Ti piacciono?"
"Di solito ascolto roba tipo Taylor Swift o Justin Bieber, sai, cose da feste di liceali."
Aaron comprende la mia sottile frecciatina e, scacciando una risata, tira un respiro profondo.
"Mi prendi in giro, ho capito." Perspicace.
Inserisco il cd all'interno della radio e faccio partire Highway to Hell. "Questa è molto bella" dico.
"Intendi che è famosa" risponde Aaron.
Non saprei come controbattere, visto che non ho capito dove stia andando a parare, ma con lui non è di certo nuova questa sensazione.
"È bella perché è famosa, non li avrai nemmeno mai ascoltati" spiega.
"Può darsi, che differenza fa?"
"Voglio ascoltare questa."
Cambia canzone, lasciandomi senza una risposta valida al rimprovero appena ricevuto.
Sta volta ascoltiamo 'How You Remind Me' dei Nickelback, una delle canzoni che rappresentano la mia infanzia. Non posso reprimere il sorriso che automaticamente prende spazio sulle mie labbra, ma posso far sì che lui non lo veda, posando la testa sul finestrino.
"Come desideri, la macchina è tua" dico sorridendo ancora rivolta alla strada, sempre più illuminata dalla luce del mattino.
New York si apre a noi come l'ho lasciata due mesi fa. Le stesse bancarelle, gli stessi fast food e gli stessi grattacieli che guardavo dal basso verso l'alto con ammirazione. Il caffè caldo da Starbucks, un odore che attira subito le mie narici e mi porta a sorridere. Amo tutto questo. "Eccoci qui, finalmente, non ne potevo più" dice Aaron scendendo dalla macchina.
La chiude e mi raggiunge dall'altro lato del marciapiede.
Sono stata la prima a fiondarmi in strada, volevo rivedere tutto quello che mi sono persa lasciando questa città, lasciando la mia vita che, pur essendo una vera merda, mi piaceva. "È stato così male?" domando. "Viaggiare con la mia nemica assoluta? No, per nulla."
Che seccatura!
Farò meglio a mangiare qualcosa, ho qualche risparmio in tasca.
Scendo dal marciapiede e Aaron, facendolo insieme a me, mi ferma. "Attenta" dice indicando una sporgenza che si estende al di sopra della strada.
"L'avevo vista."
Stavo per cadere di sedere a terra! "Decisamente no" risponde, seppur a bassa voce, addentrandosi poi in mezzo al traffico.
"Dove vai?" chiedo mentre qualcuno gli suona contro il clacson.
Aaron cammina sicuro di non venir investito, fermando le varie macchine con dei gesti che stanno a indicare di non muoversi.
"Te l'avevo detto, ognuno per la sua strada" risponde, ormai così lontano da non poter sentire adeguatamente la sua voce.
"Ma non mi hai nemmeno..."
"Ci si vede novellina."
Alza una mano, salutandomi con il segno del pace e amore, e svanisce in mezzo al fitto traffico di macchine che lo coprono.
"Fanculo!"
Tiro un calcio alla sporgenza sotto al marciapiede, suscitandomi dolore. Strillo mentalmente per la rabbia e, controllando l'orario, mi rendo conto di dover correre a casa sua.
Potrei non trovarlo se dovesse arrivare il pomeriggio e non è un rischio che sono disposta a correre.
Mi precipito all'indirizzo che mi è stato inviato prima che andassi a vivere a New Hope.
Si tratta di un vecchio magazzino che veniva utilizzato per lo scambio di merce illegale, nei pressi del Bronx. Questo quartiere è malfamato, i ragazzi mi guardano dall'alto verso il basso e alcuni di loro mi fischiano contro frasi poco apprezzabili, alle quali non do alcun peso.
Vorrei suonare il campanello ma non ne ha ancora uno, la porta è persino aperta, me ne accerto nel toccarla e nel vedere che si muove e la maniglia è allentata.
Buon per me, potrò fargli una sorpresa.
Entro in casa spostando delle buste e degli scatoloni che ostruiscono il passaggio.
C'è un nauseante odore di vernice, dato che le pareti sono state sistemate da poco, e mi fa tossire involontariamente.
"Ma che cazzo di posto è questo?" chiedo.
Il salotto è vuoto, se non per un divano verde e un televisore al plasma appeso sul soffitto, proprio davanti a quest'ultimo.
Dalle pareti colano delle tracce di vernice rossa che sporcano le mattonelle bianche e ancora rotte. "Cuginetto, sei qui?" domando ritrovandomi, avendo superato il salone, nel corridoio largo e buio.
Le finestre sono tutte chiuse.
Un ragazzo, girato di spalle, sta sistemando degli scatoloni per terra.
È lui e non mi ha sentita entrare in casa.
Sto praticamente urlando, avrà forse perso l'udito?
Gli tocco la spalla una volta raggiunto. "Cazzo!" grida tirando per sbaglio un calcio agli scatoloni e voltandosi, putandomi contro una torcia.
"Zoe" dice, come se stesse sognando o credesse di avere una visione.
"Ciao, Tristan" rispondo sorridendo, mentre lui spegne la torcia e la lascia cadere sul pavimento noncurante. "Porca puttana! Credevo che non ti avrei più vista per i prossimi dieci anni."
Corre ad abbracciarmi, sollevandomi in aria e facendomi girare.
Non molla la presa su di me neanche per un attimo, la rende invece più salda e mi riempie di baci sul capo. "Non puoi immaginare quanta paura ho avuto di non poter evadere da quella città di pazzi, per fortuna ho trovato un passaggio."
"Un passaggio? Intendi che hai preso il treno e sei venuta qui?"
Ora non mi stringe più ma ha comunque entrambe le mani posate sulle mie spalle.
Mi sta guardando amorevolmente, come fece quando andai via, lasciandolo in balia della sua tragica vita complicata alla Tristan Carter. "Ma no, avrei dovuto rubare i soldi a papà e sai com'è fatto."
"Il diplomatico e freddo Henry Evans, e anche noioso e protettivo."
"In pratica..."
"Una rottura" diciamo insieme, scoppiando poi a ridere, dandoci il cinque.
Mi era mancato così tanto che non mi sembra vero di poter scherzare con lui, di essere qui con l'unica persona della mia famiglia che non mi abbia mai guardato come se fossi una pazza. "Sù, vieni, ho un sacco di cose da raccontarti sull'università" dice scortandomi in salone.
"Spero che non c'entri con la tua ragazza."
Mi siedo sul divano, accavallando le gambe e portandomi le braccia dietro la testa.
"No, con lei è tutto ok."
"Oh, che bello sentirtelo dire, niente più drammi alla Tristan."
"Non parlare troppo presto."
Mi fa un cenno d'intesa e io ridacchio, a conoscenza di tutti i guai nei quali si caccia da quando era alto solo un metro. Non è mai stato capace di tenere la lingua a freno.
Passiamo la mattinata a raccontarci gli aneddoti degli ultimi mesi, tra cui i problemi avuti con l'università e con un certo Cameron, ragazzo che ha cercato di ucciderlo per vendicarsi di un loro vecchio screzio.
Mi ha fatto leggere un articolo di giornale e ho scoperto che è stato ammazzato con uno sparo alla testa e, nonostante si tratti di un brutto avvenimento, non posso che esserne sollevata.
Voleva uccidere mio cugino, per proteggerlo anche io avrei premuto quel grilletto se ne avessi avuto l'opportunità.
In ogni caso, non gli ho raccontato dei poteri e di come New Hope sia una città maledetta, non capirebbe cosa voglio dire e lo spaventerei.
L'ultima cosa della quale ho bisogno è che inizi a vedermi come un mostro e a odiarmi come il resto della famiglia.
"Questa birra fa schifo" dico dopo averne bevuto un sorso.
L'ha tirata fuori dal piccolo frigo bar in cucina, una delle poche cose presenti in questa stanza.
Il magazzino è spoglio, si è trasferito qui da poco ed essendo un incapace ad arredare, ha preferito darsi tempo. "L'ha comprata Marcus, è normale."
Si riferisce al suo migliore amico. "Vive qui con te?"
"Mi si è appiccicato, vorrai dire, ma a me piace, in fondo; adoro quel coglione."
"Lo adorano tutti."
Facciamo scontare le nostre bottiglie e beviamo entrambi un sorso di birra. Tristan si sistema davanti a me a tavola e scende con la schiena sulla sedia, mettendosi in una posizione rilassata.
"Ora, dimmi la verità, che sei venuta a fare qui?" chiede dopo avermi guardata in modo attento, scovando, di conseguenza, il mio reale stato d'animo.
"Mi mancavi."
"Lo so, ma voglio il secondo motivo." Si impunta.
Mi conosce come le sue tasche, siamo cresciuti insieme, alla fine, non avrebbe potuto essere altrimenti.
"Ok" rispondo arresa.
"Cerco informazioni sulla mia famiglia, sul passato della mamma; credo che mi abbia nascosto delle cose."
"Cose di che tipo?"
"Lo saprò quando le vedrò."
Tristan vorrebbe capirmi o aiutarmi, ma è bloccato e non riesce a dire nulla.
"Ho pensato che, dato che tu sai tutto di tutti e che sai sempre come trovare delle risposte, avresti potuto aiutarmi."
"Beh, è un po' difficile se non mi dici di cosa si tratta."
"È la sorella di Elizabeth, Tris, saprai qualcosa sulla sua morte, tua madre ti avrà detto qualcosa."
Perdere la calma non era nei miei piani ma non sono in grado di contenermi nemmeno davanti alla seconda persona a cui tengo di più al mondo.
"Non ne parla spesso, in realtà, è un argomento che preferiamo non toccare in famiglia, e poi è andata via di casa, ci sono dei problemi e..." "Cazzo!"
Mi alzo, facendo strisciare la sedia sul pavimento.
I miei respiri affannati, l'aria pesante nella stanza e quella sensazione amare nella bocca.
È un segnale, i miei poteri stanno combattendo per attivarsi e ciò non può accadere davanti a Tristan.
"Ehi, ma che ti succede? Sei diversa dall'ultima volta che ti ho vista" dice avvicinandosi a me, allarmato.
"È cambiato tutto da quella volta" rispondo mentre, tirando fuori il mio lato coscienzioso, mando via la rabbia, concentrandomi sugli elementi positivi.
Sono qui con mio cugino, ho potuto abbracciarlo di nuovo, ho sentito le sue calde mani sulla mia schiena ed è stato bello; mi mancava da morire. "Farò delle ricerche, ok? Ma ho bisogno di tempo."
"Allora potresti..."
Il mio cellulare suona nella tasca dei jeans, interrompendomi.
"Scusami un attimo" dico leggendo il nome di Aaron sullo schermo.
Ci ha messo poco a telefonarmi, gli ho dato il mio numero solo questa mattina; vuol dire che abbiamo dei problemi.
"Aaron, sono impegnata" rispondo, nascondendomi dietro una delle buste di plastica ricoperte di vernice agganciate al soffitto.
"Che peccato, perché ho bisogno che tu venga subito qui" dice.
Parla piano e la sua voce viene sovrastata dai rumori della città. "Cosa?"
"Ho un piccolo problema con quella gente di ieri: non vogliono lasciarmi entrare."
"Dove?"
"Al Darkness, non saprai di cosa si tratta, comprensibile, lo troverai seguendo il tuo istinto, ma sbrigati, prima che escano e mi uccidano." Insultarlo esplicitamente è il mio primo istinto ma non faccio in tempo: Aaron ha già terminato la chiamata. "Tutto bene?" domanda Tristan quando torno da lui con un'espressione contrariata.
"Alla grande" rido trattenendo un urlo di sconforto.
"Devo andare, grazie della bella mattinata, Tris. Chiamami quando avrai informazioni."
Vado subito verso la porta.
"Di niente, cuginetta."
Salutandomi sorride, gesto che ricambio frettolosamente mentre mi precipito fuori dal magazzino.

Undead (ritorno a New Hope) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora