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La nebbia ricopre l'intera città questo pomeriggio mentre sto tornando a casa e ascolto i vari messaggi in segreteria da parte di mio padre.
Dice che non ci sarà a pranzo, farà un giro in centro e cercherà di raccogliere qualche idea nel bosco da inserire successivamente nel suo amato libro.
Il titolo dovrebbe essere 'Come fingere che la propria figlia non esista, il manuale per genitori assenti'; sarebbe indelicato ma accurato.
Non ricordo quando abbiamo passato l'ultima volta una giornata normale tra padre e figlia; lui è sempre preso a scrivere e, a volte, è come se non ci fosse nemmeno.
Succede spesso quando ripensa alla mamma, si siede sulla sua poltroncina, fissa il vuoto, legge qualcosa e non parla fino al giorno successivo, dimenticandosi di me.
Eravamo proprio in una strada annebbiata come questa quando lei è morta e, camminando lungo il sentiero che sembra non condurre da nessuna parte, mi rendo conto dell'immensa tristezza che mi pervade.
Mi sforzo per ricordare qualcosa in più, spremo i miei neuroni e, per un attimo, ho una breve allucinazione della pioggia che batteva sul finestrino.
Sento il rumore delle ruote e del motore e vedo due enormi fari gialli. No, non ancora quegli occhi, mi tormentano ininterrottamente e ne ho avuto abbastanza.
Mi guardo intorno - per quanto sia possibile - .
Le case annebbiate hanno un'aura più misteriosa e New Hope sembra quasi essere diventata una città fantasma. La stradina che sto percorrendo è tutta dritta, almeno finché non mi si presenta davanti un bivio. Andare a Main Street o verso la chiesa che, vista da qui, non ha altro che l'aria di essere un puntino in mezzo alla nebbia.
Tornare a casa sarebbe la scelta intelligente, ma allora per quale motivo ogni muscolo del mio corpo mi sta spingendo dal lato opposto? Raggiungo la chiesa e mi fermo davanti a quest'ultima.
Da dentro esce una leggera musica suonata con l'organo: è una versione alternativa del 'CHIARO DI LUNA' di Debussy.
Era la melodia preferita di mia madre e non è la prima volta che l'ascolto da quando è morta; è persino apparsa in alcuni dei miei sogni.
Quegli occhi gialli, li vedo ancora nella mia testa, mi fanno sentire debole e lo odio, quasi quanto l'idea di non potermi nemmeno muovere per andare via da qui.
Mentre sono intenta a guardare le porte della chiesa, queste si aprono di colpo, dandomi la possibilità di vedere all'interno del luogo sacro.
Ci sono due file di panchine argentate e un tappeto rosso sul pavimento che conduce a un altare con al di sopra posizionata la statua della Madonna.
Un ragazzo è intento a suonare seduto di fronte all'organo ed è davvero bravo, fa sembrare questo gesto il più facile e bello al mondo.
Lo guardo incantata mentre vorrei avvicinarmi, ma il mio corpo non me lo permette.
I miei occhi restano aperti con fatica e, poco dopo, riconosco la figura del ragazzo.
Si tratta di Aaron che ogni tanto mi guarda nel chiaro tentativo di provocarmi.
Non capisco per quale motivo ma muovo alcuni passi verso l'interno della chiesa.
È completamente vuota, se non fosse per Aaron sarebbe deserta.
La mia anima viaggia leggiadra, diventando una parte a sé stante che vuole liberarsi, mentre tutto intorno a me si illumina: le pareti, le statue e Aaron, vengono catturati da una fonte di energia abbagliante.
Mi sento bene e felice, ma non come quando salti dalla gioia perché hai ricevuto il regalo che sognavi, ma in modo surreale, come correre a cento all'ora su una strada trafficata senza spiaccicarti al suolo.
Sono consapevole del fatto che entrare qui dentro sia la scelta giusta da intraprendere per continuare a sentirmi così.
"Brava, vieni da me" dice Aaron che mostra il suo sorriso più inquietante. Sorrido a mia volta e metto un piede vicino all'entrata.
Ormai ce l'ho quasi fatta, presto raggiungerò il magico mondo creatosi dinanzi a me.
"Zoe, fermati!" urla Justin tutto d'un tratto, tirandomi per i braccio e facendomi cadere sull'asfalto, dritta sopra di lui.
Le porte della chiesa si chiudono da sole e io mi ritrovo con i capelli spettinati, l'aria sconvolta e, soprattutto, con un ragazzo che mi guarda spaventato dal basso verso l'alto, dato che lo sto schiacciando. "Ma che cosa...cosa cazzo è successo?" parlo quando il mio cervello è nuovamente in grado di formulare una frase.
"Stavi per andare in contro alla tua morte!" risponde, ma questo non mi dà alcuna spiegazione concreta.
Justin è sempre stato strano, adesso non vorrei che fosse diventato matto. Le sue labbra sono vicinissime alle mie e posso percepire il suo respiro affannato sotto di me. Mi costa ammetterlo ma è una sensazione piacevole, che però non basta a evitarmi una smorfia di confusione.
Justin mi porta al Moo - il bar più frequentato di New Hope - , dove mi racconta una storia assurda alla quale nessuno crederebbe, nemmeno la persona più ingenua e influenzabile al mondo.
"Quindi mi stai dicendo che, se fossi entrata in chiesa, avrei preso magicamente fuoco perché sono maledetta o qualcosa del genere?" gli domando una volta che ha finito il suo discorso o, per meglio dire, che ha terminato di espormi una marea di stronzate.
"Non è proprio così, la tua anima è condannata e tu non puoi entrare nei luoghi sacri, a meno che non ti cosparga di acqua santa prima". Ascolto le sue parole con un cipiglio in volto, incapace di credere a una cosa simile.
"Ok, vieni qui" rispondo, indicandomi per far in modo che si pieghi in avanti.
"Perché?"
"Fallo e basta" insisto.
Justin fa come richiesto, guardando prima un gruppo di ragazze che ogni tanto ci ha lanciato delle occhiate, con la paura che possano prenderlo in giro. Gli tocco subito la fronte, analizzando la sua temperatura. Può capitare che durante una forte febbre si abbiano dei momenti deliranti, mi è successo molte volte quando frequentavo ancora la mia terapista.
"Non mi sembra tu abbia la febbre, allora sei matto e basta" dico poi, constatando che sia perfettamente in salute.
Justin non risulta entusiasta: "Capisco che sia difficile da credere..." "Impossibile, non è difficile ma impossibile. Non esistono cose come le anime impure o i demoni, sono solo favole."
Ci ho già provato a dare una possibilità al mondo dell'occulto, leggendo forum e cercando di trovare un motivo per il quale credere che il nostro mondo non sia solo bianco o nero ma che esistano altre sfaccettature nascoste, che i fenomeni inspiegabili non siano delle leggende ma che le persone abbiano paura a crederci, perché nessuno vorrebbe mai trovarsi faccia a faccia con il male; però, nulla di tutto ciò ha una base scientifica e non ho alcuna intenzione di diventare superstiziosa come mio padre, o peggio, di credere che io faccia parte di quell'oscurità di cui la gente ha tanto terrore.
"Non sei un demone, ma non sei nemmeno una comune mortale, semplicemente sei..." si interrompe da solo, guardandomi con una leggera agitazione riguardo ciò che vorrebbe dire.
"Cosa?" lo invito a continuare.
Justin esita alcuni secondi, poi si decide finalmente a dirlo, prendendo un respiro troppo lungo che non mi rassicura.
"Morta, tu sei morta Zoe" dice e, immediatamente, perdo la voce, insieme alla capacità di respirare.
Ci metto alcuni secondi a trovare un senso a una cosa del genere, ma è ridicolo anche questo, come d'altronde il suo intero discorso. "Cazzo, la situazione è più grave di quanto pensassi. Tu sei del tutto fuori di testa!" dico, seriamente preoccupata per il suo stato mentale.
Nessuno parlerebbe di certe cose se stesse bene, Justin avrà subito un trauma che l'ha portato a credere alle favole.
"Devi ascoltarmi, so quello che ti è successo da piccola, sei morta durante quell'incidente stradale con tua madre, ma a volte la morte è difficile da comprendere, decide di dare una seconda chance e con te l'ha fatto, ecco perché sei ancora qui."
Justin parla con una tale convinzione da farmi dubitare che sia davvero così.
"Tu come lo sai dell'incidente? Hai fatto ricerche su di me? Sei davvero uno stalker?" sbotto mentre la paura lascia spazio alla rabbia.
"Non mi è servito, mi è bastato leggere i tuoi pensieri, è uno dei vantaggi dell'essere morto, posso fare delle cose che gli esseri umani non sarebbero mai in grado di fare" risponde.
Una risata amara - che non ho saputo trattenere - , mi scappa fuori.
"Justin, tu non sei morto, hai bisogno di un medico, in compenso; conosco molti psicologi, quando mia madre se n'è andata ho dovuto seguire una terapia per stare meglio, ora non so quale sia il tuo trauma ma devi superarlo."
"Non ci vuoi proprio credere, eh? Ti basterebbe guardarti: i tuoi occhi, le tue stranezze, non ti è mai capitato di fare qualcosa di assurdo e di non potertelo spiegare?"
Ci penso attentamente, poi mi ricordo del terremoto, della spinta data ad Aaron e dei fiori morti non appena ho messo piede nel giardino di Sam. "Anche se fosse, non vuol dire niente, e soprattutto non significa che io sia morta. Ti rendi conto di quanto sia assurdo quello che dici?"
Non potrò sopportare ancora a lungo questa conversazione; per fortuna, il Moo non si trova lontano da Main Street, mi basterà scappare e correre come un fulmine se le cose dovessero andare per il verso peggiore.
"Va bene allora, te lo posso provare" dice sicuro.
"E come?" chiedo rivolgendo uno sguardo alla porta, preparandomi a mettere in atto il mio piano di fuga. "Seguimi e vedrai."
Si alza in piedi e lascia cadere il fazzoletto con il quale si era pulito la bocca poco fa.
Il suo comportamento mi confonde ma, non appena mi rendo conto che si sta dirigendo verso il tetto, mi alzo e lo seguo.
"Justin, ma che vuoi fare?" dico raggiungendolo.
Il vento è pesante e il cielo è ancora annebbiato.
"Sono già morto, quindi, se mi butterò, non mi capiterà niente e tu avrai la prova che sto dicendo la verità."
Sale sul bordo del tetto mentre sul mio volto appare un'espressione di sgomento.
"Scendi subito da lì, sei impazzito? Ti farai del male!" urlo.
Se dovesse buttarsi veramente solo per dimostrare la sua folle tesi, penso che morirei con lui.
"È quello che ti serve per credere alle mie parole."
"Vado a chiamare aiuto."
Corro ad aprire la porta, tirando freneticamente la maniglia che si rivela essere bloccata.
"Ma...due secondi fa era aperta" dico tirando dei colpi.
"L'ho chiusa con la mente, è un altro dei miei poteri" risponde Justin.
È davvero convinto di quello che sta dicendo ed è questo a turbarmi. "Justin, non farlo, per favore, non puoi buttarti" dico mentre il vento fa muovere i miei capelli, spingendoli sul mio viso.
"Invece posso, e ora te lo mostrerò." Allarga le braccia guardando in alto. "Fermati subito!"
Non mi ascolta nemmeno, sono diventata invisibile ai suoi occhi rivolti al cielo nebbioso.
"Justin, Scendi, per l'amor del cielo!" sbraito ancora.
Mi rivolge un'ultima occhiata, sorridendo senza un apparente motivo.
"No!" grido nel preciso istante in cui si butta, e il mio urlo strozzato si espande lungo il tetto.
Provo, in un solo attimo, tutte le sensazioni di quella notte, che non esitano a travolgermi.
Tremo nel sapere che Justin si è appena ucciso davanti a me e che lo avrò sulla coscienza per il resto della mia vita. Il mio corpo desidera allontanarsi ma sono ancora bloccata qui, sia dalla paura che dall'ansia, perché quello che è appena successo resterà per sempre impresso nel mio cervello; non è giusto, non merito di provare di nuovo uno shock così destabilizzante.
"Zoe" dice Justin, camminando alle mie spalle qualche secondo dopo. Mille brividi percorrono la mia colonna vertebrale, le parole non mi escono di bocca e i miei nervi non mi permettono ancora di rilassarmi; la paura non fa altro che aumentare. Non può essere, questo non può essere vero!
Sono accadute tante cose strane da quando ne ho memoria: ho perso mia madre, non ho mai avuto degli amici, i miei occhi sono più scuri del normale, ma mai, mai avrei immaginato di poter vivere una situazione di questo calibro.
Justin ha appena sfidato la morte e ha vinto.
I miei occhi sono spalancati e l'aumentare dell'intensità del vento intorno a noi accompagna la mia anima tormentata.
"Tu...tu sei..." mi volto verso di lui che mi guarda teneramente, passando una mano tra i miei capelli.
"Ma com'è possibile?" chiedo, rassegnata di fronte all'evidenza.

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