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Mi perdo nel buio di questa strada a me sconosciuta. Alcune gocce di pioggia bagnano il mio corpo e percepisco la paura, quella che ti divora dentro, che ti mette alle strette e, anche se volessi gridare aiuto, le parole si fermerebbero in gola, bloccate dal macigno del dolore che ti opprime.
Vorrei provare qualcosa, sentire delle emozioni vere che non siano solo rabbia o infelicità, ma a me non è mai successo.
Non ho mai amato nessuno, non ho mai guardato nessuno come se fosse la persona più importante della mia vita e non credo di esserne in grado;  sarebbe troppo da sopportare. Cammino verso l'unico spiraglio di luce che riesco ad intravedere, mi muovo lentamente, con passi trascinati, mentre sono come ipnotizzata da qualcosa che mi sta distruggendo.
Di colpo, noto due occhi gialli che mi fissano da lontano e mi stanno chiamando, mi dicono di avvicinarmi, di non frenare il mio movimento.
Una parte di me vorrebbe andare, l'altra, invece, mi obbliga a restare immobile.
"Dove mi trovo?" chiedo a me stessa,  prima che si alzi una folata di vento. Mi copro il volto con una mano e trattengo l'ansia nel vedere una sagoma, quella a cui appartengono quegli inquietanti occhi gialli; assomigliano ai fari di una macchina.
Il resto del corpo è deforme e non gli saprei dare una descrizione ben definita.
"Chi sei?" urlo terrorizzata.
A causa del vento, non riesco a mantenere gli occhi aperti, che cominciano a lacrimare.
Poi, senza alcun preavviso, vengo afferrata alle spalle e un grido strozzato fuoriesce dalle mie labbra. Mi sveglio nel mio letto e sobbalzo, portandomi una mano al petto e sentendo i miei battiti velocizzati.
È un ritmo che non mi piace, mi fa tornare in mente brutti ricordi che avrei preferito non rievocare, almeno non adesso che vivo in questa prigione.
Di solito non ricordo i miei sogni ma questo era talmente reale da mettermi i brividi.
Prendo il mio cellulare e controllo l'orario; spero che non sia già ora di prepararmi per il primo giorno alla 'New Hope School' o potrei dare di matto.
"Le 7:30. Fanculo!" impreco e mi porto il cuscino sul volto, in modo che le mie urla vengano soffocate.
Mi lavo e mi vesto velocemente, optando per qualcosa di comodo; non voglio dare nell'occhio.
"Ah, ce la puoi fare" sussurro di fronte allo specchio, intenta a studiare il mio aspetto.
A volte vorrei che fosse più facile, vorrei che io lo fossi e mi piacerebbe non avere sempre la mente sommersa dai pensieri.
Vivrei molto meglio se fossi stupida.
Circa dieci minuti dopo, mi trovo in macchina con mio padre, dirigendoci verso la scuola.
"Ti ho sentita urlare stamattina, hai trovato un topo morto in camera?" mi domanda.
"Era solo un incubo" rispondo sperando di non venir messa sotto torchio.
Il suo sguardo si fa immediatamente preoccupato.
"Zoe, credevo avessi superato quella fase."
"Infatti è così. Non facevo incubi da anni, è stato strano. Credo sia la casa in cui TU mi hai trascinata a darmi i brividi" ribatto.
Se mio padre avesse pensato solo per un secondo a come mi sarei sentita trasferendomi qui, magari ora non mi troverei a combattere per ambientarmi in un posto che non mi piace.
"Non puoi dare la colpa alla casa se sei ancora turbata da quello che è successo. Forse non dovevamo interrompere la terapia" afferma,  facendo riaffiorare ulteriori ricordi nella mia mente:
l'incidente stradale, mia madre che guidava, io che non capivo cosa stesse realmente accadendo.
Le immagini erano confuse, frammentate e senza una vera e propria spiegazione.
"Papà, sto bene, ok? Ho solo bisogno di tempo" provo a tranquillizzarlo.
"Il tempo non è mai abbastanza. A volte lo sopravvalutiamo e lui ci frega perché ha potere su di noi" risponde, per poi sorridere guardandosi nello specchietto retrovisore.
"Questa era bella, la dovrei inserire nel libro" aggiunge fiero di sé.
"Ti prego."
Ridacchio portandomi una mano tra i capelli per controllare che siano in ordine.
La voglia di restare anonima si sta pian piano tramutando nel desiderio di essere notata e ammirata in una scuola dove nessuno - per fortuna - mi conosce.
"Ascolta Zoe: lo so che per te non è facile stare qui, che è tutto nuovo adesso, ma vedila come un'opportunità per cominciare da capo. Forse ti farai degli amici nella nuova scuola."
Scoppio in una fragorosa risata.
"Sono passati sedici anni e ancora non hai capito che alla gente non piaccio" rispondo fingendo che non mi faccia male.
"Per quel che vale, a me piaci, e anche tanto" mi dice sorridendo dolcemente.
"Lo dici perché sono tua figlia."
"Anche, sì" replica, ridendo con me.
"Ma soprattutto perché sei una ragazza fantastica e prima o poi qualcuno se ne accorgerà, è una promessa" continua.
Nel sentire queste sue parole, mi ritrovo a provare una strana sensazione nello stomaco.
A Manhattan non mi importava nulla di avere o meno degli amici, ma qui è tutto diverso. L'atmosfera lo è, quindi conoscere nuova gente - a patto che non sia invadente come il ragazzo di ieri - sarebbe divertente.
"Ok, ricordati cosa ti ho detto e non dare troppa confidenza ai ragazzi, specialmente a quelli che ti fanno apprezzamenti espliciti" dice papà una volta arrivati a scuola.
L'istituto si apre con un cortile circondato da siepi e alberi di quercia. Ci sono anche due o tre panchine sparse qua e là.
"Come vuoi" rispondo seccata.
Sto per scendere dalla macchina  quando lui mi interrompe: "E a mensa cerca di integrarti con un gruppo. Per esempio, va' da alcune tue compagne di classe, quelle meno antipatiche" dice, ottenendo da parte mia un'occhiata curiosa.
Scuoto la testa e provo ancora ad uscire, venendo nuovamente interrotta: "Non rispondere male ai professori come a tuo solito e niente sarcasmo, non il primo giorno" continua con sguardo autoritario. "Andiamo, il sarcasmo lasciamelo" mi lamento.
L'unica arma che possiedo contro le ingiustizie è la mia lingua tagliente; mi ha permesso di non farmi mettere i piedi in testa molte volte e adesso lui me ne vuole privare. Con quale coraggio?
"Zoe..." replica con la classica espressione da sergente istruttore che non lascia spazio ad obiezioni.
"Non ti prometto niente. Ma adesso fammi andare, devo parlare con la mia guida" rispondo al limite della pazienza.
Papà è davvero un uomo iperprotettivo e a volte è insopportabile, ma so che lo fa per me; in seguito al trauma che abbiamo vissuto, non potrei mai biasimarlo.
"E chi sarebbe questa guida?" chiede lui mentre io scendo dalla macchina e mi guardo intorno in cerca di Justin White, ovvero il ragazzo che dovrà occuparsi di me.
"Stai cercando me?"
Una voce mi attira; è profonda e calda, molto più sensuale di quanto potessi aspettarmi.
Alzo lo sguardo e incontro un ragazzo alto e con un fisico ben piazzato:
i suoi occhi, all'insù e neri - molto simili ai miei -, ricambiano le mie attenzioni e i suoi capelli sono scuri in alcuni punti, in altri, invece, assumono un colore tendente al biondo.
Le sue labbra sono piuttosto fini e ai lati posso notare delle fossette che lo rendono dolce all'apparenza.
"Tu sei Justin White?" chiedo guardandolo con interesse - anche se non ne capisco il motivo - .
Non mi è mai successa una cosa simile.
"L'unico e il solo. Tu invece devi essere Zoe" dice avvicinandosi a me e allungando la sua mano nella mia direzione.
Un sorriso compare sul suo volto e, per un secondo, sento lo sguardo di papà incenerirlo.
"Proprio io. È un bene che ci siamo incontrati subito, di solito non sono così fortunata" rispondo dopo avergli stretto la mano, assumendo un'espressione timida.
"A New Hope le cose girano in modo diverso, qui siamo un po' tutti fortunati" replica Justin continuando a guardarmi in modo intrigante, quasi travolgente.
È come se volesse trasmettermi un messaggio con tutte le sue forze, qualcosa che solo noi possiamo capire.
Papà finge un colpo di tosse, così da riportarmi con i piedi per terra.
"Zoe, credo tu debba cambiare guida" mi suggerisce poi.
Lo fulmino con uno sguardo rabbioso. "Cosa? Non posso cambiare guida all'ultimo momento, e poi non ne ho motivo!" rispondo.
"Ma non lo vedi che tipo è? Sembra venuto fuori da un film horror. Senza offesa, ovviamente" dice dando una breve sbirciata a Justin.
"Non si preoccupi, me lo dicono in tanti" replica lui con una calma apparente.
Non capisco come possa essere così tranquillo; io avrei già tirato fuori il mio lato più volgare.
"Non devi dargli spiegazioni, mio padre non sa farsi gli affari suoi!" dico sperando che il mio tono sprezzante lo colpisca.
"Mi preoccupo per te, adesso sarebbe un male?" ribatte papà.
"Non è necessario, non ho cinque anni."
"Da come ti stai comportando direi il contrario."
Sono stanca di tutto ciò. E io che l'ho perfino seguito in questo luogo di matti.
"Mi dispiace interrompervi ma le lezioni inizieranno tra dieci minuti. Ho poco tempo per mostrarti tutte le classi" interviene Justin mantenendo quel suo tono pacato.
"Sì, dobbiamo andare" rispondo ricompondendomi - per quanto sia possibile - .
Non ho per nulla voglia di passare per un'isterica di fronte a Justin.
Saluto mio padre guardandolo un'ultima volta. Lui si limita a sospirare e stringere più forte il volante.
Justin mi incita a seguirlo e io faccio come richiesto, ma non prima di averlo studiato ancora una volta per bene.
È davvero un bel ragazzo e, per la prima volta, sento una vera e propria attrazione per qualcuno.
Cosa può voler dire?

Undead (ritorno a New Hope) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora