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"Mi hai portata in un vicolo cieco pieno di immondizia? Per caso vuoi uccidermi senza lasciare tracce?" chiedo ad Aaron introducendomi in un vicolo stretto nei pressi di Brooklyn.
Per raggiungere questo posto ho dovuto seguire il mio istinto, combattendo contro guidatori inferociti e bambini che mi chiedevano di recuperare loro la palla con la quale stavano giocando a calcio.
Tutto per arrivare in un luogo squallido e puzzolente dove solo Aaron avrebbe potuto portarmi, conoscendo la sua passione per uccidere le ragazze nei vicoli di New Hope.
"Almeno mi starei divertendo, invece guardami, sono qui, nascosto dietro a un cassonetto, ad aspettare che tu venga a salvarmi. Che pena" risponde, effettivamente rannicchiato dietro a un cassonetto sporco. Lo utilizza come scudo per nascondersi da chi lo sta minacciando.
Non vedo nessuno e mi balena l'idea che Aaron abbia perso la testa e non sappia più riconoscere la realtà. "Magari dovrei andare via e lasciarti in balia del tuo destino."
"No, non osare...voltarmi le spalle."
Mi guarda intimidatorio e blocca i pochi passi che avevo appena intrapreso per scappare da questo delirio.
"Non era ciò che volevi fino ad ora?" "Devi aiutarmi"
"Devo? No no, non è questa la parola che dovresti usare."
"Te lo scordi che arrivi a pregarti."
Mi allontano ancora, sta volta decisa ad andarmene sul serio.
Non gli permetterò di rovinare la mia giornata, anche se non credo possa andare peggio di così.
Tristan non ha saputo aiutarmi e Justin mi scrive imperterrito dei messaggi, chiedendomi se sono disponibile a pranzare con lui.
Mi duole mentirgli ma non ho avuto molta scelta se non quella di seguire Aaron a New York, pur di rivedere Tristan.
"Zoe, no."
"Ciao ciao."
"Ok, cazzo, vaffanculo, ho bisogno di te."
Due imprecazioni e poi un cedimento; è proprio nel suo stile.
Sorrido ma non può vederlo, sono girata di spalle e mi sto godendo la vittoria in silenzio.
"Hai bisogno di me" ripeto girandomi. "Ho bisogno di te" dice a sua volta in modo più pacato, come se lo pensasse davvero.
"Spiega."
Torno da lui, aiutandolo ad alzarsi.
Le ferite sul suo viso stanno piano sparendo.
È merito delle mie cure ma, se dovessi rinfacciarglielo, impazzirebbe di orgoglio. Tengo di conseguenza la bocca chiusa.
"Non mi hanno fatto mettere piede dentro al locale, dicono che Aaron Fletcher non è più ammesso, e poi mi hanno puntato un arco addosso."
Si indispettisce quando accenna al fatto che non sia più ammesso nel locale di cui tanto parla, ma che non si è ancora palesato ai miei occhi. "Scusami, mi ripeti dove si trova questo posto? Io qui non vedo nulla." Guardo a destra, poi a sinistra e in ogni angolo di questo buco di vicolo, ma non c'è nessun locale magico nei dintorni.
"Non è importante, ti ho detto che non mi fanno entrare ma io devo parlare con Mike, è l'unico modo per placarlo."
Mike, un altro nome da ricordare. Apparterrà a qualche pazzo non morto che Aaron avrà provocato negli anni passati a New York.
"Usa il teletrasporto."
"No, questo posto è circondato dalla magia delle streghe della famiglia Sue."
"La famiglia Sue?"
"Altra storia della quale non devi sapere nulla."
"Ok..."
Mi sta confondendo e ho esaurito le forze per litigare con lui.
Lo facciamo da sempre, all'inizio poteva sembrare un gioco o un divertimento per entrambi, adesso vorrei solo che questa guerra finisse, così da non dover più ascoltare il suo fastidioso tono di scherno.
"Posso provare io" dico.
"Non pensarci nemmeno, quelli ti ammazzano se ti vedono con me." Aaron mi guarda adirato, dicendomi chiaramente, con questa espressione seria, che non si tratta di un'esagerazione.
"Perché mi hai chiamato se non hai un'idea?"
"Perché speravo che ne trovassi una tu!"
Scoppia in un urlo di rabbia che gli fa quasi esplodere le corde vocali.
Onde evitare che bruci a causa della sua stessa collera, mi impegno a trovare una soluzione, una che salvi me dal passare l'intera giornata con Aaron e che permetta a lui di entrare nel Darkness.
"Aspetta, hai detto che non fanno entrare Aaron Fletcher, giusto?" chiedo, pensando a questo particolare con diligenza.
Lui annuisce seccamente.
"Ma potrebbero far entrare qualcuno che non sia lui."
"Non ti seguo."
"C'è una strega a New York che non voglia vederti morto?"
"Ah...fammici pensare."
Si porta un dito sotto il mento, mettendoci del tempo di troppo a rispondere.
Aaron è una testa calda ed è riuscito a farsi molti nemici, tra cui, come già avevo presupposto, ogni strega nei pressi di questa città.
"In effetti sì, ce ne sarebbe solo una, ma è una tipa difficile."
"Forte, quanti anni ha? Duecento? Più di mille?" chiedo, curiosa di conoscere delle verità aggiuntive sul mondo delle streghe, rispetto a quelle che ho già letto nel libro proibito di Claire.
La mia domanda ottiene risposta qualche momento dopo, quando Aaron mi presenta davanti la persona di cui parlava.
"È una bambina" affermo, rimanendo imbambolata a fissarla, sbigottita, per almeno un minuto, credendo che si tratti di uno scherzo.
La bambina gioca a pettinare le sue bambole, posizionando dei piattini di plastica e delle tazzine sul grande tappeto al centro del salone.
"Aaron, mi hai portato da una fottuta bambina!" continuo sbottando.
"Lo so, non è fantastico?" lui ride entusiasmato.
"Sta giocando con le bambole! Ma come fai a conoscerla?"
"È successo un anno fa, ero in gelateria e mi ha fatto vedere come trasformava un cono in una coda di serpente; è stata così carina, vero puzzola?"
Le accarezza alcune ciocche di capelli biondi che le arrivano fino alla schiena.
È una bambina dai tratti dolci, dalle labbra a forma di cuore, tinte di un rosso naturale, e dalle guance paffute. I suoi occhi, rotondi e azzurri, la fanno assomigliare a una piccola principessa.
Indossa un vestitino e dei mocassini rosa leggermente a punta.
"Dove sono i suoi genitori?" chiedo.
La casa, che è un umile dimora a due piani, è arredata in modo fiabesco.
Le pareti sono gialle e i mobili, rigorosamente in legno, sono stati verniciati tutti di un colore diverso, ma sempre a pastello.
Sopra agli scaffali sono posizionati diversi giocattoli e delle palle di neve, mentre i muri sono stati riempiti da quadri raffiguranti immagini allegre di animali, tra cui un cane che scodinzola felice davanti al suo osso. "Non li ho mai visti, vive con quella vecchia, non credo abbia mai aperto davvero gli occhi."
Aaron manifesta inquietudine davanti alla vecchia signora dai capelli grigi che dorme beata sul divano.
Ha un fisico prorompente, indossa una vestaglia da notte che lascia intravedere le sue forme ormai cadenti, e la dentiera sta per venirle fuori dalla bocca.
Le numerose rughe sul suo volto ormai lo hanno plasmato a tal punto da far sembrare la sua pelle sul procinto di crollare.
Stava lavorando a maglia prima di addormentarsi, infatti il ferro è ancora tra le sue mani e un gomitolo di lana è caduto a terra poco fa dalle sue gambe.
"Questa bambina non ha i genitori e vive con una donna che non parla nemmeno, ma com'è possibile? Dove sono gli assistenti sociali quando servono?" domando preoccupata per la salute di questa povera piccola.
Una bambina ha bisogno di cure adeguate, non di vivere praticamente da sola in tenera età.
Chi le preparerà il pranzo? E la cena? Chi la porterà a scuola? Chi l'aiuterà a svolgere i compiti?
Per caso mi capita di pensare a quando mio padre si occupava di fare tutte queste cose e mi rattristo.
Ero la sua piccola, adesso sono diventata il riflesso della mamma e ha il costante bisogno di proteggermi. Non si domanda mai se abbia voglia di parlare con lui di come stia andando la mia vita, o se voglia passare una bella serata tra padre e figlia, gli importa che io vada bene a scuola e che abbia degli amici, che non sia più la solitaria Zoe Evans che ha iniziato a odiare.
"E che vuoi che ne sappia io?" chiede Aaron, al quale, senza ombra di dubbio, non importa minimamente della salute della bambina.
"Senti, non riuscirà mai a farti cambiare aspetto, è troppo piccola, ci vuole un incantesimo potente per una cosa del genere."
"Magari lo conosce, vediamo."
Aaron si abbassa sulle ginocchia, incontrando meglio gli occhi dolci della bimba, che sorride.
"Ehi, bambolina, che ne dici di pronunciare le parole 'mutare species' ?"
Mi faccio perplessa.
Non pensavo che Aaron conoscesse le parole dell'incantesimo.
"Ti va di pettinare Britney?" risponde lei mostrandogli la bambola che ha in mano.
Ha una vaga somiglianza con Britney Spears e non fatico a capire perché le abbia dato quel nome.
"Ma certo, però prima di' 'mutare species'."
Lui tira le labbra in un sorriso inquietante, per alcuni aspetti.
"È l'ora del thè, giochiamo tutti insieme?" persevera la piccola, mettendo a dura prova la pazienza di Aaron, che non tarda a esaurirsi.
"Di' queste dannate parole!" strepita. "Finiscila, non vedi che non funziona? È solo una bambina."
Lo discosto, impedendogli di commettere un grave errore.
Il suo curriculum da criminale è stato già marchiato dagli omicidi seriali delle ragazze a New Hope, uccidere una bambina indifesa sarebbe un gesto terribile e impossibile da cancellare dalla mia memoria.
"Ci deve essere un modo, forse, se ci prendessimo cura di lei tutta la giornata, potrebbe diventare più collaborativa."
"E fare un incantesimo del quale nemmeno conosce il nome? Ti prego." Mi sfugge una risata.
"Almeno proviamoci."
Aaron non demorde affatto.
"Non ho intenzione di fare la babysitter, non è per questo che ti ho seguito a New York."
"È un piccolo extra per il passaggio che ti ho dato, me lo devi."
Sale la scale saltando due gradini alla volta, con passi agili e scattanti.
"Io non ti devo proprio..."
Parlare risulta inutile, ha raggiunto il corridoio e ha aperto una delle stanze, chiudendosi al suo interno.
"Aaron!" grido il suo nome con la vana speranza che la smetta di essere così cocciuto.
Sono costretta a dargli una mano in questo piano che non porterà a nulla, ma dire ad Aaron di non fare qualcosa di stupido gli farà venire ancora più voglia di farlo.
"E ora?" chiede guardando il frigo, carico di ingredienti che sembrano essere andati a male.
"Prendi il polpettone" rispondo tirandolo fuori da lì e passandolo ad Aaron.
Lui retrocede rapidamente.
"Non lo tocco quel coso."
"Sù, prendilo."
Glielo lancio colpendolo in pieno volto.
Mi porto entrambe le mani sulla bocca, sicura che mi salterà addosso e che si prenderà una cruda vendetta. "Disgustoso" dice restando invece fermo al suo posto, sputando dei pezzi di carne che gli cadono sulla maglietta, fino a spiaccicarsi sul pavimento, conseguendo in me una forte risata.
Realizzo poi, per la piccolo Josie, uno scivolo sulle scale, servendomi di due cesti per la biancheria, dove ci inseriamo, lanciandoci dal gradino. Urliamo entrambe, spaventate per i primi attimi ma in preda alla gioia quando ci rendiamo conto di quanto sia divertente.
Il mio corpo sbatte da una parte all'altra del cestino e, a ogni passo in giù, sento il mio stomaco rivoltarsi, mentre lancio occhiate complici a Josie.
"Forza" dico sollevando le mani in alto e urlando più forte di prima.
Lei imita i miei gesti e ride di gusto, cadendo sul pavimento accanto a me e battendo le mani, impaziente di farlo ancora.
"Oh sir Cameron, grazie per avermi incontrata per questo thè" dice Josie  durante l'ora del thè.
Aaron gioca con lei, celando la sua noia dietro a un sorriso che pare essergli stato impiantato artificialmente.
"Britney, i tuoi occhi brillano come le stelle e illuminano le mie giornate come il sole" risponde con voce robotica e impostata.
Assisto al loro romantico appuntamento, appoggiata allo stipite della porta, in cucina.
"Dammi un bacino."
Josie fa muovere Britney verso Sir Cameron, che Aaron tiene con un certo sdegno in mano.
"Questa cosa è malata" dice lui, facendomi scuotere la testa per la disperazione.
Inganno il tempo frugando nelle varie stanza della casa, trovando vecchie riviste degli anni ottanta, giocattoli ormai rotti e una collezione di dentiere dietro a una pila di vestiti, nell'armadio della vecchia signora. Dopo aver lottato contro i conati di vomito, trovo qualcosa di decisamente più interessante, ovvero uno smalto rosso fuoco, che estraggo dalla sua postazione, sorridendo sagacemente.
Lo applico, perciò, sulle dita della signora dormiente, che sobbalza quando le faccio il solletico.
Il rumore del suo russare assomiglia al ruggito di un leone.
"Le stai mettendo lo smalto?" domanda Aaron, passando davanti a me con un asciugamano sulla spalla. Si sarà occupato di fare il bagno a Josie, direi dal suo aspetto e da come i suoi capelli siano in disordine.
Ha la maglietta zuppa d'acqua, significa che non è stato un compito facile da portare a termine.
"Sh, non distrarmi, è un lavoro delicato" rispondo, invitandolo con un gesto svelto della mano ad andarsene. Ci mette un po', dato che prima mi scruta dubbioso, poi mi lascia con un verso di disappunto.
Arriva il momento di insegnare a Josie l'incantesimo.
Ha mangiato e giocato per quattro ore, adesso dovrebbe collaborare, a detta di Aaron.
"Mutare species" dico per l'ennesima volta, ma Josie pronuncia delle parole sconnesse, tipiche di un bambino che prova in tutti i modi a ripetere qualcosa che però non comprende. "No, mutare species."
Josie farfuglia altro e distoglie le sue attenzioni da me.
"È latino, dovresti saperlo, voglio dire, hai...sette anni?" sbuffo palpandomi le tempie, alterata.
Impiego i seguenti minuti a tentare di farle dire quelle due semplici paroline ma ciò non accade mai e, perdendo le speranze di riuscirci, mi siedo vicino ad Aaron, ai piedi del divano.
Lui ha smesso di crederci già da un'ora ed è incredibile che alla fine tra i due sia stata io quella determinata a portare a termine il piano.
"Che ore sono?" chiedo estenuata. Aaron controlla sul suo orologio da polso, che noto oggi per la prima volta. È di ultimo modello, nero e poco ingombrante.
"Quasi le cinque del pomeriggio." "Presto calerà il buio, non abbiamo tempo."
"È stato un buco nell'acqua, la piccola Josie non imparerà mai il latino in poche ore, dovremmo iscriverla a un corso."
"A un corso per imparare il latino?" domando con sarcasmo.
"Già, esatto."
Aaron non scherzava però e questo lo rende più stupido di quanto pensassi.
È un caso perso.
"Sei fuori di testa."
Rido.
"Almeno avessi bevuto del vero thè, quella roba era acqua e faceva veramente schifo" dice rammaricato, stringendosi nelle spalle.
"È il duro compito di un babysitter." Sospiro dopo averlo detto, ricapitolando mentalmente ogni attimo passato qui.
Ci siamo presi cura di una bambina che nemmeno conosciamo, solo per farle dire un incantesimo che trasformerà Aaron in un'altra persona.
È pazzesco, spassoso ma pazzesco. "Perché stiamo facendo tutto questo, Aaron?"
Mi decido a domandare.
"Devo parlare con Mike" risponde, fermamente convinto che ciò sia la risoluzione a ogni suo problema. "Mike è la persona che ti vuole uccidere?"
"Non te lo dovrei nemmeno dire." "Ormai siamo qui, tanto vale buttare fuori la tua rabbia repressa."
O qualsiasi cosa abbia dentro e non sappia come esternare.
Sono qui per lui, non dovrei ma ci sono, e vorrei che se ne accorgesse. "Ho fatto delle cose brutte quando vivevo a New York" dice fissando la parete di fronte a sé, abbandonandosi al passato.
"Tipico."
"No, dico sul serio, ho davvero fatto delle cose orribili e adesso Mike vuole vendetta, l'ho fatto soffrire molto..."
"E sei pentito?" chiedo troncando la sua frase.
Mi interessa sapere se provi del risentimento nell'essere così malvagio, se gli importi di tutte le persone alle quali ha strappato via la vita.
"Non credo di essermi mai pentito di qualcosa, a parte una volta" risponde, afflitto da quella piccola breccia nel suo cuore dove ha racchiuso questo ricordo.
"Quale?"
"Non capiresti."
"Non capirei" ribadisco perdendomi in una risata fragile.
Odio il silenzio che si crea tra noi in momenti simili, mi fa pensare a come nessuno dei due sia in grado di affrontare discorsi così pungenti e personali senza farsi catturare dall'angoscia.
"Sono venuta qui per trovare mio cugino" dico assumendo coraggio. "Tuo cugino? Tu hai..."
"Si chiama Tristan ed è un tipo molto particolare, si mette sempre nei guai ed è l'unico membro della mia famiglia che non mi abbia mai giudicata."
Aaron è sconvolto; credeva forse che non avessi dei parenti?
"Che volevi da lui?"
"Informazioni, non so, ho pensato che magari avrebbe saputo dirmi qualcosa sulla mamma."
"Perché proprio lui?"
"Te l'ho detto, è un tipo particolare." Dovrei raccontargli della sua ragazza, di sua madre e di quanto sia folle quella donna, e degli investigatori privati che lavorano per la sua famiglia, ma che senso avrebbe? Ha una vita disastrosa, l'abbiamo entrambi, in realtà, e questo ci ha legato fortemente.
"Credevo che sapesse qualcosa, che forse avrei scoperto che anche mia madre aveva le mie stesse stranezze; volevo trovare una spiegazione diversa da quella che continuate a darmi tutti."
"Zoe, è stato il re della morte a riportarti indietro, tua madre non c'entra" dice, sicuro che non ci sia altro motivo.
"Quell'uomo ha un potere immenso, può ridarti la vita o togliertela magicamente, è una gran figata, capisci?"
Ne parla con adorazione.
Venera la stessa persona che vuole uccidere, non potrebbe diventare più squilibrato di così.
"E tu vuoi prendere il suo posto per questo."
"Pensa a quanto sarei forte, nessuno avrebbe più le palle di mettersi contro di me, di cercare di uccidermi."
Punta un dito verso il suo petto, folgorato dalla sete di potere.
"E tu sei convinto di poterlo battere?" "Sto affinando le mie doti."
Intende dire che sta dimezzando la popolazione di New Hope con i suoi omicidi seriali, certamente.
Un ragazzo di soli sedici anni che aspira a diventare un demone imbattibile, che medita la distruzione del mondo e che non ha scrupoli a riguardo. Un puro concentrato di morte e cattiveria che è seduto al mio fianco e con il quale ho intrapreso un'intima conversazione della quale mi pentirò domattina.
"Finirai per morire."
"Che ti importa? Stareste tutti meglio senza di me, niente più morti e sofferenza, un assassino in meno a New Hope."
A questa affermazione segue un bagliore di luce, che illumina la stanza, acceccandomi.
Copro il mio viso con le mani saltando in piedi e Aaron, che si alza posizionando un braccio davanti a sé, mi conduce il più lontano possibile da quel lampo scintillante.
"Oh mio Dio...!" dichiaro mentre la luce si affievolisce, lasciando spazio a una donna dai capelli biondi e alta, vestita con un lungo abito color turchese.
Le sue ciocche sono racchiuse in una treccia e le sue labbra si aprono in un sorriso esterrefatto.
"Sono tornata!" dice la persona che prima aveva le sembianze di Josie e che adesso si è trasformata in una giovane e bellissima donna.
"Ma che cazzo succede?" Aaron inveisce, ma nel suo sconvolgimento si può scorgere facilmente l'eccitazione che lo sta sovrastando. La donna si guarda intorno, si tocca i capelli e le braccia, poi il suo sorriso diventa dolce, di ringraziamento.
"Mi avete riportata indietro, voi...non so nemmeno che cosa dire" risponde camminandoci in contro, raggiante. "Nemmeno io" sussurra Aaron disorientato.
"Prima eri una bambina e ora...sto impazzendo!" dico, non capendo se esserne stupefatta o se credere di aver perso il lume della ragione.
"Sono rimasta nel corpo della piccola Josie per cinque anni, credevo che nessuno mi avrebbe più salvata, ma poi siete arrivati voi e avete detto quelle parole: New Hope"
"New Hope" ripetiamo insieme io e Aaron guardandoci con sconcerto. "Una vecchia strega gelosa della mia bellezza mi aveva maledetta, dicendo che sarei rimasta una bambina finché qualcuno non avrebbe pronunciato il nome di quella città, dove il male e il bene si uniscono da migliaia di anni. È merito vostro se sono tornata nel mio corpo originale."
"Quante probabilità c'erano che avremmo detto proprio quelle parole?" chiedo.
Se Aaron non avesse mai parlato del re della morte, adesso Josie sarebbe ancora una bambina e non avremmo assistito a un incantesimo tanto meraviglioso.
Lo shock ha già lasciato spazio alla felicità, dovuta al salvataggio di questa povera donna rimasta intrappolata per cinque anni. "Pochissime, ma ne sono grato" dice Aaron sogghignando. 
"Ehi, per caso la vecchia strega della maledizione è lei?" domando riferendomi all'anziana signora addormentata sul divano.
"Ma no, lei è la mia guardiana, la strega si chiama Clarissa e non mette piede a New York da un po'."
Josie mi rassicura.
"Bene, perché le ho fatto una bella manicure prima e non vorrei infastidirla ed essere trasformata in una bambina."
Aaron mi accarezza la schiena, inducendomi a stare zitta.
"Vi prego, ditemi, cosa posso fare per sdebitarmi? Avete parlato di quell'incantesimo, volete che cambi il vostro aspetto?"
Ci ha ormai raggiunto e la distanza tra noi è minima.
I suoi occhioni azzurri esprimono la riconoscenza che crede di doverci.
"Se ne è in grado" risponde Aaron, subito pronto a sfruttare le sue doti per ottenere qualcosa in cambio.
"Ho duecento anni, sono una strega potente, posso fare tutto quello che desiderate."
Josie sorride sicura dei poteri che possiede, e neppure Aaron sembra avere dubbi.
Lei sarà il nostro angelo custode.
Decidere quale nuovo aspetto dargli non risulta semplice. Aaron necessita di un look che non dia troppo nell'occhio, deve diventare il tipico ragazzo di Brooklyn che si nasconde dietro a un cappellino di lana e dei jeans stretti.
Prima viene trasformato in un sedicenne magrolino e basso, poi in un adulto sgarbato e ancora in una donna, sotto mia personale richiesta. Mi insulta e discutiamo qualche minuto riguardo il suo aspetto da signorina.
Vince lui e viene camuffato nuovamente, per l'ultima volta, quella che definirei decisiva.
Aaron è rimasto alto, ha i capelli castani però, tendenti al ramato, e gli occhi color smeraldo.
Ha il naso meno snello, le labbra più carnose e una timida dolcezza che non ha nulla a che vedere con l'Aaron originale.
Come avevamo richiesto a Josie, indossa un cappellino, dei jeans stretti e una t-shirt nera monocolore.
Si guarda allo specchio domandandosi chi diavolo sia questa persona, mentre io mi avvicino a lui e poso entrambe le mani sulle sue spalle. "Ora sì che potrei venire a letto con te" affermo.
"Non dire cazzate, ci verresti in ogni caso" risponde, prima di ridere entrambi.
"Se lo dici tu."
Torno da Josie, che è fiera di averci aiutato e orgogliosa della trasformazione impeccabile da lei realizzata.
"La ragazza non vuole fare il cambio?" domanda.
"No, a me non serve" rispondo.
"Però ti darei una bella sistemata ai capelli e..." dice Aaron.
Rovista nell'armadio della vecchia - dato che ci troviamo nella sua camera - e prende un cappello che lei doveva indossare quando era molto giovane.
Me lo colloca in testa, sistemandolo per bene, ordinando le mie ciocche di capelli scompigliate.
"Metterei questo" termina con un tenue sorriso.
Ricambiarlo risulta un gesto naturale mentre taccio imbarazzata.
"Ora sì che sei perfetta" dice restando a guardarmi profondamente, fino a quando non parlo.
"Perfetta?" chiedo meravigliata da una tale definizione.
Justin non mi ha mai detto una cosa del genere, né nessun altro ragazzo prima d'ora.
Aaron trasale e sposta lo sguardo altrove. L'ho per caso messo in difficoltà?
"Volevo dire che stai bene, molto bene."
Cambia versione, ma in modo poco convincente.
"Andiamo, il Darkness ci attende" aggiunge, scappando precipitosamente fuori dalla stanza. Non saluta Josie, né la ringrazia per l'aiuto che ci ha donato.
Aaron è irrispettoso ma non fino a questo punto, sembrava agitato e terrorizzato dal nostro scambio di sguardi.
"Lui è sexy" dice Josie strizzando l'occhio maliziosa.
Sempre la stessa storia, il fascino del male che colpisce le giovani donne in cerca di un po' di brivido.
Mi aspetta una lunga serata al Darkness e Aaron non ha intenzione di attendere ancora.
Ringrazio Josie per la sua immensa disponibilità e mi affretto a raggiungere il ragazzo che sta andando in contro alla propria morte.

Undead (ritorno a New Hope) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora