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"Non posso credere di averti quasi persa. Pensavo davvero che sarebbe finita male."
Mio padre, stravolto dalle ultime vicende, cammina avanti e indietro per il salone da mezz'ora, mentre io non posso fare a meno di pensare allo strano ragazzo che mi ha importunata in bagno. Si è trattato di un momento spaventoso ma, allo stesso tempo, eccitante, ricolmo di un'alchimia impossibile da ignorare.
Mi disgusta pensare a una cosa del genere.
"Avrei dovuto essere più prudente. Magari avrei dovuto aspettare una settimana prima di farti tornare a scuola; saresti stata con me durante il terremoto e ti avrei protetta."
Involotanriamente, sospiro.
Dalla notte dell'incidente, mio padre ha assunto un comportamento assillante e iperprotettivo.
Non ricordo nulla di quel giorno se non che in macchina ci fossimo solo io e la mamma, che piovesse a dirotto e che lei, purtroppo, non ce l'ha fatta.
Questo ha cambiato completamente mio padre e non capisce che anche io sono cambiata, non ho bisogno di protezione ma solo di sentirmi libera, almeno per un giorno; voglio adrenalina, voglio qualcosa di forte e di elettrizzante.
"Papà, è stata solo una scossa e io sto bene, ok? Guardami, sono qui con te adesso."
"No, davvero, sono stato stupido. Se vuoi prenderti qualche giorno di pausa..."
Lo interrompo, capendo immediatamente dove voglia andare a parare:
"Non è ciò che voglio."
"Perché? Credevo odiassi l'idea di andare a scuola così presto."
"Beh...io..."
Tentenno cercando le parole adatte.
I miei pensieri viaggiano verso tutto quello che mi è capitato oggi e sorrido.
"Ho trovato un'amica" continuo, ottenendo uno sguardo sorpreso da parte sua.
"Sul serio?" chiede incredulo, tanto da ricordarmi quanto per me sia difficile stringere legami.
"Sì, io...credo" rispondo altrettanto incredula e spostando lo sguardo sul lato opposto della stanza.
L'alce pare fissarmi, quindi strabuzzo gli occhi inorridita.
Mio padre si avvicina a me e incomincia a parlare: "Ma Zoe, è fantastico! Devi assolutamente invitarla a cena da noi una di queste sere. Posso preparare quel pollo al curry che ti piace tanto. Prendo il ricettario della nonna."
"Ehi, rallenta! Non ho intenzione di invitarla qui, questa casa mette i brividi e scapperebbe dopo due minuti" - e, soprattutto, non posso invitare l'infermiera della scuola a cena, sarebbe strano - .
"Ma dai, togliamo un po' di polvere e cambiamo qualche tappeto. Vedrai che sarà perfetta entro la settimana prossima" ribatte lui con esagerato entusiasmo.
"E buttiamo via anche quel coso maledetto magari" dico indicando l'alce.
Papà guarda l'animale imbalsamato sul muro, come se stesse notando la sua presenza per la prima volta.
"È forte" commenta e la sua convinzione mi innervosisce maggiormente.
"Comunque, mi pare tu abbia cose più importanti a cui pensare. Non dovresti concentrarti sul tuo libro? A che punto sei? Prima finirai di scriverlo e prima andremo via da questa città" dico sedendomi sul divano e sbuffando.
"Siamo appena arrivati, ho bisogno di tempo. A proposito, volevo chiederti un favore."
Ed eccolo qua, pronto a usarmi come burattino per i suoi lavori.
"Ho bisogno di alcune foto della città, magari della piazza o del bosco. Mi servono per avere un'immagine più ampia del luogo da descrivere e pensavo, dato che non conosci nessuno e ormai hai capito come fare amicizia..." dice guardandomi con aria divertita.
Gli rivolgo una rapida occhiata discordante: "Dammi una buona ragione per non restare qui a guardare la tv."
"È rotta" replica lui.
"Ho il portatile."
"Te lo sequestro" continua.
Sarebbe disposto a tutto pur di ottenere quello che vuole. Ora capisco da chi ho ereditato certi lati del mio carattere.
"Vado a dormire, allora" dico alzandomi ma, prima che possa muovere un passo, afferra la fotocamera dalla credenza in legno e me la mostra. Sul suo volto è dipinta un'espressione seria; mi sta dicendo che non ho scampo e che dovrò fare come dice.
"Come vuoi...ma non ci perderò più tempo del dovuto" affermo rassegnata.
"Grazie tesoro" risponde porgendomi la fotocamera, soddisfatto.
Mi dirigo verso la porta borbottando, quando, però, vengo fermata dalla sua voce: "Zoe, ricorda che puoi andare ovunque, ma sta attenta a certi luoghi. Ricorda la storia delle messe private in chiesa che abbiamo letto online."
"Lo so, la chiesa qui è off limits. Farò la brava" dico accennando un dolce sorriso, nella speranza di tranquillizzarlo.
Così, poco dopo, mi ritrovo a scattare foto lungo il mio nuovo quartiere.
Ci sono alcune case antiche che trasmettono una strana sensazione solo a guardarle e vecchie sculture in pietra nella piazza della città che rappresentano diversi tipi di grandi uccelli, perlopiù grifoni, intagliati in modo magistrale.
Attraverso il ponte e scatto delle foto all'acqua in movimento. Non c'è nessuno a quest'ora del pomeriggio, il silenzio è rilassante e mi permette di scattare delle foto migliori.
Alcune le metterò sicuramente nel mio book fotografico; adoro immortalare momenti importanti della mia vita dall'età di otto anni, ovvero quando, per il giorno di Natale, mio padre mi regalò proprio la fotocamera che sto utilizzando adesso.
Il motivo per cui preferisco rifugiarmi in un'immagine piuttosto che in un ricordo nato dalla mia mente è semplice:
le foto rappresentano esattamente quello che stava accadendo nel preciso istante in cui sono state scattate; non c'è inganno, non puoi modificarle o farle diventare come vorresti - non una volta stampate almeno - , mentre i ricordi possono mutare nel tempo, la mente può alterarli e distorcere la realtà. Quello che ho nella testa rappresenta solo la proiezione di ciò che avrei voluto accadesse; quello che avrò tra le mani, una volta stampate le foto, sarà la pura verità.
Passo i minuti successivi a fotografare bar, strade desolate, alberi di quercia nei pressi del bosco, edifici realizzati centinaia di anni fa e l'entrata della chiesa. Dall'esterno risaltano i portoni rossi e con i bordi dorati che decorano un'alta facciata in mattoni affiancata ad un ancor più alto campanile.
Fotografo le incisioni scritte in latino su uno dei portoni, senza però comprenderne il significato, e il manifesto di un evento privato che è stato lasciato nel porta lettere:
si chiama 'La Messa Della Purificazione' e ha tutta l'aria di essere qualcosa di davvero inquietante al quale non vorrei mai partecipare.
Passo per la zona a nord di Ferry Street, dove una grande casa dalle mura gialle mi si presta davanti. Decido di immortalarla per poi continuare sui miei passi, raggiungendo la zona a sud della strada. Ad accogliermi è una fila di pini che conducono a uno degli edifici più antichi della città, con una porta a doppia anta e due grandi colonne ai lati del giardino che mantengono in piedi il portico. Sul tetto posso notare il camino spento e la statua di un grifone con il becco aperto e con gli occhi dipinti di nero. Mi perdo a osservarlo; c'è qualcosa in quegli occhi che mi lascia sconcertata e incantata.
Torno alla realtà e osservo il giardino ben curato:
ci sono fiori ovunque, di tutti i colori e tipi, dalle viole alle margherite e ai girasoli. Metto un piede sul prato e, in quel momento, i fiori si colorano di nero, morendo l'attimo dopo.
Di primo impatto penso che si tratti di una mia illusione ma, capendo che è successo per davvero e che a causa mia questi fiori siano appassiti, indietreggio sgomentata.
A Manhattan mi hanno sempre definita 'strega' e, per la prima volta, penso che avessero ragione; solo una strega o un demone avrebbero potuto causare un danno simile.
La tachicardia ha il sopravvento su di me mentre l'incubo avuto questa notte non sembra voler abbandonare i miei pensieri. Cosa mi sta succedendo? Perché continuo a vedere quel mostro dagli occhi gialli? Guardo i fiori appassiti e mi impongo di non farmi idee assurde; non può essere stata colpa mia, di sicuro erano già morti prima che arrivassi e, per via della stanchezza e dello stress accumulato nelle ultime ore, devo aver immaginato tutto.
Il vento scompiglia i miei capelli mentre indietreggio di alcuni passi per avere un'inquadratura più ampia della residenza.
"Non lo farei se fossi in te" dice una ragazza alle mie spalle.
Mi volto di scatto e la guardo, riconoscendola dopo pochi istanti. Si tratta di Sam, la ragazza che ho visto questa mattina a scuola con Justin.
"Perché? Non sarà una casa maledetta?" le domando.
"Una cosa del genere" risponde sorridendo e avvicinandosi a me.
Ha la stessa espressione calma di Justin con la differenza che, su di lei, sembra essere una semplice facciata.
"È casa mia, in realtà, e mia zia non sarebbe molto contenta di sapere che qualcuno la sta fotografando" continua.
A questo punto vengo invasa dall'imbarazzo. Ho appena fatto una pessima figura, una delle tante.
"Scusa, io non pensavo che...che stupida!" dico portandomi una mano alla fronte e ridendo per nascondere la mia agitazione.
"Ehi, non importa. Puoi sempre scattare qualche foto a me; mi metto in posa."
Allunga una mano sul suo fianco, cogliendomi impreparata. Non ho mai fotografato una sconosciuta.
"Sul serio?"chiedo.
"Ho sempre voluto fare la modella" afferma con entusiasmo e mantenendo la sua posa.
"Avanti, con questa luce il mio volto risulta perfetto" insiste mentre io mostro la mia sincera confusione.
Non penso che a mio padre possano servire delle foto del genere, ma lei sembra così entusiasta che mi decido a immortalarla.
Sam continua a improvvisare delle pose, a sventolare i capelli e a sorridere a trentadue denti, mentre io cerco di catturare l'attimo migliore per realizzare delle belle foto da stampare.
"Sei stata grandiosa!" affermo ridendo con lei al seguito.
Forse Justin aveva ragione riguardo la nostra presunta futura amicizia; questa ragazza è più divertente di quanto pensassi.
"Mi chiamo Samantha, comunque, Sam per gli amici. Tu devi essere la nuova arrivata, Zoe, se non sbaglio" dice porgendomi la mano.
"Zoe Evans" rispondo ricambiando il suo gesto.
"Zoe Evans. Adoro il tuo nome e adoro anche i tuoi occhi, è bello trovare qualcuno che li abbia scuri come i miei" commenta piacevolmente sorpresa.
Sorrido e alzo per alcuni secondi lo sguardo al cielo, pensando a tutte le persone che ho conosciuto con gli occhi simili ai miei - tra cui Justin - .
È come se questo posto fosse fatto apposta per me; mi sento a casa, sotto certi aspetti, mentre per altri vorrei solamente scappare e tornare a Manhattan.
"Quindi vivi qui con tua zia? Sembra una casa davvero grande per due persone" dico osservando la magnifica residenza dietro di me.
"Mia zia voleva la casa più grande del quartiere e alla fine l'abbiamo presa, ma non ci viviamo solo noi due...anche mio fratello viene a trovarci...ogni tanto" precisa con una certa malinconia che attira il mio interesse.
"Lui non vive qui?" domando.
"Non sempre. È complicato da spiegare" risponde con lo sguardo perso nel vuoto.
La situazione si sta facendo imbarazzante, credo di aver appena toccato un tasto dolente.
"Cambiando argomento" dice.
"Domani sera ci sarà una festa a casa di Aiden, uno strafigo della nostra scuola. Magari potresti venire con me; Justin mi ha detto che vuoi farti nuovi amici."
Immediatamente rabbuio: "Justin ti ha detto così?"
Non posso credere che le abbia parlato di me e che le abbia detto una stronzata simile.
"Già. Tu gli piaci molto; è strano che si leghi subito a una ragazza in questo modo" risponde sorridente e contenta.
"Non dovrebbe legarsi a me. Presto andrò via da New Hope, sono qui solo per il libro di mio padre" dico freddamente.
"Oh, io non ci conterei se fossi in te" ribatte mentre i suoi occhi sembrano assumere un colore leggermente più scuro.
La gente in questo posto è diversa, e non come lo sarebbe qualcuno che semplicemente non ti tratta di merda, ma è diversa come lo sono io.
Alla fine, Sam mi convince ad andare alla festa. Così, mi ritrovo con il suo numero di telefono e con una strana sensazione addosso.
In una sola giornata sono successe così tante cose che mi esplode la testa, ma ciò che più mi irrita è Justin:
si è rivelato invadente e ha parlato per me di un argomento che mi rende insicura, fregandosene di come avrei potuto sentirmi.
Stampo le foto, comprese quelle di Sam, che inserisco accuratamente nel mio portfolio, mi faccio un bagno caldo e, dopo essermi asciugata, mi stendo sul letto.
Guardo la finestra aperta da cui entra una leggera aria fresca. La luna si vede in modo chiaro da qui e non posso smettere di fissarla.
La sua luce è rilassante, mi trasporta in un universo parallelo dove tutto è calmo, dove non esiste il dolore.
"Buonanotte mamma" dico in un sussurro con gli occhi rivolti al cielo, prima di chiuderli lentamente per la stanchezza.

Undead (ritorno a New Hope) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora