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Nelle ore successive non posso fare a meno di pensare alla mia pessima mossa.
Mi sento una vera stupida ad aver creduto di poter battere Aaron così presto e adesso continuo a camminare avanti e indietro nel salone, sotto le occhiatacce di mio padre, intento a riparare la famosa mensola rotta.
"Potresti smetterla di muoverti? Così mi distrai" si lamenta lui, concentrato nel suo arduo lavoro.
Comportarsi come se fosse capace di aggiustare gli oggetti rotti in casa è sempre stato un tratto peculiare di papà. Se una lampadina esplodeva, lui era il primo a proporsi come tuttofare; prendeva i suoi attrezzi, fingeva di saper manovrare un cacciavite e, con il trapano, una volta, durante la riparazione del tavolo da giardino, ci ha quasi perso un dito. "Papà, non è momento, sono nervosa" rispondo acida, senza interrompere i miei passi.
"Grazie per avermelo detto, non si notava."
"Ora fai tu quello sarcastico?"
"Sì, perché?"
"Ti lamenti sempre dei miei modi, è leggermente ipocrita, non trovi?"
"Stai dando dell'ipocrita a tuo padre, se fossi in te mi fermerei adesso, prima che sia troppo tardi."
Imita un'aria severa perché, se fosse davvero arrabbiato, adesso quel martello gli sarebbe caduto dalle mani, che gli diventano di burro quando suda per la rabbia.
Io incrocio le braccia al petto, spazientita.
Voglio uccidere Aaron, ogni singolo atomo del mio corpo mi sta chiedendo di trovarlo e farlo fuori, ma Justin non sarebbe d'accordo; a quanto pare, è ancora troppo legato a lui.
"Cavolo! Ho finito le viti! Ce ne dovrebbero essere alcune in cantina, me le vai a prendere?"
Solo a sentir nominare quel covo per serial killer mi si raggela il sangue. "Te lo scordi, sono sicura che ci troverei un topo morto lì dentro" rispondo.
"In tal caso, chiama quel ragazzino che vive di fronte a noi, sarà molto felice di aiutarti."
"Oggi ti senti spiritoso, eh?"
Mi rivolge un sorrisino che mi lascia intendere, come sempre, che non ho per nulla possibilità di scegliere. "Giuro che se vengo toccata da qualcosa ti denuncio" dico poi seria. "Mi troverò un buon avvocato" ribatte stando al gioco.
Scuoto la testa e mi dirigo verso le scale che conducono alla cantina, un luogo buio e polveroso dove speravo di non dover mettere piede, ma dove adesso dovrò cercare una stupida vite.
Apro la porta, che emette un leggero suono fastidioso, poi cerco l'interruttore della luce che, con mia grande sorpresa - o forse no - non si accende.
"Grandioso! Grazie papà, mi hai mandata dritta in contro alla mia..." mi interrompo. Non può avermi mandato in contro alla mia morte se sono già morta.
"Giusto" penso, prima di incamminarmi lungo la stanza in cerca del secondo interruttore, quello da soffitto che si accende tirando una cordicina; spero davvero che questo funzioni.
Una volta trovato, riesco finalmente ad accendere la luce e il mio corpo si libera da un grande peso.
Vado rapidamente a frugare nel cassetto dove dovrebbero trovarsi i vari attrezzi, cercando poi delle viti.
In questo mobile c'è un vero disordine; gli oggetti sono sparsi in modo casuale e nessuno di questi ha a che fare con l'altro.
Papà non è mai stato un tipo organizzato, invece la mamma era sempre puntuale e in perfetta armonia; non aveva mai un capello fuori posto.
Sorrido al ricordo e prendo ciò che mi serve, dopo alcuni secondi di smarrimento.
Farò meglio a tornare subito da mio padre, non voglio restare in un posto così inquietante per troppo tempo. Torno alla porta ma, proprio in quel momento, la luce si spegne e mi ritrovo nel completo buio.
Vengo colpita, ancora una volta, da quella sensazione destabilizzante che non saprei descrivere a parole concrete, ma sento anche un freddo improvviso alle mie spalle, seguito da un respiro affannato.
Riconoscerei questa atmosfera tra mille: si tratta ancora del mostro, è venuto a prendermi.
Tiro nuovamente la cordicella ma la luce non funziona.
A ogni mio tentativo, percepisco il respiro di quel mostro farsi più intenso e presente.
"Zoe, quanto tempo ci stai mettendo? Non vorrei che la mensola cadesse di nuovo" mi chiama papà dal piano di sopra.
"Sto arrivando, un secondo" rispondo completamente persa nel guardare gli occhi gialli che adesso mi stanno fissando nel buio.
Cosa vuole da me? Perché continua a mettermi paura? Di certo non potrò scoprirlo se resterò qui a morire.
Mi volto e mando un grido nel vedere un pipistrello gigante, o almeno lo è nella mia testa, che svolazza e prova ad attaccarmi.
"Zoe!"
Papà corre subito in cantina, in preda alla preoccupazione.
Continuo a urlare e saltare come una bambina impaurita mentre il pipistrello vola al piano di sopra.
"Era un pipistrello! In questa casa ci sono i cazzo di pipistrelli!" urlo come una matta.
Mio padre, sbigottito, mi stringe in un abbraccio, senza rifletterci due volte. "Va tutto bene, ora lo mando via, tranquilla piccola."
Accarezza i miei capelli, parlando con tono apprensivo.
"No, niente va bene! Sto vivendo un vero incubo da quando ci siamo trasferiti a New Hope, non ne posso più! Questa situazione deve finire."
Lo sposto e corro su per le scale, mantenendo lo sguardo rivolto al basso, terrorizzata all'idea di incontrare ancora quel mostro.
Passo le ore successive ad aspettare che mio padre si liberi del pipistrello. Per fortuna, lui non ha mai avuto paura di certe cose, a differenza mia che sono una vera e propria fifona.
Mi siedo sul letto, con le ginocchia rivolte al petto e l'aria pensierosa. Vorrei tornare indietro nel tempo, a prima di scoprire di essere morta, magari farei le cose diversamente, proverei a vivere davvero ogni giornata come se fosse l'ultima, invece di ritrovarmi piena di dubbi e ripensamenti.
"Ehi, se vuoi tornare in salone hai il via libera, ho mandato via il vampiro" scherza mio padre. Penso che, con tutte le cose che ho scoperto, non mi sorprenderebbe nemmeno l'esistenza dei vampiri.
"Resto qui, ho già sonno" rispondo apatica.
"Non devi uscire con la tua amica stasera?"
"Non era libera" mento evitando in tutti i modi il suo sguardo.
Se socchiudo gli occhi posso ancora sentirmi in cantina, vicina a quel mostro che mi sta perseguitando, ma le cose vanno in modo diverso: lui riesce a prendermi e mi strappa via la gola a morsi. Sbatto le palpebre per mandare via un pensiero così esagerato, ma soprattutto agghiacciante.
"Ok, ma promettimi che va tutto bene, sono preoccupato per te ultimamente; salti i pasti e stai sempre chiusa in camera. Hai qualche problema a scuola forse?" chiede entrando nella modalità standard da padre protettivo.
Resto in silenzio e fisso sfinita il muro. Justin credeva che sarei diventata più forte, ma io sento quasi di star morendo di nuovo.
"Papà, ti sei mai sentito come se avessi paura perfino della tua stessa ombra?" domando tutto d'un tratto, fermandolo proprio quando stava per uscire, visto che non gli ho dato risposta.
Il mio quesito gli risulta poco chiaro, però lo soddisfa: "A volte, quando ero più giovane, ma con il tempo impari che la paura è solo un fattore mentale. È questo che voglio far capire con il mio libro, attraverso i pensieri del protagonista."
Come non detto, tutto deve sempre avere a che fare con il suo libro; inizio a credere che sia più importante di me e dei miei sentimenti.
"Forte" sussurro disinteressata.
Non si accorge del mio cambio d'umore ma ciò non mi sorprende.
"Ti passerà, vedrai, intanto cerca di uscire, è deprimente vederti qui tutto il giorno."
Lo fulmino con lo sguardo.
"Per te, è deprimente per te" si corregge.
Rido amaramente.
"Vattene dalla mia stanza."
"Con piacere."
Sorride e se ne va, ma non prima di essere tornato indietro e avermi dato un bacio sulla testa.
Non basta qualche sprazzo di affetto a rimediare alla sua assenza ma lo trovo comunque dolce, mi fa sentire meno invisibile, per un attimo.
Afferro il mio portatile e apro la cartella contenente le foto scattate con Justin. Ci sono anche quelle di Sam che, ogni tanto, riguardo quando ho voglia di ricordarmi che non sono più sola e che potrei avere una vera amica a New Hope.
Lei è proprio come me, Justin è come me e chissà se ne esistono altri di  morti viventi sparsi per il mondo; se fosse così, sarei curiosa di conoscerli. Mentre mi soffermo a guardare la foto di Justin, in piedi davanti a un albero di quercia, un piccolo dettaglio attira la mia attenzione.
È difficile da notare, una persona con un occhio attento alla fotografia come il mio, però, non se lo sarebbe perso. Aumento la grandezza della foto, focalizzando su un albero dietro al fiume, fino ad avere un'immagine nitida. Aaron era proprio lì e ci stava spiando come ha fatto sul tetto; anche sta volta, né io, né Justin, ce ne siamo accorti.
"Porca puttana..." dico mentre i suoi occhi, che spiccano attraverso la foto, sembrano fissarmi anche adesso nello stesso modo di questo pomeriggio, quando, per poco, non mi faceva del male.

Undead (ritorno a New Hope) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora