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L'ultima lezione sta per iniziare e mi resta poco tempo per affrontare Jasmine.
Devo capire se sospetti anche di me e se ha davvero paura; in tal caso, farò meglio a trovare un modo per piacerle, prima che scopra la verità.
"Jasmine, aspetta" la chiamo fermandola lungo il corridoio.
Dire che la mia presenza non le va a genio sarebbe riduttivo, dato che dimostra vero e proprio disgusto nei miei confronti.
Mi sorpassa senza proferire parola.
"No, non andare via, ho bisogno di parlarti" insisto seguendola.
Il corridoio non è molto affollato e, per fortuna, non la perdo di vista.
"Non puoi; non voglio avere nulla a che fare con te. Hai portato la morte a New Hope, sei pericolosa" risponde con arroganza e superiorità.
"Non capisco di cosa tu stia parlando; mi sono trasferita qui per mio padre, non ho fatto nulla" dico fingendomi innocente.
"Certo che non capisci, sei arrivata da poco, ma presto ti renderai conto anche tu dell'oscurità che ti circonda e che circonda i tuoi amici."
Jasmine si rivolge a me come se fossi un mostro, il peggiore dei demoni che potrà mai incontrare sul suo cammino.
È davvero ferma sulle sue credenze e mi chiedo come abbia fatto Aaron ad ammaliarla se ci odia così tanto.
"Ma hai parlato con Aaron oggi a pranzo; che cosa vuol dire?"
"Lui è un bravo ragazzo, lo sento quando gli sono vicino; mi sbagliavo sul suo conto..." asserisce, distraendosi poi a guardare proprio lui che la saluta muovendo la mano e sorridendo malizioso.
"Cosa?" chiedo.
Stento a concepire l'idea che siano bastati pochi minuti per far sì che attirasse Jasmine nella sua trappola mortale.
"Ok, Jasmine, devi ascoltarmi: io voglio esserti amica; Alec si fida di me, provaci anche tu." proferisco, riportandola alla realtà:
era imbambolata a fissare Aaron con aria sognante.
"Alec è ingenuo e non ha amici oltre al gruppo di scienze, ecco perché si è avvicinato a te, ma prima o poi capirà chi sei davvero e scapperà anche lui, com'è giusto che sia."
La cattiveria di questa ragazza non ha limiti.
"Oppure sei tu a sbagliare, magari sono davvero una brava persona."
Si porta una mano alla bocca, ridendo forzatamente.
"Certo, come no."
"Sul serio, che problema hai con me? Cosa credi abbia che non va?" domando decidendo di lasciare la calma nelle mani di chi è in grado di mantenere il controllo, ovvero Justin.
"Non lo so ancora ma una cosa è certa: tu non sei come tutti gli altri; quegli occhi neri parlano da soli e presto arriverò a fondo della faccenda, puoi contarci."
Detto questo, senza mollare la sua supponenza, mi sorpassa, dandomi una spallata.
Poteva andare peggio? Sì, forse se mi avesse dato fuoco, ma solamente in quel caso.
Fatico a credere che Aaron abbia avuto successo, anche se il fascino da criminale ha un certo effetto sulle ragazze, di solito, e a lui, purtroppo, non manca una buona dose di psicopatia.
"Problemi con il tuo piano, novellina?" chiede Aaron che si avvicina a me inebriato dal senso di vittoria.
"No, va tutto alla grande, anzi, più che alla grande; Jasmine è praticamente la mia migliore amica."
"L'ho visto, sono certo che entro stasera troverò una vostra bella foto su Instagram con tanto di hashtag strappalacrime sull'amicizia."
Dovrebbe ritenersi fortunato a non sentire l'imprecazione mentale che segue la sua derisione.
"Perché non puoi lasciare che se ne occupi qualcuno di davvero intelligente? Tu e Justin siete un vero disastro" afferma.
"Parla per Justin, io non ci ho ancora provato davvero; vedrai che ce la farò."
"Non ne sarei così convinta se fossi in te, Jasmine è un osso duro e tu sei ancora una novellina"
"Basta chiamarmi così, non sono una novellina, se volessi potrei ucciderti anche adesso."
O potrei provarci.
"Oh, tremo dalla paura che una ragazzina alle prime armi come te possa farmi fuori" parla scherzosamente, beffeggiandomi.
"La ragazzina è più forte di quello che credi."
Afferro il suo braccio all'improvviso e lui assume un'espressione di dolore. Adopero tutte le mie energie per fargli male e il mio obiettivo sta avendo un buon esito, data la smorfia che gli appare in volto.
"Zoe, non lo farei se fossi in te."
Stringe i denti ma io lo ignoro e aumento la presa su di lui.
"Ok, sei stata chiara, puoi smetterla adesso" dice privo di qualsiasi colore sulle guance.
A quel punto, lo lascio andare e sorrido.
Non provo il minimo rimorso; se lo meritava tutto quel dolore.
"A te piace giocare con il fuoco, dico bene?" domanda accarezzandosi il braccio e ridendo leggermente.
"Solo se non sono io a bruciarmi" rispondo.
Suppongo che la mia frase gli provochi una certa adrenalina mentre il suo sguardo intrigato è rivolto a me.
"Ci si vede, ma spero di no" continuo per poi dirigermi verso il cortile.
Aaron mi costringe a interrompere i miei passi, riprendendo a parlare:
"Hai presente quella partita a scacchi alla quale andrai sabato sera?" chiede.
"Sì, perché?"
"Sono stato invitato anche io" dice con fierezza.
Per un attimo spero stia scherzando, ma il suo divertimento, espresso in quelle occhiate di provocazione, mi fa presupporre che non sia così.
"Ti odio, cazzo!"
Tiro un colpo a un armadietto e me ne vado.
Non guarderò quella sua espressione da stronzo una volta di più oggi.
Ad allentare la tensione, o a far sì che aumenti, ci pensa Sam, con la quale mi incontro in cortile per raccontarle la storia di Jules.
"Ti hanno davvero dato un rosario? Che roba da matti sarebbe?" domanda sbalordita.
"E lo chiedi a me? Ho quasi perso una mano per colpa di quella donna e ho paura che Jules abbia visto Aaron la scorsa notte, che sappia qualcosa."
"Sarebbe un bel problema ma solo per lui, in realtà, quindi chi se ne importa?"
Sorride sarcasticamente.
"A me non importa di certo ma siamo tutti sulla stessa barca e dovremmo venirci in contro adesso" rispondo.
Il mio odio nei confronti di Aaron brucia come mille fiamme ardenti ma non abbastanza da desiderare di vederlo su un lettino per esperimenti scientifici di chissà quale genere.
"Se sapessi come si è comportato per la storia dei libri proibiti non diresti così."
Fa la vaga, portandomi a volerne sapere di più.
"Che ti ha detto?"
"Lascia perdere, tanto non ci darà una mano; ci penserà Justin."
"Fantastico, peccato che quei libri ci avrebbero fatto comodo."
Esprimo la mia frustrazione con un lungo sospiro.
"Lo so, ma che ci vuoi fare? Mio fratello è una testa di cazzo."
Una testa di cazzo potentissima che potrebbe mandare via quel mostro, se solo decidesse di cambiare le sue priorità.
Sam mi guarda attenta, scorgendo la mia angoscia.
"Sai cosa fanno le persone quando hanno voglia di dimenticare i problemi?" chiede, per qualche motivo entusiasmata.
"Fammici pensare...si sparano in testa?"
"Ma no, pensavo a qualcosa di meno drastico."
Prende dalla sua tasca una bustina contenente dell'erba, sventolandola davanti al mio naso.
"Samantha Fletcher, ma dove l'hai presa quella?"
Lo dico abbassando la voce; saremo anche nascoste nel retro della scuola, ma qualcuno potrebbe arrivare da un momento all'altro.
"L'ho rubata a zia Claire; si diverte molto la zietta quando non siamo in casa" risponde ridendo allegramente.
"È uno scherzo? Vuoi metterti a fumare erba qui? E se dovessero beccarci?"
"Non accadrà."
"E come lo sai?"
"Lo so e basta. Allora, ci stai?"
Mi guarda aspettando una risposta da parte mia, che non tarda ad arrivare accompagnata da un sorriso eccitato.
Ci ritroviamo, così, a fumare erba sedute a terra sui nostri zaini mentre scherziamo riguardo degli argomenti dei quali nemmeno ci interessa, ma siamo troppo fatte per ricordarcelo.
"Allora io gli ho detto: <<no Justin, non salire su quell'albero, ti farai male>>. E Aaron ha detto: <<invece dovresti farlo, vivi la tua vita al massimo, chi se ne frega se cadi?>>"
Racconta enfatizzando il discorso e imitando il tono di suo fratello.
"E lui che cosa ha fatto? Ha dato retta a te o ad Aaron?" chiedo buttando fuori del fumo.
È la prima volta che mi faccio una canna e l'esperienza non è così terribile come mi aveva detto papà. Farebbe di tutto per tenermi lontana dai guai.
"Ovviamente ad Aaron, era il suo migliore amico" risponde con rammarico.
"Anche tu eri la sua migliore amica."
"Devi sapere una cosa su Justin, mia cara Zoe: lui adorava mio fratello, lo adora ancora, in realtà. Se dovesse scegliere tra me, te o lui, sceglierebbe sempre lui, perché il loro legame era davvero speciale."
Se avesse detto queste cose senza una malinconia che mi rattrista, adesso non sentirei un incolmabile vuoto nel petto.
Mi siedo meglio a terra, nascondendo a Sam le mie perplessità.
"Mi piacerebbe avere un'amicizia del genere" rispondo.
Sam allontana la canna dalla sua bocca, guardandomi più dolcemente.
"Ma tu l'hai già trovata: sono qui" dice e sorridiamo, scoppiando qualche attimo dopo a ridere di fronte alla buffa situazione.
Sam ha gli occhi tutti rossi e le labbra gonfie; sono convinta di avere lo stesso pessimo aspetto.
"Cazzo, non capisco più niente, non so nemmeno perché ti ho raccontato quella storia."
Si aggiusta i capelli timidamente.
"È ok, mi è piaciuta, anche se vorrei sapere se sia caduto o meno."
Sam guarda verso l'alto, poi di nuovo in basso e tossisce.
"Sai che non me lo ricordo più?" risponde.
"Andiamo!"
Le do una gomitata.
"Sul serio, non me lo ricordo ma spero che sia caduto, se lo meritava per non avermi ascoltata."
Ridiamo ancora spontaneamente.
Il momento viene interrotto da una persona che ci raggiunge in cortile.
Per poco la canna non mi cade a terra, Sam, invece, la nasconde spaventata.
"Ragazze, che cosa...oh" dice Alec che, guardandoci, si rende conto di cosa stia accadendo.
"È solo Alec, che cavolo! Pensavo che ci avrebbero sospese" dichiara Sam scuotendo la testa.
"Potrei sempre chiamare la preside." ribatte lui.
"No, non lo faresti" dico convinta.
"Perché no? State infrangendo le regole della scuola."
"E se le infrangessi con noi? " chiedo.
Gli faccio vedere la bustina e lui la osserva interdetto.
Come immaginavo, non ci vuole molto a convincere Alec che, pochi minuti dopo, si sta già lamentando di Aaron e della sua comparsata a scuola, con una canna tra le labbra.
"Diceva che se ne sarebbe andato per sempre sta volta, che ci odiava e non eravamo alla sua altezza, e poi cosa fa? Torna a studiare qui. Ma perché non l'avete ancora chiuso in gabbia?" si rivolge a Sam che non risponde; è impegnata a contare le nuvole in cielo.
"Vedrai che presto andrà via; da quello che ho capito non rimane troppo tempo nello stesso posto" rispondo.
L'effetto dell'erba sta già svanendo, credo per via del mio lato soprannaturale.
"È che sono stanco, non ne posso più di avere a che fare con i bulli, con la squadra di basket e con Aaron; lui non è una brava persona, eppure si prende tutto: popolarità, buoni voti, stima dei professori, e poi lei..."
"Lei chi?" domando mentre Alec fa un tiro goffamente.
È tormentato dai suoi stessi pensieri, odia Aaron a tal punto da essersi convinto che, se farà parte della sua vita, non sarà mai felice.
"Nessuno di importante" dice dopo aver esitato.
Se non fosse importante non avrebbe la stessa espressione di un bambino al quale hanno appena strappato dalle mani il giocattolo preferito. Combatto tra la voglia di chiedere spiegazioni e il disagio di insistere sulla faccenda.
"Ok, tutto questo sta diventando troppo deprimente. Sarà meglio che vada in classe; fingerò di aver avuto mal di pancia" dice Sam saltando in piedi con una mossa agile.
Si rimette lo zaino in spalle e nasconde la canna consumata.
Né io né Alec la salutiamo a voce ma con un gesto del capo; da parte mia riceve anche un sorrisino.
"Noi ci sentiamo dopo per quella faccenda" mi riferisce lei che si copre una parte della bocca per far sì che Alec non senta; peccato che il nostro confabulare venga notato dal ragazzo, che arriccia il naso.
"Avete già dei segreti da amiche?" chiede lui una volta che Sam è corsa via saltellando.
Lo fa spesso e risulta davvero buffa.
"Non li definirei proprio così" rispondo.
"Sarebbe forte."
Alec sorride ma è solo un accenno che svanisce in pochi attimi, poi riprende a parlare.
"No, anzi, sai cosa lo sarebbe? Che Aaron sparisse, per sempre magari, che andasse via e non tornasse; ecco cosa sarebbe forte" dice agitandosi.
"Cosa c'entra con i segreti tra amiche?"
"Nulla, ma sono così incazzato."
Si alza in piedi e io faccio lo stesso, con la paura che svenga da un momento all'altro.
"Ehi, rallenta, l'erba dovrebbe farti rilassare, non impazzire."
Gli tocco una spalla ridacchiando.
"Allora non fa per me questa merda."
Butta la canna a terra, calpestandola ripetutamente.
Aspetto che si calmi, studiando i suoi movimenti spastici e le sue smorfie rabbiose.
Appena smette di battere i piedi per terra, lo guardo stranita, domandandomi il motivo di questa reazione spropositata.
"Che cosa ti succede?" chiedo flebilmente.
"Ho dei problemi a casa e adesso Jasmine ci volta le spalle per diventare amica di quel...pezzo di merda."
Muove la mano freneticamente, gesticolando.
"Vedrai che non accadrà, è solo confusa al momento."
"Tu non la conosci, non sai quanto sia ossessionata dalle cose che le piacciono, come le sue continue ricerche sulle leggende metropolitane di New Hope, e ora Aaron; e perché, poi? Perché ha quegli stupidi occhi neri?"
Vengo attraversata da una spiacevole sensazione. Non distinguo se sia rabbia o tristezza, forse entrambe, visto che smetto di rispondergli.
"Zoe, scusa" dice vedendo come la sua affermazione mi abbia distrutta.
I miei occhi neri sono stati motivo di scherno per metà della mia vita; non sopporto l'idea che anche in questa nuova scuola debbano tenere lontane le persone, soprattutto se si tratta di Alec.
"Va tutto bene" rispondo.
"No, davvero, non so cosa mi prenda; a volte mi sembra che la mia vita sia un vero inferno."
Adesso scorgo esasperazione in lui.
Si tocca il ciuffo di capelli che poi mette in disordine sbuffando.
"Forse da un lato è così, ma resti comunque l'unica persona reale in questa scuola di matti."
"Lo credi davvero?"
"Credo che tu sia speciale, Alec."
Il suo sorriso è radioso e fa passare in secondo piano tutte le emozioni negative di poco fa.
"Posso dirti una cosa che non ho mai detto prima?" chiede.
Annuisco, incitandolo a proseguire.
"Sono felice di aver trovato un'amica come te" dice e, sta volta, è lui a posare una mano sulla mia spalla.
"Questa sarebbe una specie di friendzone?" rispondo, ricevendo una spinta da parte sua, che non fa a meno di ridere.
"Lo sono anche io" dico.
Alec è la persona più tenera che abbia mai visto, con le guance rosee e le lentiggini sul naso, che sto notando per bene solo adesso; sono poco visibili ma, ad una vicinanza ristretta, puoi arrivare persino a contarle.
"Che cosa combinate qui?" tuona Aiden che, insieme ai ragazzi della squadra di bakset e a Justin, ci raggiunge.
Ho ancora la canna tra le mani; Alec afferra la bustina vicino al mio zaino e la stringe forte, come se avesse paura che possano rubarla.
"Fumate erba!" esclama un ragazzo irlandese dalla voce squillante e fastidiosa.
"Zoe!" dice Justin.
Mi fissa deluso e incredulo, guardano la canna che ho in mano con ribrezzo. "Ragazzi, perché non siete in classe?" domando innocentemente.
"Avevamo gli allenamenti; mi sono offerto di sostituire Cyrus. Ma tu...tu che cazzo fai?" chiede Justin indignato.
"Fumo con Alec, non è ovvio?"
La mia risata non diverte nessuno; hanno tutti dei musoni al momento.
"Mi prendi per il culo?" strepita Justin che prova ad avvicinarsi, venendo subito fermato da Aiden.
Lui lo tira indietro, afferrandolo dalla tuta.
"Juss, calmo, non è niente; anzi, passamene un po'" dice Aiden allungando una mano verso Alec.
Lui indietreggia in preda al nervosismo.
Le loro occhiate insistenti su di noi, quelle accusatorie di Justin e il respiro pesante di Alec; non ne posso più!
Sospiro e li sorpasso, dando una spinta sia a Justin che ad Aiden.
Justin mi segue, correndomi dietro come un fulmine.
"Zoe, quando ti deciderai a darmi retta?"
"Quando la finirai di dirmi cosa posso o non posso fare!" sbraito fermandomi nel parcheggio scolastico.
Ci troviamo l'uno di fronte all'altra, entrambi convinti di avere ragione.
"Sei davvero testarda; non capisci che a quel ragazzo non frega un cazzo di te? Ti sta manipolando!"
"Come tu mi hai manipolata facendomi credere di voler uccidere Aaron quando invece sei ancora la sua puttana?"
"Che hai detto?" domanda con voce sussurrata.
Ho parlato troppo, forse per colpa dell'erba o delle sue continue pressioni, ma mi pento di ciò che ho detto nell'esatto istante in cui lo faccio.
"Mi hai sentita" rispondo freddamente.
"Sì, è che non ci voglio credere."
Justin mi guarda amareggiato negli occhi.
"Prendi questa, ha effetto anche su di noi, magari ti rilassi un po'." Passandogli la canna ottengo da lui un gesto che avrei potuto benissimo prevedere. La lancia via, togliendomela dalle mani violentemente.
Non sussulto, non mi spavento, né provo intimidazione, solo una profonda rabbia.
"Vaffanculo!" impreco girandomi di spalle, per poi andare via.
Passo il pomeriggio ad esercitare i miei poteri da sola, per la prima volta. Utilizzo le matite posate sulla scrivania nella mia camera da letto. Le sollevo fino al soffitto, facendole cadere nuovamente nella loro posizione originale; non si sono spostate di un centimetro.
Fisso lo specchio che in questo momento riflette un'immagine che odio:
quella di una ragazza fragile e triste, ferita nell'orgoglio.
Utilizzo la rabbia per alimentare i miei poteri, rivolgendo uno sguardo sempre più agguerrito allo specchio che, poco dopo, finisce per frantumarsi.
Le schegge di vetro cadono a terra; alcune mi raggiungono ma, grazie ai miei riflessi, sfuggo a qualsiasi pericolo.
"Porca puttana!" esclamo stupefatta.
È stato davvero pazzesco! Ma adesso mi servirà una scusa per spiegare a mio padre come sia potuto accadere. "Brava, vedo che non sprechi più il tuo tempo" Aaron, che ora è sbucato sul mio letto, parla tranquillamente.
Non so con quale forza ma trattengo un urlo; gli faccio però intendere, sussultando, che la sua comparsata ha avuto l'effetto che sperava.
"Aaron, non puoi entrare qui" rispondo alzando gli occhi al cielo, annoiata.
"Volevo vedere come stessi; la sconfitta deve essere difficile da digerire."
Si è steso sul mio letto come se gli appartenesse.
"La sconfitta non è ancora stata confermata."
"A me sembrava piuttosto ovvio." Sorride con finto dispiacere.
"Hm, senti, perché non alzi quel tuo bel culo da psicopatico e non te ne vai?"
Gli indico la finestra aperta.
"Così presto? No no, tesoro, abbiamo un po' di cose da fare" dice sedendosi e buttando giù dal letto il mio cuscino nero con la pelliccia.
"Ehi!"
Corro a raccoglierlo.
Si tratta del mio preferito; lo comprò mamma per aiutarmi a dormire meglio. Avevo una paura matta del buio quando ero bambina e lei credeva che, dandomi qualcosa di più morbido su cui posare la testa, magari mi sarebbe passata. Non è stato così; il piano era destinato a fallire fin da subito ma ho adorato comunque quel cuscino dal primo istante.
Lo rimetto al suo posto mentre Aaron si alza e inizia a frugare nella mia stanza.
"Aaron, non toccare la mia roba" dico; prende la foto della mamma, guardandola accuratamente.
"Era una donna incantevole" dice.
"Lascia quella foto" rispondo con tono duro.
Mi avvicino a lui, sbigottita dalla sua impertinenza.
"Io non ho foto che mi possano ricordare i miei genitori, Claire mi ha portato via tutto."
Non smette per un attimo di fissare l'immagine davanti a sé, parlando nostalgicamente.
"Mi dispiace ma non hai il diritto di toccare le mie cose."
"Infatti non sono qui per questo."
Posa la foto nell'esatto punto di prima e si volta verso di me.
"Ti ho portato il libro che volevi" continua, facendolo apparire tra le sue mani.
È un libro antico, rilegato in pelle.
"È quello proibito?" chiedo elettrizzata.
Aaron sorride.
Sto per esultare ma un ricordo mi passa per la mente.
"Aspetta, Sam mi ha detto che non l'avresti aiutata" affermo.
Non penserei mai che si tratti di un semplice gesto di bontà.
"È ciò che le ho detto, prima di vedermela da solo."
Non mi convince, quindi lo guardo con più interesse, in cerca della vera motivazione che l'ha spinto ad aiutarmi.
"Che cosa hai in mente?"
Mi allontano di qualche passo da lui mentre lo dico.
"Aiutarti?"
"No, tu non lo faresti mai. Dimmi come sono andate davvero le cose." "Ok."
Si schiarisce la gola.
"Sono tornato a casa dopo scuola, ho fatto uno spuntino a base di pane e marmellata di fragole, poi ho litigato con Zia Claire per le solite ovvie ragioni, finché..."
Pongo fine bruscamente al suo tentativo di confondermi.
"Aaron, che cosa stai cercando di ottenere?"
"Certo che sei insopportabile! Non avrei dovuto prendere il libro, non te lo meriti."
Si presta ad andarsene ma lo blocco. "Ok, mettiamo caso che sia vero; dov'è la fregatura?"
"Mi conosci già così bene?" domanda sorridendo appagato.
Aspetto che mi dica cosa vuole davvero, limitandomi a guardarlo con seccatura.
"Devi farmi quel favore che ti avevo già proposto."
"E quale sarebbe?"
Aaron sposta gli occhi un'altra volta sulla foto di mia madre. La scruta per un po', ritornando a me una volta finito.
"Voglio che tu impari a utilizzare i tuoi poteri da sola, senza l'aiuto di Justin o Sam, che trovi la tua strada per conto tuo."
Mi sarei aspettata qualsiasi cosa, persino che mi chiedesse un bacio, ma non una richiesta del genere.
"Vuoi che diventi come te, quindi?" chiedo.
"Sarebbe così terribile?"
"Non tradirei mai la loro fiducia seguendo la strada del male; è sbagliato" ribatto, nonostante il mio cuore e il mio istinto mi dicano che è proprio lì che vorrebbero andare. L'adrenalina che mi invade quando utilizzo i miei poteri è entusiasmante e travolgente, come se mille scariche elettriche attraversassero il mio corpo.
"Non esistono solo il male o il bene, a volte bisogna stare nel mezzo e tu sei ancora in tempo a non oltrepassare quella linea che separa il desiderio di potere dal bisogno di averlo nelle tue mani costantemente" dice facendomi notare, per la prima volta da quando l'ho incrociato sul mio cammino, che possiede delle emozioni positive, che lo rendono ancora umano, da una parte.
"Prendi questo libro e impara qualcosa su di te, su quello che sei in grado di fare, sul nostro mondo e, se non ti piacerà, scappa; puoi farlo, sali su un treno e vattene, ma datti una chance prima."
Prende le mie mani, dandomi il libro che accarezzo, sentendo sulle mie dita la sua pelle dura e rovinata.
"Non posso farlo" rispondo alzando lo sguardo, rinsavendo.
"Almeno provaci, fallo per me" dice con un tono simile a quello di un depravato che sta per tagliarti la gola. "Justin è già abbastanza incazzato, non mi va di peggiorare le cose."
Appoggio il libro sulla scrivania. "Justin? Ti importa di ferire i sentimenti di quel bambino noioso?"
Ha uno sprazzo di ilarità momentaneo.
"Forse" dico nascondendogli l'imbarazzo presente sul mio viso. Aaron, infelice, si morde il labbro, percorrendo con lo sguardo l'intero perimetro della stanza.
"Ho capito, me ne vado" dice e si avvia alla finestra, dalla quale suppongo si lancerà, teletrasportandosi via da qui.
Atterra e io mi affaccio a guardarlo, richiamandolo:
"Aaron."
Stava per oltrepassare una siepe nel giardino ma interrompe i suoi passi. "Che cosa hai fatto a Jules?" domando. Dall'insoddisfazione sul suo viso direi che non era ciò che avrebbe voluto sentirsi chiedere.
"Chi?"
Fa finta di non conoscerla.
"Jules, la ragazza del giornalino; andiamo, sai chi è, tu hai infastidito tutti in quella scuola."
"Oh, adesso mi ricordo. Jules, la bellissima Jules; che bomba sexy" risponde accentuando il desiderio nei suoi confronti, portandomi a perdere la calma.
"Che cosa le hai fatto ieri notte?" ripeto il quesito con determinazione.
"Ho ribaltato la sua auto e poi sono andato via, lasciandola lì a morire" risponde insofferente.
Ci metto un attimo in più a riprendere parola.
"E poi?"
"Poi niente. Te l'ho detto, sono andato via; non mi ha nemmeno visto"
Se non ha visto Aaron, allora di che cosa parlava in ospedale stamattina? Non mi resta che tornare lì e scoprirlo leggendole il pensiero.
Prendo un taxi, non essendo ancora brava a teletrasportarmi, e raggiungo l'ospedale St Louis.
Con la forza del pensiero, apro la porta e mi introduco di nascosto al suo interno, stando attenta a controllare che non ci sia nessuno in giro per i corridoi.
L'ospedale è deserto ma con la luce spenta fa tutto un altro effetto.
La camera di Jules si trova in fondo al corridoio, quindi cammino in punta di piedi fin lì, fermandomi nel sentire un rumore di passi nelle vicinanze.
Mi nascondo dietro la postazione della segreteria; non ho idea di dove sia andata o se esista davvero una persona che si occupi di gestire questo ospedale dimenticato da Dio.
Un medico cammina verso la sala relax tenendo la sua cartellina tra le mani e fischiettando una melodia che entra nelle mie orecchie come il ronzio di una mosca.
Resto immobile, nascosta in una posizione scomoda, finché non chiude la porta alle sue spalle.
Mi accerto, non muovendo un muscolo, che non debba tornare ancora, ascoltando ogni singolo suono, anche il più flebile proveniente da quella stanza.
Si sta preparando un caffè, ne deduco che, nelle sue intenzioni future, non ci sia quella di ripassare da queste parti.
Mi alzo e raggiungo finalmente la camera di Jules; apro la porta pianissimo, in modo tale che non emetta il minimo rumore.
Entro e la richiudo facendo delle smorfie con il viso, con il terrore di sbagliare e farmi trovare qui dentro. Jules dorme come un angioletto; il suo petto si muove su e giù lentamente.
È arrivato il momento:
leggerò il pensiero di qualcuno.
Non ero così nervosa nemmeno stamattina, quando ho dovuto dissezionare una rana durante l'ora di biologia.
Come mi ha insegnato Justin, attivo i miei poteri e rivolgo le mie energie a Jules.
Ha un breve spasmo che mi fa credere stia per svegliarsi, ma ciò non accade e riprende a dormire tranquilla.
Entrare nella sua mente è faticoso, ci sono delle barriere da superare e delle informazioni da scartare, quelle dei suoi ricordi meno importanti. Quanto ci vorrà a raggiungere la scorsa notte? Per Justin sembrava essere un gioco da ragazzi; a me, invece, sta esplodendo il cranio. Finalmente raggiungo il mio obiettivo:
i ricordi del suo incidente e di ciò che ha visto dopo essere stata ferita.
L'uragano mi si presenta davanti come se si trovasse in questa stanza e le urla acute della gente rimbombano nelle mie orecchie.
L'immagine è tuttavia distorta; gli oggetti traballano e le case paiono sgretolarsi insieme al resto dello scenario.
Poso una mano sul letto per tenermi in piedi, continuando a scavare nella mente di Jules.
La nube che le viene in contro assume piano delle nuove sembianze, quelle di un mostro, di un demone storto e paralizzante. I suoi occhi appartengono alla sagoma misteriosa. Ecco perché Jules era spaventata e non ha aperto bocca:
crede di essere diventata pazza.
Chi non lo penserebbe se dovesse vedere un essere talmente disgustoso davanti ai propri occhi?
Smetto di utilizzare i miei poteri e delle gocce di sangue mi cadono sulla mano; provengono dal mio naso. "Cazzo!" dico pulendo con la manica della maglietta il sangue che mi sta sporcando.
Vengo sorpresa dal rumore della maniglia che cigola mentre qualcuno la spinge.
Senza pensarci troppo, mi nascondo sotto al letto, più rapida che posso.
Era già tutto buio nella stanza ma qui sotto non si vede proprio nulla.
"Sta dormendo, te l'avevo detto" parla la signora Morrison.
Riconoscerei la sua voce da fumatrice incallita tra mille.
"È un bene; più tempo dormirà e meno domande farà su quello che le è successo" risponde il signor Morrison. "Lo credi davvero? Io ho l'impressione che Zoe Evans stia complicando le cose."
"Allora è vero, lei è una di loro."
"La quarta e ultima del gruppo, precisamente. Bob aveva ragione su tutto."
Mantenere il silenzio, sapendo che parlano di me, è un'ardua impresa. "Tutte quelle leggende metropolitane e gli esperimenti; non possiamo restare a New Hope, nostra figlia è in pericolo" dice il signor Morrison che cammina lungo la stanza; si ferma a qualche centimetro di distanza dal punto in cui sono nascosta. Posso vedere le sue scarpe mezze rovinate da qui.
"Cosa suggerisci di fare?"
"Prendiamo tutto e andiamo via il prima possibile; quando ho deciso di diventare uno scienziato non credevo che avremmo avuto a che fare con questi...demoni."
"Ma abbiamo promesso a Bob che l'avremmo aiutato."
"Sì ma sono dei ragazzini, non possiamo rapirli e ucciderli."
Mi si raggela il sangue; ho i polsi freddi e la fronte sudata.
"Non ne discuteremo più, ce ne andremo e basta, che ti piaccia o no, Priscilla."
I loro passi si confondono ma, attraverso la fessura sotto il letto, li vedo avvicinarsi ancora.
La signora Morrison singhiozza qualcosa sottovoce.
Respiri, ecco l'unica cosa che sento, i loro fastidiosi e trascinati respiri. "Piccola mia, ti salveremo da questo posto maledetto" dice la donna, sussurrando le parole in modo poco chiaro.
Concentrandomi, il loro battito cardiaco diventa udibile e martella prepotentemente.
Poi, tutto tace; il silenzio è tombale. Non ci sono più respiri, il battito svanisce e i passi del signor Morrison si fermano.
La porta non è stata aperta; come hanno fatto a uscire?
La mia domanda ha ben presto una risposta che mi sconvolge.
Il signor Morrison fa capolino sotto il letto, alzando di colpo le lenzuola.
I suoi occhi, che sembrano due sfere di ghiaccio, mi fissano e, a quel punto, mi copro il viso urlando.
Non smetto di farlo per un bel po' di secondi, finché non sposto le mani dal mio volto e non mi guardo intorno. Questa è la mia camera da letto, sono stesa sul morbido materasso e il quadro della donna mezza nuda è appeso al muro, dov'è sempre stato dal mio arrivo a New Hope.
In fretta, realizzo di esserci riuscita, di aver utilizzato il teletrasporto e di essermi messa in salvo.
Chissà cosa avrebbe potuto farmi quello scienziato pazzo se solo non fossi sparita nel nulla.

Undead (ritorno a New Hope) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora