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La discussione con mio padre non passa in secondo piano nemmeno durante la notte, quando mi intima a non uscire di casa per le prossime due settimane e a non avvicinarmi più ad Aaron Fletcher.
Non gli darò retta, continuerò a vedermi con i miei amici e a indagare sul mostro - ormai sparito dalla morte di Jasmine -  che, sicuramente, sta aspettando in agguato che io sia debole, per attaccarmi e prendere possesso della mia anima.
Per mostrare a mio padre che le sue minacce non mi spaventano, invito Justin a casa, ma solo mentre lui si trova fuori a fare la spesa, così non dovranno incontrarsi e non accadrà l'ultima cosa che mai vorrei succedesse: uno scontro tra mio padre e Justin a colpi di iper protezione.
Chi vincerà? Il padre ossessivo e terrorizzato all'idea che sua figlia possa realmente crescere e interfacciarsi con il mondo esterno, o il fidanzato geloso e apprensivo che non fa altro che darle ordini?
Questo è un incubo dal quale spero di risvegliarmi il prima possibile.
"Scusami se ci ho messo tanto ma in frigo non avevo nulla da mangiare" dico aprendo la porta della camera con il mio fondoschiena, mentre ho in mano un vassoio contenente patatine e due lattine di Coca-Cola.
Avrei potuto portare la birra ma Justin si sarebbe innervosito e mi avrebbe detto che ubriacarsi in pieno pomeriggio è un gesto da stupidi e irresponsabili.
"A me non sembra" risponde osservando il vassoio che a malapena riesco a tenere in equilibrio.
"Se non mangiassi qualcosa poi saresti debole."
Poso il cibo sul letto, verificando che non ci siano briciole a terra.
"Debole ma sempre attraente." "Mangia e chiudi la bocca, Don Giovanni."
Gli passo una patatina e lo imbocco. Lui mastica, in parte disgustato, poi butta giù il tutto e ridacchia.
"Non sono di certo io il Don Giovanni qui" dice poi, in riferimento alla mia 'fuga' con Aaron, accaduta proprio ieri mattina.
"Justin, non ricominciare" rispondo. Non ne abbiamo veramente parlato, lui mi ha subito urlato contro, dicendomi che ho commesso un errore e che mio padre non aveva tutti i torti ad arrabbiarsi, che mentire ai propri amici è un gesto meschino e che non aveva voglia di perdonarmi, questo finché non gli ho spiegato come siano andate le cose.
Avevo bisogno di Aaron, ci siamo sfruttati a vicenda e tra noi due non è accaduto un bel niente.
Niente a parte aver fatto da babysitter a una strega in realtà centenaria, aver combattuto contro Ben e Mike, aver preso un milkshake ed avergli dato un caldo e dolce bacio sulla guancia. Dovrei già essere all'inferno.
"No, non ne ho intenzione, ho già perdonato la tua breve...avventura a New York con Aaron" dice, ma non possiede quella convinzione nello sguardo che potrebbe farmi credere sia sincero.
"Sicuro?"
"Beh, mi hai mentito per una giornata intera e hai rischiato la tua vita insieme a lui, ma che vuoi che sia? Una cosetta da niente, giusto?"
Lo sapevo!
Justin non mi ha perdonata, sta semplicemente aspettando il momento giusto per tirare fuori l'argomento e trattarmi come una traditrice.
"Avevo bisogno di un passaggio e tu non hai la macchina."
"Ti avrei pagato il treno."
"Justin."
Il mio è un contatto visivo autoritario, che vuole porre fine alle sue accuse infondate.
Non lo sono completamente, ma rovinerei tutti i progressi che ho fatto per ammettere i sentimenti che provo per Justin a causa di un brivido passeggero.
Commetterei l'errore più grande della mia vita se dovessi seguire il fuoco di paglia avuto con Aaron invece di restare qui, insieme a un ragazzo così comprensivo e sincero come Justin. "Ok, lasciamo stare, non importa tanto, ora sei di nuovo qui con me, conta solo questo."
Posa una mano sulla mia coscia e, nel sentire il fremito che ne consegue da parte mia, la stringe.
"Mi sei mancata" dice con voce suadente, baciandomi il lobo dell'orecchio, tirando un morso proprio lì.
Non capisco cosa mi stia succedendo ma le mie emozioni si scatenano all'interno, percorrendo il mio corpo, portandomi a gemere.
"È bello averti di nuovo tutta per me, ieri è stata una tortura."
"Andiamo, sono stata via un giorno, non sarai il tipo di fidanzato che vuole sempre stare appicicati?" parlo tra un bacio e l'altro, esprimendomi con fatica.
Il calore del mio corpo, solitamente più freddo del normale, si intensifica, e le sue labbra sulle mie sono morbide e rilassanti.
"Non lo so, ho avuto poche ragazze e molte delle mie relazioni sono durate solo una settimana."
"Justin, sei davvero un rubacuori adesso?"
Lo fermo ridendo mentre lo immagino a dispensare cuori spezzati lungo tutta New Hope.
"No, è che nessuna era quella giusta." "E cosa ti dice che io lo sia?"
"Non lo so, magari perché noi due siamo simili e tu riesci a sopportare il mio lato iper protettivo."
"Ti sbagli, non lo sopporto affatto." "Ma ci stiamo comunque baciando." Mi fa notare, compiaciuto dal contatto tra le nostre bocche, che si desiderano fameliche di un bacio appassionato. "Adoro baciarti" rispondo mordendomi il labbro inferiore.
I nostri corpi si sfiorano e, in pochi attimi, vengo invasa da un elettrizzante scossa, che credo si chiami eccitazione.
Una folata di vento penetra dalla finestra che si spalanca repentinamente.
"Merda, sta succedendo ancora" dico sbuffando seccata.
Succede sempre quando andiamo un po' oltre ai semplici baci, i miei poteri vanno in escandescenze e gli oggetti nella stanza tremano insieme alle luci, che emettono interferenze.
"Va tutto bene, succede quando provi delle forti emozioni."
Justin accarezza la mia gamba, incoraggiandomi a non smettere per paura che possa perdere il controllo. È già accaduto ma lui questo non lo sa.
"È solo un bacio" replico.
"Questo no."
Passa a baciarmi il collo.
Le ante della finestra tremano ma sono così presa dai baci di Justin che nemmeno ci faccio caso.
Si posiziona sopra di me, baciandomi intensamente e toccando con delicatezza un mio fianco.
Non credo di aver mai provato tutte queste emozioni in un solo istante ed è una sensazione fin troppo appagante per volere che si fermi.
Sto per mordergli il labbro quando sento mio padre urlare dal piano di sotto: "Zoe, qui è saltata la corrente, sono appena rientrato."
Poso un dito sul petto di Justin, pregando che l'uomo che mi ha messa al mondo non salga in camera mia. "Devi fare ancora pratica" dice Justin che, con una risata leggera, mi fa passare la paura.
"Credo proprio di sì" rispondo dandogli un ultimo bacio, prima di costringerlo a teletrasportarsi fuori da questa casa.
Il giorno dopo, una notizia inaspettata - anche se non poi così tanto - ci si presenta davanti.
"Sarah è tornata!" esclama un ragazzino del primo anno, correndo da lei in preda a una gioia ineguagliabile.
A lui si aggiunge un'orda di studenti che vogliono firmarle il gesso; le chiedono disperatamente di poter avere una conversazione con lei, di sedersi al suo fianco nella mensa scolastica e di portarle lo zaino fino all'aula dov'è diretta.
"Adesso è anche più popolare di prima" dice Sam stringendo la spallina dello zaino, che le stava cadendo.
"Dovrebbe ringraziarti" rispondo. Indubbiamente, le ho ricordato della festa di inizio anno, di come abbia spinto Sarah contro un armadietto, non uccidendola per miracolo.
"Vado da lei" dice ricolma di sensi di colpa.
"Lo sai che non sei tenuta a farlo?" "Lo so, ma mi farà bene" scrolla le spalle.
La comprendo, quando ferisci qualcuno, anche se per sbaglio, vieni divorato dal tuo stesso male e, se non sei abbastanza forte, quella sensazione riesce a toglierti la speranza di poter migliorare e lasci che la parte più cattiva di te prenda il sopravvento.
Sam si dirige da Sarah, sorridendo non appena i loro sguardi si incontrano.
"Mia sorella e i sensi di colpa, una cosa unica e fastidiosa" dice Aaron che, piombando alle mie spalle, mi riporta a sabato.
Sono passati due giorni ma ancora non ho potuto scacciare via i bellissimi ricordi condivisi con lui e quel bacio sulla guancia che mi perseguita, facendomi sentire quasi come se avessi tradito Justin.
"Aaron, non ti ho visto arrivare" rispondo girandomi verso di lui, esitando per darmi il tempo di riacquistare colore in viso.
Non vorrei mai che mi vedesse nervosa e capisse cosa mi stia succedendo.
"Avresti dovuto?" chiede, incline a insinuazioni.
Il suo corpo è talmente vicino al mio e il suo respiro è caldo e sensuale, mi inebria e mi eccita ancor più dei baci di Justin.
Ma a cosa sto pensando?
Scappo, allontanandomi dal ragazzo ora perplesso.
"Ma dove vai?"
"In classe, perché?"
"Noi due non dovremmo parlare?"
"Di cosa?" domando con un manifesto panico.
"Ah...non lo so, del viaggio e del...bacio sulla guancia?" risponde senza sussurrare, permettendo a chiunque di sentire la sua affermazione.
"Abbassa la voce" lo costringo avvicinandomi di un passo a lui, controllando attentamente che Justin non si trovi nei paraggi.
"Scusa, non volevo urtare i tuoi sentimenti, ma ti ricordo che è accaduto e che non puoi negare l'evidenza."
Ne parla come se avesse già capito che sento qualcosa per lui, come se ne fosse convinto, e non gli importa di ferire Justin, né di distruggere il mio rapporto con Sam.
"Non esiste nessuna evidenza, siamo tornati a New Hope, no? Bene, allora anche tutto il resto è tornato alla normalità."
"Con tutto il resto vuoi dire che hai dimenticato quanto siamo stati bene e mi odi di nuovo?" chiede distorcendo la sua bocca, che si apre in una smorfia di rabbia.
Non lo odio, vorrei ma non ne sono capace.
All'inizio era così, volevo uccidere Aaron, l'avrei anche fatto se Justin non me l'avesse impedito, ma adesso è tutto diverso, io e lui siamo diversi.
"Faccio tardi a lezione" rispondo rimanendo ferma sulla mia decisione. Tra me e Aaron non può e non deve esserci nulla.
"Brava, scappa dai tuoi problemi, tanto non te ne frega niente, vero?" inveisce contro di me, dando la stessa poca importanza di prima alla presenza degli altri studenti.
"Tu non provi niente per Justin" aggiunge e, per quanto voglia voltarmi e urlargli addosso quanto mi stia mettendo a disagio, tengo la bocca chiusa.
Sono così furiosa e distratta che vado a scontrarmi con Alec.
Stava per entrare nella classe dove sono diretta anche io, dato che abbiamo la medesima lezione. Nessuno dei due ha la forza di dire nulla; superiamo la porta e prendiamo posto a due banchi separati e lontani tra loro, ignorando l'esistenza l'uno dell'altra.
La lezione con la professoressa Peterson mette a dura prova la mia pazienza.
Quella donna non è in grado di comunicare senza alzare la voce e sbraitare tutto il tempo, anche quando non sarebbe affatto necessario.
Vado quindi in bagno, per lavarmi il viso e godermi uno dei miei tipici crolli nervosi.
Ne avrò avuti a centinaia dopo la morte della mamma; a volte sono ferma in un punto, guardo gli oggetti e le persone, mi perdo ad ascoltare i loro rumori, i loro passi, le loro voci e, in poco tempo, il mio cervello si ferma e il mio corpo smette di esistere, c'è solo la mia anima che fluttua lontano, verso i posti che avrei sempre voluto visitare, e, in alcuni momenti, se sono abbastanza concentrata, rivedo la mamma e tutto cessa, congelandosi in quel preciso istante di pace assoluta. Un gruppo di ragazze mi passa vicino, bisbigliando qualcosa su di me e i miei occhi, uscendo dal bagno divertite.
Almeno sono rimasta da sola e nessuno potrà prendersi gioco di me. Apro il rubinetto, mi bagno la faccia e scuoto la testa, cacciando fuori un lungo respiro desolato.
Mi piacerebbe scoppiare a ridere, per poi urlare a pieni polmoni tutto quello che ancora non ho detto a nessuno.
Il mio riflesso vuoto mi scruta, ha l'aria di avere vita propria, di muoversi senza che io debba dirgli di farlo.
Sto impazzendo oppure sta accadendo sul serio?
Tocco lo specchio, pulendolo dalla polvere che non mi permette di guardarmi bene.
Più la mia mano sfrega, più l'alone di sporcizia aumenta.
Smetto di premere con le nocche e, rimanendo immobile a fissare il mio riflesso sbiadito, respiro intensamente.
Piano, la vedo formarsi alle mie spalle, la sua figura deforme si innalza, la sua pelle si indurisce e le sue gambe, lunghe e strette, lo reggono perfettamente in piedi.
Lunghi denti affilati escono dalla sua bocca che è aperta in un ghigno malvagio dedicato a me, alla sua prossima preda.
Terrorizzata, mi volto, gridandogli di andare via, di smetterla di seguirmi e tormentarmi.
Le porte delle varie cabine sbattono violentemente mentre la luce si spegne e accende continuamente.
Il mostro cammina verso di me, scattando ogni qual volta ci sia il rumore di un colpo provocato dalle ante.
Urlo indietreggiando e sbatto la schiena contro il lavandino alle mie spalle.
"Vattene via!" strillo allungando le mani per spingerlo lontano da me.
I miei poteri non si accendono, rimangono chiusi in un cassetto, bloccati dalla paura che il mostro possa entrare a far parte di me e distruggere New Hope.
Tutto d'un tratto, vengo afferrata da due braccia, il bagno torna alla normalità e Justin mi guarda terrificato.
"Zoe" dice.
Il mio fiato è corto e, se strizzo gli occhi, vedo ancora il mostro assetato di potere che era in procinto di prendermi.
"Oh mio..." mormoro con la voce ricolma di paura.
"Stai bene?" domanda Justin lasciandomi andare, ma senza smettere di fissarmi con interesse. "Io...non lo so, ma tu che ci fai nel bagno delle donne?"
"Credevo fossi in pericolo."
Lo credeva ed era davvero così; stavo per essere mangiata viva dal lato oscuro di Aaron!
"Quando uno di noi sta male l'altro riesce a sentirlo. Ho controllato Sam per prima e lei stava pranzando, poi ho controllato te ed eri in bagno; sento ancora un senso di pericolo, questo vuol dire che..."
"Aaron, Aaron è nei guai" sostengo, preoccupandomi immediatamente che possa essergli accaduto qualcosa. Mi accodo a Justin per raggiungere il corridoio.
"Hai visto Alec da qualche parte oggi?" chiede.
"Era in classe con me, mi ha guardata male, come sempre, e poi è andato a sedersi."
"Devo andare a cercare Aaron."
"No, ti occupi sempre tu di queste cose, lascia che per una volta qualcuno faccia l'eroe al tuo posto" dico bloccandolo prima che si teletrasporti via da questo corridoio. "Zoe, tu non capisci, se Aaron dovesse essere in pericolo io..."
"Lo so, so che cosa c'è ancora in sospeso tra voi, ti prometto che lo troverò."
Justin non sarebbe più lo stesso se Aaron dovesse andarsene per sempre. Siamo una famiglia, il nostro compito è quello di proteggerci a vicenda, qualsiasi sia la circostanza da affrontare.
"Andiamo, ci metterò poco, userò il mio intuito per trovarlo" proseguo. "Sicura di saperlo fare?" chiede.
Lo fulmino con lo sguardo, volendogli ricordare chi fino ad ora abbia salvato le chiappe a tutti.
"Ok, cazzo! Vinci sempre tu" dice arreso.
"Ricordalo la prossima volta che vorrai darmi ordini."
Sorrido fieramente e tento di teletrasportarmi nel centro della città.
Non accade, però, ciò che avevo previsto, infatti torno indietro, cadendo sul pavimento del corridoio. Justin mi rivolge un'occhiata di rimprovero, come per dirmi che fa bene a non fidarsi di me.
"Questo devo ancora impararlo bene" dico grattandomi il braccio, stufa di non saper gestire questo potere come vorrei.
Il mio intuito mi conduce verso uno dei quartieri più mal ridotti di New Hope.
Qui vicino ci sono vecchi magazzini che cadono quasi a pezzi e case in rovina disabitate da tantissimi anni. Uno stormo di corvi banchetta cibandosi del cadavere di un gatto e, notando la mia presenza, uno di loro mi guarda dritto negli occhi.
I suoi sono terrificanti, piccoli e stretti, iniettati di sangue e bramosi di carne. Passo facendo il giro intorno ai corvi, con il pensiero fisso che mi salteranno addosso e si ciberanno anche di me. Entro poi nel magazzino qui di fronte. La stanza è deserta, posso sentire un forte odore di plastica che dà fastidio alle mie narici.
È merito delle buste appese al soffitto e degli scatoloni sparsi disordinatamente lungo la sala principale.
Sul soffitto c'è un buco e le gocce di pioggia della sera precedente cadono su un preciso punto del pavimento, dove si è formata una pozzanghera di acqua sporca.
"Aaron, ci sei?" chiedo, convinta che si trovi qui.
Ogni nervo del mio corpo percepisce l'energia di quel ragazzo in questo posto.
Cammino, sorpassando i vari scatoloni rovinati, mentre cerco di non inciampare da nessuna parte.
Sposto una tenda di plastica che apre il passaggio a una nuova stanza del magazzino, quella che un tempo doveva essere la cucina.
A quel punto trovo Aaron legato a una sedia e completamente stordito. "Aaron, ma che ti è successo?" domando impressionata.
La sua testa si muove a malapena, ha le guance rosse e le sue mani stringono le corde che lo bloccano, tagliandosi e sanguinando lungo le dita.
"Zoe..."
Il suono della sua voce risulta fragile e smorto.
Non credevo avrei mai visto Aaron ridotto in questo stato, privato del suo luccichio oscuro.
"Non può essere!" dico avvicinandomi a lui che a stento mi guarda.
"Scappa" risponde debolmente.
"Che?"
"Scappa!" asserisce, riuscendo, con immenso sforzo, a parlare con più fermezza.
Gli chiederei di cosa stia parlando se non venissi interrotta da un ulteriore persona nella stanza.
"Ciao Zoe, ti consiglio di spostarti, non sei tu il mio bersaglio" dice Alec che, aggiudicandosi il mio sguardo, cambia le carte in tavola.
"Alec" rispondo spossata, arrivando a domandarmi se non sia rimasta in quel bagno e il mostro non mi abbia presa.
Ciò significherebbe che non sto assistendo davvero al mio migliore amico che tenta di uccidere Aaron e che sia tutto un incubo dovuto alla possessione.
Alec ha il volto pallido e smagrito, è chiaro che non abbia toccato cibo per giorni, e i suoi capelli sono in disordine, come se non li avesse spazzolati.
"Ora capisco. Come hai fatto a legare Aaron? Non per essere cattiva ma lui è leggermente più forte rispetto a te."
"Forse rispetto a me, ma non rispetto alle informazioni di Jasmine."
Butta a terra un quaderno con degli appunti, spingendolo verso di me che lo raccolgo subito.
Le pagine sono riempite da varie formule che non riesco a decifrare.
"Lo spray al peperoncino funziona bene sugli occhi, le corde bollenti sul resto del corpo" spiega Alec serenamente. Su questo quaderno viene spiegato come realizzare le frecce infuocate e come non bruciarsi con le corde, utilizzando dei guanti che proteggono dal calore.
"Ti ucciderò."
Aaron comunica ancora in modo fiacco.
"Che hai detto? Scusa, non ho sentito bene, sei fuori forma per caso?"
Il mio amico si prende gioco di lui, conoscendo bene i rischi ai quali stia andando in contro ma facendo finta che non esistano.
È arrabbiato e vuole giustizia.
"Ho detto che ti ucciderò, ti staccherò gli occhi e li userò come palline da golf e poi ti seppelirò accanto ai tuoi stupidi amichetti che ho fatto fuori senza il minimo rimorso."
Aaron ha il volto spento ma le sue parole fanno davvero paura.
"Non osare nominare i miei amici!" urla Alec.
Non è più lui, adesso è una persona che non riconosco, con l'unico obiettivo, e bisogno, di liberarsi di Aaron Fletcher.
"Tu li hai uccisi, li hai portati via da me, erano le uniche persone che avevo...hai ucciso la ragazza che amavo."
Lacrime di trsitezza bagnano le guance di Alec che è devastato; non avrà la forza di reagire al dolore senza prima aver sistemato la questione in sospeso con Aaron.
Non posso biasimarlo, conosco quel tipo di sofferenza e ti distrugge, non ti lascia scampo e continua a ricordarti tutto ciò che hai perso, privandoti della capacità di respirare quando il peso dei ricordi è troppo grande. "Tanto non ti voleva, ti ho fatto un favore" risponde Aaron.
"Pezzo di merda!"
Alec stringe le corde e dell'ulteriore sangue sgorga dalle mani di Aaron, gocciolando sulle sue scarpe.
"Fermo."
Faccio indietreggiare Alec con la forza del pensiero.
"Non provare a salvare questo rifiuto della società, tu dovresti essere dalla mia parte, sei mia amica, no? Quindi fa la cosa giusta e vattene da qui" dice lui combattendo i poteri con i quali ho bloccato i suoi movimenti.
"Credimi, Aaron merita tutto questo, ma lui può aiutarci a fermare quel mostro, lo stesso che aveva posseduto Sam."
"Non me ne importa nulla, i miei amici meritano giustizia e l'unico modo..."
Alec rimane un attimo in silenzio, scavando dentro di sé per trovare un po' di temerarietà.
"L'unico modo è uccidere questo psicopatico" continua.
"Fa pure, divertiti a uccidermi, così diventerai proprio come me, un killer che si diverte a vedere la gente soffrire" dice Aaron valendosi della psicologia inversa.
Non funzionerà, Alec ha perso ogni speranza e non gli importa di diventare cattivo come lui; è concentrato sulla vendetta e farebbe qualsiasi cosa per ottenerla.
"Non sfidarmi."
Alec prende un fiammifero, accendendolo in fretta.
La situazione si sta mettendo male e io sono costretta a lottare tra la voglia di salvare Aaron e quella di donare giustizia al mio amico.
Non esistono più il bene o il male, esistono solo due persone a cui voglio bene e che ho il terrore di perdere.
"Ti ho già cosparso di benzina, se te lo lancio sei morto, Jasmine lo sapeva bene, ha fatto le sue ricerche, è sempre stata così intelligente e...cazzo! Tu devi morire!"
Le parole di Alec sono ricolme di odio e maneggia con poca cura il fiammifero tra le sue dita, ormai acceso.
"Non farlo, tu non sei un assassino, lasciamo ad Aaron questo titolo d'onore" dico.
Lui non mi presta attenzione, prende respiri profondi e affannati.
"Lo so che lo odi, so che ti ha portato via delle persone care, ma ti assicuro che un giorno pagherà per tutto questo, che avrà la sua punizione, ma non oggi."
Non mi rassegno, gli farò cambiare idea e gli impedirò di vivere ogni attimo della sua vita con i sensi di colpa per quello che potrebbe fare con quel fiammifero.
È intenzionato a ucciderlo, non si fermerà a meno che qualcuno non lo porti a ragionare.
"Alec, ti ricordi quando tutti ci fissavano a scuola perché ci ritenevano strani? Ricordi quella sensazione di diversità? Ci sentivamo fuori posto, beh...io ho trovato una famiglia adesso, ho degli amici, compreso te, e, se Aaron dovesse morire, perderei tutto. Lui è l'unico in grado di fermare quel mostro perché è il suo lato oscuro, solo lui lo può domare. Mio padre, tu, io...siamo tutti in pericolo; Jasmine non vorrebbe mai ti capitasse qualcosa di brutto" dico guardandolo con agitazione. Deve spegnere quel fiammifero e deve farlo ora!
Aaron non pronuncia una parola, la debolezza è troppa per poter far valere le sue idee.
Anche lui prova dolore, anche lui è fragile e ha dei punti deboli e odierà questa consapevolezza quasi quanto odia che io sia più forte di lui.
"Fidati di me" dico avvicinandomi di un altro passo ad Alec che, piano, cede al suono della mia voce.
Il suo labbro inferiore trema mentre le sue dita mantengono il fiammifero con volubilità.
"Sono morti...sono tutti morti" piange facendolo cadere a terra, abbandonandosi a una desolante angoscia.
Aaron ne è sollevato, io, invece, mi precipito verso Alec e lo abbraccio. "Mi dispiace così tanto" gli dico stringendolo forte, offrendogli un posto sicuro dove sentirsi a casa.
In me potrà sempre trovare una vera amica, una persona disposta a tutto per dargli una mano, che non lo lascerebbe nei guai per nessuna ragione in questo sporco e ingiusto mondo.
"Io l'amavo davvero..."
Le sue lacrime bagnano la mia spalla mentre provo a calmarlo, nonostante sappia non sia facile.
I suoi singhiozzi, le sue mani strette sul mio corpo, la sua tristezza sconcertante, è tutto così nostalgico e descriverei questo momento come uno dei più strazianti della mia intera vita.
Guardo nella direzione di Aaron che mi sta osservando con l'espressione di chi ti deve tutto in volto, ed è proprio così, perché gli ho appena salvato la vita, nonostante abbia ucciso i migliori amici di Alec, io l'ho soccorso e, seppur vorrei pentirmene, il mio istinto continua a dirmi che ho preso la giusta scelta.
Riporto Alec a casa, lo saluto con una carezza sul capo e torno al magazzino per assicurarmi che Aaron stia bene. Era ridotto uno schifo quando l'ho lasciato qui, ora è di nuovo in ottima forma e, allungando le braccia, si sgranchisce i muscoli.
"Alec è a casa, si è addormentato mentre eravamo sul taxi e non penso farà di nuovo una cosa del genere, almeno per ora" dico, facendo in modo che Aaron capisca che sia arrabbiata con lui.
"Sei stata brava, hai usato l'empatia, funziona sempre con gli stupidi umani" risponde indifferente al rischio che ha corso prima, finendo quasi per farsi bruciare vivo.
Vuole sorpassarmi ma glielo vieto, piazzandomi davanti a lui.
"Ehi, hai idea di quello che è successo poco fa? Di quanto hai rischiato?" domando.
"Sì, ne ho una vaga idea, è che quando sei cattivo ti fai dei nemici e devi essere pronto a tutto."
"Non a morire, noi abbiamo bisogno di te."
"Voi o solo tu?" contesta, sorridendo nel vedere come questa sua frase mi abbia zittita e sconvolta.
"Noi, io, Justin e Sam, perché sei forte e..."
"Mi hai salvato la vita, hai detto che ti servo vivo, quindi tu hai bisogno di me."
"È stato Justin a dirmi che eri in pericolo."
"E sei venuta tu, che strano."
Sto peggiorando le cose, Aaron si sta facendo delle idee confuse e crederà che provi interesse per lui.
"Ma perché non ammetti che qualcosa è cambiato tra noi sabato? Che hai capito che quel mostro che tanto critichi sta iniziando a picerti" dice aspramente.
"No, non è così, tu non mi piaci" rispondo provando a risultare più cattiva di quanto in realtà lo sia.
"E cosa ti piace allora? Il brivido? Il pericolo? Il fascino del male?"
Mi si avvicina in modo pericoloso, sfiorando le mie braccia e guardandomi dalla testa ai piedi, sorridendo mentre si sofferma sulle mie labbra.
Insopportabile, lui è una spina nel fianco.
"Vedi, è questo il motivo per il quale non potrei mai avvicinarmi a te: hai distrutto il mio migliore amico, Alec mi odierebbe" dico indicando la sedia dov'era legato.
Le corde saranno ancora bollenti.
"Lui ti odia già."
"Posso ancora fargli cambiare idea."
E, se non dovessi farlo, avrei perso una delle persone più belle che abbia mai avuto il piacere di conoscere.
"E di certo non voglio cambiare te, quindi smettila, smettila con questo giochetto" dico, fermamente convinta che per lui si tratti di questo, di un gioco malato per attirarmi nelle sue grinfie.
Aaron guarda altrove spazientito, in disaccordo con le accuse da me rivolte.
"La prossima volta non sarò qui a salvarti" termino, andandomene irritata e provata dalle sue occhiate invadenti.

Undead (ritorno a New Hope) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora