Capitolo tredici

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Shinsou's pov

Il regalo di Denki era rimasto immobile sulla mia scrivania per giorni. Ormai faceva quasi parte della mia camera, quindi spostarlo e non vederlo più lì fu una strana sensazione. Uscii di casa evitando i miei, avvisandoli con un urlo che sarei rientrato dopo cena.

Supposi che fin da dopo pranzo si fossero resi conto che quella sera avessi un appuntamento, tanto che mio padre mi fece l'occhiolino e mi consegnò una confezione di mentine perché, aveva detto, mi sarebbero servite. Storsi le sopracciglia, sperando non stesse sul serio pensando quello che credessi, e me le infilai in tasca poco prima di uscire.
Sono rimasto in bagno tantissimo tempo per essere impeccabile, pulito e profumato, e ho perso quasi un'ora per scegliere l'outfit giusto e per sistemarmi i capelli. Come probabilmente si sarà già capito, ci tenevo ad apparire al meglio.

Con una puntualità che non era da lui, trovai Kaminari fuori dalla porta del ristorante cinese dove avevamo prenotato. Per l'occasione, anche lui si era tirato a lucido. Quando mi vide arrivare, sventolò un braccio per farsi vedere. Sorrisi e mi affrettai a raggiungerlo. Quando fui accanto a lui ricambiò il sorriso, mi salutò con un abbraccio che profumava di vaniglia e mi lasciò, inaspettatamente, un bacio sulla guancia. –Ehilà!– esclamò, mentre i miei zigomi andavano letteralmente a fuoco. Per fortuna, con lo scuro della sera, non lo notò.
–Ehi– risposi, cercando di contenere la mia ragazzina interiore che stava urlando come una pazza.

Pensando alle ragazzine urlanti, le parole di Mina mi ritornarono in mente e quindi decisi di seguire il suo consiglio e di lasciarmi guidare anche dall'istinto. –Sei carino, stasera– gli dissi, per poi rendermi conto che forse le mie parole erano fraintendibili. –Cioè, sei sempre carino, ma stasera di più.
Kaminari arrossì leggermente, borbottò un grazie impacciato e poi propose di entrare nel ristorante. Non si aspettava quel complimento e ne rimase sia sorpreso che compiaciuto.

Aprii la porta e lo lasciai passare per primo.
–Mi sento una principessina– scherzò, quando gli posai anche la giacca sull'appendiabiti vicino al nostro tavolo.
–Se preferite, quando usciamo vi chiudo la porta in faccia, Vostra Bassezza– ribattei, stando allo scherzo.
–Dai, non sono mica così basso!– si finse offeso, ma si lasciò scappare un sorrisetto.
–Dalla mia prospettiva sei un nanetto da giardino.
–Si dice che nella botte piccola c'è il vino buono– ribatté, prendendo posto al tavolo.
–Non so chi l'abbia detto, ma ha perfettamente ragione– e mi sedetti di fronte a lui.

Pochi minuti dopo passò una ragazza poco più grande di noi a prendere le nostre ordinazioni. Era mezza svampita, con i capelli azzurri e sembrava non essere molto intelligente.
Kaminari, che probabilmente non aveva intuito che offrissi io la cena, prese una delle pietanze più costose del menù e già immaginai il mio povero portafoglio completamente svuotato. Per distrarmi da questa triste visione, quando la ragazza se ne andò, gli chiesi se il regalo volesse aprirlo in quel momento o dopo aver finito di mangiare.

Optò per aprirlo subito, incuriosito, e scartò il pacchetto con un po' di difficoltà. Quando aprì lo scatolo e tirò fuori le cuffie nuove, gli brillarono gli occhi. –Sono anche del colore giusto!– esclamò tutto felice. –Grazie, Hitoshi!
Come ulteriore gesto di ringraziamento, si sporse un avanti e mi lasciò un altro schioccante bacio sulla guancia. Arrossii di nuovo, non tanto per il bacio, ma perché mi aveva chiamato per nome. "Abbiamo già così tanta confidenza?", mi chiesi. Non conoscevo la risposta giusta alla domanda ma, se anche fosse stata negativa, accelerare i tempi non era affatto un problema.
Ebbi l'istinto di afferrargli la mano, e, seguendo ancora una volta il consiglio di Mina, non ci pensai due volte.

Mi sentii il cuore in gola, sorpreso, ma al settimo cielo; Kaminari non aveva ritirato la mano, anzi, l'aveva stretta gentilmente. A contatto con la sua pelle fresca, mi resi conto che mi stavo veramente surriscaldando per l'emozione. Osservai le mie dita intrecciate alle sue e capii perché Ashido avesse fatto di tutto per convincermi a uscire con Kaminari, e perché fosse così sicura che il nostro appuntamento sarebbe andato a finire bene. Non era affatto azzardato supporre che i miei sentimenti fossero ricambiati e, se così era, quella ragazza lo sapeva alla perfezione da ben prima di me.

In pochi secondi, però, l'ansia si fece sentire. Avvertivo occhiatacce arrivare dai tavoli vicini, e il mio cuore iniziò a battere forte per ragioni molto più negative. Ebbi quasi paura che qualcuno ci dicesse o facesse qualcosa, e di finire domani sul telegiornale. Già mi immaginavo il titolo "Rissa omofoba al ristorante: sedicenne finisce in ospedale".

Kaminari se ne accorse subito, e mi strinse la mano più forte in modo rassicurante, accarezzandomi il dorso della mano con il pollice. –Lasciali criticare, non sanno fare altro.
–Lo so, dovrei ignorarli e basta– Mi grattai la testa, passandomi la mano libera tra i capelli. Era un gesto che facevo sempre quando ero a disagio. –Però, sai, non è così facile.
–Immagino– Fu molto comprensivo. Spostò la conversazione su argomenti più leggeri, cercando in tutti i modi di farmi distrarre e mettermi a mio agio. Nel frattempo, sguardi e chiacchiericci indiscreti erano andati scemando, e in breve io mi sentii molto più rilassato.

La cameriera dai capelli azzurri tornò, ci lasciò da mangiare e ci fece l'occhiolino, un modo per intendere che se ci fossero stati problemi con gli altri clienti almeno lei era dalla nostra parte. Non fu di grande supporto, ma fece del suo meglio e questo lo apprezzai.

Le pietanze avevano un aspetto ed un odore deliziosi. Mangiammo di gusto, chiacchierando e flirtando allegramente, senza mai lasciarci la mano. Andò tutto bene, così bene da essere perfetto. Però, come sempre accade quando va tutto a meraviglia, il karma decise di riequilibrare l'ordine naturale delle cose.

Poco prima di mangiare, Kaminari si legò i capelli. Il codino gli stava davvero bene, e i pochi ciuffetti troppo corti che gli ricadevano sul viso gli conferivano un'aria graziosa e al contempo attraente. Era semplicemente bellissimo, non c'erano parole migliori per descriverlo.

–Scusami– disse, alzandosi in piedi frettolosamente, dopo aver svuotato il suo piatto. –Vado un attimo al bagno.
Finii di mangiare gli ultimi bocconi rimasti nel piatto, in attesa del suo ritorno. Tuttavia, oltre cinque minuti dopo essersi alzato, Kaminari non era ancora di ritorno. Decisi di aspettare ancora, ma non tornò nemmeno dopo che furono passati altri cinque minuti. Preoccupato che non si sentisse bene o che fosse successo qualcosa, mi alzai dal tavolo e mi diressi verso il bagno degli uomini.

C'erano tre lavandini bianchi con di fronte tre porte, di cui una sola era chiusa. Bussai, più che sicuro che dentro ci fosse il ragazzo che stavo cercando.
–Denki-kun?– chiesi. –Sei qui dentro? Tutto okay?
Non ottenni risposta, ma sentii un rumore così schifoso da essere inconfondibile.
–Oh cazzo, ma stai vomitando?– chiesi allarmato, indeciso se aprire la porta o meno.
Con un tremendo senso di déjà vu, entrai e gli tenni i capelli all'indietro mentre lui finiva di rigettare via la cena. Storsi il naso, schifato, ma restai al suo fianco. Il mio aiuto non servì effettivamente a qualcosa: quel codino sembrava quasi essere stato fatto in previsione di quello spiacevole inconveniente. Ero lì più che altro come supporto morale.

Quando uscimmo da bagno, pochi attimi dopo, aveva un colorito tendente al verde. Nonostante non stesse visibilmente bene, ci tenne comunque a rassicurarmi e convincermi che fosse tutto a posto. –È tutto okay, tranquillo.
–Sicuro?– insistetti, preoccupato. –Stai bene?
Kaminari annuì. –Sto già meglio. 
–Sono abituato, sai, io...– disse, mentre stavamo tornando al tavolo per recuperare i nostri averi. –...sono intollerante al glutine.
–Intollerante al glutine?– ripetei, sorpreso.
–Già, ne ho mangiato troppo e mi ha fatto male– confermò. –Scusa se ti ho spaventato, avrei dovuto avvisarti.
Poi fece uno dei suoi sorrisi più belli, uno di quelli stupendi e luminosi che, però, col tempo, avevo già capito essere i più falsi di tutti.
–Va bene– dissi, accettando la menzogna. –Vuoi una mentina?
Gli porsi il pacchetto di mentine, e lui ne prese due o tre insieme. –Grazie mille.

In poco tempo pagai, uscimmo dal locale. Mentre stavamo passeggiando, il biondo mi afferrò il polso al volo e ci dirigemmo mano nella mano verso il parco. Il suo volto allegro e spensierato riuscì a farmi temporaneamente dimenticare la bugia che mi aveva rifilato, e per tutta la serata, anche seguendo il consiglio di Ashido, feci di tutto per non pensare più e godermi il momento nell'attesa che si presentasse anche la famosa "occasione".

The Void Behind Your Eyes‐ShinkamiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora